Bentley e la scienza politica comportamentista
IV. BENTLEY EPISTEMOLOGO: METAFISICA E CONSERVATORISMO
Un'analisi concettuale quale è essenzialmente quella che precede, solleva e lascia senza risposta un certo numero d'interrogativi. In partico-lare, essa dice nulla o molto poco circa la genesi storica dell'approccio del processo, come pure delle sue implicazioni filosofiche più generali. Perché è sorta l'analisi del processo? Per rispondere a quali problemi aperti dalla dialettica delle idee e degli eventi? Quali implicazioni epistemologiche e normative essa comporta, quale W eltanchauung l'ispira? Sono questi i problemi di natura storica e filosofica che vorrei discutere in questa quarta e ultima parte del saggio.
Nel caso di Bentley, vi sono ragioni specifiche che consigliano di risa-lire ai presupposti epistemologici del suo pensiero. Anzitutto il problema del linguaggio è stato, come si è detto (vedi sopra, p. 53), la preoccupa-zione fondamentale della sua vita. Un'analisi di Bentley che omettesse questo aspetto, sarebbe gravemente incompleta. In secondo luogo, l'ap-proccio allo studio della politica associato al suo nome — apl'ap-proccio del gruppo — è stato fatto oggetto d'interpretazioni contrastanti, che stimo-lano a un approfondimento e a una chiarificazione. Coloro che pongono l'accento sul concetto di gruppo, sottolineano gli aspetti conflittuali del-l'approccio, se non addirittura ( M A C I V E R , 1934) i pericoli che esso com-porta per la coesione sociale. In una versione meno estrema di quella di Maclver, è questa l'interpretazione tuttora dominante. Chi fa del
pro-cesso il concetto cardine di Bentley, vede invece in Bentley il teorico della
soluzione pluralista del conflitto. È questa la tesi del presente saggio (vedi sopra, parte III).
Ora, a me sembra che un esame dell'epistemologia del nostro autore consenta di dirimere in modo netto la controversia. La filosofia della co-noscenza di Bentley — esatta controparte epistemologica della nozione di processo (vedi oltre) — , si rivela infatti all'analisi come rigorosamente monistica, basata sul postulato dell'intima unità fra individuo e sistema sociale, sistema sociale e cosmo. Come cercherò di mostrare dopo aver detto brevemente delle origini storiche del concetto di processo.
Sulle origini storiche del concetto di processo.
L'idea di processo sociale è strettamente legata a quella di organismo, alla concezione della società come insieme organico d'individui (LERNER,
1 9 3 4 ; G R O S S , 1 9 6 8 ; K R E S S , 1 9 7 0 ; B E N T L E Y - D E W E Y , 1 9 4 9 ) \ U n a u -tore ha suggerito come sinonimo di processo « crescita organica della so-cietà » ( B A I N, in American Sociological Society, 1 9 3 3 , 1 5 ) . Nella incisiva frase del più eminente filosofo del processo — Alfred North Whitehead
( 1 9 2 9 , 1 0 ) — , esiste una « ovvia solidarietà del mondo ». L'accento è posto quindi sull'unità della società e sulla continuità nella storia. Metodo-logicamente, la nozione di processo rinvia, come abbiamo visto (vedi sopra,
p. 49), al concetto di multicausalità. Ed è in effetti come critica del-l'interpretazione materialistica della storia — ossia del primato causale del fattore economico — , che la nozione di processo ha fatto ingresso nel pensiero sociologico contemporaneo.
Liberare le scienze sociali da qualsiasi forma di determinismo, soprat-tutto dal determinismo della filosofia di Marx, è stata una delle preoccu-pazioni fondamentali dei sociologi borghesi di fine ottocento ( H U G H E S ,
1958, cap. 3). In questo senso Marx è stato veramente « la levatrice del
pensiero sociologico del ventesimo secolo » (ihid., 74). L'autore che con maggiore profondità e autorevolezza si è cimentato nel confutare la teoria della « sovrastruttura », è Max Weber ( A N T O N I , 1 9 5 1 , capitolo su We-ber). Nel saggio sull'etica protestante e lo spirito del capitalismo ( 1 9 0 4 -1 9 0 5 ) , Weber ha cercato di dimostrare che la « causa » principale di questo « spirito » era un dogma religioso (dottrina calvinista della pre-destinazione), rovesciando così la tesi di Marx. Lo « spirito capitalistico », lungi dall'essere un prodotto del fattore materiale nella storia, emergeva dall'analisi di Weber come « un paradossale scherzo del " destino ", cioè della logica che porta a conseguenze del tutto inattese e contrarie alle intenzioni », come quella di fare di un asceta calvinista un accorto uomo d'affari (ihid., 154). La libertà dell'individuo era riscattata dal determi-nismo materialista, la teoria dell'unicausalità sconfitta.
Carlo Antoni, nel citato lavoro sulle origini del pensiero sociologico tedesco, ha così riassunto le implicazioni metodologiche dell'analisi di We-ber (ihid., 155): « La novità [di WeWe-ber] non consiste... soltanto nella scoperta dell'importanza dell'etica economica nella storia della civiltà. Era un nuovo metodo storiografico che veniva inaugurato... [Tramontato] 1. Anticipando su quanto dirò fra poco dell'epistemologia di Bentley, riporto questo significativo passo tratto da Knowing and the Known (BENTLEY-DEWEY, 1949, 104): « La nostra posizione è questa: poiché l'uomo, in quanto organismo, si è evoluto insieme ad altri organismi in un'evoluzione detta " naturale ", siamo propensi... a considerare tutti i comportamenti dell'uomo (comprese le sue più avan-zate conoscenze) come attività non soltanto sue, e nemmeno principalmente sue, ma come processi dell'intera situazione organico-ambientale... », ossia come processi del cosmo unitariamente inteso.
il metolo hegeliano unificatore della storia nell'unica vicenda dialettica dell'Idea, la storiografia aveva seguito la tradizionale partizione di storia politica, letteraria, religiosa, giuridica, economica, ecc. Le reciproche " in-fluenze " erano state notate da un pezzo... [ma] il problema del trapasso delle categorie, cioè della unità e continuità della vita dello spirito, risorge solo dopo che la teoria marxista ebbe affermato la dipendenza d'ogni altra categoria dalla categoria economica. L'interpretazione sociologica della storia si fonda appunto sul trapasso da una categoria all'altra » (cor-sivo mio).
L'origine dell'analisi del processo è anch'essa intimamente legata alla rivolta contro Marx. Con questa differenza importante: che mentre We-ber mantenne un modello interpretativo (basato sulla metodologia del « tipo ideale »), i teorici del processo misero sempre più l'accento sulla molteplicità dei fattori causanti, sino a sostituire al concetto di causa quello d'interdipendenza (per Bentley, vedi sopra, pp. 60 e segg.). Scri-veva Max Lerner al riguardo ( L E R N E R , 1 9 3 4 , 1 5 0 - 1 5 1 ) : « La causazione multipla divenne il grido di battaglia di tutti coloro che si opponevano... al pensiero marxiano ». Nell'opporsi a Marx, i teorici del processo insi-stevano particolarmente sul «legame organico » fra individuo e società. « Anche la teoria marxista... è una teoria organica — aggiungeva Lerner
(ihid.) — , ma in essa la dialettica della storia è mossa da una serie di cause specifiche ». La teoria del processo è organica in tutt'altro senso: « Non ammette che sia messo l'accento su fattori particolari e vede un 'omogeneità qualitativa nell'intero processo sociale. Il problema della causazione sociale diventa così infinitamente complesso... Un mutamento in una qualsiasi parte del processo sociale può essere spiegato soltanto in termini di mutamenti (che sono al contempo causa e effetto) in un gran numero di fattori [operanti] in altre parti del processo sociale e, al limite, nell'intero processo » (corsivo mio).
Orbene, questa idea della fondamentale complessità e unità del si-stema sociale — per cui tutto si codetermina, e nessun fattore, singolar-mente preso, ha potere causale — , può ben essere filosoficasingolar-mente esila-rante. Per Whitehead, processo era sinonimo di libertà: « Il processo è l'immanenza dell'infinito nel finito; grazie ad esso tutti i limiti sono spez-zati, tutte le incoerenze dissolte » (cit. da K R E S S , 1 9 7 0 , 1 7 4 ) . Parimenti, Norman Jacobson ( 1 9 6 4 ) ha posto in rilievo gli effetti liberatori che l'idea del mondo come flusso ha avuto nella filosofia e nell'arte di fine otto-cento, liberando l'artista dai canoni della forma narrativa (Van Gogh, Baudelaire, Schoenberg, ecc.). Ciò detto, preme sottolineare che, qua-lunque siano le implicazioni normative e estetiche dell'idea di processo (e vedremo che le prime sono non poco discutibili), tale idea è del tutto
inadeguata ai fini di una metodologia scientifica. Una prova è data dalla epistemologia di Bentley, autore che proprio per il carattere « radicale » delle teorie professate, fornisce una sorta di « tipo ideale» per la critica del processo.
Bentley epistemologo: l'approccio transazionale.
« Chi potrebbe obiettare se asserissimo che un flautista ha bisogno di un pubblico non meno che di un flauto se vuole sopravvivere musical-mente? » Bentley: « La parola " transazione " ».
L'elaborazione di un linguaggio che permettesse una descrizione coe-rente e esaustiva dei fatti sociali è stata, si è detto, la preoccupazione principale di Bentley. A partire dal 1910 tutti i suoi scritti, eccetto uno
( B E N T L E Y, 1969), sono dedicati a questo tema. Nell'arco di quarant'anni egli è andato elaborando una teoria epistemologica che è esposta in modo sistematico nell'opera Knowing and the Known ( B E N T L E Y - D E W E Y, 1949; d'ora in poi abbreviata in B-D). Questa teoria prende il nome di
approc-cio transazionale allo studio dei fatti sociali.
Il suo postulato base consiste nella radicale negazione di qualsiasi ce-sura fra soggetto e oggetto, attore e ambiente. « L'osservazione di tipo [transazionale]... vede l'uomo-in-azione non come qualcosa di... contrap-posto al mondo circostante, e neppure come qualcosa che semplicemente agisce " in " un mondo, ma come azione da parte del e nel mondo a cui l'uomo appartiene come parte integrante » (B-D, 52). Conosciamo sol-tanto, scrivono Bentley e Dewey (ihid., 51) « l'uomo-in-azione-che-tratta-con-le-cose » del cosmo. L'uomo è conoscibile solo come comportamento, ossia solo nel momento in cui entra in contatto con il mondo 2. Anche la conoscenza è comportamento: un fatto non esiste « oggettivamente », prima dell'inizio dell'investigazione, ma solo per effetto e nel corso di una attività conoscitiva. Possiamo quindi dire, per fissare un primo punto, che l'approccio transazionale è la prospettiva del processo applicata alla filosofia della conoscenza; o, nelle parole dei suoi stessi proponenti, una teoria comportamentista del linguaggio (ihid., 199).
In che senso Bentley e Dewey usano il termine transazione? Il ter-mine è inizialmente assunto nell'accezione che esso ha nel linguaggio co-mune, come quando si parla di transazione commerciale. Una transazione
2. Rigorosamente parlando, secondo l'epistemologia transazionale l'uomo non « entra in contatto » con il mondo, di cui fa parte integrante, ma è in « transazione » con il cosmo. Uso qui un linguaggio impreciso per chiarezza di esposizione.
commerciale, scrive Dewey (ihid., 270)3, « definisce un partecipante come compratore e l'altro come venditore. Non esiste un compratore o un ven-ditore eccetto che in e a causa di, una transazione... Né questo è tutto: specifiche cose diventano merci solo in quanto intervengono in una tran-sazione... Inoltre, per effetto dello scambio... entrambe le parti... subi-scono un mutamento; le merci subisubi-scono come minimo un trasferimento di luogo, in virtù del quale acquistano o perdono certe.... " capacità " prima possedute. Per di più, nessuna particolare transazione commerciale esiste in modo isolato, ma fa parte di una rete di attività, fra le quali le attività di produzione [agricoltura, ecc.]... A sua volta questo corpo di transazioni » è inserito in un sistema di regole e regolamenti basati su un sistema di consuetudini. Riassumendo: una transazione è costitutiva di ruoli e oggetti, che non esistono (ruoli e oggetti) prima della transa-zione e indipendentemente da essa; determina mutamenti in entrambi, e presuppone un più vasto sistema di rapporti materiali e culturali, sistema di cui la transazione è parte integrante.
Ritroviamo in Bentley e Dewey l'« ovvia solidarietà del mondo » di cui parla Whitehead. L'individuo, scrive ancora Dewey (B-D, 271), « dalla nascita alla morte... è una parte », parte di un « gran corpo di transazioni » al di fuori del quale né il suo essere in quanto individuo, né le sue azioni possono essere comprese. L'ambiente non è qualche cosa di esterno ai soggetti, ma è il tessuto connettivo che li lega — idea ben resa dal francese milieu — , il mezzo attraverso e mediante il quale le transazioni si compiono (ihid., 272).
L'ambiente è popolato di oggetti, che nel linguaggio convenzionale (comune e scientifico) sono considerati realtà esterna all'uomo. Bentley e Dewey si ribellavano precisamente contro questa visione dicotomica del mondo, che separava l'osservatore dal mondo osservato, che faceva del primo un attore provvisto di « mente » conoscente, e del secondo una « cosa » in attesa di essere conosciuta. La ricostruzione del linguaggio da loro propugnata implicava una visione radicalmente unitaria del mondo: il conoscere e ciò che è conosciuto, il vedere e il visto, sono fasi inscin-dibili di un unico processo, e nel loro insieme danno vita al fatto (ihid., 54). L'osservare-osservato (l'elemento decisivo è qui il trait d'union) è il fatto; l'atto conoscitivo è tanto costitutivo dell'oggetto quanto la presunta realtà dell'oggetto osservato. In breve, non esiste un mondo reale, solo un mondo conosciuto ai fini di specifiche investigazioni.
3. In Knowing and the Known vi sono capitoli scritti in comune, altri attri-buiti a uno solo dei due autori.
Visione radicalmente unitaria del mondo, ho detto, ma non limitata al mondo. L'intima unità del tutto si estende al cosmo, ossia al tempo e allo spazio. È qui che si vede chiaramente il legame fra metodo della transazione e teoria della relatività di Einstein, da cui esso deriva
(BEN-T L E Y, 1926; B-D, passim). Non solo non vi è modo di definire una realtà « obiettiva », ma le stesse categorie di tempo e spazio cessano di essere categorie assolute per venire incluse fra gli eventi da investigare. Non sono più al di fuori del processo, punti fissi di riferimento, ma nel pro-cesso, parte integrante del flusso del mondo.
Questo linguaggio integralmente relativistico si contrappone a due precedenti metodi di osservazione, imperniati rispettivamente sui con-cetti di self-action (attore) e interazione. L'approccio transazionale, scri-vono al riguardo Bentley e Dewey (ihid., 121), rappresenta quel nuovo metodo d'indagine in virtù del quale « l'osservazione e la descrizione
[possono] essere compiute senza che... l'azione sia attribuita a attori indipendenti [self-action], o a elementi interagenti in modo indipendente [dal resto del mondo: interazione] o a relazioni ». Vediamo di precisare meglio i concetti di self-action e interazione, e le critiche ad essi mosse da Bentley e Dewey.
Self-action è il linguaggio prescientifico che si esprime in termini di entità (attore, mente, individuo, ecc.) considerate come aventi esistenza autonoma e potere intrinseco di causazione (di qui re//-action) (ihid., 72). Per Bentley, epistemologia, logica, psicologia e sociologia erano ancora in gran parte improntate a questa concezione « animistica » della causa-zione. Sono esempi di tale tipo di linguaggio le interpretazioni psicolo-giche criticate da Bentley nella prima parte di The Process (vedi sopra, pp. 58-59); le pratiche magiche e altre forme di « razionalizzazione » (nel senso di Pareto), del tipo: è Giove che causa la pioggia.
Interazione è « descrizione in termini di particelle o altri oggetti orga-nizzati, visti come interagenti gli uni sugli altri » (ihid., 73). Era questa la procedura ideata da Newton, particolarmente nella terza legge del moto (azione e reazione sono uguali e opposte), e propria della meccanica new-toniana. La costruzione newtoniana vedeva il mondo come processo di « semplici forze [agenti] fra particelle inalterabili » ( E I N S T E I N e I N F E L D ,
cit. in B-D, 111). Essa implicava l'esistenza di particelle reali, la dicoto-mia soggetto-ambiente, leggi di causa e effetto (ihid., 68). Tempo e spazio erano visti come categorie assolute al di fuori del sistema d'interazione
(ihid., 111). Nel campo delle scienze non fisiche, il metodo interazionale aveva trovato applicazione nella psicologia comportamentista di Watson, e presso quei teorici del gruppo che ipostatizzavano (consideravano
con-creti) i gruppi sociali (ad esempio Gumplowicz)4. Bendey e Dewey re-spingevano « totalmente » questo metodo come teoria generale della co-noscenza (ihid., 296); lo accettavano per applicazioni specifiche, ma solo nel contesto generale dell'approccio della transazione (ihid., 128).
Prima di passare alla critica del metodo transazionale e delle sue pos-sibilità di applicazione, è opportuno comparare in forma sinottica i due approcci della transazione e della interazione (B-D, 122-124 e passim).
INTERAZIONE TRANSAZIONE STATUS ONTOLOGICO DEI FATTI
— Le entità interagenti esistono indipendentemente le une dalle altre e dal soggetto conoscente. — Il mondo è reale.
— Nessun fatto esiste come tale separatamente dagli altri fatti costituenti il sistema.
— Non esiste un mondo reale, so-lo un mondo conosciuto. DESIGNAZIONE DEI FATTI
- Le entità sono considerate ade- — Il fatto è una fase del processo guatamente designate già prima conoscitivo. La designazione è dell'inizio dell'investigazione. sempre relativa alla specifica
in-vestigazione. ATTIVITÀ
Approccio statico. — Approccio cinetico: « soggetti » e « cose » visti sempre e esclu-sivamente in azione.
ORGANISMO-AMBIENTE
- Netta distinzione. — Parti inscindibili di uno stesso sistema.
4. Anche l'approccio del gruppo di Bendey poteva apparire « interazionale », ed è stato interpretato come tale da alcuni suoi critici (MACIVER, 1934; ODEGARD,
1958; DOWLING, 1960). In The Process of Government ricorrono in effetti frasi come questa: « Non vi è processo politico che non sia equilibramento [balancing] di quantità contro quantità. Non vi è legge... che non sia l'espressione di forze e di forze in tensione » (cit. da ODEGARD, 1958, 691). Per Bentley, The Process of Government era invece un esempio ante litteram di analisi transazionale. Lo stesso poteva dirsi di Relativity in Man and. Society. Temo che Bentley, per sua sfortuna, fosse più vicino al vero dei suoi critici (vedi oltre).
TIPO DI SPIEGAZIONE
— Leggi di causa e effetto. — Descrizione delle connessioni nel sistema cosmico (attraverso il tempo e lo spazio).
TIPO DI CONOSCENZA
— Dogmatica. Ipotetica (proposizioni come
proposte, nel senso corrente del termine proposta).
Critica dell'approccio transazionale: Il problema della concettualizzazione dell'oggetto.
A che tipo di analisi conduce l'approccio di Bentley e Dewey? Poiché la descrizione dei fatti deve rispettare il principio della solidarietà co-smica, le enunciazioni di tipo transazionale dovrebbero abbracciare un ambito infinitamente maggiore delle più complesse proposizioni della scienza ordinaria. Si giudichi dal seguente passo, dove gli autori esplici-tano le conseguenze per l'analisi del loro metodo (B-D, 88): « Le esten-sioni osservabili dell'atto del conoscere e di ciò che è conosciuto spaziano attraverso la superficie abitata della terra; le durate osservabili spazia-no attraverso le culture, retrospettivamente sispazia-no alla preistoria, in pro-spettiva sino ai [possibili] futuri — il tutto costituendo materia d'inve-stigazione ». Anche solo per presentare adeguatamente l'atto di scrivere un paragrafo, aveva notato Bentley in una precedente opera (BENTLEY, 1935, 81), occorreva situare l'attività grafica « nel contesto di più ampi eventi attraverso migliaia di anni e migliaia di miglia ». Questo per de-scrivere l'atto di redigere un paragrafo.
Ritornerò fra breve sulle possibilità di applicazioni pratiche del me-todo. Qui vorrei notare che la carenza fondamentale del concetto di tran-sazione è una carenza prima ancora che pratica, di principio. Attiene a quello che Kress (1970, 167) ha denominato il problema della concet-tualizzazione dell'oggetto 5. Il problema sta in questo: se il mondo è con-5. La difficoltà era ben presente a Bentley e Dewey, che ne discutono a propo-sito della « localizzazione » del segno. Il segno (nome) dato a una cosa, essi scrivono (B-D, 151), designa sempre un'attività conoscitiva, mai una cosa fisica esterna, distinta dalla « mente » del soggetto. E aggiungono (ibid.): « Ma se così è, sorge un importante problema, forse il più importante fra quelli che dobbiamo affrontare: l'esatta localizzazione del segno. Dove è esattamente l'evento designato quando appli-chiamo il nome " segno " ? Segno è un processo che si attua solo quando organismo e ambiente sono [concepiti] in transazione comportamentista. Il suo locus è
Porga-cepito come processo di parti indissolubilmente solidali, e la conoscenza come operazione che costituisce la realtà nel momento in cui l'apprende, l'identificazione dell'oggetto diventa impossibile. Una volta descritte fasi di vita in un modo che ne rifletta l'intima connessione con il tutto, di-venta poi impossibile reintrodurre delimitazioni che permettano di distin-guere fra oggetto e oggetto.
In un universo dissolto in attività solidali, Bentley non poteva quindi ricreare quel « senso di solidità, di limiti, e di " struttura " » (Kress) che la realtà offre alla percezione dei nostri sensi. Né la nozione di habit
background (ciò che persiste di consuetudinario nel processo; vedi sopra, p. 79), né il concetto di « frequenza dell'avvenimento (giacché come si poteva riconoscere il ripetersi di uno stesso avvenimento?...), ... pote-vano servire a reintrodurre distinzioni qualitative » in un linguaggio ba-sato sul principio della loro radicale eliminazione ( K R E S S , ibid., 180) (corsivo mio)8.
Non stupisce quindi che Bentley e Dewey, per dare un senso alle cate-gorie concettuali proposte, abbiano dovuto non di rado derogare ai ca-noni del proprio approccio. Così, per definire la nozione di « avveni-mento » (occurrence), che è uno dei concetti cardine in Knowing and
the Known, essi hanno dovuto ripiegare su una nozione di tempo e spa-zio che è quella del linguaggio comune: « Quando un evento è di tipo tale da poter essere facilmente osservabile... sulla base dell'ordinaria capa-cità dell'uomo di percepire mutamenti di tempo e di spazio, lo chiame-remo avvenimento » (cit. da KRESS, 168). Cosa non ignota alle persone di buon senso.
A questo punto ci si può chiedere quali applicazioni pratiche l'ap-proccio transazionale abbia trovato o possa trovare nelle scienze sociali. Come si è detto, Bentley considerava The Process of Government e altri suoi scritti illustrazioni, seppure approssimative, di tale approccio (B-D, nismo e l'ambiente, compresa l'aria che li connette, i processi elettrici e di