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Donne migranti e lavoro domestico. Studio pilota per una ricerca sul campo.

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Academic year: 2021

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(1)

Dipartimento di Scienze Politiche

Corso di Laurea in

Sociologia e management dei Servizi Sociali

Prova finale

Donne migranti e lavoro domestico.

Studio pilota per una ricerca sul campo.

Relatore:

Tomei Gabriele

Candidata:

Genco Stella

matricola 537222

Anno Accademico 2017-2018

(2)

-I-

Indice Generale

Indice Generale………..pag. I Premessa………...pag. 6

Capitolo 1

Il fenomeno migratorio e il suo processo di femminilizzazione

1.1 Le origini della migrazione……….pag.9 1.2 L’immigrazione in Italia……….pag.9 1.3 Le teorie della migrazione e le differenti motivazioni………..pag.12 1.4 I numeri attuali del fenomeno migratorio in Europa………....pag.17 1.5 Migranti oggi: Quanti sono? Chi sono? Da dove vengono?...pag.18 1.5.1. (Segue) Gli Sbarchi In Italia, Grecia e Spagna………..pag.21 1.6 L’immigrazione femminile: nuove tipologie e dinamiche…….pag.27 1.7.1(Segue) L’immigrazione femminile per lavoro………...pag.29 1.7.2(Segue) Le donne che emigrano per motivi familiari………..pag.33 1.7.3(Segue) Le donne migranti rifugiate e richiedenti asilo……..pag.34 1.8 Determinanti e opportunità per le donne migranti………pag.37 1.8.1 (Segue) Il burqa ed il niqab in Europa ed in Italia………….pag.39 1.8.2 (Segue) Femme-relais: la mediatrice delle donne immigrate……….pag.44 1.8.3 (Segue) Quadro normativo in riferimento al lavoro domestico ……….pag. 46 1.8.4 (Segue) Associazionismo femminile………...pag.50

Capitolo 2

La migrazione femminile nel tempo: fattore di cambiamento

sociale e nuovo mercato del lavoro

2.1 La femminilizzazione dei flussi migratori……….pag.53 2.2 Il ricongiungimento familiare………pag.55 2.3. L’immigrazione per motivi di lavoro………....pag.57 2.4. L’immigrazione come fuga e riscatto………..pag.61

(3)

-II- 2.5. Le donne immigrate nel mondo del lavoro………..pag.62

2.5.1 (Segue) Il lavoro domestico e di cura………pag.66 2.6. Un’analisi storica dell’influenza dei vari periodi sulle condizioni di lavoro delle donne immigrate………..pag.68 2.6.1 (Segue) Gli anni Settanta ed i primi flussi migratori………..pag.72 2.6.2 (Segue) Le colf negli anni Settanta………pag.74 2.6.3 (Segue) La seconda fase dei flussi migratori: gli anni Ottanta...pag.75 2.6.4 (Segue) La terza fase dei flussi migratori: gli anni Novanta………pag.77 2.6.5 (Segue) Le donne del ricongiungimento negli anni novanta...pag.79 2.7 La quarta fase: Le donne immigrate del nostro millennio…….pag.81 2.7.1 (Segue) Le badanti del secondo millennio………..pag.81 2.7.2 (Segue) Le donne rifugiate del nuovo millennio…………...pag.82 2.8. Risvolti sociali della migrazione femminile………pag.83 2.9. La "doppia esclusione"………..pag.84 2.10. Il "doppio sfruttamento"………..pag.85

Capitolo 3

Studio pilota: interviste e analisi sulle donne migranti e il loro

lavoro

3.1 Obiettivi e caratteristiche dello studio pilota effettuato…………...pag.88 3.2 L’importanza della relazione tra intervistato e intervistatore……..pag.89

3.2.1 Il primo approccio: la conoscenza del contesto………pag.92 3.2.2 Il rapporto con le donne intervistate ………pag.94 3.3 Le diverse tipologie di intervista……….pag.95 3.3.1 La procedura dell’intervista standardizzata: il questionario…...pag.97 3.3.2 La procedura dell’intervista semi-strutturata………pag.99 3.3.3 La procedura dell’intervista non direttiva o biografica………...pag.100

(4)

-III- 3.4 Tipologia e caratteristiche delle interviste dello studio pilota…..pag.101

3.4.1 L’intervista di Angelica………..pag.102 3.4.2. L’intervista di Douri………..pag.109 3.4.3. L’intervista di Monica………pag.113

3.5 Metodologia, finalità e risultati delle interviste……….pag.118 Conclusioni………..pag.122

(5)

-4- Premessa

L’Europa rappresenta oggi uno dei paesi più attrattivi per il fenomeno dell’immigrazione e in particolare l’Italia ha una posizione di rilievo e di crocevia nel bacino del Mediterraneo. Si assiste, dunque, ad una progressiva pressione migratoria dall’area dell’Europa centrorientale, in particolare dalla Romania, ma anche dai paesi del Nord Africa ed i paesi dell'America Latina e dell'Asia, come la Cina, le Filippine e l’India.

Il fenomeno dell’immigrazione, come appena accennato sempre più crescente, è nato inizialmente per un’esigenza legata alla ricerca del lavoro, prevalentemente da parte degli uomini, e poi successivamente ha visto il presentarsi dei ricongiungimenti familiari: ciò ha portato ad una notevole presenza di donne provenienti da altre parti del mondo e quindi alla presenza di altre culture, identità, modi di vivere e abitudini.

Tuttavia, il fenomeno migratorio sta assumendo, negli ultimi anni, nuove caratteristiche, nuove dinamiche e nuove tipologie. In particolare, l’immigrazione femminile si sta sviluppando sempre più, costituendo un fenomeno eterogeneo per la varietà di provenienze e per i differenti percorsi che ne segnano lo sviluppo. E’ chiaro che un nuovo scenario dell’immigrazione sta prendendo piede attraverso la questione della diversità culturale ma anche attraverso tipologie e modelli familiari differenti: le donne non sono viste più come attrici secondarie del fenomeno ma al contrario protagoniste e portatrici di un progetto migratorio autonomo.

Le donne immigrate sembrano, dunque, assumere nuove posizioni in merito ai percorsi migratori, alle scelte di espatrio, all’inserimento nella società di arrivo e, in particolare, rispetto alla collocazione tra la propria cultura e la cultura dei paesi ospitanti. L’impatto con la cultura del paese ospitante diventa, infatti, il punto focale della questione poiché le donne immigrate possono riscontrare dei disagi, un diverso modo di porsi rispetto a sé stesse, alle famiglie,

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-5- alle donne della loro comunità e alle nuove conoscenze ed ai nuovi

rapporti che esse instaurano nella città che le ospita.

La donna costituisce, dunque, l'anello principale della catena migratoria e diventa parte attiva nel mercato del lavoro e nel processo decisionale: la donna diventa soggetto attivo e protagonista del fenomeno. Il nuovo profilo della donna immigrata rappresenta un fattore di cambiamento sociale: una donna non più nell’ombra ma una donna in grado di coniugare diversi aspetti distanti tra loro e solo apparentemente inconciliabili.

Concludendo, il fenomeno dell’immigrazione femminile è legato non solo all’aspetto dell’emigrazione ma ad una serie di tematiche molto importanti da sempre motivo di dibattito, come l’affermazione della donna in generale, l’emancipazione della donna, la vita domestica e il tempo libero della donna da conciliare con i vari compiti che è chiamata ad espletare nelle differenti società e culture di un paese.

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-6-

Capitolo 1

Il fenomeno migratorio e il suo processo di

femminilizzazione

SOMMARIO: 1.1 Le origini della migrazione – 1.2 L’immigrazione in Italia – 1.3 Le teorie della migrazione e le differenti motivazioni – 1.4 I numeri attuali del fenomeno migratorio in Europa – 1.5 Migranti oggi: Quanti sono? Chi sono? Da dove vengono? – 1.5.1. (Segue) Gli Sbarchi In Italia, Grecia e Spagna – 1.6. L’immigrazione femminile: nuove tipologie e dinamiche – 1.7 L’immigrazione femminile in Italia – 1.7.1 (Segue) L’immigrazione femminile per lavoro – 1.7.2 (Segue) Le donne che emigrano per motivi familiari – 1.7.3 (Segue) Le donne migranti rifugiate e richiedenti asilo –1.8 Determinanti e opportunità per le donne migranti – 1.8.1 (Segue) Il

burqa ed il niqab in Europa ed in Italia – 1.8.2. (Segue) Femme-relais: la mediatrice delle donne immigrate – 1.8.3. (Segue)

Quadro normativo in riferimento al lavoro domestico – 1.8.4. (Segue) Associazionismo femminile

1.1 Le origini della migrazione

Il fenomeno migratorio è un fenomeno sociale che comporta lo spostamento di un singolo individuo o un gruppo di persone dal proprio luogo di origine verso un altro luogo per varie motivazioni: ambientali, economici, sociali ecc. [Pugliese, 2006]

La migrazione dei popoli è un fenomeno da sempre esistito: i primi a migrare furono gli uomini primitivi che cercavano ambienti più fertili e più ricchi di cacciagione.

Le migrazioni sono poi proseguite con particolare intensità: i Greci colonizzarono l’Italia Meridionale, i Romani colonizzarono una gran parte dell’Europa e i Barbari che venivano dall’Asia, si insediarono nell’Europa Centro-settentrionale. Durante il Medioevo poi gli Arabi e i Turchi migrarono verso l'Europa ed, infatti, è per questo motivo che oggi la popolazione Europea è il risultato della lunga convivenza con popolazioni di origine africana e asiatica [Bevilacqua – De Clementi – Franzina, 2001].

(8)

-7- Per tutta l’età antica dunque il Mediterraneo fu al centro di

spostamenti umani di diversa natura che incisero in vario modo nelle società di arrivo, ad esempio dal punto di vista della legislazione favorevole o sfavorevole all’accoglienza e all’integrazione dello straniero, oppure a livello della mentalità con lo sviluppo di atteggiamenti xenofobi, come nel caso delle espulsioni coatte quali quella degli ebrei da Roma del I secolo d.C. Le migrazioni forzate furono diffuse per tutta l’antichità, con espulsioni di popolazioni intere, ma anche di gruppi più ristretti in conseguenza di guerre e rovesciamenti politici.

L’età tardo-antica e l’inizio del medioevo coincisero con una fase secolare di movimenti di popolazione conosciuti generalmente come invasioni barbariche. Le invasioni barbariche e la deposizione dell’ultimo imperatore latino da parte del generale germanico Odoacre, segnarono la definitiva crisi della romanità in Occidente e l’inizio di un’altra fase della storia: l’età del Medioevo [Bevilacqua, De Clementi, Franzina, 2001]. Le incursioni dei barbari segnarono l’inizio di una profonda crisi, che travolse l’Occidente europeo e che determinò una vera e propria rivoluzione: politica, sociale, economica e culturale.

Il calo demografico, la cadenza del commercio e delle città, la diffusione di un paesaggio dominato della foresta furono altrettanti fattori che contribuirono alla nascita di un nuovo tipo di economia, fondato sulle attività agricole e sullo sfruttamento delle aree forestali. Si formarono insediamenti umani circoscritti, coincidenti con le ville, in cui gli uomini si ritirarono a vivere.

Alla fine del V secolo d. C. nell’impero d’Occidente, ormai interamente occupato dai barbari, si formarono i regni romano-barbarici. Nella maggioranza dei casi, i sovrani barbari per governare cercarono la collaborazione della classe dirigente locale: l’aristocrazia barbara gestiva il potere militare, mentre l’amministrazione pubblica rimase nelle mani della popolazione romana. Le tradizioni giuridiche dei barbari si affiancarono al diritto romano, subendone l’influenza. In campo religioso

(9)

-8- l’arianesimo dei barbari convisse generalmente con il cattolicesimo

dei romani.

Dai primi anni del VII secolo si diffuse la predicazione di Maometto, un cammelliere della mecca che elaborò una nuova religione monoteistica: l'Islam. Tale fede penetrò rapidamente tra i beduini, ai quali consentì l'attività di razzia. Nel 630 Maometto invase e riconquistò la Mecca, unificando così l'intera Arabia. L'unità del mondo musulmano fu garantita dall'osservanza della stesse fede e del rispetto delle norme di vita indicati dal Corano, il libro sacro dell'Islam. Alla morte di Maometto, dopo sanguinose lotte intestine che coinvolsero la fazione degli "sciiti" e quella dei "sunniti", il governo fu assunto dalla dinastia degli Omayyadi. A partire dal 633, una forte espansione territoriale portò alla conquista di Palestina, Siria, Mesopotamia, Egitto, di vasti territori asiatici, dell'Africa settentrionale e della Spagna.

Le popolazioni assoggettate conservarono le proprie terre e continuarono a svolgere le attività produttive, pagando le imposte ai conquistatori. A partire dalla metà del VII secolo prese il via un processo di progressiva integrazione tra Arabi e genti conquistate. L'ampiezza raggiunta dall'impero pose gli Arabi di fronte e difficili problemi politici, religiosi, economici e sociali.

Le tensioni sfociarono in una rivolta guidata dalla famiglia degli Abbasidi, che nel 750 si impadronirono del potere. La dinastia abbaside seppe conferire al mondo islamico una notevole omogeneità, favorendo l'integrazione fra le numerose e importanti civiltà che lo costituivano. La spinta verso l'autonomia da parte di molte aree dell'impero crebbe costantemente e determinò il distacco di numerose regioni che si resero indipendenti. L'espansione territoriale continuò in Sicilia, conquistata nel IX secolo dal califfato di Tunisia.

L'Occidente europeo fu segnato dalle invasioni arabe anche in Spagna e in Francia, invasioni che influirono sulla visione negativa dell'Islam che si formò nel mondo cristiano.

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-9- Gli Arabi elaborarono un sistema di conoscenze di

straordinaria vitalità. La civiltà araba diede contributi importanti in campo matematico, astronomico, filosofico, medico e geografico.

Inoltre, furono introdotte importanti innovazioni nell'agricoltura e nel commercio, mentre gli influssi islamici sono evidenti, in campo linguistico, nei numerosi arabismi presenti nelle lingue europee.

Infine, gli Europei cominciarono a emigrare a partire dal XVI secolo, dopo le grandi scoperte geografiche: essi popolarono il continente Americano, in particolare le coste e successivamente l’interno e verso ovest, fino al Pacifico e al Far West dove si trovava l’oro.

Tuttavia, soprattutto nella seconda metà dell’800 in molti Paesi Europei la crescita della popolazione causò una mancanza di risorse e per questo grandi masse di manodopera migrarono verso il Canada e gli Stati Uniti, l’Argentina e il Brasile, il Sudafrica e l’Australia, dove trovarono lavoro e dove spesso si insediarono stabilmente.

1.2 L'immigrazione in Italia

L'immigrazione in Italia è iniziata dal 1861 e si è diffusa in particolare dagli anni Settanta, diventando poi un fenomeno caratterizzante della demografia italiana nei primi anni del terzo millennio.

Dall'Unità in poi, l'Italia, è stato infatti un paese per lo più di emigrazione e oggi si parla di quel periodo come grande emigrazione o diaspora italiana [Bevilacqua, De Clementi, Franzina, 2001]: tra il 1876 e il 1976 partirono oltre 24 milioni di persone e nel 1913 si arrivò al culmine con 870.000 persone.

Il fenomeno dell'immigrazione era stato, dunque, per tutto questo periodo quasi inesistente, ad eccezione di alcuni fenomeni di carattere episodico come le migrazioni dovute alla seconda guerra mondiale, come l'esodo istriano o il rientro degli italiani dalle ex-colonie d'Africa.

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-10- Tuttavia, a partire dagli anni Sessanta, dopo il miracolo

economico il fenomeno dell'emigrazione cominciò ad affievolirsi e nel 1973, l'Italia vide un aumento del fenomeno migratorio: si assistette per la prima volta ad un saldo migratorio positivo, come 101 ingressi ogni 100 espatri, nonostante la maggior parte degli ingressi in Italia riguardavano i rientri in Italia di emigranti italiani. E’ solo verso la fine degli anni Settanta che iniziò ad aumentare il flusso di stranieri, sia per la politica delle porte aperte praticata dall'Italia, sia per politiche restrittive adottate da altri paesi: nel 1981, il primo censimento Istat degli stranieri in Italia stabiliva la presenza di 321.000 stranieri, e un anno dopo fu così introdotto un primo programma di regolarizzazione degli immigrati privi di documenti.

Nel 1986 si ebbe la prima legge [L. 30 dicembre 1986, n. 943] riguardante gli immigrati in Italia che aveva l'obiettivo di garantire ai lavoratori extracomunitari gli stessi diritti dei lavoratori italiani.

Negli anni Novanta il fenomeno migratorio ha continuato a svilupparsi e venne emanata la Legge Martelli [L. 28 febbraio 1990, n. 39] che introduceva per la prima volta una programmazione dei flussi d'ingresso, e costituiva una sanatoria per coloro che già erano nel nostro Paese: allo scadere dei sei mesi previsti vennero regolarizzati circa 200.000 stranieri, provenienti principalmente dal Nord Africa. Inoltre, l’Italia assistette nel 1991 anche alla prima "immigrazione di massa" dall' Albania risolta con degli accordi bilaterali.

Nel 1998 venne emanata la Legge Turco-Napolitano [L. 6 marzo 1998, n. 40], con l’obiettivo di regolamentare ulteriormente i flussi in ingresso, cercando di scoraggiare l’immigrazione clandestina e istituendo, per la prima volta in Italia, dei centri di permanenza per gli stranieri che erano sottoposti a provvedimenti di espulsione. La legge, passò nonostante la dura opposizione della minoranza parlamentare, costituisce ancora oggi l’ossatura del

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-11- Testo Unico sull’Immigrazione (decreto legislativo 286/1986),

nonostante le modifiche restrittive successivamente apportate. Con il decennio di inizio secolo in Italia ci fu un periodo di notevole aumento numerico della popolazione immigrata, passata da meno di 1,5 milioni a quasi 5 milioni: con le cosiddette “primavere arabe” del 2011 è iniziata la fase dei flussi misti, in cui ai profughi che arrivano per motivi umanitari si affiancano persone che si spostano per motivi di lavoro, mentre hanno continuato a seguire le regolari procedure quelli interessati ai ricongiungimenti familiari. Gli sbarchi sono stati tra i 150mila e i 170mila l’anno nel triennio 2014-2016 e hanno visto il governo italiano impegnato nell’accoglienza senza un sostanziale aiuto dell’Unione europea e in conseguenza crescenti malumori da parte degli Enti Locali e della popolazione. Ci fu dunque l’esigenza di modificare restrittivamente diversi articoli del Testo Unico attraverso l’emanazione della legge 179 del 2002, la cosiddetta legge Bossi-Fini nel 2002 che prevede anche la possibilità dell'espulsione immediata dei clandestini da parte della forza pubblica.

Nel 2008 sono susseguite disposizione molto restrittive contenute nel cosiddetto “pacchetto sicurezza” [D.L. 23 maggio 2008, n. 92] del Ministro Maroni: il pacchetto sicurezza ritiene necessario difendersi dallo straniero anche con le fantomatiche “ronde popolari”, queste finite fortunatamente nel nulla, mentre altre norme sono state dichiarate incostituzionali e altre depennate per il diffuso contrasto da parte della società civile (inizialmente si voleva formalizzare che i medici quando assistevano un immigrato irregolare dovessero denunciarlo alle autorità di polizia).

Negli anni della crisi, sotto il peso della disoccupazione e delle difficoltà di creare nuovi posti di lavoro in un Paese dai bassi tassi di sviluppo e attardato rispetto alla media europea, non si è riusciti a venire a capo della questione sviluppo e solo dal 2014 è finita la recessione. Nel 2015 gli arrivi per lavoro sono quasi cessati, sono continuati gli ingressi per ricongiungimento familiare,

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-12- si sono imposti gli sbarchi dei profughi e, insieme con loro, di

migranti alla ricerca di lavoro, i cosiddetti “flussi misti”.

La strategia italiana, come quella europea, in materia di politica migratoria è inconcludente e finora in Italia non si è riusciti a condividere un minimo comune denominatore di politica migratoria tra gli schieramenti politici, pur essendo necessario per conferire efficacia alle misure adottate. Gli aggiustamenti normativi sono avvenuti per decisioni giudiziarie o interne o della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, esclusivamente per l’obbligo di applicare le direttive europee. Quanto detto vale, ad esempio, per l’obbligo di concedere le prestazioni non contributive ai titolari di permesso di soggiorno, per portare a 5 da 6 anni il requisito necessario per ottenere la carta di soggiorno, per diminuire la tassa per il rinnovo del permesso di soggiorno, per non effettuare i rimpatri con immediatezza senza lasciare a disposizione il tempo per un eventuale ritorno volontario, per il superamento delle discriminazioni occulte fondate sulla residenza non meno degli ostacoli frapposti all’accesso ai posti pubblici, per l’accesso al servizio civile ecc.

Tuttavia, diversamente da altri Paesi europei di immigrazione, in Italia i cittadini stranieri sono arrivati dalle più disparate nazioni dei diversi continenti, apportando una molteplicità di culture, tradizioni, religioni. L’alternativa tra assimilazione e multiculturalismo è stata superata dall’Italia con il riconoscimento della mediazione culturale, presente nella legge 40 dl 1998, che unisce al rispetto della legge e al principio di uguaglianza di fronte ad essa il riconoscimento delle differenze che non costituiscono un ostacolo alla convivenza.

1.3 Le teorie della migrazione e le differenti motivazioni

Oggi la percezione di vivere in un mondo globalizzato è sempre più diffusa e questo è dovuto anche ai flussi migratori provenienti dai più lontani Paesi del mondo. La migrazione umana,

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-13- come menzionato sopra, è un movimento di persone da un luogo ad

un altro, fatto con l'intenzione di stabilirsi temporaneamente o permanentemente nella nuova posizione. La migrazione può riguardare individui, famiglie o larghi gruppi di persone. La migrazione umana è un fenomeno sociale dovuto a diversi motivi [Villa, 2008].

Le motivazioni alla base della scelta di un migrante di partire sono quasi sempre legate al tentativo di trovare altrove migliori condizioni di vita, fuggendo dalla mancanza di lavoro, difficoltà economiche, guerre, carestie, siccità, disastri naturali, ecc. Per la maggior parte dei migranti, la scelta di emigrare rappresenta comunque un fatto obbligato dettato dalla sopravvivenza: migliori opportunità di lavoro, salute, casa, istruzione su standard neppure soltanto lontanamente immaginabili nei paesi di partenza.

Tuttavia, non tutti gli spostamenti rientrano nel fenomeno dell’immigrazione: i popoli nomadi non sono normalmente considerati come immigrati, poiché i nomadi non intendono stabilizzarsi su un posto in quanto il loro movimento è mantenuto generalmente costante e anche lo spostamento di persone dovuto a turismo o pellegrinaggio è un tipo di migrazione, perché neanche in questo caso vi è il presupposto di stabilirsi nel luogo di destinazione.

E’ fondamentale sottolineare che la migrazione umana si presenta sia sotto forma di migrazione volontaria all'interno di una regione o di un Paese, che sotto forma di migrazione involontaria o forzata, come lo schiavismo, il traffico di esseri umani e la pulizia etnica.

Al fine di spiegare le migrazioni internazionali, sono state analizzate diverse teorie [Gurak, Caces, 1992].

L’economia neoclassica si è focalizzata sia sui differenziali nei salari e nelle condizioni di lavoro tra due paesi sia sui costi di trasferimento e in generale le migrazioni vengono viste come una decisione individuale finalizzata a massimizzare il proprio reddito.

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-14- Un altro approccio abbastanza differente dall’approccio

della teoria neoclassica è quello della “New economics of

migration” [Stark, Bloom 2013] che tiene in considerazione diversi

mercati, non solo quello del lavoro: le migrazioni sono intese come una decisione familiare presa per minimizzare i rischi riguardanti il reddito complessivo del nucleo o per superare gli ostacoli finanziari legati alle attività produttive.

Sebbene la teoria neoclassica del capitale umano e la nuova economia delle migrazioni conducono a conclusioni divergenti per quanto riguarda le origini e la natura delle migrazioni internazionali, ambedue sono essenzialmente modelli micro-individuali. Differiscono per i seguenti assetti:

 chi decide: l’individuo o la famiglia

 oggetto da massimizzare o da minimizzare: il reddito o il rischio

 ipotesi sul contesto economico di coloro che prendono le decisioni: mercati completi e ben funzionanti contro mercati assenti o carenti

 fino a che punto la decisione di emigrare viene contestualizzata nel sociale: se il reddito è valutato in termini assoluti o relativizzato rispetto a qualche gruppo di riferimento.

Un’altra teoria è quella del dualismo del mercato del lavoro che non afferma né smentisce che gli attori effettuino scelte razionali, come previsto dai modelli microeconomici e anche se non si pone in netto contrasto con l’approccio economico neoclassico, porta ad implicazioni che sono abbastanza differenti da quelli emersi nell’ambito dei modelli decisionali a livello micro: 1. le migrazioni internazionali di lavoro sono causate in modo predominante dai fattori di domanda e hanno inizio con il reclutamento da parte di imprenditori (o dei governi) dei PS

2. poiché questa domanda deriva dalle esigenze strutturali dell’economia e si esprime tramite procedure di reclutamento più che offerte di salario, i differenziali salariali non sono una

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-15- condizione né necessaria né sufficiente per dar luogo

all’immigrazione

3. livelli salariali bassi nei paesi d’arrivo non aumentano in risposta al calo dell’offerta di mano d’opera straniera; si mantengono bassi a causa dei meccanismi sociali ed istituzionali 4. i livelli salariali bassi possono viceversa diminuire come risultato dell’incremento dell’offerta di forza di lavoro straniera in quanto i controlli sociali ed istituzionali non impediscono questo decremento

5. è improbabile che i governi influenzino l’evoluzione del fenomeno migratorio attraverso politiche finalizzate a modificare marginalmente i tassi salariali e di occupazione; gli immigrati corrispondono ad una domanda di lavoro, che è una componente intrinseca delle economie moderne e post-industriali e la gestione di questa domanda di lavoro richiede consistenti modifiche dell’organizzazione economica.

Infine, un altro tipo di approccio è la cosiddetta teoria delle reti: le reti migratorie sono costituite da rapporti interpersonali che collegano i migranti, gli ex-migranti e i non migranti nelle aree di origine e di destinazione, formando una sorta di capitale sociale cui è possibile attingere per trovare lavoro oltre frontiera. Questi rapporti aumentano la probabilità di migrare in quanto fanno calare i costi e i rischi legati allo spostamento, consentendo un incremento dei guadagni netti:

1. una volta iniziate, le migrazioni tendono ad espandersi nel tempo, consolidando una rete di rapporti interpersonali;

2. l’ampiezza del flusso migratorio tra due paesi non è strettamente correlato ai differenziali salariali o ai tassi di occupazione in quanto le variazioni di questi due elementi tendono ad essere oscurate dal calo (azioni delle reti) dei costi e dei rischi; 3. poiché le migrazioni internazionali tendono ad istituzionalizzarsi tramite le reti, esse diventano indipendenti dai fattori (strutturali o individuali) che le hanno originate;

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-16- 4. con il consolidamento delle reti, i flussi sono meno selezionati

in termini socioeconomici e tendono ad essere maggiormente rappresentativi della società di origine;

5. i governi devono attendersi notevoli difficoltà nei controlli dei flussi una volta che essi siano iniziati: le reti si consolidano al di fuori e al di là delle iniziative politiche;

6. alcune iniziative politiche, quali le riunificazioni familiari, possono avere fini contrastanti con il controllo delle migrazioni in quanto rinforzano le reti dando ai componenti della famiglia speciali diritti all’entrata.

Concludendo, esistono vari tipi di teorie sull’immigrazione e di conseguenza diversi migranti, classificati in base al motivo della migrazione, se migrano legalmente o anche clandestinamente:  Ricongiungimento familiare: diritto del cittadino straniero che vive in uno stato di richiedere l'ingresso dei familiari che risiedono all'estero, al fine di ristabilire in modo continuativo l'unità della propria famiglia.

 Migrante ambientale: persona che è stata costretta a lasciare il proprio habitat tradizionale, temporaneamente o permanentemente a causa di un'interruzione ambientale che ha messo in pericolo la sua esistenza e gravemente influito sulla qualità della sua vita.

 Richiedente asilo: è la persona che fuori dal proprio paese d'origine, presenta in un altro Stato domanda per il riconoscimento della protezione internazionale.

 Rifugiato: persona che, "nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato" [Enciclopedia treccani].

 Clandestino:

- Unlawful entry: colui/colei che entra nel territorio di un Paese eludendo i controlli alla frontiera oppure con documenti falsi.

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-17- - Overstayer: colui che è entrato regolarmente nel Paese, ma poi

rimane più del tempo che gli è stato permesso, come la scadenza del permesso di soggiorno o del visto.

Migrante economico: colui che lascia il proprio Paese d'origine per ragioni puramente economiche non collegate alla definizione di rifugiato/a, o al fine di migliorare i propri mezzi di sostentamento. Seconda generazione: persone figli/glie dei migranti.

Esistono dunque vari e differenti fattori attrattivi ed espulsivi che rendono particolarmente attraenti alcune aree geografiche del mondo, tra queste l’Europa che oggi rappresenta uno dei grandi poli di immigrazione e in particolare l’Italia che ha una posizione di rilievo e di crocevia nel bacino del Mediterraneo [Delle Donne, 2004]

Il quadro che oggi sembra emergere è di una progressiva pressione migratoria dall’area dell’Europa centro orientale, guidata nella graduatoria dalla Romania. Non vanno comunque sottovalutati, soprattutto in una visione di lungo periodo, i vicini paesi del Nord Africa ed i paesi geograficamente lontani sia dell'America Latina che dell'Asia (Cina, Filippine e Subcontinente Indiano), paesi nei quali accanto alla forte pressione migratoria gioca un ruolo decisivo l'effetto di richiamo dei gruppi già insediati in Italia legato alle esigenze del nostro mercato occupazionale. Per tutti questi paesi, dunque, il Mediterraneo rappresenta un punto di passaggio decisivo.

1.4 I numeri attuali del fenomeno migratorio in Europa

Attualmente il fenomeno migratorio risulta un problema di grande attualità e criticità, soprattutto emblematico risulta quello dei flussi migratori di cittadini di Stati terzi verso l’Unione Europea e/o apolidi in Europa.

Relativamente all’attualità di detto fenomeno è sufficiente rilevare che, secondo i dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite (da qui in avanti ACNUR) dal 1 Gennaio 2017 a presente sono giunti “via mare” in Europa 152.203 immigrati, numeri a cui bisogna aggiungere purtroppo la cifra di 2.954 persone morte e/o

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-18- disperse in mare . Di questi: 114.112 sono sbarcati in Italia, 24.739

in Grecia e 17.430 in Spagna [dati contenuti nei rapporti dell’Alto Commissariato Delle Nazioni Unite Per I Rifugiati – UNCHR, [dati UNCHR, su http://data2.unhcr.org/en/situations/mediterranean,20 marzo 2018] .

La criticità del problema viene in luce poiché la gestione dei flussi migratori, delle procedure di esame delle domande di protezione internazionale e dell’accoglienza degli immigrati sono oggetto di varie polarità , prima fra tutte l’esigenza di ottemperare a due opposti interessi: da un lato il diritto dei “perseguitati” a chiedere ed ottenere asilo e/o protezione politico-umanitaria e dall’altro il diritto degli Stati a decidere dell’ammissione e/o espulsione degli stranieri nel proprio territorio al fine di garantire esigenze quali l’ordine pubblico e la sicurezza del Paese, specie nel periodo attuale in cui i continui attacchi terroristici mettono a dura prova la sicurezza degli Stati Europei [Benvenuti, 2011] .

1.5 Migranti oggi: Quanti sono? Chi sono? Da dove vengono?

2014 2015 2016 2017

Sea Arrivals 216.054 1.015.078 362.753 152.203

Dead and Lost 3.538 3.771 5.096 2.954 Dalla disamina di tale grafico è possibile evidenziare due opposti andamenti: un’impennata di arrivi nell’arco temporale 2014/2015 (anno in cui si sfonda il tetto del milione di arrivi) ed una costante diminuzione tra gli arrivi che si sono registrati nei bienni successivi, rispettivamente 2015/2016 e 2016/2017.

(20)

-19- Tuttavia, i numeri da soli non bastano a spiegare il perché di

tale fenomeno e non riescono a chiarire le storie e le ragioni che si celano oltre la maschera di un semplice numero. Infatti, oltre ad esaminare i dati numerici, utile ed opportuna potrebbe essere, anche, una valutazione dei dati anagrafici degli “sbarcati”, ovvero il sesso, l’origine e l’età.

Importante è senza dubbio la composizione anagrafica dei flussi migratori ovvero guardare al sesso ed all’età dei migranti [Benevenuti, 2004].

A riguardo si riporta qui di seguito i dati relativi agli sbarchi in Europa per l’anno 2017 [dati UNCHR, http://data2.unhcr.org/fr/situations/mediterranean/location/5205 20 marzo 2018]. 0 200.000 400.000 600.000 800.000 1.000.000 1.200.000 2014 2015 2016 2017 Sea arrivals Dead and Lost

(21)

-20- 0,00% 10,00% 20,00% 30,00% 40,00% 50,00% 60,00% 70,00% 2017 Uomini Donne Minori

Un altro elemento importante è la provenienza dei migranti. A riguardo relativamente all’anno 2017 in Europa sui 152.203 arrivi via mare si registrano i seguenti dati .

Tali dati sono diversi da quelli registrati nel 2016 per cui i primi tre Paesi d’origine dei migranti erano: Siria (83.433), Afghanistan (43.530) e Nigeria (36.275) seguiti da Eritrei e Somali Le provenienze dei migranti sono degli indici importanti, poiché costituiscono uno specchio della situazione sociopolitica dello Stato da cui ha inizio la fuga di tali soggetti.

I motivi della fuga sono i più svariati: Le incursioni di Boko

Haram, sono le principali responsabili dell’emigrazione dalla

Nigeria, un Paese in cui il solo 2015 ha fatto registrare quasi 11.000 morti violente ; il regime di Bashar al-Assad e la guerra civile sono causa dell’esodo di massa del popolo siriano; la guerra in Afghanistan ed il regime dei Talebani sono stati la causa della fuga di migliaia di Afghani; In Gambia, l’omosessualità è un reato, e la polizia organizza retate nei locali gay per arrestarli; l’Eritrea è dominata da più di vent’anni dalla dittatura del presidente Isaias Afewerki, cui si aggiungono, tra le cause della fuga, oltre alla mancanza di libertà civili e politiche, la prospettiva del servizio militare, obbligatorio per uomini e donne dai 17 anni e di durata

(22)

-21- potenzialmente illimitata; in Somalia, invece, dopo oltre 25 anni di

conflitto civile, la minaccia maggiore è rappresentata dai miliziani di al-Shebaab, autori, negli ultimi mesi, di sanguinosi attacchi terroristici nella capitale [Dati eleaboarti da Open Migration su http://openmigration.org/analisi/non-solo-guerre-ecco-da-cosa-scappano-i-richiedenti-asilo/, 22 mazo 2018]

1.5.1. (Segue) Gli Sbarchi In Italia, Grecia e Spagna

La Penisola Italiana, vista la sua speciale posizione, in questi ultimi anni è stata fortemente toccata dal fenomeno migratorio: nel 2017 su 152.203 sbarchi complessivi in Europa 114.112 sono avvenuti in Italia, mentre nel 2016 su un totale di 362.753 ben 181.436 sono stati compiuti in territorio italico . [Dati UNCHR, su https://www.unhcr.it/risorse/carta-di-roma/fact-checking/gli-sbarchi-italia-nel-2016-dati-smedatire-lallarmismo,22 aprile 2018].

Vista la loro speciale posizione anche la Grecia e la Spagna risentono il problema dei flussi migratori : la prima nel 2016 ha visto approdare nel proprio territorio 173.450 profughi mentre dal 1 Gennaio 2017 a oggi i migranti nella penisola greca sono scesi a 24.379; la seconda, invece, nel 2016 è stata teatro di 14.094 arrivi (di cui 8.162 per mare e 5.932 per terra) a fronte dei 17.430 arrivi registrati dal I Gennaio 2017 al 30 ottobre 2017 (di cui 12.420 via mare e 5.010 via terra) [Dati UNCHR, http://data2.unhcr.org/fr/situations/mediterranean/location/5226 22 aprile 2018].

(23)

-22- Per ciò che concerne il sesso e l’età :

0

50.000

100.000

150.000

200.000

250.000

300.000

350.000

400.000

2016

2017

Europa

Italia

Grecia

Spagna

(24)

-23- Mentre per ciò che concerne le nazionalità possiamo

realizzare questi ulteriori grafici:

0,00%

10,00%

20,00%

30,00%

40,00%

50,00%

60,00%

70,00%

80,00%

90,00%

Uomini

Donne

Minori

Italia Spagna Grecia

(25)

-24-

Per l’Italia [dati UNCHR,

http://data2.unhcr.org/fr/situations/mediterranean/location/5226, 25 aprile 2018]:

Paese d’Origine Percentuale Unità

Nigeria 17,2% 17.100 Guinea 9,3% 9.217 Bangladesh 8,9% 8.870 Costa d’Avorio 8,8% 8.753 Mali 6,5% 6.641 Senegal 5,7% 5.711 Gambia 5,7% 5.649 Eritrea 5,6% 5.616 Sudan 5,6% 5.569 Marocco 5,2% 5.193 Ghana 3,7% 3.719 Pakistan 2,7% 2.658 Tunisia 2,7% 2.650 Somalia 2,4% 2.393 Camerun 2,4% 2.369 Siria 2,1% 2.066 Algeria 1,6% 1.597 Iraq 1,4% 1.407 Sierra Leone 1,1% 1.097 Egitto 0,7% 681 Etiopia 0,7% 679 Libia 0,0% 1

Diversamente si presenta il profilo per la penisola iberica [Dati

(26)

-25-

http://data2.unhcr.org/fr/situations/mediterranean/location/5226,

26 aprile 2018]:

Paese d’Origine Percentuale Unità

Marocco 20,8% 3.546 Costa d’Avorio 15,3% 2.618 Guinea 14,0% 2.392 Algeria 12,4% 2.126 Gambia 9,8% 1.677 Siria 8,8% 1.509 Altri 7,3% 1.248 Camerun 4,4% 744 Burkina Faso 1,5% 260 Guinea Bissau 1,5% 258 Mauritania 1,3% 219 Sierra Leone 0,8% 144 Palestina 0,7% 121 Mali 0,7% 115 Congo 0,6% 111

(27)

-26- Per ciò che concerne la Grecia, invece [dati

UNCHRhttp://data2.unhcr.org/fr/situations/mediterranean/location /5226, 27 aprile 2018]:

Paese d’origine Percentuale Unità

Siria 41,4% 9.987

Iraq 19,7% 4,751

Afghanistan 11,5% 2.770

Altri 10,5% 2.528

Algeria 3,1% 738

Rep. Dem. Congo 3.0% 724

Palestina 2,8% 669

Apolidi 2,2% 535

Pakistan 2,1% 514

Kuwait 1,3% 324

Da una veloce disamina di tali dati è facile verificare che la vicinanza delle tre penisole ai Paesi di provenienza dei migranti sia la principale direttrice di discrimen delle diverse concentrazioni e nazionalità dei profughi.

Così, mentre in Grecia sono molto più massicci gli afflussi migratori da parte del continente asiatico, specialmente dal Medioriente, in Italia e Spagna i flussi provengono maggiormente dall’Africa, salvo un caso particolare che si sta sviluppando a partire dal 2017 in Italia, quello del Bangladesh.

I Bangladesi, infatti, hanno sviluppato un sistema di agenzie di viaggio che fanno arrivare gli interessati in Libia, ove vengono messi in contatto con trafficanti di migranti i quali provvedono, poi, a far loro attraversare il Mediterraneo per fargli fare ingresso irregolarmente in Italia [dati elaborati da Open Migration,

http://openmigration.org/analisi/non-solo-guerre-ecco-da-cosa-scappano-i-richiedenti-asilo, 29 aprile 2018].

(28)

-27- 1.6 L’immigrazione femminile: nuove tipologie e dinamiche

Negli ultimi anni, il fenomeno migratorio sta assumendo connotati diversi, nuove dinamiche e nuove tipologie. In particolare, per l’immigrazione al femminile si tratta di un fenomeno composito ed eterogeneo sia per la varietà di provenienze che per i percorsi che ne segnano lo sviluppo. In pratica, si presenta la questione della diversità culturale espressa sia all’interno di percorsi caratteristici dell'emigrazione al femminile ma anche in tipologie e modelli familiari diversi per modalità costitutive e composizione del nucleo. Questo nuovo scenario dell'immigrazione femminile ha dunque protagoniste non solo donne che seguono il marito, ma anche donne portatrici di un progetto migratorio autonomo, spinte dalla necessità e dalla possibilità di affermarsi nel nostro Paese [Tognetti Bordogna, 2012], come sarà approfondito successivamente.

Le donne immigrate sembrano, dunque, assumere nuove posizioni rispetto ai percorsi migratori, alle scelte di espatrio, alle modalità di inserimento nella società di arrivo e, soprattutto, rispetto alla collocazione tra la propria cultura e quella in trasformazione nei paesi ospiti. In alcuni casi, la donna costituisce l'anello primario della catena migratoria o, comunque, diventa parte attiva nel mercato del lavoro e nel processo decisionale del progetto stesso.

Per la maggior parte delle donne l’impatto con la nostra cultura è un punto nodale rispetto alla loro identità in continua mutazione, caratterizzato da un lato di disagi ma anche di un diverso modo di porsi rispetto a sé stesse, alle proprie famiglie, alle donne della loro comunità e alle nuove conoscenze ed ai nuovi rapporti che vengono ad instaurarsi nella città che le ospita. In questo senso è importante sottolineare che le variabili nei fenomeni migratori, siano esse economiche, sociali o culturali, segnano i limiti o le potenzialità degli scambi fra culture e naturalmente risentono anche dei significati simbolici e dei ruoli ascritti

(29)

-28- dall'appartenenza di genere degli attori coinvolti. Il fenomeno della

femminilizzazione dei flussi migratori è, dunque, attualmente al centro di molti studi [La Porta, 2000; Iotti, 2002; Mariti, 2003; Lagomarsino 2006], che si concentrano su meccanismi e dinamiche, che vedono sempre più preponderante la presenza femminile nelle ondate migratorie, soprattutto negli ultimi anni.

In particolare, si cerca di comprendere le scelte di certi percorsi scelti dalle donne, i vari tipi di migrazione al femminile, le implicazioni sociali, economiche e psicologiche del migrare essendo donna, ma anche si cerca di capire le relazioni che si instaurano tra donne italiane e donne immigrate, e quelle che queste ultime mantengono con il proprio Paese d'origine.

Infine, è diventato fondamentale capire anche le tensioni che si creano tra approcci femministi e multiculturali, quando si tratta di realizzare una tutela giuridica per le donne da forme di violenza e discriminazione: la normativa e le politiche italiane spesso non hanno risposto efficacemente a livello giuridico, trascurando la dimensione di genere dei flussi migratori, nonostante si stia capendo l’importanza di una certa sensibilità per la tutela da forme di violenza, di sfruttamento e di discriminazione multipla.

Nello studio della donna migrante, dunque, si riscontrano altre tematiche legate alla condizione della donna, sia donne italiane che straniere: la donna migrante deve essere considerata insieme ad altri aspetti riguardanti la vita della donna in generale, come il rapporto della donna con la vita domestica in relazione al tempo libero, ai figli, alla famiglia, alla realizzazione ed all’espressione personale.

E’ molto importante per capire la figura della donna immigrata riflettere e tener conto di altre tematiche relative alla condizione odierna della donna nella molteplicità dei suoi aspetti [AmbrosinI, 2008].

(30)

-29- 1.7 L’immigrazione femminile in Italia

In Italia le donne sono circa la metà degli immigrati che vivono e il loro peso maggiore si rileva proprio tra quelli più stabili: sono il 52,7% tra i residenti stranieri, il 50,1% tra i titolari di un permesso CE di lungo soggiorno, il 48,9% tra tutti gli stranieri non comunitari soggiornanti [dati Ministero Interni su http://www.interno.gov.it/it/sala-stampa/dati-e-statistiche/sbarchi-e-accoglienza-dei-migranti-tutti-i-dati, 20 maggio 2018]

Tra le collettività più numerose, la percentuale delle donne si attesta al 57% del totale tra i cittadini romeni, al 48,1% tra quelli albanesi, al 45,9% tra i marocchini, al 79% tra gli ucraini, al 49% tra i cinesi, al 66,1% tra i moldavi e al 73,3% tra i polacchi.

Inoltre, ci sono Collettività immigrate più piccole, ma in cui prevale la presenza femminile, come nel caso dei provenienti dalla Bielorussia (81%), Federazione Russa (81,7%), Uzbekistan (83,4%), Indonesia (82,5%), Kazakhistan (83,3%), Repubblica Ceca (83,4%), Lettonia (85,1%), Estonia (85,2%) e Thailandia (90%) [dati Ministero Interni su http://www.interno.gov.it/it/sala- stampa/dati-e-statistiche/sbarchi-e-accoglienza-dei-migranti-tutti-i-dati, 20 maggio 2018].

Le donne immigrate presenti in Italia arrivano per diverse ragioni, in particolare motivi di lavoro o per ricongiungimento familiare. Esistono dunque diverse categorie, che possono essere utilizzate, per analizzare lo stato dei diritti delle donne immigrate: • Motivi di lavoro: le donne che fin a partire dagli anni Settanta del secolo scorso migrano, spesso da sole, per motivi di lavoro, in special modo come collaboratrici domestiche e più di recente come "badanti", addette al lavoro di cura nelle famiglie italiane.

• Ricongiungimento familiare: le donne che giungono in Italia per ricongiungersi alle proprie famiglie, soprattutto dal Nord Africa o dall'Asia, in seguito ad un flusso migratorio maschile, che si è consolidato dagli anni Novanta in poi. Soprattutto in questa compagine femminile, si realizza un alto tasso di inattività lavorativa, in quanto il ruolo della donna migrante è relegato a

(31)

-30- quello di donna-moglie e madre, migrante al seguito di un

congiunto maschio.

• Rifugiate: le donne rifugiate e richiedenti asilo, il cui numero è aumentato fortemente a seguito dell'instabilità politica in Medio Oriente e in Africa, per molte delle quali l'Italia rappresenta spesso una zona di transito verso altri paesi Ue, più che la destinazione finale.

1.7.1 (Segue) L’immigrazione femminile per lavoro

Come già accennato, una delle principali motivazioni che induce le donne a migrare in Italia è la ricerca del lavoro: si tratta di donne che giungono in Italia per svolgere lavori poco qualificati e in settori specifici e, a tal proposito, infatti, le donne immigrate in Italia trovano una collocazione soprattutto nei servizi di assistenza alla persone, come colf, addette alla cura degli anziani e

baby-sitter, seguendo uno dei canali maggiormente consolidati di

immigrazione ed inserimento occupazionale del Paese.

Nell’anno 2015 i lavoratori domestici contribuenti all’Inps sono stati 886.125, con un decremento del - 2,3% rispetto al dato del 2014; una più ampia diminuzione si è registrata nel 2014 rispetto ai dati 2013 (-5,2%) e nel 2013 rispetto al 2012 (-5,2%) anno in cui si è registrato, invece, un forte aumento del numero di lavoratori per effetto della sanatoria riguardante i lavoratori extracomunitari irregolari [D. Lgs. n.109, 16 luglio 2012].

(32)

-31- Fonte: Istituto Nazionale Previdenza sociale – Statistiche in

breve – Anno 2015 Lavoratori domestici

I dati dell’INPS sulle forze lavoro rilevano, dunque, che la maggior parte delle donne straniere occupate in Italia, è inserita nel comparto dei servizi domestici o di cura alle famiglie: esse sostituiscono le lavoratrici immigrate alle esigenze di cura le donne italiane, sempre più partecipi al mercato del lavoro e al loro minore coinvolgimento nelle attività di tipo familiare [dati Ministero Interni su http://www.interno.gov.it/it/sala-stampa/dati-e-statistiche/sbarchi-e-accoglienza-dei-migranti-tutti-i-dati, 20 maggio 2018.

Per quanto riguarda i Paesi di provenienza, fino agli anni Ottanta del secolo scorso, le donne arrivavano dalle Filippine, dall'America Latina, dall'Eritrea e dall'Isola di Capo Verde, ma nell'ultimo ventennio, a questi Paesi si sono aggiunti altri di donne provenienti dall'Est Europa, come Romania, Polonia, Ucraina, Moldova.

La maggior parte delle volte, si tratta di donne che emigrano da sole, grazie all'intervento di un'intermediazione di un Istituto religioso oppure grazie a network di connazionali.

(33)

-32- In tale contesto, si riscontra che, sul totale dei lavoratori

domestici registrati negli archivi INPS nel 2014, in tutto 900.000, le donne rappresentano l'87%, e degli addetti di nazionalità straniera il 77,1% (oltre 690.000). In particolare, l'Europa dell'Est risulta l'area continentale di origine di quasi la metà dei lavoratori stranieri (45,9%, oltre 410.000), mentre tra i singoli Paesi si evidenziano le Filippine con oltre 72.000 addetti, ossia il 10,4% dei lavoratori stranieri. Il Mercato del Lavoro, dunque, riguardante i servizi resi alla persona e domestici, secondo i dati dell'OECD e dell'Istat, la crisi economica ha colpito questo settore solo marginalmente e solo di recente: il numero di lavoratori in esso impiegati, è cresciuto a quello precedente alla crisi. Questo ha permesso alle donne migranti di resistere all'interno di questo settore meglio rispetto agli uomini, e ha contribuito ad una maggiore tenuta dell'occupazione femminile in Italia.

Un altro aspetto importante è che l'Italia risulta lo Stato Ocse con la più alta percentuale di attività assistenziale informale agli anziani, sia per quanto riguarda l'assistenza di servizi pubblici per l'assistenza a lungo termine, sia per quanto riguarda l'assistenza a domicilio. Nonostante ultimamente si sta prefigurando una ritornata tendenza all'assistenzialismo espletato anche dalle lavoratrici italiane, l'INPS infatti rileva che vi è stato un aumento del numero di colf e badanti italiane rispetto agli anni precedenti.

Concludendo, la disoccupazione è stata avvertita in misura minore dalle donne immigrate, ma la qualità del lavoro svolto è peggiorata, perché esse tendono a svolgere tipologie di lavori molto meno qualificati e anche più precari rispetto al passato [dati Ministero Interni su http://www.interno.gov.it/it/sala-stampa/dati-e-statistiche/sbarchi-e-accoglienza-dei-migranti-tutti-i-dati, 20 maggio 2018].

E' importante sottolineare la crescita dell'imprenditoria sostenuta dalle donne immigrate, con 121.000 imprese condotte da donne nate all'estero, registrate nelle Camere di Commercio italiane

(34)

-33- alla fine del 2014, il 23,1% di tutte le aziende guidate da lavoratori

immigrati

1.7.2 (Segue) Le donne che emigrano per motivi familiari

Il ricongiungimento familiare rappresenta la principale tipologia di ingresso legale in Italia e il percorso più tradizionale per molte donne straniere. Generalmente lo sviluppo dei ricongiungimenti familiari indica la tendenza verso la stabilizzazione o comunque la permanenza di lungo periodo ed è destinato a trasformare le caratteristiche della società di accoglienza, sia sul piano demografico che su quello socio-economico e culturale.

La pratica del ricongiungimento prova inoltre il grado della qualità della vita e delle condizioni di lavoro di un posto e comporta una crescita della domanda di servizi sociali, educativi, sanitari e la necessità di una particolare e maggiore attenzione per le politiche per l'integrazione e l'inserimento, così come oggi si rileva nelle principali aree urbane interessate dal fenomeno [A.a.Vv., 2016]

L’arrivo della donna rappresenta quindi la stabilità raggiunta dall’uomo, il progetto divenuto a lungo temine e non più una permanenza temporanea. La figura femminile in un certo senso mette fine ad un periodo di distacco e di provvisorietà, attraverso la ricostruzione del nucleo familiare che si era separato a causa della migrazione [Bindi, 2003]

Il momento della riunificazione della famiglia comporta una fase di riaggiustamento, una suddivisone dei ruoli talvolta diversa rispetto a quella definita nel paese d’origine: la ricomposizione del nucleo familiare mette a confronto i diversi percorsi di acculturazione e di inserimento della coppia e modifica i ruoli coniugali, creando spesso conflitti [Bonora, 2008]

(35)

-34- 1.7.3 (Segue) Le donne migranti rifugiate e richiedenti asilo

Tra i vari fattori che spingono uomini e donne a migrare forzatamente dal proprio Paese d'origine per chiedere asilo in un altro, ve ne sono alcune, che purtroppo affliggono in modo specifico le donne, come ad esempio le violenze sessuali, le mutilazioni genitali e i matrimoni forzati

In Italia, nel 2014, sono state presentate quasi 65.000 richieste di protezione internazionale e, per quanto concerne l'universo femminile, le Collettività che si evidenziavano per l'incidenza in base a questo genere erano quella eritrea (26,2%), quella nigeriana (25,4%) e quella somala (23,4%), mentre per le altre, la componente femminile restava inferiore, al 6% [dati Open Migration https://openmigration.org/analisi/questione-di-genere-quante-sono-le-donne-tra-i-rifugiati-in-italia/,22 aprile 2018]

Al riguardo era ed è, dunque, fondamentale in tale situazione la necessità di prestare massima attenzione alle potenziali vittime di tratta, presenti tra chi richiede il riconoscimento della protezione internazionale, e di organizzare quanto prima tutte le misure atte a proteggere le vittime, anche attraverso l'adozione del Piano Nazionale contro la tratta previsto dal Decreto Legislativo n. 24/14 [De Angelis, 2017]

Secondo i dati registrati dall’UNHCR, nel gennaio 2016 in Grecia sono arrivati circa 36mila rifugiati (nello stesso mese del 2015 erano 5500) e di tale massa di persone in fuga, più della metà (55% al 22 gennaio), erano donne (20%) e bambini (35%), minori che se suddivisi per genere portavano la percentuale femminile almeno al 30/35% [dati UNCHR, su https://www.unhcr.it/, 24 aprile 2018]

Dopo la notizia delle violenze del 31 dicembre 2015 a Colonia alcuni Paesi hanno chiesto che per i rifugiati in arrivo in Europa ci fosse una selezione all’ingresso con un Alt imposto a giovani maschi soli.

In realtà, si trattava di due aspetti di un’unica questione: la composizione di genere dei rifugiati. Ovvero quanti erano gli

(36)

-35- uomini e quante le donne che avevano fatto richiesta d’asilo nel

2015.

Nel periodo compreso tra il dicembre 2014 e il novembre 2015, l’EUROSTAT ha certificato che i richiedenti asilo in Europa sono stati 1.242.155 e tra essi c’erano 339.955 donne, ovvero una percentuale pari al 27% dell’intera popolazione dei rifugiati arrivati [Dati Eurostat, http://viedifuga.org/richiedenti-asilo-dati-eurostat-quelleuropa-a-due-scomparti/, 26 aprile 2018].

Molto più bassa risultava la percentuale in Italia. I dati dicevano, infatti, che al 30 novembre 2015 coloro che avevano formalmente richiesto protezione sono 83.630 e tra questi solo 9.435 erano donne, pari all’11% .

Di queste quasi 10mila donne e bambine arrivate nel nostro paese negli ultimi dodici mesi del 2015, il numero più alto era rappresentato dalle nigeriane con 3.915 presenze che corrispondeva al 21,9% dei migranti provenienti dal paese africano. Al secondo

(37)

-36- posto c’erano le donne ucraine che con 2.325 rappresentavano la

metà (49,7%) dei richiedenti asilo di Kiev in Italia.

Tra gli altri gruppi nazionali la distanza tra uomini e donne era abissale. Tra i pakistani arrivati nel 2015 i maschi erano quasi 10mila pari al 98,6%, i profughi del Gambia 8.435 (98,9%), i senegalesi 6.395 (98,3%) e quelli del Bangladesh addirittura 6.170 uomini e solo 40 donne richiedenti asilo, pari allo 0,6% [Dati UNCHR, https://www.unhcr.it/, 27 aprile 2017]

Interessante risulta il caso dei siriani. Con l’apertura della “rotta balcanica” ed il passaggio attraverso la Turchia essi hanno abbandonato l’Italia scegliendo la via a est per raggiungere Germania. Rispetto ai quasi 40mila arrivati nel 2014, sono meno di 10mila gli arrivi nel 2015 e tra questi solo in pochi (480 domande totali) hanno chiesto asilo in Italia. E tuttavia anche in questa piccola quota è ben rappresentata la percentuale di uomini e donne del flusso siriano complessivo .

Confrontando i numeri assoluti di chi fugge da Damasco o Aleppo e arriva in Italia e in Germania tra i siriani arrivati in Germania nel 2015 il 31% era donna: 22.915 rispetto a 73.620 uomini. Tra quelli arrivati in Italia era il 37,5% (ovvero 180 donne

siriane). [Dati Open Migration,

https://openmigration.org/analisi/questione-di-genere-quante-sono-le-donne-tra-i-rifugiati-in-italia/, 27 aprile 2017]

(38)

-37- In sintesi, i numeri italiani confermano che la

composizione di genere dei flussi dei richiedenti asilo e/o protezione internazionale dipende dalle nazionalità di provenienza, ma, soprattutto, dalle strategie migratorie che i cittadini dei singoli paesi mettono in pratica

1.8 Determinanti e opportunità per le donne migranti

Emigrare rappresenta un'esperienza che ridefinisce il ruolo della donna, sia nella Comunità d'appartenenza di quest’ultima che fuori. Tuttavia, a questo processo si aggiungono diversi fattori che non sono solo costituiti dal genere o dalla nazionalità, dall'appartenenza religiosa, dall'appartenenza etnica, dalla classe di provenienza, dal livello culturale, dall'età, ma da tutti questi insieme e da altri fattori che interagiscono tra loro: le donne che arrivano in Italia per lavorare, ad esempio, diventano coloro le quali contribuiscono al mantenimento delle famiglie nei Paesi d'origine, e addirittura possono diventare interlocutrici dei servizi bancari grazie alle rimesse. Tuttavia, spesso il basso livello

(39)

-38- culturale delle persone migranti provoca l’isolamento delle donne

all'interno delle mura domestiche.

E’ importante ricordare che l’esclusione delle donne dal mercato del lavoro continua: le donne immigrate, infatti, risultano più esposte al lavoro sommerso, anche solo per il fatto di essere principalmente richieste in lavori tradizionalmente femminili, come la cura di bambini, anziani, malati, ma anche della casa, tutte tipologie di lavori che in Italia, spesso risultano posizioni lavorative a nero o solo in parte dichiarate [Dati Istat, http://dati.istat.it/, 23 marzo 2018].

Uno degli effetti di questa marginalizzazione lavorativa e sociale è il divario retributivo: se gli stranieri guadagnano mediamente il 28,5% in meno degli italiani, il gap retributivo delle donne straniere è del 32,4% rispetto alle italiane e del 27,8% rispetto ai maschi stranieri, nei confronti dei quali sono però più istruite.

Gli immigrati dunque si sono dovuti adeguare alle difficoltà del mondo del lavoro dell’Italia e, in un paese come il nostro caratterizzato dal lavoro sommerso, evasione, disuguaglianze di genere, differenze tra il Nord e il Sud, il rischio è che le suddette criticità aumentino anziché ridursi e si estendono per lo più alle donne e di conseguenza alle donne immigrate.

Inoltre, il grado d'inserimento occupazionale delle donne tra i cittadini stranieri cambia anche a seconda dei Paesi di origine.

In generale, tra i gruppi più numerosi si evidenziano per una larga partecipazione al mondo del lavoro le donne provenienti dall'Est Europeo, dall'America Latina e dall'Asia Orientale, come le ucraine, le moldave, le romene, le peruviane, le filippine e le cinesi, mentre meno attive nel Mercato del Lavoro quelle provenienti dal Sud est asiatico e dal Nord Africa come le bangladesi, le indiane, le egiziane e le marocchine. Quanto appena detto è dovuto a cause sia interne che esterne alle Comunità di provenienza, e tra queste, la principale causa si riferisce proprio al ruolo e l'immagine della

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-39- donna in quanto considerata la sola responsabile della cura della

casa e della famiglia.

Questa condizione influisce ovviamente sulle opportunità sociali e lavorative delle donne provenienti da questi Paesi, poiché la vita domestica di molte di loro le chiude all'interno di una scatola, per così dire, nel quale non è facile poi partecipare a quelle attività fondamentali, per stabilire anche una comunicazione con il territorio ed il contesto sociale in cui vivono. A questo si aggiunge poi la difficoltà che si presenta loro nell'apprendimento della lingua e nella conoscenza del nuovo contesto in cui si inseriscono. In questo background di provenienza, la donna straniera stabilisce dei forti legami di dipendenza dal proprio coniuge per l'accesso a informazioni sanitarie, ai documenti e ad eventuali attività ricreative.

Inoltre, tra i fattori esterni alla Comunità di riferimento le discriminazioni a sfondo religioso [Tognetti Bordogna, 2012] complicano ulteriormente le possibilità di un inserimento lavorativo di queste donne.

Un altro problema con cui le donne, soprattutto quelle di origine musulmana, devono scontrarsi, riguarda proprio l'uso del velo integrale negli spazi pubblici: si è assistito ad un'ampia discussione da parte degli organi giuridici e, nonostante le ordinanze emesse da Autorità locali per imporre il divieto del porto del velo integrale, la giurisprudenza si è pronunciata in senso favorevole sia all'utilizzo del burqa sia del niqab [Salhi M. 1994, Mancini, 2016].

1.8.1 (Segue) Il burqa ed il niqab in Europa ed in Italia

Opportuna appare a riguardo dedicare un paragrafo ad una breve disamina delle decisioni adottate in relazione all’uso del

burqa e del niqab in altri Paesi dell’Ue ed alla situazione Italiana.

A riguardo in Norvegia, nel giugno 2017 è stata presentata una proposta di legge, che dovrebbe essere approvata nel 2018, per

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-40- impedire alle donne musulmane di coprirsi il volto nelle scuole e

nelle università.

In Germania, il 28 aprile 2017 i deputati tedeschi hanno approvato una legge che vieta il velo integrale, burqa e niqab, per funzionari e agenti del settore pubblico. La misura riguarda anche chi lavora nell'ambito della giustizia, dell’esercito e delle commissioni elettorali. Tuttavia, il divieto riguarda solo l'orario di lavoro, oltre il quale nessun vincolo potrà essere imposto. «Coprire il volto per motivi religiosi o ideologici contraddice la neutralità richiesta da parte dei funzionari dello stato».

In Austria, il 29 marzo 2017, l’esecutivo austriaco di larga coalizione ha approvato le misure, preannunciate a febbraio, che vietano il velo in pubblico nell’ambito delle modifiche al piano ‘sicurezza e integrazione’.

La Francia è stato il primo Paese europeo a vietare il velo integrale alle donne islamiche. La legge è entrata in vigore l’11 aprile 2011 e non fa un chiaro riferimento al burqa o al niqab ma vieta la «dissimulazione del volto nei luoghi pubblici». Tuttavia, per le donne che indossano il velo integrale è prevista una multa di 150 euro, e possono essere obbligate a seguire uno stage di "educazione civica". La legge francese crea inoltre un nuovo delitto, la "dissimulazione forzata del viso": «chi obbliga una donna a coprirsi completamente rischia il carcere ed una multa fino a 30mila euro».

In Francia vivono circa 5 milioni di musulmani - si tratta della più grande minoranza dell'Europa occidentale - e di questi solo 2.000 donne indossano i veli integrali.

Dopo la Francia il Belgio è il secondo Stato ad aver vietato il velo integrale in Europa. La legge è entrata in vigore nel luglio 2011 e vieta qualsiasi tipo di abbigliamento che in qualche modo celi l’identità. Prima dell’entrata in vigore della legge, il burka era già bandito in alcuni distretti in base a vecchie disposizioni che impedivano alle persone di coprire il volto completamente. Chi non si attiene alle regole anche in Belgio rischia una multa.

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-41- Nei Paesi Bassi non c’è ancora una legge approvata dal

Senato olandese, ma da novembre 2016, i parlamentari hanno proposto un divieto del velo (si parla sempre di quello integrale

ndr.) nei luoghi pubblici come scuole, ospedali e mezzi di

trasporto. Anche in questo caso non c’è un esplicito riferimento ai veli indossati dalle donne islamiche ma si parla di tutto ciò che in qualche modo celi l’identità di una persona. Il disegno di legge prevede multe fino a 410 euro. Il 5% dei 16 milioni dei residenti nei Paesi Bassi è musulmano, ma solo 300 donne indossano il

niqab o il burka.

In Spagna non esistono leggi nazionali che si occupano del velo delle donne musulmane, ma nel 2010 a Barcellona è stato vietato coprire il volto in alcuni spazi pubblici come gli uffici comunali, i mercati e le biblioteche.

In Gran Bretagna non c’è alcun divieto di abiti islamici, ma dopo una direttiva del 2007 le scuole possono stabilire delle regole per l’abbigliamento. Ad es. i direttori delle scuole possono vietare l'uso del niqab all'interno degli edifici scolastici.

In Italia non esiste una legge che vieta l'utilizzo di un velo che copre il volto come il niqab o il burqa. Chi sostiene l’esistenza di un divieto già in atto fa riferimento di solito a una legge che risale agli “anni di piombo”, quando il Paese dovette fronteggiare numerosi atti terroristici di matrice politica.

Il riferimento è all’articolo 5 della L. n. 152 del 1975: la cosiddetta “legge Reale” sull’ordine pubblico, un provvedimento molto discusso e sottoposto a referendum nel 1978 (che ne mantenne la validità). Nel 1977 la legge Reale venne modificata (con l'articolo 2 della legge n. 533) in senso più restrittivo nei confronti dell’abbigliamento da tenere in pubblico. La nuova formulazione dell’articolo diventò quindi: «È vietato l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo».

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