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I primi anni: frate Giovanni da Montefalcone (marzo 1598-dicembre 1599)

In questa sezione si utilizzeranno le lettere da e per la Sacra Congregazione per capire come si impiantò e come si strutturò il nuovo tribunale dell’Inquisizione nella neoeletta capitale dei domini estensi. Le lettere, in questo caso, forniscono un punto d’osservazione privilegiato, poiché il dialogo tra inquisitori e cardinali mette subito a fuoco le varie questioni e le difficoltà cui si doveva far fronte a Modena. Il fatto che si siano conservate le lettere a partire dall’anno d’insediamento del primo inquisitore generale - frate Giovanni da Montefalcone - permette di entrare subito in

medias res.

Per la trama del discorso si utilizzeranno sia l’intero corpus delle lettere di frate Giovanni da Montefalcone ai cardinali romani190, sia le lettere della Sacra Congregazione all’inquisitore191 degli anni 1598-1600, facendole interagire e cercando di uniformare il dialogo tra i due interlocutori. Da precisare che in questa sezione del lavoro si tralasceranno quasi completamente i riferimenti ai processi e a casi specifici, cui si dedicheranno approfondimenti e analisi quantitative in un momento successivo.

Il primo documento di cui disponiamo è una lettera di Giulio Antonio Santoro, cardinale di Santa Severina, a Giovanni da Montefalcone: il cardinale gli comunicava la sua prossima nomina e dava indicazioni sul modo in cui avrebbe dovuto procedere. È opportuno riportare integralmente la lettera, che varrà da incipit per il discorso che si vuole sviluppare:

Reverendo Padre. Questi miei Illustrissimi et Reverendissimi Cardinali generali Inquisitori Colleghi hanno fatto elettione della persona di Vostra Reverentia per Inquisitore della Città di Modena, et sua diocese, et quì alligata sarà la patente, et sicome per la relatione havuta delle sue buone qualità, prudenza et zelo nel servitio del Signore Iddio è stata preferita à molti concorrenti, così doverà [proce]dere con quella fede, et integrità che si conviene in negotio di tanta importanza, et corrispondere con gli effetti alla buona opinione, et

190 Il piccolo corpus riporta il titolo: “Copia delle lettere scritte scritte [sic] da me F. Giovanni da

Montefalcone dell’ordine dei predicatori fatto Inquisitore di Modena, alli Illustrissimi et Reverendissimi signori Cardinali del Santo Officio in Roma incomincia [parola illeggibile] del 1598 del mese d’Aprile”.

aspettatione, che si hà di lei. In questo principio faccia Inventario di tutte le scritture, et altre robbe, che vi fussero spettanti al santo officio, et anco elettione di fedele, et sufficiente Notario, et di altri officiali necessarij, et co ‘l tempo si andarà pensando di qualche aiuto per mantenimento dell’officio. [...]192

Mons. Vescovo con dargli avviso di questa deputatione, et con raccomandargli le cose dell’officio nelle occorrenze. Però prima di cominciare ad essercitare l’officio Vostra Reverentia visiti Sua Signoria, et li mostri la patente, sforzandosi dal canto suo di mantenere con Sua Signoria buona intelligenza, à ciò che tanto meglio si faccia il servitio di Dio in cotesta diocese, ritenendo il decoro, che si conviene del santo officio, senza comportare che s’introduca pregiuditio alcuno alle sue ragioni. Visiti parimente il Signor Don Cesare dandogli ragguaglio della detta deputatione per Inquisitore, et si spera che nelle occorrenze favorirà le cose del santo officio, et darà prontamente il suo braccio dove sarà bisogno. Sarà anco bene che si abbocchi co’l Padre Inquisitore di Ferrara, per haver’ da lui quella instruttione che gli occorrerà per servitio dell’officio, massime in questo principio. Et non mi occorrendo altro, saluto Vostra Reverentia et alle sue orationi mi raccomando. Di Roma a’ XIIIJ di Marzo M.D.xcviij. Di Vostra Reverentia Come fratello, Il Cardinale di Santa Severina193

Da queste parole emerge che frate Giovanni da Montefalcone, personaggio su cui si sa molto poco, sarebbe stato scelto per rivestire l’importante ruolo di inquisitore generale per le sue qualità. Ora, sicuramente si sarà tenuto conto di esse, ma, a ben vedere, la scelta potrebbe sottendere anche altre motivazioni: il fatto che egli ricoprisse in quel momento il ruolo di priore del convento doveva aver avuto senz’altro un peso notevole nella sua designazione. Oltre infatti ad essere evidentemente avvezzo ad esercitare una forma di autorità sui confratelli, egli aveva due ulteriori vantaggi derivanti da quella carica: da un lato non si trattava di un estraneo rispetto alla realtà modenese, garantendo quindi una certa continuità nella discontinuità, se così si può dire; d’altra parte, nominandolo inquisitore, si creava sì una sovrapposizione delle cariche, ma si evitava un problema di non poco conto, ovvero quello di creare tensioni tra Inquisizione e convento ospitante, cosa che puntualmente si sarebbe verificata con i suoi successori, come si avrà modo di vedere.

192 Strappo nel foglio.

193 ASMo, Inquisizione, b. 1, fasc. 2.II, lettera del cardinale di Santa Severina all’inquisitore di

Al neoeletto inquisitore si chiedeva anzitutto di fare l’inventario delle “scritture” e delle “robbe”. Questo voleva dire diverse cose, ma è sicuramente indicativo di un certo modo di procedere e di una capacità di organizzazione notevole, tipica di un organo centrale che con le sue direttive ambiva ad esercitare un controllo capillare sulle diverse realtà locali. È da tenere in considerazione che nel 1598, quando Modena e Reggio si apprestavano a divenire sedi inquisitoriali centrali e non più vicarie, il “nuovo corso” dell’istituzione romana era già collaudato, operando a pieno regime da oltre un cinquantennio. Se da un lato, quindi, a Modena ci si poteva giovare di tale sistema saltando in un certo senso la fase di rodaggio, era pur vero che si doveva faticare non poco per rimettersi al passo e uniformarsi ad esso, considerando che in città il mutamento dell’istituzione ecclesiastica era venuto a coincidere con l’improvviso mutamento politico. Questo può verosimilmente contribuire a spiegare la rapidità con cui si passava alle prime richieste avanzate al nuovo inquisitore. Si doveva capire quale fosse concretamente lo stato del tribunale, di cosa disponesse e di come operasse, per avere un’idea più precisa di cosa mancasse e di quale fosse stata l’attività del tribunale quando era vicario di Ferrara. La nomina degli ufficiali doveva essere un’altra delle incombenze prioritarie, poiché solo un personale competente avrebbe potuto garantire l’attività del Sant’Ufficio. Tutto questo per quanto riguardava l’organizzazione interna.

Ma l’inquisitore doveva anche rapportarsi con gli altri poteri cittadini e a questo si riferiva il cardinal Santoro quando raccomandava gli incontri con l’ordinario e con il duca. Il vescovo era l’altro giudice di fede e una buona intesa e collaborazione dovevano essere non semplicemente auspicate, ma cercate concretamente, per evitare intralci reciproci che avrebbero rallentato, se non impedito, il normale funzionamento del tribunale inquisitoriale. Un rapporto disteso e collaborativo col duca, poi, era oltremodo necessario, poiché soltanto col supporto del braccio secolare si sarebbe potuto esercitare e mantenere il controllo sul territorio in maniera efficace, motivo per cui frate Giovanni avrebbe dovuto visitare «parimente il Signor Don Cesare dandogli ragguaglio della detta deputatione per Inquisitore» 194 .

Frate Giovanni infine avrebbe dovuto prendere contatti con l’inquisitore di Ferrara, dal quale sarebbe stato messo al corrente dell’attività del tribunale sino a quel

momento, in modo da spedire le cause già avviate e capire come comportarsi nelle nuove vesti di giudice della fede.

L’8 aprile 1598 l’inquisitore di Modena scriveva una lettera al cardinale di Santa Severina in cui riferiva della sua nomina a inquisitore generale di Modena e della disponibilità subito mostratagli dal duca Cesare d’Este, il quale gli aveva avanzato «vivacissime profferte d’aiuto et braccio in servitio del santo officio»195. Nella stessa lettera egli si diceva pronto ad eseguire quanto gli era stato richiesto dalla Congregazione: si impegnava quindi a fare un sopralluogo per verificare lo stato della documentazione e dei beni dell’ufficio, per poi passare ad una questione di grande importanza, ovvero definire con precisione quali fossero i territori di competenza della sua giurisdizione:

[...] parmi di dover far sapere à Vostra Signoria Illustrissima come Carpi, e Nonantola terre viccine à Modena di sette et di dieci miglia; et Berselli196, sono di giurisdittione libere, ne à Modena ne à Reggio sottoposte: et che per viggore della Patente mandatami, non vengo ad havere sopra di loro faccoltà alcuna: nelle quali però s’intromettevano prima i Vicarij dall’Inquisitore [...] di Ferrara instituiti. Per tanto aspettarò che da Vostra Signoria Illustrissima mi sia comesso ciò che ho da fare in simili occorrenze.

Una prima risposta in merito pervenne il 22 aprile, quando il cardinale di Santa Severina faceva sapere che da Roma ci si sarebbe informati su chi avesse esercitato l’ufficio in passato e sotto quale tribunale sarebbe stato più opportuno sottoporre quelle terre197.

Quasi immediatamente il nuovo inquisitore prendeva consapevolezza della situazione del tribunale modenese, e le lettere successive mostrano in maniera evidente le criticità legate alla fase di cambiamento in atto, ma allo stesso tempo la

195 ASMo, Inquisizione, b. 295, Miscellanea, “Lettere de Padri Inquisitori alla Sacra Congregazione

del 1598, 1599, 1600 usque ad annum 1624”, lettera dell’inquisitore Giovanni da Montefalcone al cardinale di Santa Severina, 8 aprile 1598.

196

Brescello, poi sottoposta alla giurisdizione dell’inquisitore di Reggio.

197 Così nella lettera del 22 aprile 1598: «Reverendo Padre. Si è ricevuta la lettera di Vostra

Reverentia de gli 8 à 13 del presente, et del particolare, ch’ella scrive circa l’essercitare l’officio dell’Inquisitione nelle Terre di Carpi, Nonantola, et Brissello, si è dato ordine per sapere come si è essercitato l’officio ne’ detti luoghi per il passato, et à quale Inquisitione stanno più commodi, et poi ne haverà la risolutione. In tanto ella attenda con ogni prudentia, e zelo à negotij dell’officio, che il

Signore la conservi nella sua santa gratia. Di Roma à xxij di Aprile MDXCVIIJ. Di Vostra Reverentia

volontà di garantire sin da subito il buon funzionamento e la correttezza dell’attività del tribunale, nonostante la povertà di mezzi a disposizione.

Il 2 maggio 1598 tornava a porre l’attenzione sulle questioni giurisdizionali: come avrebbe dovuto agire nelle questioni riguardanti Carpi e Nonantola? Stavolta l’inquisitore non si limitava a porre in maniera generica il problema, ma, forse con il preciso intento di sottolineare l’effettiva urgenza della necessità di precisare il suo ambito territoriale di pertinenza, presentava al cardinale il caso di «alcune attioni» occorse a Sestola, nella diocesi di Nonantola, dalle quali egli per il momento aveva preferito astenersi in attesa, appunto, di istruzioni e finché non si fosse stabilito se quelle terre fossero o meno sotto la sua giurisdizione. La lettera continuava con questioni interne. La situazione dell’ufficio locale si presentava, dopo un primo sopralluogo, assolutamente drammatica: attività del tribunale sospesa, inventario non aggiornato, totale inadeguatezza dei locali e povertà generale198. L’unica precaria garanzia che egli intravedeva per la sua situazione derivava dall’essere ancora priore del convento dei frati di san Domenico, per cui avrebbe potuto avvalersi provvisoriamente di alcune delle sue risorse. Ma si trattava di una soluzione d’emergenza, che non poteva valere per chi sarebbe stato designato al ruolo di giudice dopo di lui:

Quanto alle robbe dell’officio non vi è eccetto che una sola cella in dormitorio con gli altri frati; con una lettiera, letto e stramazzo, senza lenzoli e copperte, et spogliata d’ogni altra comodità religiosa. Io al presente per essere Priore del Convento me la passo bene nella cella del Priorato, ma finito che haverò da qui à un anno questo officio bisognarà patire molti incommodi fino à tanto che venghi qualche ventura199.

Da questo passo emerge anche un altro elemento: l’inquisitore faceva riferimento al fatto che il suo mandato sarebbe durato un anno soltanto. Si tratta di un particolare irrilevante o può essere interpretato in qualche modo? Si può supporre che la nomina di frate Giovanni da Montefalcone si fosse presentata come una misura d’emergenza,

198 ASMo, Inquisizione, b. 295, lettera dell’inquisitore di Modena al cardinale di Santa Severina, 2

maggio 1598: «Mi sono posto à rivedere le scritture conservate in cotesto Archivio, quali hò trovate assai bene regolate sino all’80, ma dal detto millesimo sino in poi non appaiono 6 processi finiti a pena [...]».

dal momento che, sebbene il clima dei rapporti tra l’antica capitale estense - Ferrara - e Roma lasciassero presagire dei cambiamenti, tuttavia gli eventi precipitarono proprio tra gli anni 1597-1598. In quella situazione, con Modena assurta a nuova capitale degli Stati estensi e contestualmente a sede di un’Inquisizione generale, la nomina di un personaggio “interno” potrebbe essere stata considerata come la soluzione più comoda, piuttosto che scegliere una persona completamente estranea rispetto a quel contesto.

Nella terza lettera conservata, l’inquisitore poneva all’attenzione del cardinale di Santa Severina un ulteriore segno dell’incuria di chi lo aveva preceduto: la mancata pubblicazione degli editti200. Questo era un problema di non poca rilevanza, perché stava a significare che in quella realtà non si era al passo con le direttive centrali e ciò si ripercuoteva sul complesso dell’attività del tribunale: gli editti provenienti da Roma aggiornavano l’inquisitore e i vicari, potevano ampliare o chiarire la casistica dei reati e, inoltre, quelli della Congregazione dell’Indice informavano sulle opere che di volta in volta si ritenevano sospette, da espurgare o da proibire del tutto. Gli editti che invece venivano emessi direttamente dagli inquisitori locali - di solito all’inizio del loro mandato - erano ugualmente fondamentali, dal momento che, oltre a ribadire l’obbligo di denunciare reati di competenza del Sant’Ufficio, concedevano un tempo di grazia entro cui comparire spontaneamente per denunciare se stessi o altri, senza incorrere in pene maggiori.

Con la lettera del 16 maggio, il cardinal Santoro proponeva una prima soluzione ad almeno una delle questioni poste dall’inquisitore: si era stabilito infatti che a esercitare la giurisdizione sulle terre di Carpi e Nonantola sarebbe stato il tribunale di Modena, come era avvenuto per il passato201. Stessa risposta aveva dato anche il cardinale d’Ascoli, al quale evidentemente era stato sottoposto il problema, in quanto conoscitore della situazione dei territori estensi202.

200 Ivi, lettera al cardinale di Santa Severina, 13 maggio 1598: «Essendomi informato essere trascorsi

più di 14 anni che in questa città et diocese non sono stati pubblicati da gli Inquisitori novelli e affissi gli editti soliti à pubblicarsi [...]».

201 ASMo, Inquisizione, b. 1, fasc. 2.II, lettera del cardinale di Santa Severina, 16 maggio 1598:

«Reverendo Padre. Per ordine di questi miei Illustrissimi et Reverendissimi Signori Cardinali Colleghi Vostra Reverentia esserciterà l’officio dell’Inquisitione nelle terre di Carpi, et di Nonantola, come è stato essercitato per il passato, oltre l’essere più commode à cotesta Inquisitione che à nessun’altra. Con che la saluto, et alle sue orationi mi raccomando, Di Roma, à XVI di Maggio M.D.XCVIIJ. Di Vostra Reverentia Come fratello, Il Cardinale di Santa Severina».

La drammaticità della situazione dell’Inquisizione, dal punto di vista economico- finanziario, veniva ribadita in maniera inequivocabile nella quarta delle lettere dell’inquisitore Montefalcone:

Trattando io con questo Monsignor Reverendissimo Vescovo se egli hà ricevuto comissione alcuna di applicare qualche benefitio in occasione di vaccantie a cotesta Inquisitione, mi ha risposto che N. S. in più volte che hà ragionato seco, non gli ne hà fatto moto alcuno, ne anco, quando pigliò licentia da Sua Beatitudine per ritornare alla sua chiesa et che dubbita non sia per otennere il Santo Officio utile alcuno per questa via, allegandomi che i beneficij sono poveri et quelli senza cura d’anime quasi tutti ius patronatus [...] Questo sia detto a Vostra Signoria Illustrissima solo per avvertimento et con ogni humiltà, come à particolare protettore di questa novella inquisittione, accioché possi provederle di qualche comodità203.

La mancanza di benefici fu un problema costante per le sedi inquisitoriali della Penisola, soprattutto nella prima fase della loro vita, prima cioè che i rispettivi inquisitori trovassero il modo di provvedere - se e quando vi riuscirono - al loro sostentamento e alla funzionalità della macchina inquisitoriale. Ciascun inquisitore era tenuto a gestire autonomamente il tribunale di cui era titolare, anche perché da Roma si inviavano aiuti molto raramente: al massimo, si poteva fare in modo che un’Inquisizione più ricca avesse provveduto a versare dei contributi - annuali o una

tantum - alle sedi limitrofe più disagiate204. I limiti che la penuria di denaro poneva alla normale gestione delle attività del tribunale si riflettevano sin sulle attività più semplici, come mostra la lettera successiva, in cui l’inquisitore giustificava il mancato ragguaglio su un caso, in quanto impossibilitato a procedere sia per difficoltà logistiche (essendo il luogo del reato lontano da raggiungere), sia per mancanza di denaro205. Ulteriori difficoltà si riscontravano nei casi in cui non si avevano i mezzi per inviare i funzionari ad interrogare i testimoni che non potevano recarsi presso il convento di san Domenico206.

L’inquisitore tornava spesso a lamentarsi della situazione, descrivendo le condizioni in cui versava l’ufficio:

203 ASMo, Inquisizione, b. 295, lettera al cardinale d’Ascoli, 2 giugno 1598. 204

Per questi aspetti è utile il recente studio di Germano Maifreda: G. Maifreda, I denari

dell’inquisitore: affari e giustizia di fede nell’Italia moderna, Torino, Einaudi, 2014.

205 ASMo, Inquisizione, b. 295, lettera al cardinale di Santa Severina, 11 luglio 1598. 206 Ivi, lettera al cardinale d’Ascoli, 28 luglio 1598.

[...] dico, che in questa novella Inquisittione si come non hò trovato cosa alcuna spettante al santo officio: Non libri, non sigilli, non suppellettili di sorte alcuna salvo di una celleta nel dormitorio con gli altri frati et un banco di scrittura [...]»207.

Le prigioni non erano adatte, favorendo non di rado la fuga dei prigionieri, come aveva dimostrato il caso dell’imputato Pellegrino di Roccapelago208

.

I cardinali, da parte loro, cercavano di avere piena cognizione della situazione economica anche attraverso la richiesta di ragguagli in merito alle imposizioni di tasse e alle entrate ordinarie del tribunale, come testimonia, per esempio, una lettera del cardinale di Santa Severina del 1° agosto209.

Le lettere successive pongono ancora la questione della mancanza di benefici, che avrebbero potuto rappresentare una soluzione, almeno parziale, ai problemi economici dell’inquisitore. Per il momento, i cardinali stabilirono l’invio di una somma in denaro (30 scudi) e garantirono che si sarebbe pensato a qualche “aiuto” ulteriore, fermo restando che l’inquisitore avrebbe dovuto verificare da sé se vi fosse la possibilità di ottenere qualche beneficio, come si vede nelle lettere che il cardinale di Santa Severina inviò il 12210 e il 19211 settembre 1598.

Ciononostante, frate Giovanni insisteva con il cardinal Santoro, chiedendogli di intervenire direttamente presso il vescovo della città, affinché lo provvedesse di

207 Ivi, lettera al cardinale di Santa Severina, 22 agosto 1598. 208

Ivi, lettera al cardinale di Santa Severina, 9 settembre 1598.

209 ASMo, Inquisizione, b. 1, fasc. 2.II, lettera del cardinale di Santa Severina, 1° agosto 1598:

«Reverendo Padre Per ordine di questi miei Illustrissimi et Reverendissimi Signori Cardinali Colleghi Vostra Reverentia mandi quanto prima copia delle tasse delle mercedi, che si pagano da’ processati in cotesta Inquisitione così per le spese del vitto, scritture de’ Notarij, et altri officiali, come anco à lei medesima in qual si voglia modo, con dare anco avviso di tutto quello, che si paga per stilo, et consuetudine ancorache non sia scritto nelle tasse, et ne dia quanto prima pieno ragguaglio. In tanto stia sana, et il Signore la conservi nella sua santa gratia. Di Roma al primo di Agosto, M.D. XCVIIJ. Di Vostra Reverentia Come fratello, Il Cardinale di Santa Severina».

210

Ivi, lettera del cardinale di Santa Severina, 12 settembre 1598: «Reverendo Padre Si ricevé la lettera di Vostra Reverentia de gli XI di Luglio, et in risposta le dico, che per sovventione di cotesta Inquisitione, questi miei Illustrissimi et Reverendissimi Signori Cardinali Colleghi hanno ordinato,