Bentley e la scienza politica comportamentista
III. ANALISI DEL PENSIERO DI BENTLEY
L'essenza dell'analisi politologica di Bentley si trova in The Process
of Government, e, a un livello più elevato di astrazione, in Relativity in
Man and Society ( B E N T L E Y , 1 9 6 7 , 1 9 2 6 ) . L'analisi del processo delineata in tali opere può esser ricondotta a cinque concetti fondamentali — atti-vità, gruppo, regole del gioco, governo, potere — e compendiata nelle seguenti proposizioni:
a) Vattività è il « materiale grezzo » della politica;
b) l'attività sociale è tipicamente attività di gruppo-,
c) la libertà d'azione dei gruppi trova un limite nelle regole del
gioco prevalenti in un sistema;
d) il governo è « attività rappresentativa »: riflette l'attività dei gruppi organizzati;
e) il potere è interdipendenza fra due o più soggetti: non è capa-cità di determinare unilateralmente il comportamento altrui.
a) Attività.
I filosofi politici e i teorici della politica avevano concentrato la loro analisi sull'uomo e sulle istituzioni. Bentley riteneva che la nuova scienza avesse bisogno di unità di analisi più semplici delle istituzioni e più neu-trali dell'uomo. Egli identificò questa unità nella attività sociale: « Il materiale grezzo che studiamo — egli scrive (176) — non si trova mai in un uomo isolatamente considerato... È una relazione fra uomini, ma non nel senso che ci sono dati uomini singoli in prima istanza, ed una relazione sorga fra di loro successivamente. La relazione, cioè l'azione,
è... il materiale grezzo... Noi conosciamo gli uomini solo come parteci-panti in tale attività. Queste attività associate... sono, per così dire, la stoffa della quale sono fatti gli uomini nelle loro caratteristiche indivi-duali. Per esempio, il " Presidente Roosevelt " noto alla storia, è una grande quantità di attività ufficiale, attività nella quale sono state impli-cate moltissime persone » (corsivo mio).
La funzione fondamentale dell'attività ai fini dell'analisi è quella di fungere da « denominatore comune » dei fatti sociali ( B E N T L E Y , 1 9 2 6 ,
94). Analoga funzione ha svolto il termine comportamento nella nuova psicologia e, successivamente, in tutte le scienze comportamentistiche
(ibidem). Per una disciplina che vuole diventare scienza, una descrizione in termini di attività presenta alcuni vantaggi fondamentali, uno dei quali
è la misurabilità (in linea di principio) dei fatti sociali: « Se riusciamo ad enunciare la vita sociale in termini di attività e di nient'altro — scrive Bentley (202) — abbiamo almeno una base sulla quale poter costruire un sistema coerente di misurazione ». Al tempo stesso, « cesseremo di essere bloccati dall'intervento di elementi incommensurabili [come sen-timenti, idee, ecc.] che pretendono di costituire le vere cause di tutto quello che avviene, e che, con la loro arbitrarietà, rendono impossibile qualsiasi progresso verso una conoscenza sicura [della società] ».
Come si evince da questa citazione, misurabilità dei fatti sociali e corretta teoria della causazione sono problemi strettamente connessi. Enunciare i fatti sociali in un modo che ne consenta la quantificazione, non comporta solo maggiore precisione; comporta pure una più realistica valutazione di quei fattori psicologici che proprio perché incommensu-rabili, si prestavano per Bentley a ogni forma di mistificazione. S'inserisce qui uno dei temi dominanti del pensiero del nostro autore: il rigetto totale di idee, sentimenti e ideali collettivi come cause dei fatti sociali. In effetti, critica dell'uso causale dei fattori psicologici e « scoperta » dell' attività come unità esclusiva di analisi, sono aspetti inscindibili nello sviluppo del pensiero di Bentley. Vediamo perché.
Nella sua battaglia per una nuova scienza, Bentley si ribellava essen-zialmente contro due tendenze, da lui denominate « formalismo » e « me-tafisica ». Erano queste le tendenze che facevano della scienza politica del suo tempo « una scienza politica morta » (162). Per formalismo, egli intendeva « lo studio formale delle caratteristiche più esteriori delle isti-tuzioni di governo » (ibidem), spesso delle loro sole caratteristiche giu-ridiche. Metafisico era per Bentley l'atteggiamento di quegli studiosi che imputavano a fattori psicologici la causa dei fatti sociali. Mentre il for-malismo impediva una descrizione realistica della vita sociale in tutta la sua complessità, le interpretazioni psicologiche si basavano su una teoria errata della causazione, teoria che Bentley critica dettagliatamente nella prima parte di The Process of Government.
La critica si appunta contro l'opera di un certo numero di autori influenti (Small, Spencer, Von Jhering, Morgan, Dicey) che hanno questo in comune: di trattare i sentimenti (simpatia, ecc.), facoltà intellettuali (intelligenza, ecc.) o ideali collettivi (libertà, giustizia, ecc.) come cose concrete che « causano » gli eventi sociali. La critica comune mossa da Bentley a questi autori era di spiegare la realtà sociale mediante cause inferite dagli effetti, con operazione perfettamente tautologica. Un esem-pio chiarirà l'argomentazione di Bentley.
Albert Dicey, nelle sue famose Lectures (1905) sul rapporto fra opi-nione pubblica e legislazione nell'Inghilterra dell'Ottocento, aveva
soste-nuto la tesi secondo la quale i mutamenti nella legislazione potevano essere ricondotti a mutamenti nell'opinione pubblica. Si potevano cioè identificare tipi di legislazione e correnti d'opinione causalmente correlati, come indica il seguente specchietto:
Teoria della legislazione di Dicey
Periodi
Tipi di Periodi
Opinione pubblica (causa) Legislazione (effetto) 1800-1830
1825-1870 1865-1900
Conservatismo (Old Toryism)
Individualismo utilitaristico (Benthamism) Collettivismo Conservatrice Individualistica Collettivistica Bentley considerava questa spiegazione fittizia, perché nello schema di Dicey causa e effetto non sono fattori indipendenti l'uno dall'altro. Specialmente per il terzo periodo, Dicey poteva « provare l'esistenza d'idee collettivistiche... solo dimostrando il carattere socialista... di certi atti parlamentari » (BENTLEY, 143), ossia in modo circolare. Come nel caso di tutti gli altri autori criticati, Dicey inferiva cioè la causa dall'ef-fetto e non era pertanto in grado di spiegare alcunché.
Dalla critica di queste teorie della causazione si potevano trarre due tipi di conclusioni, una moderata e una radicale. Si poteva da un lato concludere che: a) le teorie psicologiche della causazione sono inadeguate,
senza per questo eliminare i concetti di « individuo » e di « causa »:
ovvero b) si poteva giungere alla conclusione che non solo le idee e gli interessi dell'individuo non spiegano alcunché, ma che l'individuo stesso
è un ostacolo all'analisi-, che non solo l'interpretazione psicologica è ina-deguata, ma la stessa spiegazione causale va respinta e sostituita con una descrizione esaustiva dei fatti.
È questa seconda interpretazione « radicale », che elimina al
con-tempo l'individuo come oggetto d'analisi e la nozione di causa, che
Bentley fa propria. Per Bentley il problema non stava tanto nell'uso di idee e sentimenti come cause, quanto nell'uso dell'individuo come con-creto attore sociale. Ciò emerge chiaramente dalla critica di von Jhering, l'autore che Bentley più stimava (con Dicey) fra quelli esaminati nella prima parte di The Process. Il problema di von Jhering e di altri autori ivi criticati (Small, Spencer), era di mantenere la distinzione
individuo-società e di « usare continuamente l'individuo nelle proprie interpreta-zioni sociali » (60).
Poco prima (p. 56), Bentley aveva scritto che « per liberarci dagli abusi della teoria dei " sentimenti ", dobbiamo muovere verso l'azione in termini puramente positivi [stici]. L'interpretazione scientificamente valida ignorerà questi sentimenti... non vedrà nulla di concretamente psi-chico che sia indipendente dalla società e che... la domini. Apprenderà i fatti sociali positivisticamente, nel senso comtiano del termine, unica-mente per quello che sono... ».
Le idee sono « forme di azione sociale » (50), che non esistono nel-l'individuo come qualcosa di distinto dall'azione. Non solo, ma per Bent-ley, — e questo è un punto cruciale — non esistono neanche interessi preesistenti all'attività. Il solo fatto che ci è dato costatare è un insieme di azioni-con-scopo, con il termine « scopo concepito strettamente come processo », non come impulso che determina l'azione (63). L'individuo stesso, una volta privato dei fattori — sentimenti, interessi e ideali — che lo costituiscono come soggetto autonomo, cessa di essere analiticamente significativo: « l'individuo... come locus di sentimenti e idee individua-lizzate, — scrive Bentley (170) — è esso stesso un'idea sociale altamente astratta e, nel modo in cui è stata usata, un'idea fittizia » \
Così come l'individuo si dissolve in attività, è attività indistinta dal processo, così viene meno l'altro polo della polarità: uomo-ambiente. « È stato da lungo tempo... accertato — scrive Bentley (ibidem) — che non vi è mondo esterno eccetto che nella mente... [Noi] stessi... siamo una parte funzionante di quello stesso mondo ». È da notare al riguardo che la negazione della dicotomia: uomo-ambiente, fa parte di una più gene-rale critica di qualsiasi forma di dualismo (mente-materia, conscio-in-conscio, uomo-società), che è uno degli aspetti fondamentali dell'episte-mologia di Bentley (vedi oltre, parte IV).
Riassumendo. Bentley è partito dalla giusta proposizione che « il cer-vello non causa nulla » per giungere alla conclusione radicale che nega la stessa personalità dell'individuo, l'esistenza d'interessi distinti, l'esi-stenza di un ambiente con il quale l'individuo interagisce. Tutto è ridotto
a attività: « Se diciamo attività, abbiamo detto tutto » (217). L'indi-1. Ne deriva che l'attività dell'individuo è determinata da un gioco di pres-sioni, non da un calcolo razionale (v. anche citazione a p. 75 di questo saggio). Per una critica della sottovalutazione dell'elemento della razionalità nel pensiero plura-lista, v . LINDBLOM, 1 9 6 5 , p a r t i c o l a r m e n t e p p . 1 2 - 1 6 .
viduo come essere volitivo, viene semplicemente estromesso dall'analisi2. Quanto al concetto di causa, Bentley sostituì alla spiegazione causale quella funzionale. Non bisognava cioè chiedere: « perché una società ha istituito e osserva certe leggi », come faceva von Jhering, ma: « come funziona una massa di uomini legalmente organizzati in un certo modo, come si condizionano a vicenda ». « Come » e non « perché » era per Bentley la sola domanda scientificamente legittima (90).
Ora chiediamoci: insieme alle così dette « teorie psicologiche » della causalità, era necessario buttar via lo stesso concetto di causa? A me sembra che Bentley non doveva necessariamente giungere a questa con-clusione, che egli poteva sottoscrivere a un tipo di spiegazione alterna-tiva a quella spiegazione psicologica che egli giustamente respingeva. Ciò risulta chiaramente se riflettiamo sulla logica della spiegazione storica e sociologica.
Secondo Gardiner (1961), per spiegare l'azione degli uomini, lo sto-rico usualmente procede in due modi: 1) fa riferimento a leggi empiriche generali sul tipo di risposta che ci si attende in specifici tipi di circostanze (spiegazione in termini di cause e effetti); ovvero 2) ricostruisce ciò che Popper chiama la « logica della situazione », il comportamento che sa-rebbe ragionevole seguire in specifiche circostanze e con specifici obiettivi in vista. Il primo orientamento implica che il comportamento del singolo sia socialmente determinato da strutture — classi, istituzioni, ecc. — che hanno un proprio status ontologico (« organicismo sociologico »). Ne è un esempio la sequenza causale di Marx: rapporti di produzione —> struttura di classe —> coscienza di classe. La seconda scuola di
pen-2. Era precisamente questa caratteristica dell'approccio bentleyano (estromis-sione dell'individuo dall'analisi) che von Wiese criticava con forza (v. sopra, p. 52). Commentando le tesi contenute in Relativity in Man and Society, opera che Bentley considerava la controparte epistemologica di The Process of Government, von Wiese e Becker (1932, 103) scrivevano: « Nonostante molto terreno in comune [con Bentley, in ispecie teoria della multicausalità]... è impossibile accedere incondizio-natamente al principio bentleyano di una completa relatività sociale. La ragione sta nella concezione dell'individuo che è alla base del presente sistema [di Wiese-Becker], Pur riconoscendo tutta la relatività manifestata nelle diverse forme che [l'individuo] assume, consideriamo l'individuo come il punto... focale di ogni vera scienza del comportamento interpersonale » (corsivo nell'originale).
L'approccio di Bentley, concludevano von Wiese e Becker, permette di evitare giudizi affrettati e l'errore che consiste nel ragionare in termini di singoli fattori causali; ma al contempo mette capo a una mera descrizione indifferenziata dei fatti, non a quella conoscenza sistematica e cumulativa che è prerogativa della scienza [ibidem, 103-104).
Per analoghi rilievi critici basati sulla tesi che descrizione e spiegazione sono procedure qualitativamente distinte, si veda l'articolo di Theodore Abel (1930, particol. 751-752).
siero afferma che sono gli individui gli attori fondamentali, che non esi-stono leggi sociologiche, e che la spiegazione deve sempre essere in ter-mini di disposizioni psicologiche individuali ( G E L L N E R , in GARDINER,
1959).
Bentley avrebbe potuto respingere l'« individualismo metodologico » di questa seconda scuola e accedere alla spiegazione sociologica della prima. Così, dire che la « macchina politica » non può essere spiegata in termini di « nequizia » del boss (11), non equivale a dire che non vi sia spiegazione possibile. Bentley poteva interrogarsi sulle condizioni sociali che rendono probabile il sorgere del sistema della macchina e dei com-portamenti ad esso connessi. Bentley ha invece optato, in questo come in tutti gli altri casi, per una terza via: la « spiegazione funzionale ».
In tale tipo di spiegazione, l'individuo diventa « parte funzionante » del processo. Alla domanda: chi determina che cosa, si sostituisce la ricerca della posizione che ciascun elemento occupa nel processo. A
priori non è possibile imputare un interesse a un attore (individuo, im-prese, ecc.). Un'attività può essere descritta solo in termini di tutte le altre attività facenti parte del sistema, che è per definizione un sistema di interdipendenze. È solo una indagine esaustiva di queste interdipen-denze, anche le più indirette, che può rivelare il significato di un'attività nel complesso delle attività. In breve, non vi è più spiegazione possibile, ma solo descrizione esaustiva e coerente dell'intera attività sociale (v. oltre cit. riportata a p. 64).
Va fatta al riguardo un'ultima osservazione. Distinta tanto dall'« or-ganicismo sociologico » quanto dall'« individualismo metodologico », la posizione di Bentley è, nonostante le apparenze, assai più vicina alla seconda scuola che alla prima. In effetti Bentley, e i comportamentisti in genere, condividono di questa scuola una preoccupazione fondamen-tale: quella di non reificare (trattare come enti concreti) entità collettive come i gruppi, le classi e le istituzioni. La definizione di gruppo come « massa di attività » (v. oltre) e di istituzioni come « processo di atti-vità », risponde esplicitamente a questa preoccupazione. Marx aveva reificato le classi, ipostatizzando uno fra i tanti possibili conflitti. Era ferma intenzione di Bentley non ripetere l'errore. In Relativity in Man
and Society egli abbandonerà lo stesso termine gruppo, ritenuto troppo concreto, preferendo ad esso una denominazione astrattissima e intradu-cibile: cross-sectional activity (BENTLEY, 1926, cap. 14).
Questa convergenza fra Bentley e la scuola dell'« individualismo me-todologico », convergenza che i comportamentisti successivi hanno accen-tuato, aiuta a spiegare perché la riduzione dell'individuo e delle istitu-zioni a attività, ha avuto conseguenze diverse nei due casi, è stata cioè
più pregiudizievole all'analisi delle istituzioni che dell'individuo. Dopo tutto l'attività, per quanto analiticamente separata dal soggetto agente, inerisce empiricamente all'individuo, la cui attività è diventata il centro effettivo delle ricerche dei comportamentisti. Ma per le istituzioni non vi è stato alcun correttivo, perché le istituzioni non possono essere
ri-dotte, ancor meno degli individui, a meri processi di attività. Un semplice esempio chiarirà questo punto.
L'esempio è tratto da Mandelbaum (in G A R D I N E R, 1959). Si sup-ponga che un individuo ritiri denaro da una banca su presentazione di un assegno, e che tale atto debba essere spiegato a un altro individuo che vive in un sistema pre-mercantile. Per rendere le azioni del correntista e dell'impiegato intelligibili, devo spiegare cos'è e come funziona un si-stema bancario. Un sisi-stema bancario è un insieme cristallizzato di posi-zioni di status e di ruolo, che determinano, nella fattispecie, i comporta-menti che voglio spiegare. A sua volta il sistema bancario, al pari di ogni istituzione, è comprensibile solo nel quadro dell'organizzazione gene-rale della società (sistema economico, sistema legale, ideologia, ecc.). Per-tanto: un'istituzione è un insieme di statu e ruoli che riflettono assetti strutturali più generali; non può essere ridotta alle attività di attori di cui determina il comportamento senza esssere da essi determinata.
Il concetto di attività come materiale grezzo della scienza politica ha, per concludere, due conseguenze fondamentali: spersonalizza l'uomo come unità di analisi e destruttura le istituzioni. L'uomo è un insieme di atti-vità e le istituzioni forme durature di attiatti-vità. Né all'uno né alle altre è possibile imputare alcun interesse. Non rimane che il processo: « la sola realtà e la sola verità », scrive Bentley concludendo la prima parte di The
Process of Government, devono essere cercate nel « corretto funziona-mento dei... fatti », analizzati nel sistema di attività a cui appartengo-no (172). Di tale processo, il gruppo è la forma tipica di attività.
b) Gruppo.
Il gruppo in prospettiva storica.
Il concetto di gruppo appare nella sociologia statunitense alla fine dell'800, per divenirne presto un concetto cardine (BODENHAFER, 1920-1921). In scienza politica, il concetto entra nella disciplina attraverso l'opera di Bentley [1908], che era stato a sua volta profondamente in-fluenzato da teorici di lingua tedesca (Gumplowicz, Simmel, Ratzenhofer)
( B E N T L E Y , [ 1 9 0 8 ] , cap. 2 2 ; 1 9 2 6 , cap. 2 0 )3. In entrambe le discipline, questa nuova « coscienza del gruppo » (Bodenhafer) rifletteva fondamen-tali trasformazioni economiche e sociali. Grosso modo: il passaggio da un'economia concorrenziale ad un regime dominato da grandi oligopoli. In politica, il gruppo si manifesta tipicamente attraverso la associa-zione volontaria, di cui il partito politico è l'esempio più importante. All'individuo, unità fondamentale del liberalismo ottocentesco, suben-trano grandi strutture che organizzano le masse in possenti partiti. Come dal mercato concorrenziale si passa a quello oligopolistico, così alla
opi-nione pubblica subentra la società di massa. L'autonomia di pensiero e di azione propria degli individui che costituivano l'opinione pubblica nel-l'accezione ottocentesco-liberale del termine, viene meno sotto l'influenza di potenti organizzazioni che hanno i mezzi — economici, politici, cultu-rali {mass media) — per dominare la società ( M I L L S , 1 9 5 9 , cap. 1 3 ) .
L'unico modo per operare efficacemente in queste nuove condizioni, è di opporre organizzazione a organizzazione, gruppo a gruppo. Di qui l'accento posto dai pluralisti sull'associazionismo volontario. La politica moderna è politica di gruppi — associazioni padronali, sindacati, gruppi professionali, etnici, ecc. — che cercano d'influire sul corso politico della società in modo organizzato. Lo studio di tali gruppi esauriva per Bentley l'oggetto delle scienze sociali: « Il grande compito nello studio di qual-siasi forma di vita sociale — egli scrive ( 2 0 8 - 9 ) — è l'analisi di questi gruppi... Quando i gruppi sono adeguatamente descritti, tutto è stato detto. Quando dico tutto, intendo dire tutto. La completa descrizione sarà la completa scienza, nello studio dei fenomeni sociali come in qual-siasi altro campo. Non vi sarà più posto per " cause " animistiche né in un campo né nell'altro ».
Gruppo e problema delle fazioni.
La politica dei gruppi solleva un problema analitico importante, noto nella storia del pensiero politico come problema delle fazioni. Per fa-zioni s'intendono gruppi stabilmente organizzati sulla base delle caratte-ristiche peculiari dei loro membri — religione, etnia, ideologia poli-tica, ecc. Questa loro natura particolaristica (nel senso di Parsons), spiega la grande coesione delle fazioni e la loro tendenza a reprimere chi non condivide i loro valori. Pertanto le fazioni intensificano i conflitti
sociali. Come risolvere tali conflitti è stata una delle preoccupazioni cen-3. L'influenza di Simmel emerge chiaramente alla lettura della teoria simme-liana del conflitto e del gruppo (SIMMEL, 1955).
trali dei teorici della politica, almeno da Locke in poi: La lettera sulla
tolleranza e la teoria del governo di Locke, il ruolo del « legislatore » in Rousseau, il principio di utilità di Bentham, sono altrettanti esempi di proposte di soluzione del problema delle fazioni.
Il principio di utilità, che Bentham contrapponeva al principio del favore (ossia all'arbitrio), è il perno della soluzione liberale-classica al problema del conflitto. Vi era cioè un principio teorico che permetteva di risolvere in modo razionale, e non più arbitrariamente, i casi di con-flitto, massimizzando il benessere collettivo. Presupposto per la sua ap-plicabilità, era l'esistenza d'individui autonomi e razionali. In politica, come in economia, la razionalità del modello liberale riposava sull'assunto della concorrenza atomistica, della concorrenza fra unità piccole, singo-larmente ininfluenti e autonome.
È l'esistenza di questo mondo omogeneo di piccoli produttori legati dal mercato, che lo sviluppo del capitalismo monopolistico ha posto in crisi. Marx aveva già dimostrato che la società capitalista era tutt'altro che omogenea nella sua composizione di classe. I presupposti strutturali di un'economia di mercato sono in effetti tali da introdurre nella società una fondamentale spaccatura fra produttori e possessori dei mezzi di pro-duzione. Riemergeva così il problema di quelle fratture durevoli nella società che Locke aveva cercato di superare con la teoria della tolleranza e Bentham con il principio di utilità.
Il problema che si presentava a Bentley all'inizio del '900 era quindi: