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BENTLEY E LA SCIENZA POLITICA COMPORTAMENTISTA Dell'analisi del processo, Bentley (1870-1957) è stato uno dei primi

Bentley e la scienza politica comportamentista

II. BENTLEY E LA SCIENZA POLITICA COMPORTAMENTISTA Dell'analisi del processo, Bentley (1870-1957) è stato uno dei primi

e più completi formulatori. È a questo titolo, e non riduttivamente come fondatore dell'approccio del gruppo, che egli occupa un posto centrale nella nuova scienza politica. Si tratta peraltro di una centralità che va ricostruita ex post facto, tenendo conto di sviluppi intellettuali che Bentley aveva anticipato, ma sui quali egli ha avuto una influenza solo indiretta.

La fortuna di Bentley politologo è in effetti assai recente. Risale agli anni intorno al 1950, quando The Process of Government fu risco-perto dopo un oblio di oltre quarant'anni da due influenti politologi: Bertram Gross e David Truman ( G R O S S , 1 9 5 0 ; T R U M A N , 1 9 5 1 ) . Prima di tale data, il nome di Bentley scienziato sociale (distinto da Bentley filosofo) era ignorato dai più e conosciuto solo da una ristretta cerchia di studiosi. Bentley era stato, certo, all'origine dei primi studi sui gruppi di pressione ( O D E G A R D , 1 9 2 8 ) , ed aveva influenzato la così detta scuola del «realismo giuridico» attraverso l'opera di Karl Llewellyn ( 1 9 3 4 ) .

Si sa, inoltre, che The Process of Government fu assai apprezzato da emi-nenti studiosi come Charles A . Beard e Morris R. Cohen (RATNER, in

B E N T L E Y - D E W E Y , 1 9 6 4 ) . Ma per il resto, Bentley rimase pressoché sco-nosciuto sino alla seconda guerra mondiale 1.

1. Questo giudizio sulla fortuna (o sfortuna) di Bentley, corrente fra gli stu-diosi del nostro autore, è sostanzialmente esatto, ma va qualificato. In generale, i sociologi (e a una certa distanza, gli psicologi) sono stati più sensibili dei politologi alla novità del pensiero di Bentley. Il che non stupisce, dato il fondamento essenzial-mente sociologico della prospettiva del processo.

Fra il 1920 e il 1940 due influenti sociologi, uno americano e uno tedesco, hanno discusso i lavori di Bentley: Harry Elmer Barnes e Leopold von Wiese. Barnes, in un importante articolo apparso nel 1921 sull'« American Politicai Science Review » (« Alcuni contributi della sociologia alla moderna teoria politica »), salu-tava The Process of Government come l'opera « ritenuta da molti... critici il più importante contributo americano alla teoria politica » (BARNES, 1921, 494, nota 18). Più oltre nello stesso scritto, dopo aver ricordato i principali teorici dell'analisi del processo (Gumplowicz, Ratzenhofer, Loria, Small), Barnes aggiungeva (p. 512) che « l'esposizione più completa e comprensiva di questo contributo cardine della socio-logia alla politica [analisi del processo] si trova nel trattato di A. F. Bentley,

The Process of Government ». (L'articolo di Barnes è riprodotto, con lievi

modi-fiche, in MERRIAM-BARNES, 1924, cap. 9). Un analogo giudizio su Bentley si riscontra nelle opere successive di Barnes (1946, 55, 63).

Von Wiese e Howard Becker (1932, 101-104) si sono occupati di Bentley com-mentando Relativity in Man and Society, seconda opera importante, in ordine di

Le ragioni di questo prolungato eclisse attengono da un lato ad alcuni aspetti della biografia di Bentley, e dall'altro alla natura della sua opera. (Per dettagli sulla biografia, v. introduzione di Ratner in B E N T L E Y ,

1954). Bentley visse per tutta la vita al di fuori del mondo accademico ufficiale. Ad eccezione di un breve periodo (1895-96) trascorso all'Uni-versità di Chicago come docente di sociologia, egli non ebbe mai inca-richi d'insegnamento 2. Lasciata l'Università, Bentley si dedicò prevalen-temente al giornalismo, sempre a Chicago (1896-1910), per poi ritirarsi a Paoli, nell'Indiana, dove visse appartato per il resto dei suoi giorni (1910-1957). Mancò quindi a Bentley il pulpito e il pubblico per co-struirsi un'influente posizione nel mondo accademico.

L'apparente eterogeneità della sua opera non facilitò il compito. Grosso modo le opere di Bentley si possono suddividere in due grandi gruppi: opere di scienze sociali (1893, 1895, [1908], 1926), di cui la più importante è The Process of Government [1908]; opere di filosofia della scienza (1935, 1954), culminate nella pubblicazione di Knowing

and the Known, raccolta di saggi scritti in collaborazione con John Dewey

( B E N T L E Y - D E W E Y, 1949). Un posto a parte occupa l'opera postuma tempo (1926), del nostro autore. Nonostante notevoli affinità fra l'approccio del processo e la concezione della sociologia di von Wiese, il giudizio che questi dava di Bentley è critico, von Wiese obiettando alla scomparsa dall'analisi bentleyana dell'individuo come unità di indagine. Ritornerò su questa critica dopo aver trattato del concetto di attività in Bentley. In ogni caso, il giudizio di von Wiese e impor-tante, se è vero, come ha rilevato Paul F. Kress (1970, 115), che e ad esso che si deve in gran parte ascrivere « il rifiuto della sociologia americana di accettare piena-mente la scienza di Bentley ». ^ ,

L'interesse dei politologi per l'opera del nostro autore e stato incontestabil-mente più limitato. Non si trova, ad esempio, alcuna menzione di tale opera nelle molteplici e autorevoli rassegne del pensiero politico americano fatte da Merriam fra il 1920 e il 1925 (MERRIAM, 1920; [1925]). Nell'intera Enciclopedia delle Scienze Sociali (1934) vi è un solo riferimento a Bentley, sotto la voce « Pressioni sociali » (curata da R. M. Maclver; MACIVER, 1934), ed è un riferimento assai critico (vedi oltre) L'unica opera menzionata da Maclver è The Process of Government, e il solo aspetto dell'analisi bentleyana preso in considerazione è l'approccio dei gruppi di pressione. Del tutto ignorato è il contributo epistemologico di Bentley.

Vorrei notare, infine, che un certo numero di psicologi si è avvicinato alio stu-dio della società in termini che ricordano non poco l ' a n a l i s i dinamica di Bentley, come attesta la rassegna degli approcci psicologici alla politica fatta da L. E. Urehlke nel volume MERRIAM-BARNES (1924, cap. 10), e un erudito e ingegnoso articolo apparso sull'« American Politicai Science Review » del maggio 1923 dal titolo: « Scienza politica come psicologia » (KALLEN, 1923).

2 Nel 1941-42 il dipartimento di filosofia della Columbia University, presu-mibilmente grazie ai buoni uffici di John Dewey, invitò Bentley in qualità di Visitine. Professor. Bentley diresse un seminario di linguistica insieme ad altri tre studiosi, fra i quali Ernest Nagel (TAYLOR, 1968). È questo l'altro contatto ufficiale che Bentley ebbe con il mondo accademico.

Makers, Users, and Masters (1969), che è un attacco vigoroso contro il potere dei monopoli, nella migliore tradizione del « progressismo » americano.

Come indica la cronologia delle sue opere, a partire dalla fine degli anni venti, prevalsero in Bentley interessi sempre più filosofici, il che contribuì non poco ad estraniarlo dal mondo dei politologi. In due modi. Da un lato The Process of Government era un'opera per il suo tempo pionieristica e provocatoria. Bentley vi delineava un approccio allo studio della politica (approccio dei gruppi di pressione) che, nel sottolineare la preminenza degli « interessi speciali » organizzati, evocava lo spettro delle fazioni e dei loro abusi. Per trovare credito scientifico e un pubblico, The

Process avrebbe richiesto un'opera di chiarificazione che Bentley non ebbe occasione, e sempre meno interesse, di compiere.

D'altro canto, le opere filosofiche sembravano rispondere a preoccu-pazioni del tutto diverse da quelle che avevano motivato Bentley poli-tologo. Sembrava cioè che Bentley avesse abbandonato la disciplina per interessi più speculativi. Era questa un'interpretazione errata, come dirò, ma comprensibile. Nel respingere questa interpretazione negli anni della sua riscoperta come politologo, Bentley confermava implicitamente la barriera che si era venuta a creare fra lui e la « professione »: « Una delle domande che mi sono state più frequentemente rivolte — dichiarò Bent-ley nel 1953 alla riunione dell'Associazione americana di scienza poli-tica — è perché dopo un inizio piuttosto promettente nel campo degli studi politici [The Process of Government], non ho proseguito tali studi. La mia risposta è sempre stata che li ho proseguiti, che non vedo alcuna discontinuità fra le mie prime ricerche e quelle successive » ( B E N T L E Y i n T A Y L O R , 1 9 5 7 , 2 1 0 ) .

Il che è obiettivamente vero. C'è in effetti un filo che lega tutte le opere di Bentley e questo filo è la ricerca di un linguaggio tecnico per le scienze sociali; un linguaggio specificamente sociologico, così come le altre scienze avevano sviluppato linguaggi tecnicamente adeguati alla na-tura dei fenomeni investigati. La ricerca di tale linguaggio, e di una « con-cettualizzazione » del reale che lo rendesse possibile, è stata la preoccu-pazione assorbente della vita di Bentley. La si ritrova nella sua tesi di dottorato discussa alla Johns Hopkins nel 1895, che porta come titolo: « Le unità di analisi nelle scienze sociali » ( B E N T L E Y, 1895). La si ritrova in tutte le opere successive, anche in quelle politologiche, come vedremo. La si ritrova infine nell'ultima e più nota opera filosofica di Bentley (scritta insieme a Dewey) Knowing and the Known, nella quale l'epistemologia di Bentley si fissa nel così detto «approccio transazionale » allo studio dei fatti sociali (v. la parte IV di questo saggio).

Per Bentley, il problema del linguaggio era il problema della socio-logia. Occorreva abbandonare il linguagggio di senso comune che la so-ciologia aveva fatto proprio. Occorreva ricostruire la conoscenza socio-logica al fine di apprendere il reale in modo coerente, esaustivo e unitario, cessando di sommare cose eterogenee come « uomini », « sentimenti », « gruppi » e « istituzioni ». Nell'aspetto sociale della realtà empirica, egli scrisse, la sociologia doveva « trovare non un nuovo tipo di cosa, ma la chiave alla unificazione e all'analisi del processo in un materiale unifi-cato » (BENTLEY, 1954, 27). Era questa riduzione del materiale socio-logico a una forma che permetteva coerenza di osservazione, che rende-va per Bentley significatirende-va l'opera di studiosi come Simmel, Durkheim, Ratzenhofer, e che faceva di essi i « tre grandi nomi della sociologia moderna » (BENTLEY, 1926, 157).

Per poter apprendere la società in modo coerente e unitario occor-reva studiarla con un nuovo linguaggio specificamente sociologico, libe-rando la scienza dalle entità concrete che ingombrano il linguaggio ordi-nario (uomo, classe sociale, nazione, ecc.). Occorreva dissezionare l'uomo

nelle sue azioni e fare delle azioni l'oggetto esclusivo di studio. « Le azioni non sono " epifenomeni " degli uomini-cose..., ma sono il fatto vi-vente » (BENTLEY, 1 9 5 4 , 9 ) . Considerato l'uomo come organo, bisognava studiare le funzioni dell'organo. Era la « funzione vivente » che costi-tuiva il fatto osservabile e reale della scienza. « Non si tratta di [studiare 1'] influenza di qualcosa di " sociale " su qualcosa di " individuale ". Si tratta solamente e ovunque di processo unitario; di una sola stoffa » di cui sono fatti tutti i fenomeni e gli attori sociali, al di là dei loro aspetti specifici e transeunti (ibidem).

La ricerca di un linguaggio coerente e unitario portò Bentley alla ricerca di ogni forma di continuità, al di là delle « apparenti » contrad-dizioni della vita reale. E per poter percepire tali continuità, bisognava

misurare i fatti sociali: « Se considerassimo due nazioni, con interessi commerciali rivali, come unità discrete — scrive Bentley in un saggio del 1931 intitolato Sociologia e matematica — , [non terremmo conto delle] continuità sottostanti rappresentate... dall'organizzazione umana, sociale e industriale dell'èra presente. La nostra più grande esigenza in qualunque tipo di investigazione sociologica è di misurare, di pesare i bisogni, i poteri, le capacità, gli interessi e gli scopi, siano essi [bisogni, poteri, ecc.] in conflitto o in armonia gli uni con gli altri; in questa co-mune forma sociale e spaziale avremo finalmente la possibilità di effet-tuare stime comparate, in un modo che potrà in seguito consentire di con-trollare e verificare » tali stime ( B E N T L E Y , 1954, 80).

Con questo vero e proprio compendio del « credo » comportamentista (misurazione e verificabilità empirica delle teorie), lasciamo temporanea-mente Bentley filosofo e ritorniamo a Bentley politologo. Si potrebbe pen-sare che queste preoccupazioni epistemologiche fossero assenti nelle opere politiche del nostro autore. The Process of Government è in effetti noto soprattutto per l'approccio che vi è delineato: l'approccio del gruppo. Nell'interpretazione corrente, Bentley è il « teorico » del gruppo, non l'autore che ha posto le basi di un tipo di analisi (analisi del processo) di cui l'approccio del gruppo è un'applicazione specifica. Un richiamo alla struttura di The Process of Government servirà a sottolineare l'uni-lateralità di questa interpretazione, che è parziale con riferimento a The

Process, e del tutto fuorviarne avuto riguardo al complesso dell'opera di Bentley (vedi sopra e parte IV).

The Process è diviso in due parti ed è in effetti due cose, connesse ma distinte. È una critica della nozione di causalità e dell'uso fattone nelle scienze sociali (parte prima). Vi si espone, in secondo luogo, un

approccio analitico: l'approccio dei gruppi di pressione (parte seconda). Ciò che accomuna le due parti è il concetto di attività come denomina-tore comune dei fatti sociali. La critica alle teorie della causalità — più esattamente: all'uso causale di sentimenti, idee e ideali collettivi — serve a Bentley per liberare il campo dall'entità più concreta di tutte, la più tetragona a una decomposizione in unità di attività: l'uomo.

Senza anticipare quanto dirò analizzando in dettaglio il pensiero di Bentley, mi preme notare che questo linguaggio basato sull'attività è il presupposto epistemologico dell'approccio del gruppo. Il gruppo di Bent-ley, come vedremo, non è un'entità concreta fatta di uomini, ma è atti-vità. Esso opera all'interno di un sistema che è processo di attiatti-vità. Senza la preventiva eliminazione di qualsiasi unità concreta e discreta irridu-cibile a attività, le nozioni di gruppo e processo sarebbero inconcepibili. La critica del concetto di causa contenuta nella prima parte di The Process (che è in effetti critica dell'individuo come unità di analisi), serve a

omo-geneizzare il campo di osservazione. Al posto di soggetti concreti dotati di sentimenti e interessi specifici (le discontinuità della vecchia socio-logia), tutto doveva essere ridotto a attività e a valori validi per l'intera società. È la conclusione a cui Bentley giunge al termine della prima parte di The Process (172): «Anziché valori considerati da punti di vista molto limitati [sentimenti individuali e ideali di gruppi ristretti]...

dob-biamo cercare valori e significati che funzionino coerentemente per l'in-tera società, così da... apprendere [la società]... nei suoi effetti di massa », in modo più corrispondente alla realtà (corsivo mio). È questo il

pre-supposto dell'analisi del processo governativo, come pure di quel parti-colare approccio che s'impernia sul concetto di gruppo.

L'analisi del pensiero di Bentley che segue, è basata essenzialmente su The Process of Government. The Process ha una linea di prefazione che dice: « Questo libro è un tentativo di elaborare uno strumento d'ana-lisi ». La tesi che sostengo è che tale strumento è l'idea di processo, non il concetto di gruppo. Per dirla con Norman Jacobson: lo strumento che Bentley ha elaborato è l'analisi del processo; gli esempi che lo illustrano sono tratti dall'attività di gruppo (JACOBSON, 1 9 6 4 ) .