• Non ci sono risultati.

Angelo Brizio (o Brizzi) da Cesena (dicembre 1599-ottobre 1600)

Come si è accennato nella breve presentazione degli inquisitori modenesi, il mandato del secondo di essi, frate Angelo Brizio (o Brizzi) da Cesena fu molto breve. Ciò si ripercuote inevitabilmente sulla quantità della documentazione prodotta, in particolare sulle lettere: non se ne ha nessuna dell’inquisitore alla Sacra Congregazione (né all’interno del volume che raccoglie le lettere degli inquisitori modenesi, né se ne sono rinvenute all’interno di buste contenenti altro materiale, dalle miscellanee ai carteggi diversi) e se ne conservano pochissime da parte dei cardinali all’Inquisizione di Modena (solamente cinque). Di contro, sempre a conferma di quanto visto sopra, molti dovettero essere i processi istruiti dal Brizio, oltre alle numerose denunce, se si considera che per il solo 1600 sono a disposizione ben quattro buste di atti processuali227. Ma veniamo alle lettere: sono poche, è vero, ma alcune di esse rimandano ai problemi principali legati al breve mandato di questo personaggio, ovvero quelli con l’autorità secolare, testimoniati da alcune copie di lettere del cardinale di Santa Severina al segretario ducale Giovanni Battista Laderchi e allo stesso duca, molto simili nei contenuti - anche se differenti nei toni. È utile riportare per esteso una lettera a Laderchi:

Al Signor Giovanni Battista Laderchio Consigliero Illustrissimo Signore.

La santità di Nostro Signore hà inteso che Vostra Signoria s’ingerì in sottoscrivere l’editto dell’Inquisitore stampato costì et publicato à xij di Dicembre 1598. et anco hà notitia che nelle occorrenze di catture et altri servitij della Santa Inquisitione ella non permette che gli essecutori et Ministri di giustitia vadano à servire il santo Officio, se prima l’Inquisitore non viene à ricercarne la licenza ciascuna volta da lei ò da’ Magistrati laici, con voler sapere i nomi delle persone contro le quali si procede, et la causa et che i testimonij chiamati ad informare il santo Officio non possono comparire senza licenza del Magistrato laico, et si cerca d’introdurre altri pregiuditij. Però volendo la Santità Sua, che, che l’Officio dell’Inquisitione si esserciti costì con quelle facoltà et prerogative che gli sono concesse da’ sacri canoni228 et constitutioni de’ sommi Pontefici, et da questa santa Sede; ne volendo

227

Non consideriamo il 1599, di cui comunque abbiamo una sola busta, dal momento che il Brizio iniziò il suo mandato a dicembre. Le buste relative all’anno 1600 sono le 11, 12, 13, 14 del fondo

Inquisizione.

comportare simili pregiuditij, mi hà ordinato che io lo facci sapere à Vostra Signoria come fò con la presente, à ciò che per l’avvenire si astenga da questi mali modi, et che favorisca con gli offitti (sic) i negotij della Santa Inquisitione con quella prontezza et maniera che si conviene. et essendo ella bene informata delle censure et pene che sono imposte à quelli che in qualsivoglia modo impediscono il santo Officio, avvertisca di non incorrerci; anzi con favorire prontamente et con gli effetti229 le cose della santa Inquisitione procuri di cancellare ogni mala satisfattione data sin qui si come si confida che con la sua molta prudenza esseguirà tutto quello che sarà in lei per corrispondere alla debita osservanza verso gli ordini di questa Santa Sede. Con che io me le offero, pregandole dal Signore ogni contento, Di Roma, al primo di Luglio, M D C. Di Vostra Signoria Illustrissima Signore Come fratello, Il Cardinale di Santa Severina230

La lettera non lascia margini di ambiguità: il cardinale di Santa Severina si rivolgeva al segretario ducale come se fosse stato un subalterno che contravveniva agli ordini dei superiori e non il rappresentante di un potere sovrano. Il conflitto giurisdizionale tocca in questa fase una delle sue punte massime. Il cardinale arrivò infatti a minacciare l’Imola intimandogli le pene previste per coloro che ostacolavano o impedivano il lavoro degli inquisitori e dei ministri dell’Inquisizione, ovvero quelle sancite dalla bolla Si de protegendis e richiamò esplicitamente Laderchi a rispettare gli ordini e ad offrire la massima collaborazione al giudice di fede.

Il punto di vista romano è quello di un potere dominante, non di un potere che interloquisce con la controparte laica.

Sebbene non sia pervenuta la risposta del segretario ducale, è lecito ipotizzare che la questione non dovette risolversi tanto facilmente. Se infatti ci si potrebbe aspettare un atteggiamento più remissivo da parte del duca, l’Imola avrebbe reagito sicuramente in modo più determinato, deciso a non cedere supinamente alle rivendicazioni del tribunale di fede cittadino. E, a ben vedere, la differenza dei toni usati nelle lettere al Laderchi e al duca Cesare si può spiegare non soltanto con la differente posizione gerarchica, ma anche con la maggiore resistenza che l’Imola avrebbe mostrato.

229 Lettura incerta.

230 ASMo, Inquisizione, b. 251, fasc. I, lettera del cardinale di Santa Severina a Giovanni Battista

Il cardinal Santoro, di lì a non molto, tornò sulla questione in una lettera diretta all’inquisitore, in cui dominava ancora la tensione con la corte, tensione che riaffiorava sempre nei casi in cui nelle indagini o nei processi dell’Inquisizione fossero coinvolti membri dell’entourage ducale. In quest’occasione il cardinale raccomandava al Brizio

[...] ch’ella nelle occorrenze delle catture non manifesti il nome delle persone al Singolarissimo Signor Duca, ne’ a’ suoi Ministri, per il pregiuditio che ne può succedere alla giornata a’ negotij della Santa Inquisitione confidando nella sua prudenza, che procederà con quella maturità che si conviene et che in certi casi, ne’ quali non vi è pericolo di fuga, et si tratta di persone qualificate, ella non restarà di fare quegli officij che conoscerà esser necessarij per condurre à miglior fine i negotij che si trattano [...]231.

Il conflitto con la corte su questioni di competenze e di giurisdizione a Modena si presenta sempre in maniera sbilanciata: da un lato un sovrano non particolarmente forte ed autonomo - sebbene coadiuvato da un primo ministro come l’Imola - dall’altra un inquisitore locale (ma questo varrà anche per i suoi successori) che si faceva forte del sostegno dei suoi superiori, ai quali ricorreva al bisogno, delegando loro, all’occorrenza, le decisioni più spinose.

Le restanti lettere del secondo inquisitore presentano questioni “ordinarie”, tranne un cenno ad alcune controversie con l’arciprete di Carpi in merito al rifiuto di questi a pubblicare gli editti dell’inquisitore, che si ripresenteranno con maggiore forza negli anni successivi e di cui si darà conto a breve.