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Un’analisi storica dell’influenza dei vari periodi sulle condizioni di lavoro delle donne immigrate.

La migrazione femminile nel tempo: fattore di cambiamento sociale e nuovo mercato del lavoro

2.6. Un’analisi storica dell’influenza dei vari periodi sulle condizioni di lavoro delle donne immigrate.

Uno degli elementi che contraddistinguono il settore del lavoro di cura in cui si colloca, specialmente, la prestazione d’opera delle badanti è la condizione di sfruttamento lavorativo, in cui esse versano e che è spesso tollerata dalle donne interessate a causa del loro progetto migratorio e del breve tempo a loro disposizione per il raggiungimento dei loro obiettivi [Mottura, 2003].

Le donne immigrate impegnate in questo ambito spesso si ritrovano in situazioni di eccessivo lavoro, senza riposo settimanale e

-69- giornaliero, isolamento, scarse retribuzioni in relazione ai parametri

contrattuali ed, in alcuni casi, a restrizioni alimentari, divieto di accesso a certi locali dell’abitazione, divieto di ricevere o fare telefonate [AA.VV., 2002; Casella Paltrinieri, 2001]

Le donne immigrate badanti vivono un legame sempre più segregante in cui la totale assenza di contatti con il mondo esterno, con i servizi, con il contesto rende necessaria l’instaurazione di un legame privilegiato con la famiglia per cui presta il proprio servizio per il soddisfacimento di ogni benché minima esigenza pratica: la badante è, quindi, obbligata, giocoforza, ad indirizzare tutta la propria affettività ed emotività solo ed esclusivamente nei confronti della famiglia [Vicarelli, 1994; Tognetti Bordogna, 1992]

Lo status di queste donne spesso è contraddistinto da una fragilità iniziale dovuta alle modalità della migrazione, ma anche da fragilità ed una vulnerabilità che possa svilupparsi successivamente nel tempo: problemi legati alla menopausa, alle malattie da invecchiamento come flebiti, reumatismi, malattie trascurate. Inoltre, esse posso riscontrare varie difficoltà nell’istaurazione della relazione tanto con l’anziano quanto con i suoi eventuali familiari [Tognetti Bordogna, 1995].

Il lavoro delle badanti è totalmente diverso da quello delle

colf sia per le condizioni lavorative che per l’autonomia: le cause

che spingono gli autoctoni a rivolgersi alla colf o alla badante sono svariate, così come molteplici sono i progetti migratori di coloro che si indirizzano verso l’una o l’altra attività. In più, i due fenomeni si riferiscono a due fasi differenti della nostra realtà migratoria ed a donne che hanno origini geo-culturali molto diverse [Tognetti Bordogna, 1998; AA.VV., 2002]

Il mercato del lavoro per queste donne risente dell’epoca in cui esse sono giunte nel paese di accoglienza.

Per ciò che concerne l’Italia i flussi possono essere classificati in quattro periodi a cui corrispondono specificità di provenienza e di progetto: il primo periodo relativo agli anni settanta; il secondo risalente agli anni ottanta; il terzo corrispondente agli anni novanta;

-70- ed il quarto ed ultimo che riguarda l’attuale millennio. [Favaro,

Tognetti Bordogna, 1991; De Filippo, Hamdani, Mormiroli, 2003; Bindi, 2003].

Queste fasi saranno oggetto di breve disamina nei paragrafi a seguire.

Negli anni Settanta, il mercato del lavoro italiano influenza in modo decisivo i flussi: la forte industrializzazione, il passaggio dalle campagne alle città, l’inserimento nel mercato produttivo delle donne autoctone, con una conseguente richiesta di lavoro di cura, che può essere svolto dalle donne immigrate.

Alla base di queste attività ci sono progetti e strategie migratorie solo apparentemente univoche, inoltre sono attività che appartengono a fasi diverse della migrazione femminile verso il nostro paese [Bonifazi, 2007; Braidotti 1995].

L’assorbimento delle donne migranti verso l’Italia nell’ambito del lavoro domestico, pur rappresentando una realtà e una costante rilevante dei nostri flussi migratori, è segnato da due fasi molto significative e culturalmente diverse.

Nella prima fase, appartenente agli anni ’70, i primi flussi verso l’Italia sono caratterizzati da donne provenienti da paesi cattolici che si inseriscono nel lavoro domestico come colf, a tempo pieno per un periodo non definito [Tognetti Bordogna, 1991].

Alla la fine degli anni ’90, inizia, invece, la fase delle badanti, provenienti dai paesi dell’Est, che si inseriscono nel lavoro domestico a tempo pieno, ma per un periodo definito, e generalmente limitato nel tempo prendendosi cura di un soggetto non autonomo [Lonni, Tognetti, Bordogna, 1997].

La provenienza geo-culturale di riferimento delle donne migranti influenza la collocazione nei contesti sociali di approdo degli immigrati [Mottura, 2003]: le colf provengono, ad esempio, da aree meno sviluppate o sottosviluppate, le mentre le badanti provengono da aree in forte crisi post-comunista o in crisi di conversione sistemica.

-71- Il capitale sociale, le reti relazionali, di cui dispongono i

diversi immigrati, «fortemente connessi con le aree di origine», sono determinanti sia rispetto la collocazione sociale, sia rispetto alle strategie occupazionali [Ambrosini, 2001; Mottura, 2003]

In letteratura, è stato sottolineato come il settore domestico costituisca l’ambito lavorativo segregato delle donne della migrazione [Ambrosini, 1999; Tognetti Bordogna, 1999] e come la sua crescita dipenda da due fattori principali: da un lato fino agli anni sessanta il riferimento è al modello borghese della domestica a tempo pieno e dall’altro si verifica un’assenza dei servizi di assistenza per i bambini e gli anziani, insieme al passaggio dalle famiglie allargate alle famiglie nucleari, e all’ingresso nel mondo del lavoro delle donne italiane. In pratica, i cambiamenti sociali come l’industrializzazione, la trasformazione dei modelli familiari, l’inserimento nel mercato del lavoro delle donne, l’invecchiamento della popolazione, l’aumento del numero di anziani che vivono soli, portano alla necessità della presenza di figure professionali scarsamente riconosciute, ma molto valide sul piano operativo per il solo fatto di essere donne [Braidotti, 2002; Lagomarsino 2006].

Sulla base della suddivisione dei differenti periodi che caratterizzano i flussi migratori delle donne, ad esempio, si può affermare che il lavoro di colf si presenta nel corso degli anni ’80, con l’incremento del lavoro domestico ad ore, delle forme di autonomia e di emancipazione lavorativa; mentre alla fine degli anni ’90 con l’introduzione del lavoro interinale che interesserà sia il lavoro di colf che di badante si assisterà ad un ulteriore evoluzione.

Inoltre, alle tradizionali attività di colf e badanti, a partire dalla fine degli anni Ottanta, si assiste anche alla nascita dell’imprenditoria etnica e l’imprenditoria in generale che riguarda le donne immigrate, mentre alla fine degli anni Novanta si assiste alla creazione di cooperative e/o associazioni per l’attività di mediazione linguistica culturale [Miranda, 2002].

-72- Un’altra attività svolta da queste donne, presente in ogni

tipo di migrazione, è la prostituzione che raggiunge però una forte visibilità e un incremento notevole nel nostro paese, nelle sue diverse forme di prostituzione volontaria e di prostituzione forzata o tratta, alla fine degli anni Novanta [AA.VV., 1995; Ambrosini, 2003]

Di seguito, si è provveduto ad analizzare le caratteristiche dei flussi migratori al femminile in riferimento a quattro periodi [Tognetti Bordogna, 2012].

2.6.1. (Segue) I primi flussi migratori degli anni Settanta

Negli anni Settanta, si registrano i primi flussi migratori verso l’Italia. Essi erano contraddistinti da una grande crescita della presenza femminile: le donne iniziano il percorso migratorio verso la penisola e sono i primi anelli delle catene migratorie. I flussi a carattere femminile di questi anni, però, non erano oggetto di analisi degli studiosi del fenomeno: gli esperti non si erano, infatti, resi conto della presenza delle donne, poiché queste erano per la maggior parte donne bianche che svolgevano lavoro domestico a tempo pieno [Favaro, Tognetti Bordogna, 1991].

I flussi migratori delle donne rappresentavano una specificità coloniale e uno specifico culto religioso: diverse donne venivano da territori interessati da rapporti coloniali con l’Italia (in particolare dall’Eritrea). In questi primi anni, le donne immigrate erano accolte dalla chiesa che si preoccupava di collocarle nel mercato del lavoro e di provvedere ai loro bisogni in Italia. Dal momento che la chiesa aveva un ruolo attivo e fondamentale per collocare queste donne nel mondo del lavoro, questa prima fase della migrazione femminile non richiedeva nulla al nostro sistema sociale, alla nostra società ed al nostro sistema di welfare e non richiedeva neppure risorse particolari di alloggio e di vitto poiché questi erano messi a disposizione dal datore di lavoro [Chiaretti, 20014]

-73- Le donne che arrivavano in questo periodo erano

posizionate nel settore del lavoro domestico, ed erano costrette a stare per tutta la settimana chiuse nell’abitazione del datore di lavoro; l’orario di libertà era costituito dal giovedì pomeriggio e dalla domenica pomeriggio, e doveva essere trascorso nelle chiese, nelle parrocchie, negli oratori, per imparare l’italiano o a ricamare, ma anche a riprodurre piatti, musiche e i racconti del paese, della tradizione, per aiutarle a non sentirsi troppo lontane dalla loro cultura e per cercare di limitare ed attutire gli effetti traumatici della migrazione, per cementificare la coesione del gruppo geo- culturale che era in immigrazione, ma anche e soprattutto per adeguare i vecchi modelli culturali alle nuove esigenze, al cambiamento, e per gettare le fondamenta per un nuovo radicamento [Campani, 2000; Braidotti, 2002]

Le donne straniere arrivate negli anni ’70, dunque, erano delle donne invisibili poiché inserite in un mercato del lavoro molto particolare, segregato: esse non si vedevano per strada e non potevano essere notate né dai mass media, né dai ricercatori i quali non ritenevano che potessero costituire oggetto di studio di un fenomeno [Vicarelli, 1994; Macioti, 2006]

Un’altra caratteristica dei flussi degli anni ’70 è, come anticipato, che molte di queste erano donne di carnagione bianca facilmente confondibili con le autoctone: arrivavano soprattutto donne dell’America Latina, del Centro America, delle Filippine, oltre alle donne di Capo Verde e dell’Eritrea.

Concludendo, durante gli anni Settanta sono arrivate nel nostro paese delle donne pioniere ed invisibili inserite, attraverso la chiesa, in un mercato del lavoro segregato [Carchedi, Mottura, Pugliese, 2003; Macioti, Vitantonio, 2006]

-74- 2.6.2 (Segue) Le colf negli anni Settanta

Negli anni Settanta le donne immigrate si collocano in un settore del mercato del lavoro assai particolare, segregato, il lavoro domestico, ovvero esse ricoprono il ruolo della colf.

Queste donne avevano un progetto migratorio attivo, con un ruolo economico forte, che in svariati casi si sovrapponeva alla ricerca di qualche forma di libertà e di autonomia, spesso erano donne che avevano abbandonato il proprio paese per conoscere un nuovo mondo e nuovi modelli culturali [Lonni, A., Tognetti Bordogna, 1997].

In genere erano donne che inviavano risorse economiche al loro paese ove facevano ritorno in occasione delle vacanze ma per periodi brevi, esse spesso mantenevano un rapporto epistolare con la loro famiglia rimasta nel paese d’origine [Chiaretti, 2014; Tognetti, Bordogna, 2003].

Fino agli anni ottanta queste donne lavoravano come colf a tempo pieno ma in seguito iniziarono a lavorare presso le famiglie ad ore, secondo un lento processo di emancipazione.

Superata la prima fase di questo fenomeno di femminilizzazione dei flussi migratori, questo tipo di lavoro iniziò ad essere svolto anche dalle donne africane, che primieramente si recavano nel nostro paese solo per ricongiungimento familiare. La loro presenza era più consistente in Lombardia, Lazio, Sicilia e nelle grandi città come Milano e Roma [Casella Paltrinieri, 2001; Braidotti, 1995]

In conclusione, le condizioni del lavoro di colf, quale lavoratrice a tempo pieno, a stretto contatto con la famiglia del datore di lavoro e con tutti i membri, incaricata di accudire i bambini e la casa, pongono le basi per uno scambio continuo con i datori di lavoro, attraverso una socializzazione forzata delle abitudini e degli stili di gestione familiare [Campani, 2000; Iotti, 2002].

-75- 2.6.3 (Segue) La seconda fase dei flussi migratori: gli anni

Ottanta

Fino alla metà degli anni '70 l'Europa ha adottato politiche di accoglienza nei confronti del fenomeno dell’immigrazione femminile: la forza lavoro veniva reclutata o tramite agenzie o direttamente dai paesi di provenienza ed era assai semplice procedere alla regolarizzazione della posizione del lavoratore una volta arrivato sul territorio [Bonifazi, 2007; Braidotti, 1995].

La crisi petrolifera del ‘70 determinò un cambiamento radicale: i paesi europei più toccati dal fenomeno dell’immigrazione (Germania, Francia, Belgio, Olanda), intrapresero delle politiche finalizzate a bloccare l'immigrazione per motivi di lavoro sul loro territorio. Si assisteva, così, ad un cambiamento della direzione dei flussi verso paesi in precedenza considerati come semplici paesi di transito per gli immigrati, come Italia, Spagna e Portogallo [La Porta 2000, Lagomarsino 2006].

Il flusso degli anni Ottanta in Italia, dovuto alle politiche restrittive di alcuni paesi, era caratterizzato da una forte presenza di uomini di origine africana ed asiatica, che primieramente, appena arrivati, lavoravano per strada, divenendo così facilmente visibili, anche per via dei loro tratti somatici molto diversi da quelli degli autoctoni.

I flussi migratori verso l’Italia erano composti in maggioranza da uomini marocchini soli, i cosiddetti vù cumprà, ma si assisteva anche all’arrivo di donne per esigenze economico-lavorative, ma anche per bisogno di libertà e di crescita culturale [Macioti,Vitantonio, 2006; Palidda, 2008]

Come analizzato nel capitolo precedente, le motivazioni migratorie erano varie: dalle esigenze economiche alla ricerca della libertà, dalla voglia di conoscere un mondo nuovo alle esigenze familiari.

Sebbene il fattore economico sia sempre stato considerato l’elemento decisivo dell’atto migratorio, le donne migranti spesso maturavano la decisione di migrare perché volevano fuggire dalla

-76- cultura maschilista del loro paese di origine che le obbligava ad

essere totalmente sottomesse agli uomini [Braidotti 2002, Campana 2000].

Inoltre, molte donne volevano sottrarsi alle violenze maschili e all’autorità parentale, ciò riguardava soprattutto le vedove, le divorziate, le separate, che decidevano di migrare per motivi economici o per il desiderio di cambiare vita [Bonora, 2008; Braidotti, 1995]

Sulla base di alcuni studi condotti nei paesi europei risulta chiaramente che la presenza di donne immigrate separate, divorziate, separate di fatto sia molto più alta di quanto non sia l’incidenza di questo fenomeno fra gli uomini.

Ciò è dovuto al fatto che nei loro paesi queste donne versano in condizioni di vita molto più vessatorie rispetto agli uomini che sono nella stessa condizione, per questo motivo esse decidono di emigrare. In particolare, nelle società dove l’emigrazione è caratterizzata soprattutto dalla presenza maschile, sono le donne separate, divorziate o vedove che decidono di emigrare da sole. Per esse, la migrazione è la soluzione per scappare dalla loro cultura e per cercare di entrare a far parte della cultura occidentale.

Secondo ricerche recenti sul fenomeno migratorio degli anni Ottanta, le donne sono i soggetti attivi di tali processi [Sambo, 2017; La Porta 2000].

I flussi degli anni Ottanta sono stati, dunque, più facilmente ravvisabili rispetto a quelli degli anni Settanta perché si è realizzato un maggiore equilibrio fra appartenenza di genere; tuttavia, per quanto riguarda le donne, i flussi migratori degli anni Ottanta si caratterizzano per la graduale emancipazione dalla segregazione occupazionale: le donne non si occupano solo del lavoro domestico a tempo pieno ma anche del lavoro a ore e ciò facilita una maggiore relazione con gli autoctoni [A.A.VV., 2002; Mariti, 2003]

La maggiore conoscenza da parte delle donne immigrate del contesto in cui sono inserite e la loro capacità di articolarsi nel territorio e con il paese di accoglienza costituisce un processo di

-77- emancipazione. Negli anni Ottanta Le donne immigrate cominciano

ad aggregarsi fra loro per poter condividere una casa, a porsi il problema dei figli e/o del marito rimasti nel paese d’origine: esse iniziano a tessere quella rete, relazionale e identitaria, che sarà a tutti gli effetti una rete di grande protezione dei flussi migratori verso l’Italia [Bonora, 2011; Iotti, 2002]

La presenza comincia, quindi, ad equilibrarsi numericamente tra uomini e donne anche se vi sono dei flussi che presentano una maggiore incidenza femminile e flussi con una maggiore incidenza maschile.

In conclusione, gli anni Ottanta, oltre a far registrare un marcato equilibrio di genere nei flussi migratori, sono soprattutto caratterizzati dall’avvio del processo dell’emancipazione lavorativa delle donne, inoltre, le provenienze di queste donne sono sempre più differenziate fra i diversi continenti rispetto agli anni precedenti [Braidotti, 1995; La Porta, 2000].

2.6.4 (Segue) La terza fase dei flussi migratori: gli anni Novanta

Una caratteristica dei flussi migratori negli anni novanta è l’equilibrio fra maschi e femmine e la presenza delle donne del ricongiungimento familiare [Tognetti Bordogna, 2001; Palidda 2008].

Nella prima metà del decennio, infatti, molte donne erano giunte in Italia per essere ricongiunte. Erano soprattutto le mogli, identificate come coloro che rivestono un ruolo tradizionale nell’emigrazione.

Il numero delle donne arrivate per motivi di ricongiungimento cresceva molto e, specialmente, quello delle mogli, le donne della tradizione o donne velate. Oltre a queste ultime, vi erano molte donne che ricongiungevano il marito ed i figli: erano le cosiddette donne pioniere, che erano state le prime a partire negli anni

-78- Settanta dando inizio al percorso migratorio[La Porta 2000,

Lagomarsino 2006]

Nonostante ciò, gli anni ’90 sono identificati anche con il fenomeno della tratta di donne e di minori a causa della prostituzione, che caratterizzano la realtà migratoria femminile di quegli anni.

Era un fenomeno che contraddistingueva solo una parte della realtà migratoria femminile. Tuttavia, esso esponeva molto le donne che uscivano dalla loro precedente invisibilità e divenivano visibili. Il problema della prostituzione non si caratterizza solo per la presenza delle donne della tratta, ma vede anche una presenza significativa di donne che sono a conoscenza del tipo di lavoro che svolgeranno in Italia, della loro attività di prostitute, ma che disconoscono le condizioni di sfruttamento, di maltrattamento, e le condizioni lavorative a cui saranno sottoposte [AA.VV., 2000; Ambrosini, 1999].

Le prime donne ad inserirsi in questo ambito arrivarono negli anni 89/90 dai paesi dell’Est, dalla Nigeria negli anni ’91/92, dall’Albania negli anni ’93/94, poi dai paesi dell’Est, e successivamente dai paesi del Sud America [A.A.VV., 2000; Ambrosini 2003]

Tra queste donne, ci sono poi quelle che lavorano nei locali notturni o negli appartamenti privati come ballerine e cantanti.

Il settore della prostituzione costituisce forse l’unica alternativa al lavoro domestico e sebbene si riferisca solo ad alcuni gruppi, ha un’incidenza molto negativa sul fenomeno migratorio, poiché oscura i percorsi individuali delle donne, enfatizzando gli stereotipi della migrazione [Ceschi, Mazzonis, 2003]

In questo modo infatti l’idea di senso comune della donna immigrata inizia ad essere associata alle prostitute ed alle donne nigeriane, creando un paradigma e che non corrisponde al caleidoscopio delle molteplici realtà di tutti i percorsi migratori al femminile [Tognetti Bordogna 2003]

-79- In più, in questi anni si assiste alla riduzione della

segregazione occupazionale del lavoro domestico: le donne svolgono ancora il lavoro di cura, ma iniziano anche a lavorare nelle imprese di pulizia, entrano in piccole cooperative, iniziano a lavorare autonomamente come ambulanti, lavorano nel settore dell’industria come operaie generiche, sia a tempo parziale sia con contratti di formazione lavoro e di apprendistato [Bindi, Baldassarre, Nanni, 2018]

2.6.5 (Segue) Le donne del ricongiungimento negli anni novanta

Verso la fine degli anni ’90, i flussi si stabilizzano. Il gruppo delle donne immigrate del ricongiungimento comincia ad acquistare una maggiore visibilità: il ricongiungimento familiare è definito come fattore di incremento dei flussi, e non soltanto come un fatto sociale totale nella vita di queste persone [Tognetti, Bordogna, 2004].

Il ricongiungimento familiare assume diverse forme che necessitano di un forte sostegno non solo per chi ha effettuato il ricongiungimento ma anche per chi è stato ricongiunto [Tognetti Bordogna, 2002]: ad es. le donne ricongiunte se neo-madri, incontrano non poche difficoltà a diventare madri durante i primi anni dell’arrivo nel paese di accoglienza, poiché vivono questo evento così significativo della propria vita in una situazione di grande discontinuità rispetto alla propria storia, ai legami con la famiglia d’origine ed al gruppo di appartenenza [Tognetti Bordogna, 2002].

La situazione si complica ulteriormente se hanno già dei figli dal momento che la loro scelta di progetto lavorativo esterno può subire dei condizionamenti non potendo esse fare affidamento ai parenti.

Tutto produce delle conseguenze sulla qualità della vita familiare, poiché viene a mancare un elemento di supporto, ad esempio, nel processo di socializzazione dei figli come nel caso dell’apprendimento della lingua italiana e dei rapporti con

-80- l’istituzione scolastica [Bonora, 2011; C. Gamberi, Maio, Selmi

2010]

In virtù di tale vissuto delle donne ricongiunte marcato da un forte sentimento di disagio, ricollegabile non solo alla mancanza delle relazioni affettive, della cerchia delle donne, del mondo femminile, ma anche della perdita della propria identità lavorativa, emerge in queste donne una consapevolezza a resistere, per non tradire il modello culturale di riferimento, il quale presuppone la vicinanza alla figura maschile [Iotti, 2002]

Nella relazione tra moglie e marito, si crea spesso un cambiamento, un blocco del ruolo maschile tradizionale, che ostacola le donne in eventuali relazioni esterne alla famiglia nel paese d’immigrazione, anche in quei casi dove la donna prima del