Vi incarichiamo di raccogliere tutto il materiale possibile sopra lo sciopero fascista di Brescia... La questione è del massimo interesse anche dal punto di vista internazionale. Sono però necessari, per caratterizzare esattamente quale è stato il contegno e quale lo scopo dei fascisti, alcuni dati che a noi mancano... In particolare: ... quale è stato l'inizio del mo-vimento come forma e come sostanza. Quale massa ha partecipato allo sciopero fascista nelle sue diverse fasi. A Brescia avevamo avuto rela-zione di nostri compagni della federarela-zione che la massa scioperava « per forza », cioè perché era costretta allo sciopero dalla forza dei fascisti e dello Stato. È vero questo o non è vero?...
« Ercoli » 17 marzo 1925 1 Lo sciopero fascista dei metallurgici del marzo 1925 fu un evento decisivo nella trasformazione della natura del conflitto di classe nel pri-mo dopoguerra e nella stabilizzazione delle relazioni sindacali all'interno della struttura dello Stato corporativo 2. Iniziato nel piccolo centro indu-striale di Brescia indipendentemente dalle Corporazioni nazionali, dal Partito o dal governo, lo sciopero in Lombardia, ebbe un'origine locale. L'azione sindacale fu promossa dal leader fascista locale Augusto Turati e solo dieci giorni più tardi, con la sua estensione a Milano, si affermò a livello nazionale. Pur non essendo tipica di alcun'altra regione, la
situa-1. Lettera al Comitato Sindacale Nazionale di Togliatti, Archivio Centrale del-lo Stato, Mostra della Rivoluzione Fascista, Carteggio Serrati, busta 141, cartella 23, foglio 10.
2. A. LYTTELTON, The seizure of power. Fascism in Italy 1919-1929, London, 1973, pp. 315-316; F. CORDOVA, Le origini dei sindacati fascisti, Bari, 1974, pp. 357-402.
zione di Brescia esercitò un influsso considerevole sullo sviluppo — che doveva culminare nel Patto di palazzo Vidoni del 1925 e nella Legge sindacale del 1926 — dell'organizzazione sindacale fascista. La presente ricerca è un tentativo di esaminare le circostanze locali nelle quali l'agi-tazione sindacale fascista trovò la propria origine e il proprio alimento.
La prima guerra mondiale e la successiva mobilitazione industriale 1 furono determinanti per la trasformazione della piccola e media industria bresciana. Su quaranta aziende metallurgiche e meccaniche (attive nella provincia nel 1910) soltanto cinque fabbriche occupavano più di cento lavoratori4. Il numero dei lavoratori occupati nell'industria pesante salì da 8.059 durante il primo semestre del 1915 a 20.534 nella seconda me-tà del 1916 5. La mobilitazione industriale da un lato esigeva la riorga-nizzazione della classe operaia bresciana, la quale vide accrescere le sue dimensioni, mutare la sua composizione e trasformare il proprio rapporto con il processo produttivo; dall'altro, l'economia di guerra alimentava, nella provincia, la crescita incontrollata di nuovi gruppi industriali do-minanti, in grado di far fronte ai bisogni produttivi di una nazione im-preparata alla guerra6. La mobilizzazione bellica rappresentò un mo-mento determinante nella strutturazione delle relazioni industriali, poi mantenute durante la crisi del dopoguerra. La prima parte di questo la-voro descriverà i mutamenti intervenuti nella struttura del conflitto di
3 II Comitato Centrale di Mobilitazione Industriale, istituito con i decreti governativi del 1° luglio, 22 agosto e 26 settembre 1915 servì come organo « con-ciliatore » usato per risolvere vertenze sorte in fabbriche di grado «ausiliario» nell'economia della guerra. Questo grado naturalmente era di gran beneficio al-l'industriale interessato; con un decreto di « ausiliartetà » tutti 1 suoi dipendenti erano soggetti alla giurisdizione militare attuata mediante la presenza di un uffi-ciale militare in officina e mediante la risoluzione di ogni vertenza da un Comitato di Mobilitazione Industriale Regionale. Tale comitato originariamente era costituito da un ufficiale militare che occupava il posto di presidente, due rappresentanti dei datori di lavoro, due rappresentanti dei lavoratori e due esperti « imparziali » in materia economica. Nel 1917 i comitati furono ingranditi fino ad includere un presidente e da due a cinque rappresentanti di ciascuna parte. Vedi: M. CLARK, The failure of revolution in Italy, 1919-1920, Reading, 1 9 7 3 ; L . EINAUDI, La con-dotta economica e gli effetti sociali della guerra italiana, Bari-New Haven, 1933,
P P 94. ^CAMERA DI COMMERCIO E INDUSTRIA DI BRESCIA, Statistica industriale al
30 giugno 1910: Industrie mineralurgiche, metallurgiche e meccaniche, Brescia, 1910, pp. 15-22. „ . . „
5 . F. CARLI, Problemi e possibilità del dopo-guerra nella provincia di Brescia. II: Inchiesta sui salari nel 1915 e 1916, Brescia, 1917, pp. 14-15.
6. Vedi: A . CARACCIOLO, La crescita e la trasformazione della grande industria durante la prima guerra mondiale, in: G. FuÀ, Lo sviluppo economico in Italia, voi. I l i , Milano, 1969, pp. 197-233.
classe così come s'era costituita nel periodo bellico; essa è un tentativo di delineare i modi di azione — sia degli operai che degli industriali — così come si cristallizzarono a Brescia durante la mobilitazione industriale e si mantennero poi per tutta la durata del « biennio rosso ».
Alle soglie del conflitto la classe operaia bresciana era disorganizzata e divisa. Le maggiori imprese metallurgiche e meccaniche erano notevol-mente indebolite in seguito alla recessione economica del 1913-1914; nel settembre 1914, la fabbrica di automobili Ziist annunciò il licenziamento di duecento dei suoi trecento operai7, mentre la Società Lombarda Li-gure minacciava di licenziare i suoi settecentonavanta lavoratori \ A Pa-lazzolo sull'Oglio, il centro internazionale per la produzione dei bottoni, tradizionale punto di forza dell'industria leggera locale, infieriva una gra-ve disoccupazione dovuta a difficoltà sopravgra-venute nelle esportazioni, difficoltà che causarono il fallimento di tre aziende9. La locale Camera del lavoro, paralizzata dall'inefficienza del consiglio esecutivo (della cor-rente riformista) e dalla vacanza (dal settembre 1913 al settembre 1914) del segretario, si dimostrava incapace di incanalare politicamente lo scon-tento derivante dalla crescente disoccupazione 10. Al locale sindacato me-tallurgico, aderente alla Confederazione Generale del Lavoro, era iscritto solo il 16,196 delle maestranze occupate nell'industria pesante prima della guerra 11. Iniziative efficaci di sciopero — a parte una vertenza aperta dalla FIOM contro gli industriali lombardi nell'aprile 1915 12 — si limitarono ad agitazioni di lavoratrici tessili, organizzate da sindacati cattolici, e di operai metallurgici, socialisti di orientamento, ma organiz-zati sindacalmente in leghe autonome comunali e aziendali13.
Mentre assorbiva interamente la disoccupazione nella provincia e ac-cresceva notevolmente il numero degli iscritti ai sindacati aderenti alla
7. Archivio Centrale dello Stato, Presidenza del Consiglio, Prima Guerra Mon-diale, fase. 17.2, Brescia, sfasc. 1; per una visione della disoccupazione nel Regio Arsenale di Gardone Val Trompia, vedi ibid., sfasc. 4.
8. Ibid., fase. 6; la Società Metallurgica Bresciana (già Tempini) ridusse il suo capitale sociale da L. 5 . 2 0 0 . 0 0 0 a L. 2 . 6 0 0 . 0 0 0 nel 1 9 1 4 . Vedi: CREDITO ITALIANO, Società Italiane per Azioni, Notizie statistiche, Roma, 1928.
9. Archivio Comunale di Palazzolo sull'Oglio, buste 1913-1915, Cat. 11 A. 10. Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell'Interno, Pubblica Sicurezza, Serie G 1, Associazioni 1896-1897 e 1910-1934, busta 8, Brescia, sfasc. Camera del Lavoro.
11. Ihid.
12. « Avanti! », 16 e 20 marzo 1915, 18 aprile 1915.
13. Vedi: A . PEPE, Storia della CGdL dalla guerra di Libia all'intervento 1911-1915, Bari, 1 9 7 1 ; nel 1 9 1 2 la percentuale di scioperanti a Brescia ( 3 3 , 8 % ) era la più bassa di tutta la Lombardia (p. 350).
Confederazione Generale del Lavoro 14, la mobilitazione industriale con-seguiva al contempo il risultato di dividere il movimento socialista dalla sua base sindacale. Il PSI conservò la sua posizione neutrale nei confronti della guerra per tutta la durata del conflitto; la FIOM, invece, incoraggiò apertamente la collaborazione con lo sforzo bellico, partecipando ai co-mitati regionali della mobilitazione industriale. Nella riunione dell'8 ago-sto 1915, la Camera del lavoro di Brescia proclamò formalmente la pro-pria ostilità all'associazione della federazione dei metallurgici con il co-mitato militare di arbitrato di Milano, denunciando la richiesta, avanzata dalla commissione esecutiva, di distribuire « pubblicazioni tranquillanti » nelle fabbriche 15. Il contrasto tra la Camera del lavoro e la locale lega dei metallurgici continuò per tutto il periodo bellico e culminò con le dimissioni di Dante Argentieri, segretario della Camera del lavoro e con la rinuncia del suo successore — Battista Bellometti — ad ogni azione di direzione o di guida politica 16. Naturalmente, le iscrizioni al partito diminuirono col persistere della mobilitazione 17.
La struttura delle organizzazioni tradizionali della classe operaia era inficiata da una distinzione artificiosa: le questioni economiche erano re-legate nella sfera del sindacato, mentre quelle politiche erano rere-legate nella sfera del partito. L'atteggiamento del comando militare era forse più realistico: « È certo che è difficile separare... la questione economica da quella disciplinare perché quasi nella totalità dei casi la questione di-sciplinare è una conseguenza di quella economica » 18. Gli organi disci-plinari dello Stato erano quindi destinati a intervenire nei rapporti tra capitale e lavoro nel corso del periodo più formativo del movimento ope-raio bresciano. In realtà, la « nuova » classe operaia era nata in un si-stema di organizzazione industriale che in linea di principio, negava sia la teoria che la pratica del conflitto di classe: « Strana è poi la posizione di questi rappresentanti operai al Comitato di Mobilitazione, i quali ven-gono negli stabilimenti ad organizzare le masse sollecitando... sempre
14. M . CLARK, o p . cit., p p . 9 - 1 0 ; A . PEPE, o p . cit., p p . 2 9 2 - 3 2 1 .
15. Archivio Centrale dello Stato, Mostra della Rivoluzione Fascista, busta 81, fase. Confederazione Lavoro; Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell'In-terno, Pubblica Sicurezza, serie G 1, Associazioni 1896-1897 e 1910-1934, busta 8, Brescia, sfasc. Camera del Lavoro.
16. Ibid., 4 luglio 1917; 26 luglio 1917.
17. «Almanacco socialista italiano», 1921, pp. 480-481.
18. Archivio Centrale dello Stato, Ministero delle Armi e Munizioni, busta 215, lettera dal Tenente Generale Bellini al Ministero delle Armi e Munizioni, 21 giugno 1917.
nuove domande di miglioramenti e creando uno stato di nervosismo fra le maestranze, dannoso sempre alla disciplina ed alla produzione» 19.
A livello politico, la cooperazione tra lavoro e capitale nell'economia di guerra era ottenuta attraverso l'eliminazione sistematica degli elementi dannosi per gli interessi dell'industria bellica. Quando Edgardo Falcherò, rappresentante della FIOM presso il comitato di arbitrato della Lombar-dia, incominciò a organizzare azioni operaie, gli fu proibito dai carabi-nieri, dietro suggerimento dell'industriale Attilio Franchi, di mettere pie-de in città 20. E avendo Falcherò protestato per le condizioni disciplinari imposte nella fabbrica di Sant'Eustachio, l'ex dipendente della Franchi-Gregorini fu rimosso dal suo incarico presso il comitato regionale e tra-sferito a Roma 21. Il prefetto di Brescia chiarì ottimamente la situazione: « Il Falcherò... viene a seminare il malcontento ed a fomentare i dissidi fra operai e industriali... ha dimostrato... di non possedere quella serietà e quel senso di misura che dovrebbero essere requisiti indispensabili per far parte di un comitato che ha, tra le altre finalità, quella di appianare le divergenze tra capitale e lavoro » 22.
Al controllo della situazione nelle fabbriche si addivenne con la for-mazione di un'élite altamente privilegiata — anche se precaria — di la-voratori specializzati nei maggiori complessi metallurgici della provin-19. Archivio Centrale dello Stato, Ministero delle Armi e Munizioni, busta 171, fase. 43, lettera dal Comando della Divisione Territoriale di Brescia al Coman-do di Milano, 8 marzo 1918.
20. Ibid., Lettera dal Ministero dell'Interno al Ministero delle Armi e Mu-nizioni, 15 aprile 1918.
Attilio Franchi (1886-1935) entrò nel campo metallurgico inizialmente tra-sformando la piccola impresa tessile di suo nonno a Sant'Eustacchio, Brescia, in una modesta fonderia. Nel 1896 Franchi aveva ottenuto il suo primo prestito dalla Banca Commerciale che gli permise di aumentare la fabbricazione dei prodotti meccanici. I margini di profitto della ditta subirono delle dure pressioni in seguito alla crisi economica del 1907 in Italia. I dividendi scesero da nove lire per ogni azione nel 1908 a quattro lire nel 1909. La ripresa fu assai lenta; nel 1913 i divi-dendi avevano raggiunto solo sei lire e mezzo per ogni azione. L'ingresso dell'Italia nella prima guerra mondiale fornì una soluzione immediata ai problemi di Franchi. Con dei prestiti a breve scadenza della Banca Commerciale Franchi potè adeguare la sua produzione per soddisfare le esigenze dell'economia bellica, fabbricando 3.500 quintali di proiettili al giorno. Nel 1917 Franchi si era assicurato il controllo della Metallurgica Bresciana e, con l'aiuto della Banca Commerciale, della fabbrica Man-nesmann a Dalmine. Nel 1918 la ditta Franchi-Griffin si fuse con l'impresa Grego-rini di Lovere (formando la Società Franchi-GregoGrego-rini). Franchi ottenne anche due piccole concessioni idroelettriche sotto il decreto Bonomi. Vedi: R . WEBSTER, L'im-perialismo industriale italiano 1908-1915, Torino, 1974, pp. 249-252.
21. Archivio Centrale dello Stato, Ministero delle Armi e Munizioni, busta 171, lettera da Bacchetti al Ministero delle Armi e Munizioni, 5 maggio 1918.
eia 23. Le maggiori differenze retributive tra manodopera qualificata e non qualificata esistevano nelle fabbriche controllate da Franchi, il più rea-zionario e diffidente degli industriali locali. « Le alte paghe (alcuni capi reparti guadagnano fino a 120 franchi al giorno) fanno sì che la tranquil-lità non è mai stata turbata né lo sarebbe, almeno finché dura questo stato di cose ». Quando la Metallurgica Bresciana (già Tempini) fu rile-vata da Franchi nel 1917, i guadagni delle sue maestranze diminuirono in seguito all'imposizione di sospensioni del lavoro non retribuiti nei settori meno specializzati. Franchi giustificava questi permessi coatti esa-gerando le carenze di energia elettrica. Cionondimeno, si allargò il ven-taglio retributivo 24.
La massa della manodopera non qualificata occupata nell'industria pesante era costituita da donne. La politica protezionistica del governo nei confronti delle aziende metallurgiche limitò considerevolmente, per i vecchi industriali tessili della provincia, le possibilità di assumere forza-lavoro qualificata 25. Si vedevano costretti ad assumere lavoratori della campagna, che non avevano mai visto una fabbrica. Mentre quasi tutte le richieste di esonero dal servizio militare avanzate dall'industria pesante per i suoi dipendenti specializzati erano prontamente accettate, le poche presentate dalle aziende tessili erano spesso respinte. Inoltre, il Comitato regionale per la mobilitazione industriale ratificò il trasferimento della manodopera femminile addestrata dall'industria leggera ai complessi me-tallurgici e meccanici ausiliari, cristallizzando in tal modo, sul mercato del lavoro trasformato dalla guerra, la posizione marginale che caratte-rizzava la manodopera femminile e infantile 26. Tra gli industriali locali, il più attivo nello sfruttamento di questa fonte di manodopera a buon mercato e relativamente spoliticizzata, e nella sapiente utilizzazione del suo alto turnover, era di nuovo Franchi. La manodopera femminile co-stituiva all'incirca il 25,6% di tutte le maestranze occupate nell'industria
23. Ibid., busta 215, verbale 238; busta 216, verbale 218; busta 171, fase. 43; busta 71, fase. 78; e busta 222, verbale 221.
24. Ibid., lettera del 23 aprile 1918.
25. Archivio Centrale dello Stato, Ministero delle Armi e Munizioni, Decreti di Ausiliarità, busta 2, sfasc. 6; in seguito ai reclami di Mylius per le procedure ingiuste nel concedere l'esonero militare e per la grossa presenza di lavoratrici spe-cializzate nelle fabbriche Franchi-Griffin, ed ex-Tempini, l'industriale tessile ottenne un decreto di ausiliarità per la sua fabbrica in due settimane. Vedi anche: Archivio Centrale dello Stato, Ministero delle Armi e Munizioni, busta 232, lettera del 12 gennaio 1917.
bellica italiana nel 1917 27 ; nella Metallurgica Bresciana il lavoro fem-minile incideva del 41% sull'occupazione totale28.
Attilio Franchi era il solo grande industriale della provincia prodotto dall'economia di guerra29. Nel 1910 egli occupava 425 dipendenti30; verso la fine della guerra Franchi controllava, nell'area bresciano-berga-masca, una forza-lavoro di quasi 30.000 unità 31.
Ironia della sorte, fu proprio la disorganizzazione del complesso mi-litare-burocratico-industriale (al quale doveva la sua crescita) a costituire un ostacolo all'espansione — altrimenti incontrollata — del gruppo Fran-chi. L'unica strozzatura in grado di limitare la capacità produttiva degli impianti di Franchi era dovuta a un'eventuale carenza di energia elettrica. Per questa ragione Franchi entrò in lizza con la Società Siderurgica To-gni e con la Società Elettrica Bresciana per la concessione del lago di Idro, in base al decreto di Bonomi del 19 1 6 32. Il candidato apparente-mente più debole, Togni, il quale era finanziato dalla Banca Commer-ciale e aveva goduto di contratti privilegiati della FIAT durante la re-cessione del 1914 33, sembrava dovesse avere la meglio su quella che veniva presentata come un'arbitraria decisione burocratica. La polemica tra i gruppi siderurgici ed elettrici della provincia degenerò in un'aspra lotta. L'offensiva fu sferrata dalla Società Elettrica Bresciana, un'ex af-filiata della Banca Commerciale34 che formalmente, dal 1917, faceva però parte del gruppo Edison 35. Con l'avallo del Comitato Regionale di Mobilitazione Industriale, avallo mediato da Carlo Esterle, membro del
27. Archivio Centrale dello Stato, Ministero delle Armi e Munizioni, busta 70, fase. Mano d'opera femminile.
28. Ibid.., busta 232, Comando di Brescia, 12 gennaio 1917.
29. I profitti dichiarati dall'impresa Franchi-Griffin aumentarono da L. 800.546 nel 1914 a L. 7.529.829 nel 1917; i profitti dichiarati dalla Società Franchi-Gre-gorini nel 1918 erano L. 17.434.568. Vedi anche: « Atti parlamentari », legislatura XXVI, sessione 1921-1923, documento n. XXI (Inchiesta per le spese di guerra), voi. II, Roma, 1923, pp. 47, 52, 53, 57.
3 0 . CAMERA DI COMMERCIO E INDUSTRIA DI BRESCIA, o p . c i t . , p . 15.
31. A. GIARRATANA, L'Industria bresciana ed i suoi uomini negli ultimi 50 anni, Brescia, 1957; Vedi anche: « La Provincia di Brescia », 9 febbraio 1919.
32. A. GIARRATANA, op. cit., p. 53; vedi: G . MORI, Le guerre parallele. L'in-dustria elettrica in Italia nel periodo della grande guerra (1914-1919), « Studi sto-rici », 1973, pp. 292-372.
33. Davide Vitali, il direttore della Banca Commerciale a Brescia, era inoltre un membro del consiglio di amministrazione del gruppo Togni. Per i contratti FIAT di settembre 1914, vedi V. CASTRONOVO, Giovanni Agnelli, Torino, 1971, pp. 78, 714.
34. CREDITO ITALIANO, Società Italiane per Azioni. Notizie statistiche, Milano, 1914, p. 567.
35. Nel 1917 Giacinto Motta ufficialmente assunse l'incarico amministrativo della Società Elettrica Bresciana.
Comitato e direttore della Edison, il gruppo elettrico locale cominciò ad applicare sospensione di energia. La scarsità di corrente elettrica colpì principalmente i complessi controllati da Franchi e da Togni36. Quest'ul-timo, attratto probabilmente dalle prospettive di nuovi contratti con la società elettrica per commesse di tubi come anche di un parziale ripri-stino della fornitura di energia elettrica, si allineò con la Società Elet-trica Bresciana; da quest'alleanza derivò la fondazione della Società Lago d'Idro. Gravi carenze di energia continuarono a limitare in notevole mi-sura la capacità produttiva del complesso Franchi; si creò quindi una una situazione il cui peso principale doveva scaricarsi sulle spalle dei lavoratori. Nel dicembre 1918 Attilio Franchi, il cui debito con la Ban-ca Commerciale ammontava a più di ottanta milioni di lire 37, annunciò un progetto per l'immediata riduzione delle maestranze della Tempini da 10.000 a 3.000 unità38.
L'avversione di Franchi, imprenditore individualista di vecchio stam-po, alla nascita di trust e al processo di concentrazione industriale ad opera di complessi integrati di grandi dimensioni, determinò il suo isola-mento dagli altri industriali della provincia. I nazionalisti bresciani, tra-dizionali portavoce di una politica protezionista a favore dell'industria pesante39, sposarono la causa del gruppo elettrico bresciano. Il loro leader Filippo Carli si schierò con la Società Elettrica Bresciana, denun-ciando la parzialità del governo in favore della piccola industria locale: « Cosicché, da qualunque punto di vista si consideri il problema dell'uti-lizzazione del nostro patrimonio idrico, ci sembra che il regime più ri-spondente ai duraturi interessi della nazione sia quello della specializza-zione e della concentraspecializza-zione industriale — un regime quindi contrario a quello dell'individualismo economico che la concessione all'utente di-retto determinerebbe... lo Stato insomma si accinga ad essere il modera-tore, non solo, ma anche il Coordinatore Supremo » 40. La posizione di Carli nella disputa sulla concessione del Lago d'Idro fu senza dubbio influenzata dagli stretti legami da lui intrattenuti con Giacinto Motta,
36. Archivio Centrale dello Stato, Ministero delle Armi e Munizioni, busta
197, verbale 190.
37. Archivio Centrale dello Stato, Presidenza del Consiglio, 1918, fase. 3, n. 986, 29 ottobre 1918.
38. Archivio Centrale dello Stato, Ministero delle Armi e Munizioni, busta
71, fase. 78.
39. A. LYTTELTON, op. cit., p. 19; E. BARNI, Per una politica delle acque, Bre-scia, 1917, pp. 6-16; Le società idroelettriche e la recente legislazione sulle acque, Brescia, 1917; l'opuscolo, a cui contribuirono Carli, Motta e Pietro Bonfante, fu sovvenzionato dalla Società Elettrica Bresciana.
capo effettivo del gruppo Edison e membro del consiglio di amministra-zione della Società Elettrica Bresciana. Più acuto, forse, fu il contrasto tra Franchi e Giulio Togni, data la posizione di quest'ultimo, rispettato e autorevole leader dell'industria siderurgica locale. Inoltre, il sostegno finanziario dato da Togni all'« Idea Nazionale » 41 lo rendeva vulnera-bile alle dure accuse di Franchi, che lo incolpava di favorire, per inte-resse personale, la penetrazione dell'industria pesante di fuori provincia a spese dell'autonomia dei produttori locali.
Certamente, l'espansione verificatasi nel periodo bellico incoraggiò