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Sesto capitolo: il kommos epirrematico fra il coro ed Admeto Introduzione

Dopo il terzo stasimo, la morta viene portata fuori dalla casa ed Admeto esorta i coreuti, che egli percepisce come amici236, a darle l’ultimo saluto. La processione

funebre viene però interrotta dall’arrivo di Ferete, con il quale Admeto avrà un vivace diverbio (614-738). La colpa che egli rinfaccia al padre è di aver rifiutato di morire al suo posto, pur essendo ormai anziano, e di aver permesso che perdesse la vita una donna ancora nel fiore degli anni237. Ferete ribatte dicendo che non vi è

nessuna legge morale che obblighi i genitori a morire per i propri figli238 e che la

vita è cara a qualsiasi età239. Nessuna obiezione viene però accettata dal figlio, che

ripudia i propri parenti e caccia via in malo modo Ferete. A questo punto, Admeto esorta ad andare a porre il cadavere di Alcesti presso la pira: sembra che egli si stia rivolgendo ad una collettività240, pertanto la maggior parte degli studiosi è portata a

pensare che i vecchi di Fere lo seguano: l’uscita del coro, però, come fa notare la Parker, non è da dare per scontata come molti fanno. La studiosa è al contrario incline a pensare che i coreuti rimangano sempre sulla scena e giustifica la sua ipotesi con una serie di motivi, anche se alla fine ammette di non potersi pronunciare in maniera definitiva in riguardo al tema per mancanza di prove incontrovertibili e per la persistenza di alcuni problemi che sembrerebbero supportare l’uscita del coro241.

236 Essi vengono indicati con il nome collettivo di εὐμενὴς παρουσία (606). La Parker sottolinea che il termine astratto παρουσία può implicare una presenza che porta aiuto, come accade per il latino praesentia. 237 Eur. Alc. 633-635: τότε ξυναλγεῖν χρῆν σ᾽ ὅτ᾽ ὠλλύμην ἐγώ./σὺ δ᾽ἐκποδὼν στὰς καὶ παρεὶς ἄλλῳ θανεῖν/νέῳ γέρων ὤν, τόνδ᾽ ἀποιμώξῃ νεκρόν; 238 Eur. Alc. 683- 684: οὐ γὰρ πατρῷον τόνδ᾽ ἐδεξάμην νόμον,/ παίδων προθνῄσκειν πατέρας, οὐδ᾽ Ἑλληνικόν. 239 Eur. Alc. 691-693: χαίρεις ὁρῶν φῶς· πατέρα δ᾽ οὐ χαίρειν δοκεῖς;/ἦ μὴν πολύν γε τὸν κάτω λογίζομαι/χρόνον, τὸ δὲ ζῆν σμικρὸν, ἀλλ᾽ ὅμως γλυκύ. 240 Eur. Alc. 739-740: ἡμεῖς δέ -τοὐν ποσὶν γὰρ οἰστέον κακόν- / στείχωμεν, ὡς ἂν ἐν πυρᾷ θῶμεν νεκρόν. Non è però detto che si stia rivolgendo ai coreuti. La Parker sottolinea che, mentre negli altri casi di μετάστασις il coro annunciava esplicitamente la sua uscita di scena (Eum. 225-231;

Aj. 810-814; Hel. 330-334; Rhes. 527-564), nell’ Alcesti questo plurale nel discorso di Admeto

è l’unico segnale che potrebbe testimoniarla.

241 La Parker ne individua due principali: il silenzio del coro durante il dialogo fra il servo ed Eracle, atteggiamento che le sembra strano ma potrebbe essere giustificato dalla decisione del poeta di mantenere in secondo piano i coreuti durante questa scena, e soprattutto il fatto che essi non abbiano annunciato o commentato l’ingresso in scena di Admeto dopo il funerale. Di solito il coro reagiva in qualche modo all’arrivo di un personaggio, a maggior ragione se questo, come

Prima di tutto, la Parker sradica quella che è una delle motivazioni forti di coloro che ritengono che i coreuti se ne siano andati con Admeto: il fatto che essi non potevano essere presenti in scena nel momento in cui Eracle annunciava il suo proposito di salvare Alcesti (837 ss.). Infatti, se solo fossero stati a conoscenza di questa possibilità, l’avrebbero sicuramente prospettata ad Admeto per consolarlo al momento del ritorno dalle esequie funebri, data la loro empatia con il dolore del re, oppure, come ipotizza Seeck, avrebbero innalzato uno stasimo per esprimere la loro nuova speranza242. In tal modo, però, sarebbe stata compromessa la sorpresa del

riconoscimento finale243.

La studiosa è d’accordo sulla necessità che i coreuti fossero all’oscuro dell’intento di Eracle, ma fa notare che questo non implica necessariamente una loro assenza dalla scena. In tragedia, infatti, può capitare a volte che il coro si comporti come se fosse all’oscuro di eventi a cui in realtà aveva assistito244. Inoltre i vecchi Tessali

non erano presenti nel momento in cui Apollo aveva profetizzato il salvataggio di Alcesti da parte di Eracle, quindi potevano benissimo aver ascoltato la dichiarazione d’intenti del semidio, ma non avervi riposto speranze e non averla ritenuta abbastanza significativa per riferirla ad Admeto.

La Parker preferisce pensare che i coreuti siano sempre rimasti nell’orchestra per via del fatto che Admeto li esorta a dare l’ultimo saluto ad Alcesti come se essi non dovessero prendere parte alla processione funebre245 e per via del loro

comportamento alla fine della tragedia. La studiosa, infatti, ritiene che lo sdegno mostrato inizialmente dal coro verso la prospettiva che Admeto prendesse una seconda moglie246 non sembra essere allo stesso livello quando questa ipotesi

appare come più che plausibile: essi si limitano a dire che per loro è una triste

Admeto, aveva un aspetto diverso rispetto a come era apparso fino al momento prima di uscire di scena. Penso, ad esempio, agli anapesti lirici con cui i coreuti commentano la ricomparsa di Edipo nel finale dell’Edipo Re (1297-1306), quando il sovrano, accecato ed in preda alla disperazione, ha ormai perso tutta la maestosità e la sicurezza che lo avevano contraddistinto nella prima parte del dramma.

242 Seeck (2008), 173.

243 Cfr. e.g. De Falco (1943), 40.

244 L’esempio addotto dalla Parker è Eur. Ion. 773 ss.

245 Eur. Alc. 609- 610: ὑμεῖς δὲ τὴν θανοῦσαν, ὡς νομίζεται,/ προσείπατ᾽ ἐξιοῦσαν ὑστάτην ὁδόν. L’ultimo addio alla loro regina sarebbe pronunciato dai coreuti ai versi 741-746.

246 Dopo che Alcesti aveva chiesto ad Admeto di non risposarsi, il coro la rassicurerà sul mantenimento della promessa dicendo: θάρσει: πρὸ τούτου γὰρ λέγειν οὐχ ἅζομαι·/ δράσει τάδ᾽, εἴπερ μὴ φρενῶν ἁμαρτάνει. (326-327).

prospettiva, ma che bisogna sopportare ciò che gli dei ci riservano247. Secondo la

Parker, questa apparente indifferenza sarebbe giustificabile dalla presenza dei coreuti in occasione del discorso di Eracle: vedendo rientrare l’eroe con una donna velata, essi avrebbero potuto facilmente dedurne l’identità ed è questo il motivo per cui avrebbero permesso senza troppa ritrosia che il padrone l’accogliesse in casa. A mio avviso, però, il tono temperato del commento dei coreuti potrebbe essere anche letto in un altro senso: essi avevano da poco innalzato uno stasimo incentrato sul potere della Necessità (962-1007), una divinità implacabile che non scende a compromessi con gli uomini. Il pensiero che trapela da questo canto è che gli esseri umani siano totalmente impotenti e debbano accettare il volere divino248: una simile

espressione di rassegnazione si troverebbe anche nei versi 1070-1071.

A favore della partecipazione del coro alla processione funebre di Alcesti, inoltre, addurrei anche il rimprovero rivolto da Admeto al verso 897 per avergli impedito di gettarsi nella tomba insieme alla moglie249.

247 Eur. Alc. 1070-1071: ἐγὼ μὲν οὐκ ἔχοιμ᾽ ἂν εὖ λέγειν τύχην·/χρὴ δ᾽, ἥτις εἶσι, καρτερεῖν θεοῦ δόσιν.

248 Questa concezione è uno dei punti cardine per la riabilitazione del personaggio di Admeto portata avanti da alcuni studiosi. Ad esempio, Burnett (1965) 241, nota che Admeto non aveva avuto la possibilità di scegliere se accettare o rifiutare il dono di Apollo: egli era stato costretto a subirlo. Buxton(2013), 27, sottolinea questa impossibilità di rifiutare il dono di un dio (cfr Eur. Alc. 1071). Anche Basta Donzelli (2003), 59-60, è convinta che Admeto sia vittima del favore divino, che presto gli renderà la morte preferibile alla vita. Dal momento poi che nel discorso poco precedente alla morte di Alcesti egli aveva promesso di consacrare la vita alla defunta, la sua esistenza non sarebbe in realtà tanto diversa dalla morte. Anche Hose (1990- 1991), 24 parla di una vita-non vita, ma in senso diverso: egli pensa cioè che il dono del dio, invece che allungare la vita di Admeto, ne aveva causato la morte sociale, condizione che agli occhi del re è addirittura peggiore di quella fisica (cfr. 935-961). In questo modo, secondo Hose, l’ordine naturale del mondo si è mostrato di nuovo più forte di ogni macchinazione che tenti di sovvertirlo, come era successo anche per quelle di Asclepio e di Apollo.

Comunque, anche volendo ammettere che ci fosse stata possibilità di scegliere se accettare o meno il dono, Vellacott (1975), 101-103, osserva che la decisione di Admeto di lasciare che Alcesti si sacrificasse al suo posto sarebbe stata considerata scontata da tutti gli spettatori. Nella società greca, infatti, la vita della moglie era naturalmente considerata come a disposizione di quella del marito, tanto che nemmeno la stessa Alcesti accusa Admeto di egoismo, come invece fa con Ferete e la sua consorte. Inoltre Alcesti, morendo al posto di Admeto, aveva salvato l’ οἶκος, che si sarebbe disgregato se il re fosse morto (cfr. e.g. Slater 2000, 107).

249 L’espressione τί μ’ ἐκώλυσας: viene spiegata in questo modo dallo scoliaste: διὰ τί με ἐκώλυσας ῥῖψαι ἐμαυτὸν <ἐν> τῷ τάφῳ τῆς γυναικός; πρὸς τὸν χορόν φησιν. ἦν γὰρ ὁ χορὸς μετ’αὐτοῦ· δύναται γὰρ ὁ χορὸς ἐξίστασθαι τῆς σκηνῆς, ὡς καὶ ἐν Αἴαντι μαστιγοφόρῳ. (Schwartz, 237, 11-14)

Ritengo perciò che questa sia una delle poche occasioni250in cui i coreuti

abbandonano la scena, per poi rientrarvi solo in un secondo momento: questo procedimento drammaturgico viene chiamato da Polluce μετάστασις χοροῦ251.

L’uscita del coro dalla scena può essere richiesta dall’azione, come nel caso delle

Eumenidi252 o dell’Aiace 253; in entrambe queste tragedie, la motivazione addotta è

sempre la ricerca di un personaggio che si era allontanato poco prima. A volte però l’abbandono dell’orchestra da parte dei coreuti non comporta un cambio di scenario254, ma è solamente un pretesto per porre le condizioni per un secondo

prologo, cioè per una parte dell’azione drammatica sottratta alla conoscenza e alla mediazione dei coreuti.

Nel caso dell’Alcesti, l’ evento chiave che si compie sulla scena in assenza del coro è l’enunciazione da parte di Eracle della sua decisione di riportare Alcesti in vita per ringraziare Admeto dell’ospitalità.

Eracle viene a conoscenza della morte della padrona di casa in seguito ad un dialogo con un servo, che egli aveva visto irritato dal suo comportamento poco appropriato al lutto. Una volta saputo di aver bevuto e banchettato mentre si piangeva la morte della moglie del suo ospite, l’eroe inizialmente resta offeso dalla menzogna di Admeto255: poi però prevale in lui la riconoscenza, che lo spinge a

voler offrire al suo benefattore una χάρις all’altezza di quella ricevuta256. La nobiltà

e l’ospitalità di Admeto, che erano state elogiate dai coreuti nel terzo stasimo,

250 Delle trentuno tragedie che ci sono pervenute integre, solo 5 presentano la μετάστασις del coro: le Eumenidi di Eschilo, l’Aiace di Sofocle, l’Alcesti, l’Elena e il Reso di Euripide.

251 Poll. IV. 108, 40; Polluce conia anche il termine di ἐπιπάροδος per indicare il loro secondo ingresso in scena.

252 Il coro qui è assente dal verso 231 al verso 244; le Erinni che lo compongono lasciano Delfi per inseguire Oreste, che sta fuggendo verso Atene.

253 Nell’Aiace i marinai che formano il coro non pronunciano nessuna battuta dal verso 814 al 866: essi escono di scena per andare a cercare Aiace, spinti dalle suppliche di Tecmessa che temeva per la salute del marito in seguito alla profezia di Calcante. La loro assenza permette di spostare lo scenario dell’azione, dall’accampamento acheo al luogo isolato dove Aiace si suicida, ma è funzionale anche a permettere che l’eroe sperimenti in solitudine la dimensione della morte (Paduano 201514, 29).

254 Nel caso dell’Alcesti, lo scenario non cambia in seguito all’uscita del coro ma viene rifunzionalizzato: vd Di Benedetto- Medda (1997), 121.La casa dei sovrani di Fere, che prima era estremamente accogliente e su questo basava il suo vanto, diventa un luogo inospitale, riempito del dolore per l’assenza di Alcesti. Lo stesso procedimento aveva interessato la zona antistante alla casa di Creonte nell’Antigone sofoclea: da spazio pubblico legato all’esercizio del potere, esso diventa un luogo di pianto e dolore privato in seguito agli eventi luttuosi che si verificano nell’esodo.

255 Eur. Alc. 816: ἀλλ᾽ ἦ πέπονθα δείν᾽ ὑπὸ ξένων ἐμῶν;

256 Eur. Alc. 840- 842: δεῖ γάρ με σῶσαι τὴν θανοῦσαν ἀρτίως/ γυναῖκα κἀς τόνδ᾽ αὖθις ἱδρῦσαι δόμον/ Ἄλκηστιν Ἀδμήτῳ θ᾽ ὑπουργῆσαι χάριν.

vengono riconosciute ed apprezzate anche da Eracle257: il suo discorso si presenta

in effetti come una specie di traslazione in ambito recitativo del canto corale precedente. Admeto viene definito φιλόξενος (809) così come alla sua casa era andato l’attributo di πολύξεινος (568); il verbo αἰδέομαι usato al verso 823 e al verso 857 ricorda l’espressione ἐκφέρεται πρὸς αἰδῶ (601); anche la nobiltà sia di nascita che d’animo di Admeto, più volte ribadita nello stasimo258, viene notata da

Eracle che lo definisce γενναῖος (857). Il fatto che l’elogio del re di Fere venga ripetuto e condotto quasi esattamente negli stessi termini dal semidio testimonia, a mio avviso, che anche la lode del coro debba essere presa seriamente. Del resto, già Apollo all’inizio del dramma aveva attribuito ad Admeto queste virtù che poi saranno riconfermate da vari personaggi durante tutto il corso della tragedia259.

Dopo l’enunciazione di Eracle del proprio intento di salvare Alcesti, Admeto rientra sulla scena, seguito dal coro che costituisce il corteo funebre.

Abbiamo detto prima che l’uscita del coro dalla scena presuppone quasi la fine di una parte della tragedia, mentre al suo rientro ne inizia un’altra, spesso anche molto differente: questo è particolarmente evidente per una tragedia come l’Alcesti, che sembra divisa in due grandi blocchi separati proprio dalla μετάστασις del coro. Questo tipo di struttura è stata individuata nell’Alcesti da Victor Castellani260: già

Van Lennep, nella sua edizione della tragedia, aveva osservato che l’uscita del coro rendeva il discorso fra il servo ed Eracle quasi un prologo per la seconda parte del dramma, ma Castellani approfondirà meglio la divisione della tragedia in due parti e la rete di corrispondenze che le collega. Egli individua un “primo atto” tragico- patetico (1-746) ed un “secondo atto” comico- satirico (747-1163), ognuno di essi caratterizzato da un prologo, una parodo ed un esodo che presentano una struttura molto simile tra loro. In merito alle somiglianze fra parodo (77-140) ed epiparodo (861-934), Castellani nota che sono entrambi dei canti antifonali261 composti da due

257 Cfr. Eur. Alc. 855- 860: ὅς μ᾽ ἐς δόμους ἐδέξατ᾽ οὐδ᾽ ἀπήλασεν,/καίπερ βαρείᾳ συμφορᾷ πεπληγμένος,/ ἔκρυπτε δ᾽ ὢν γενναῖος, αἰδεσθεὶς ἐμέ./ τίς τοῦδε μᾶλλον Θεσσαλῶν φιλόξενος,/ τίς Ἑλλάδ᾽ οἰκῶν; τοιγὰρ οὐκ ἐρεῖ κακὸν/ εὐεργετῆσαι φῶτα γενναῖος γεγώς. 258 Cfr. Eur. Alc. 600-603: τὸ γὰρ εὐγενὲς /ἐκφέρεται πρὸς αἰδῶ/ ἐν τοῖς ἀγαθοῖσι δὲ πάντ᾽ ἔνε/στιν. 259 Mikalson (1991), 78; Diano (1975), 11-12. 260 Castellani (1979).

261 La prima parodo, come abbiamo già avuto modo di osservare, era divisa fra due semicori, uno più speranzoso e l’altro convinto della morte di Alcesti; la seconda, invece, è strutturata come un dialogo fra Admeto, disperato per la perdita della moglie, ed il coro che cerca di consolarlo.

coppie strofiche, ciascuna delle quali è preceduta da un sistema anapestico e interrotta anche da altri passaggi anapestici. Oltre a queste innegabili analogie formali, lo studioso individua anche una serie di rimandi testuali e tematici fra i due brani262, che però mi convincono di meno. Mi sembra che in alcuni punti il

confronto fra le parodo dei due blocchi del dramma sia condotto in maniera troppo forzata; ritengo invece molto più produttivo e interessante un paragone fra l’epiparodo e la scena del decesso di Alcesti (244-279)263.

In entrambe le parti del dramma, un personaggio si trova a dover sperimentare la morte, in prima persona o attraverso la dimensione del lutto per una persona cara. La prima reazione di fronte alla sciagura è la prevaricazione del lato emotivo su quello razionale, che si esprime in Alcesti attraverso visioni sconnesse e spaventose, in Admeto mediante lamenti continui che gli impediscono di formulare un discorso completo. Al loro delirio assiste un personaggio più razionale, che cerca di far loro recuperare la percezione del reale: nella prima scena, è Admeto che tenta di riportare la moglie alla lucidità264, mentre nella seconda questo ruolo

tocca al coro, che esorta il sovrano di Fere ad accettare la morte della consorte e a sopportare la sventura che gli è toccata. Il tentativo di calmare gli animi agitati non sembra avere effetto in nessuno dei due casi: Alcesti continua ad essere turbata da immagini sempre più angoscianti e si sente addirittura trascinare via da esseri

Rimane quindi l’interazione fra una voce più pessimista e una più ottimista.

262 Prima di tutto, i personaggi parlanti sono davanti al palazzo ma esitano ad accedervi: nella parodo, i coreuti non entrano in casa perché cercano fuori di essa degli indizi del decesso di Alcesti, nell’epiparodo Admeto non riesce ad entrare perché sopraffatto dal dolore di dovervi vivere senza la moglie. In entrambi i brani, poi, secondo Castellani troveremmo:

- l’espressione di desideri irrealizzabili (per la parodo, il salvataggio da parte di Apollo Peana (90- 92); per l’epiparodo il desiderio di Admeto di non essersi mai sposato (880-881) e di giacere nella tomba insieme alla moglie (897-902).

- la constatazione della gravità della situazione da parte dei coreuti (98-104; 903-910 e 926-934) - l’anticipazione del funerale di Alcesti nella parodo (98-104) che è appaiata al ricordo del suo

matrimonio nell’epiparodo (915-921).

- la ῥῆσις in trimetri giambici che segue immediatamente i due brani e fa menzione della condizione di alcuni ambienti della casa di Admeto e di persone che vi abitano rispettivamente prima e dopo la morte di Alcesti. La prima ῥῆσις (152-198) è recitata dalla serva ed è separata dalla parodo da una breve sticomitia che ella realizza insieme al coro; la seconda (935-961) è eseguita da Admeto subito dopo la fine dell’epiparodo.

263 Un simile parallelo è suggerito anche dalla Parker.

264 Lo stacco fra lo stato d’animo di moglie e marito è reso anche metricamente: Admeto inizialmente si esprime in trimetri giambici, i metri razionali per eccellenza, mentre Alcesti canta in metri lirici. Nell’epiparodo, invece, questo parallelo fra condizione emotiva e forma di espressione non si mantiene: Admeto non canta nemmeno quando è in preda alla disperazione, mentre il coro, seppure costituisca l’interlocutore “più razionale”, si esprime in metri lirici in quanto questi costituiscono il suo mezzo di espressione abituale.

demoniaci265, Admeto pronuncia una prima sequenza anapestica dalla quale emerge

l’offuscamento e la mancanza di linearità del suo pensiero266 e poi interrompe con

lamenti ogni tentativo di consolazione.

In ognuno dei due personaggi, però, alla fine avviene una presa di coscienza della situazione accompagnata dal ritorno ad uno stato di razionalità, che permette loro di formulare un discorso logico nel quale accettano il loro destino. Il mutamento dello stato d’animo si riflette anche nel cambiamento dei versi: Alcesti, che prima si esprimeva in metri lirici, pronuncia una lunga ῥῆσις in trimetri giambici nella quale espone lucidamente le sue ultime volontà (280-325); Admeto, che aveva eseguito diverse sequenze di anapesti, passa ai trimetri giambici nel momento in cui capisce veramente la propria condizione ed il fatto che, fra i due, quella che ha ottenuto la sventura minore è Alcesti (935-961).

Passiamo ora ad osservare l’evolversi del dialogo fra il coro ed Admeto che porterà al raggiungimento di tale consapevolezza.

Innanzitutto, c’è da dire che stiamo parlando di un kommos lirico epirrematico in cui la parte cantata è eseguita dal coro e quella in metri recitativi, più precisamente in anapesti, da Admeto. Il re di Fere pronuncia quattro sequenze anapestiche di varia lunghezza, ognuna delle quali è seguita da una stanza del coro.

Come abbiamo avuto già modo di vedere, il kommos era una parte della tragedia che non aveva importanza strutturale, pertanto la sua presenza non era obbligatoria in tutti i drammi, come invece accadeva per la parodo o per gli stasimi. Veniva però utilizzato nei momenti in cui c’era il bisogno di esprimere il lamento e la sua esecuzione era affidata al coro e ad un attore267.

265 Cfr. Eur. Alc. 259 (ἄγει μ᾽ ἄγει τις: ἄγει μέ τις ); 267 (μέθετε μέθετέ μ᾽ ἤδη).

266 L’agitazione di Admeto è resa attraverso una serie di accorgimenti stilistici e retorici: - l’insorgenza del del ritmo dattilico negli anapesti (864; 865; 867; 868; 869; 870) - l’inserimento di lamenti durante il discorso (863: ἰώ μοί μοι. αἰαῖ <αἰαῖ>)

- l’accumulo di domande strutturate in due coppie di cola isometrici: i cola che formano ciascuna coppia non solo presentano la stessa struttura metrica (spondiaca per la prima coppia, anapestica per la seconda), ma si aprono anche con lo stesso elemento in anafora (864: ποῖ βῶ; ποῖ στῶ;| τί λέγω; τί δὲ μή;)

- le tre proposizioni collegate per asindeto ai versi 866-867 (ζηλῶ φθιμένους,| κείνων ἔραμαι,| κεῖν᾽ ἐπιθυμῶ δώματα ναίειν.)

- l’anafora verbale (οὔτε γὰρ…; οὔτ᾽ ἐπὶ) e metrica (scansione dattilica del primo piede) ai versi 868-869.

267 Arist. Poet. 1452b, 24-25. L’antifonalità doveva essere una caratteristica anche dei lamenti funebri storici, cfr. Alexiou (1974), 13; 103. Purtroppo però non abbiamo molte testimonianze sull’effettiva realizzazione dei threnoi nella realtà storica in quanto la maggioranza delle

Admeto è appena tornato dalle esequie funebri della moglie e la sua disperazione è totale; i suoi vecchi sudditi cercano in qualche modo di consolarlo, facendo ricorso ad una serie di sentenze gnomiche sulla necessità di sopportare il dolore. Le riflessioni a cui il coro si abbandona prendono una piega quasi filosofica, che viene vista da alcuni come testimonianza del fatto che, nonostante l’empatia dichiarata, i coreuti mantengono sempre una certa distanza emozionale dal momento che non sono coinvolti direttamente nella vicenda tragica, ma rimangono in una posizione defilata268.

A mio avviso, la maniera di esprimersi del coro tragico non è dovuta al suo