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Arcangelo Calbetti da Recanati (novembre 1600-aprile 1607)

Molto si può dire sull’attività del terzo inquisitore generale di Modena, frate Arcangelo Calbetti da Recanati il quale, come si è accennato, fu l’artefice della struttura inquisitoriale modenese.

La situazione delle lettere relative al mandato del Calbetti è stata ricostruita nel corso della ricerca. Per quanto riguarda quelle da lui scritte ai cardinali, nel volume delle lettere dei Padri inquisitori modenesi sono conservate solamente le prime, ossia quelle relative all’ultimo scorcio dell’anno 1600 (mesi di novembre e dicembre), il cui fascicolo riporta la dicitura “Copia delle Lettere scritte da me f. Arcangelo Calbetti da Recanati nel tempo che son stato Inquisitore a Modena, per i negotij del santo offitio à gli Illustrissimi Signori Cardinali Supremi Inquisitori: cominciando dalli 9 di Novembre l’anno 1600 - Con la copia delle altre lettere commissionali, et ordini havuti”. Le lettere provenienti dalla Sacra Congregazione sono invece raccolte sistematicamente nelle relative buste e di alcune si hanno anche trascrizioni volute da Calbetti, il cui progetto iniziale era evidentemente quello di raccogliere l’intera corrispondenza in un unico volume, che contenesse quindi richieste e relative risposte. Lo schema venne però seguito solo per le prime lettere e il volume prosegue con le sole lettere da Modena alla Sacra Congregazione.

Ma le missive non si esauriscono a quelle appena citate, poiché esiste un intero fascicolo di lettere scritte da Calbetti, collocato all’interno di un’altra busta dello stesso fondo, la b. 278, il che permette di avere un’idea abbastanza precisa della linea d’azione di questo giudice.

Questa sezione, particolarmente articolata, verrà strutturata partendo da una descrizione contenutistica delle prime lettere scritte da Calbetti ai cardinali della Sacra Congregazione, per poi passare ad approfondire alcune questioni rilevanti relative al periodo del suo mandato, organizzando quindi la corrispondenza tematicamente.

Le prime lettere di Calbetti testimoniano una situazione che doveva presentarsi sostanzialmente immutata rispetto a quella cui si erano trovati davanti i suoi predecessori: nella prima lettera destinata al cardinale di Santa Severina, l’inquisitore raccontava prima il suo ingresso in città - avvenuto dopo essersi incontrato a Bologna con Angelo Brizzi - e la ricevuta disponibilità di collaborazione da parte del duca,

passando subito dopo ai problemi più urgenti del tribunale: povertà generale e inadeguatezza delle carceri. A questi problemi Calbetti proponeva subito una soluzione concreta che, come si vedrà affrontando dettagliatamente la questione dell’edificazione della “nuova” Inquisizione, si sarebbe mostrata assai fruttuosa e alla quale si sarebbe ricorso costantemente al bisogno: ci si riferisce alle multe comminate agli imputati ebrei232. Il cardinal Santoro rispondeva con due lettere. Nella prima affrontava le questioni economiche, chiarendo che i proventi della pena comminata all’ebreo Isac233

avrebbero dovuto essere destinati per metà ai luoghi pii in condizione di maggior bisogno e per l’altra metà all’Inquisizione; oltre a questo, il cardinale ordinava all’inquisitore di farsi rendere i denari prestati al Convento e di non comminare pene pecuniarie, perché ciò avrebbe reso “odioso” il Sant’Ufficio. Con la seconda lettera, invece, il cardinale chiedeva a Calbetti di chiarire una questione, di cui si era venuti a conoscenza a Roma: si erano fatti stampare alcuni “consigli” in merito alle pretese che il duca aveva sopra Comacchio, senza previa autorizzazione dell’inquisitore precedente. Veniva quindi ordinato di mandarne copia e di provvedere a far osservare le norme agli stampatori che avrebbero dovuto pubblicare nuovi libri. Oltre a questo, si davano indicazioni in merito ad un altro caso riguardante “scritture” sospette. Da parte sua, l’inquisitore rispondeva con altrettante lettere alle due ricevute. Nella prima informava che avrebbe allegato un elenco dei luoghi pii maggiormente bisognosi, in modo che si potesse stabilire come ripartire il denaro dell’ebreo Isac; parlava poi del caso di quattro persone che avevano strappato gli editti dell’inquisitore, contro i quali aspettava a procedere per timore dei tumulti che ne sarebbero potuti seguire, considerando che uno dei coinvolti era un cavalleggero del duca234. Nella seconda lettera, invece, Calbetti faceva sapere che si era occupato personalmente per verificare se qualche stampatore della città avesse impresso i Consigli del signor Attilio Ruggieri della Pergola, consigliere del duca, intorno alle pretese su Comacchio, ma senza aver ottenuto molto; aveva inoltre

232

ASMo, Inquisizione, b. 295, lettera del 15 novembre del 1600 al cardinale di Santa Severina: «Havendosi à cominciare la fabrica dell’Inquisitione e carceri in questo Convento (cred’io) non sarebbe se non bene s’applicasse tutta la condennatione d’Isac ebreo d’otto cento ducatoni per la fabrica sudetta [...]».

233 Si tratta di Isac Sanguineti, appartenente ad una delle più importanti famiglie ebree di Modena. 234

ASMo, Inquisizione, b. 295, lettera al cardinale di Santa Severina, 6 dicembre 1600: «Tengo qualche inditio contra quelli, che stracciarono gli editti del mio Predecessore, che sono in Città [...] non so s’io gli debba metter le mani adosso, e tanto più, ch’uno d’essi è cavalleggiero del serenissimo signor Duca, et antivedo, che ne potrà nascere qualche tumulto».

approfondito l’altro caso di “scritture” sospette (in cui era coinvolto un prete, tale Mattia Bresciano), ma non gli sembrava trattarsi di materie spettanti all’Inquisizione235.

La corrispondenza continua con “lettere d’ordini”236

, ossia con lettere che riguardavano decreti e direttive provenienti da Roma. Con una si mettevano al corrente gli inquisitori delle sedi periferiche di un decreto papale che proibiva loro di ricevere denaro nell’espletamento delle loro mansioni237

, ordine che doveva essere trasmesso anche ai vicari. Il secondo ordine riguardava invece il modo in cui andavano trascritti gli interrogatori238. È interessante vedere come nella lettera di risposta l’inquisitore riporti comunque l’attenzione sui problemi che riteneva essere realmente prioritari:

[...] Mi par però d’esser tenuto di mettere in consideratione à Vostra Signoria Illustrissima e Reverendissima che non havendo questa Inquisitione entrata di sorte alcuna, com’hanno tutte l’altre Inquisitioni et havendosi l’Inquisitore à vestir e calzare, non havendo dal Convento se non il semplice vitto, e dovendo in oltre provedersi d’utensilij per la camera, pagar lettere, comprar libri per l’offitio carta per processi, et altre scritture, riconoscer chi lo serve [...] come pure mi trovo haver debito col Convento [...] non havendo ne entrata ne sportule, non so come potrò sodisfare à tutte le cose sudette alle quali agevolmente potranno ben sodisfare gli altri Inquisitori havendo le sue entrate ordinarie [...]239

Anche in questo caso, Calbetti proponeva dei rimedi, se non del tutto risolutivi, volti almeno a tamponare le situazioni più urgenti:

Io crederei che si potrebbe forse in tal occasione aiutar quest’Inquisitione e fuggir tutti i detti inconvenienti, quando se gli facesse consignar dall’Inquisitione di Bologna, ò altra

235 Ivi, seconda lettera al cardinale di Santa Severina del 6 dicembre 1600. 236

Ivi, Seconde lettere d’ordini ricevute li 9 di decembre 1600.

237

Ivi, prima lettera del 18 novembre 1600: «[...] per l’avenire gli Inquisitori quanto alle persone loro debbano spedir gratis tutte le cose [...] non possano essi Inquisitori pigliare ne ricevere cosa alcuna».

238 Ivi, seconda lettera del 18 novembre 1600: «Reverendo Padre. Per ordine della santità di Nostro

Signore Vostra Reverenza per l’avenire nell’esamine de testimonij, e constituti de Rei nel santo offitio faccia scrivere per estension tutti gli interrogatorij, obiettioni e repliche per ovviare à pregiudici che si fanno in non scriversi gli interrogatorij, e per vedere se siano suggestivi, ò nò. Però ella non manchi d’osservar quest’ordine per se stessa, et avertirne i suoi vicarij e stia sana.»

circumvicina che habbia entrata, 40 ò 50 scudi sin che nascia altra occasione di poterli provedere [...]240,

considerando che, per esempio, era necessario pagare gli ufficiali laici che venivano “imprestati” per le mansioni del tribunale241

.

Questi brevi passi citati dalle prime lettere dell’inquisitore rendono bene l’idea di come la situazione economica dell’ufficio modenese fosse ancora difficile a pochi anni dalla sua istituzione. Pertanto sarà utile aprire una parentesi ed affrontare la questione dettagliatamente, poiché quello economico fu uno degli ambiti in cui l’azione di Arcangelo Calbetti si mostrò più incisiva: con questo inquisitore si posero le basi della fabbrica del nuovo tribunale, rispondendo ad una necessità che era stata avvertita immediatamente dal primo inquisitore generale di Modena.

- La “fabrica del Santo Offitio”

In questa sezione si incrocerà la corrispondenza dell’inquisitore Calbetti con i documenti riguardanti i lavori per l’adeguamento del nuovo tribunale inquisitoriale. Analizzando le vicende della progettazione ed edificazione del tribunale si toccheranno altri temi nell’ambito dell’economia dell’istituzione, ma non solo. Si vedrà anzitutto quali strategie furono messe in atto per reperire il denaro necessario, dalle commutazioni di pene ai prestiti occasionali, il tutto accuratamente rendicontato e rapportato ai cardinali della Sacra Congregazione, i quali, se è vero che non contribuirono mai attivamente, se non sporadicamente, a finanziare i tribunali locali, nondimeno esercitarono un controllo costante su quanto avveniva fuori da Roma, chiedendo chiarimenti e non mancando di redarguire quando vi fossero eventuali situazioni di abuso. Del resto, che il tribunale modenese fosse uno dei più poveri tra

240

Ibidem.

241

Ibidem: «[...] supponendo che necessariamente s’habbia a lasciar le sue paghe al fiscale e Notaro secolare quando s’adopri». Le lettere di Arcangelo Calbetti contenute in questo volume si interrompono a questo punto, per riprendere direttamente dagli anni 1608-1609, con l’inquisitore Michelangelo Lerri da Forlì. Come si è detto però, all’interno della b. 278 sono contenute alcune minute di lettere del Calbetti che permettono di integrare le informazioni a disposizione, considerando che per questi anni si ha anche una cospicua parte delle lettere dei cardinali della Sacra Congregazione.

quelli operanti nella Penisola era noto e la situazione non migliorò di molto neppure nel secolo successivo, nonostante l’operato di funzionari attivi come Calbetti242

. Come per altri tribunali inquisitoriali, quello modenese aveva sede presso il convento di san Domenico, che si trovava - e si trova tuttora - nei pressi del Palazzo ducale estense. I locali erano però insufficienti, non garantendo neppure il disbrigo delle funzioni più comuni, senza contare le frizioni che si creavano continuamente con il priore del convento, il quale, oltre all’esercizio delle consuete attività, aveva ora l’aggravio dell’istituzione ospitata, il che voleva dire garantire vitto e alloggio non solo al frate inquisitore, ma anche ai suoi funzionari, ovvero a notaio, consultori, custodi delle carceri e via dicendo. Mantenere un tribunale all’interno delle proprie mura comportava inoltre la custodia dei prigionieri e, come si è detto, i locali adibiti a carcere erano insufficienti e del tutto inadeguati. Se i due primi inquisitori - Giovanni da Montefalcone e Angelo Brizio - avevano segnalato tutte le criticità ai cardinali della Sacra Congregazione, fu frate Arcangelo Calbetti a dare avvio ad una serie di lavori strutturali, volti ad adeguare la sede alla sua nuova funzione di tribunale centrale.

A fornire un quadro preciso delle spese e delle modalità di reperimento dei mezzi necessari da parte dell’inquisitore si ha a disposizione, oltre alla corrispondenza con Roma, un prezioso strumento conservato presso l’Archivio di Stato di Modena: il “Libro della Fabrica del Santo Offitio di Modona”, contenente il dettaglio delle spese dal 1602 al 1607243. Nella lettera del 15 novembre 1600, indirizzata al cardinale di Santa Severina, Calbetti segnalava il problema dell’inadeguatezza e la conseguente urgenza di provvedere, proponendo una soluzione concreta per ottenere denaro immediatamente, ovvero attingere ad una confisca particolarmente cospicua:

242 Per un’indicazione di massima delle posizioni economiche dei vari tribunali inquisitoriali, si veda

Maifreda, I denari dell’inquisitore, cit., p. 18, il quale, prendendo a campione un anno per cui disponeva di documentazione sistematica - il 1748 - mostra come effettivamente Modena rimanesse in condizioni di difficoltà economica pressoché per l’intera vita del tribunale. In generale, sui mezzi - anche economici - di cui disponevano i giudici di fede, si veda A. Prosperi, Il budget di un inquisitore:

Ferrara 1567-1572, ora in L’Inquisizione romana, letture e ricerche, cit., pp. 99-123.

243

ASMo, Inquisizione, b. 282, Libri di spese pubbliche, “Libro della Fabrica del Santo Offitio di Modona”, cc. numerate da 1r a 17r, poi sciolte. In realtà, scorrendo le carte del volume, si trovano annotazioni successive, relative per esempio al saldo di un debito da parte di un inquisitore successivo.

Havendosi à cominciare la fabrica dell’Inquisitione e carceri in questo Convento (cred’io) non sarebbe se non bene s’applicasse tutta la condennatione d’Isac ebreo d’otto cento ducatoni per la fabrica sudetta [...].

La risposta del cardinal Santoro rifletteva un atteggiamento tipico della Sacra Congregazione davanti alle questioni relative a pene pecuniarie e confische, poiché, se da un lato esse erano una fonte costante di reperimento di denaro, destinato ad usi diversi, tuttavia si era consapevoli dei problemi che ciò comportava, contribuendo a delineare un quadro non certo positivo dell’istituzione: si stabilì, pertanto, che solo metà dei proventi della pena potessero essere destinati alla fabbrica del tribunale, mentre l’altra parte sarebbe stata ripartita tra i luoghi pii della città in maggiore stato di bisogno, chiarendo che comunque si sarebbe dovuto evitare in futuro di comminare pene pecuniarie, per non rischiare di rendere l’ufficio “odioso”244.

A maggior chiarezza e - diremmo oggi - trasparenza, i cardinali pretesero che l’inquisitore redigesse uno “strumento” delle spese per la fabbrica, come si apprende da una lettera di Calbetti, che era evidentemente la sua risposta alle questioni relative alla ripartizione dei proventi derivati dalla pena dell’ebreo e, più in generale, alla fabbrica del Sant’Ufficio: si dovevano destinare 400 scudi ai luoghi pii e 350 alla fabbrica245. Nello “strumento” andava specificata la concessione in uso dei locali:

Hora questi Padri havendomi concesso il sito da fabricar le dette carceri amorevolmente desiderano, che si tiri instrumento di tal concessione, per sicurezza del santo officio e del convento istesso e vorrebbono che nell’instrumento si mettessero queste conditioni, ciò è che il sito sia concesso ad uso, e non alienato in feudo, e che in caso fusse levata l’Inquisitione da frati di s. Domenico remessero le fabriche al Convento quanto al dominio [...]246.

L’inquisitore si impegnava a comunicare tutto quanto fosse relativo alle spese:

244

Cfr. lettera del cardinale di Santa Severina all’inquisitore Calbetti, 1° dicembre 1600, cit. In realtà, che la pena dell’ebreo Isac dovesse essere ripartita in tal modo era già stato ordinato dal Santoro in una lettera dell’11 settembre 1600, pur tuttavia Calbetti volle insistere sottolineando nelle sue lettere criticità e problemi del tribunale che si trovava ad amministrare.

245

ASMo, Inquisizione, b. 278, fasc. II, copia di lettera dell’inquisitore Calbetti (manca il nome del cardinale destinatario), 28 aprile 1601. Nello specifico, questa quota doveva servire all’edificazione di quattro prigioni, di una scala e di una stanza da destinare all’esame delle donne carcerate.

[...] ne mancarò obedir come devo. e quando si appresentarà caso che di ragione ricerchi confiscatione ne darò aviso, come ancora delle pene pecuniarie che si faranno prima che le applichi alla fabrica et attenderò à metter in ordine la lista delle spese fatte sin qua e la mandarò quanto prima ne prima l’ho mandata, perche disegnava mandarla tutta compita nel fine della fabrica sudetta, che poco vi resta à compirla247.

Il Libro della Fabrica costituisce un resoconto complessivo delle spese per la nuova Inquisizione durante il suo mandato248 e non solo, considerate integrazioni e le note operate dagli inquisitori successivi.

Al di là delle singole spese, fondamentali per avere idea dell’entità del lavoro necessario per l’adeguamento della sede inquisitoriale, emergono ulteriori elementi su cui è utile soffermarsi. Per esempio, un dato riportato tra le varie somme impiegate rimanda a una questione più ampia, ovvero al rapporto con il priore del convento, che avrebbe ospitato (e che già ospitava in realtà) il tribunale: al priore249 doveva essere versata una somma in denaro - 29 scudi, 2 lire, 19 bolognini - perché si era privato del granaio del convento per permettere la fabbrica del Sant’Ufficio, come emerge chiaramente da un documento accluso, la “Scrittura tra ‘l Convento e l’Inquisitore per la fabrica dell’Inquisition nova”250

: lo strumento era stato stipulato alla presenza dell’inquisitore di Bologna. Al priore si chiedeva di concedere lo spazio

247 Ivi, copia di lettera dell’inquisitore Calbetti (manca il nome del cardinale destinatario), 15 marzo

1603.

248

ASMo, Inquisizione, b. 282, Libro della Fabrica: «Nota delle spese fatte da me Frat. Archangelo Calbetti da Recanati dell’ordine de Predicatori Maestro, et Inquisitor generale di Modona Carpi, Nonantola, e loro diocesi, colla Provincia di Garfignana, nella fabrica delle Prigioni, et Inquisition nuova fatta far da me per uso de gli Inquisitori, nel tempo che sono stato Inquisitore nella detta Città

etc [lettura incerta] nel Convento di S. Domenico, che fu dall’anno santo Mille e seicento, sino

all’anno Mille, e seicento sette; nel qual tempo fui mandato poi Inquisitore à Piacenza, e Crema. e Cominciai la fabrica sudetta alli 13 d’Aprile 1601 e’ fu compita l’ultimo d’ottobre 1603. sotto il Pontificato di Clemente ottavo. et essendo in quel tempo generali Inquisitori gli Illustrissimi e Reverendissimi Signori Cardinali infrascritti cioè.

L’Illustrissimo e Reverendissimo Signore Giulio Antonio Santorio Cardinale di Santa Severina. L’Illustrissimo e Reverendissimo Signore Domenico Cardinal Pinello.

L’Illustrissimo e Reverendissimo Signore f. Hieronimo Bernerio Cardinal d’Ascoli Domenicano L’Illustrissimo e Reverendissimo Signore Lutio Cardinal Sasso.

L’Illustrissimo e Reverendissimo Signore Paolo Cam.o Cardinal Sfondrato.

L’Illustrissimo e Reverendissimo Signore Cardinale Camillo Borghese. che fù poi Papa Paolo quinto. L’Illustrissimo e Reverendissimo Signor Pompeo Cardinale Arigone.

L’Illustrissimo e Reverendissimo Signore Francesco Cardinal d’Avola.

L’Illustrissimo e Reverendissimo Signore Roberto Cardinal Bellarmino Gesuita.», c. 1r.

249 Si tratta di fra Serafino da Cagli, c. 12r.

250 Il documento in questione è datato 7 febbraio 1602. Il testo dello “strumento” è latino, il titolo

detto volgarmente “la speciaria vechia”, fino alla “Casazza”, affinché l’inquisitore potesse farvi costruire le camere e altri luoghi destinati alla propria abitazione e all’Ufficio. Veniva però precisato che tale spazio era concesso solamente a patto che venissero rispettate tre condizioni: 1) con la concessione non avveniva alcuna alienazione del fondo né della vecchia fabbrica, ma questi rimanevano proprietà del convento di san Domenico di Modena, mentre solo la nuova fabbrica sarebbe stata considerata di esclusiva proprietà del tribunale; 2) con la concessione il convento si privava del proprio granaio a patto che l’inquisitore provvedesse a farne fare un altro; 3) l’inquisitore restituiva una camera che era stata concessa ai suoi predecessori per la costruzione delle carceri251. In una carta sciolta, datata 8 marzo 1602, si trova l’attestazione del priore di san Domenico della ricevuta di 13 ducatoni “a buon conto” per l’accomodamento di un nuovo granaio da parte dell’inquisitore, con una nota successiva del 15 aprile 1602 in cui attestava la ricevuta di altre 110 lire per lo stesso “effetto”.

Come si diceva, è importante andare oltre la lettera, perché il rapporto con il priore era questione delicata e il fatto che si mettessero per iscritto le condizioni pattuite non era un semplice atto d’ufficio. Priore e inquisitore modenesi avevano non pochi “conflitti d’interessi”, considerando che entrambi appartenevano all’Ordine dei domenicani e dunque avevano del personale in comune. Ma qual era l’autorità prevalente? Ovvero, a chi si doveva obbedienza prioritariamente? Diverse lettere testimoniano di conflitti in questo senso, come si vedrà meglio in seguito, ma intanto il problema va posto, poiché già il primo inquisitore, frate Giovanni da Montefalcone, aveva preannunciato le difficoltà in cui sarebbero incorsi i suoi successori e a cui egli si era potuto sottrarre solo perché si era trovato a ricoprire entrambe le cariche, essendo già priore al momento della nomina a inquisitore generale252.

251 Il documento è di difficile lettura: particolare difficoltà nella comprensione dei punti 2 e 3.

252 Alcune delle misure messe in atto dai pontefici al fine di disciplinare i rapporti tra inquisitori e

priori sono richiamate da Maifreda, I denari dell’inquisitore, cit., pp. 107-109, che fa riferimento in particolare a quanto stabilito da papa Gregorio XIII, ossia che tutti i frati fossero sottoposti all’inquisitore, eccetto il priore, e da papa Sisto V, che precisava la composizione del seguito di