• Non ci sono risultati.

Massimo Guazzoni da Bozzolo (settembre 1616-gennaio 1618)

Nel documento L’Inquisizione a Modena nel primo Seicento (pagine 149-152)

A dispetto della brevità del suo mandato, si può subito notare una certa intensità nell’attività dell’inquisitore fra Massimo Guazzoni da Bozzolo, testimoniata in questo caso sia dalle lettere ricevute dai cardinali, sia da un numero cospicuo di quelle che egli inviò alla Sacra Congregazione.

Che si trattasse di un giudice particolarmente noto per la sua attività lo si può capire anche dalla lettera del cardinal Millini che ne attestava l’arrivo in città: gli raccomandava di svolgere il proprio lavoro come aveva già fatto a Pavia, di cui la Congregazione si era mostrata evidentemente soddisfatta419.

Vanno segnalati, in particolare, due casi occorsi in quegli anni, il primo dei quali verrà ripreso nella sezione dedicata ai casi di studio all’interno di questa trattazione. Entrambi videro l’inquisitore in disaccordo con il duca, col quale si erano riaccesi i conflitti tanto sull’attribuzione delle cause, quanto sulla volontà della corte di essere informata dei procedimenti che coinvolgessero i cittadini nobili.

Guazzoni si mostrò tutt’altro che propenso a mediare e a soluzioni di compromesso con la corte, a differenza di alcuni suoi predecessori, a cui il duca aveva fatto richiamo. Il nuovo inquisitore non riteneva conveniente procedere in quel modo e lo espresse chiaramente in una lettera del 19 maggio 1617, parlando di «giusta difesa della libertà et prerogativa di questo tribunale»420, anche quando ad essere inquisiti fossero dei nobili, come nel caso in questione, che vedeva coinvolto un esponente di una delle più illustri famiglie modenesi - i Montecuccoli, feudatari del Frignano - indiziato per diversi capi d’accusa, come si avrà modo di vedere. Per il momento basterà accennare al fatto che il duca arrivò persino a minacciare di prendere a pugni l’inquisitore, intimandogli di lasciare il suo incarico421

. L’inquisitore, da parte sua, attribuiva questo atteggiamento ostile del duca ai suoi consiglieri:

[...] né per questo voglio riversare totalmente la colpa sopra quest’Altezza, di sua natura dolce et amorevole; ma più tosto sopra certi interessati, che malamente lo consegliano, con i

419 ASMo, Inquisizione, b. 252, fasc. III, lettera del cardinal Millini, 6 o 8 (lettura incerta) 1616: «Per

lettera de 14 riceuta à 24 del passato s’è inteso il suo arrivo costì, dove ella continovarà à portarsi nella maniera che si è portata a Pavia; potendo assicurarsi, che come questi miei Illustrissimi Signori sono sinhora restati sodisfatti dell’esser suo, et hanno conosciuto le sue fatighe, et valore, così all’occasione procuraranno anco di riconoscerla con quelle dimostrationi che si doveranno al merito suo».

420 ASMo, Inquisizione, b. 295, Lettere de Padri Inquisitori, cit., lettera del 19 maggio 1617. 421 Ivi, lettera del 13 maggio 1617.

quali non mi giova il servirmi d’una Cristiana politica, procurando di mantenermegli amorevoli, perché dai proprij interessi sono troppo accecati422.

Pur se non esplicitato, il riferimento al principale tra i consiglieri del duca - l’Imola - era abbastanza evidente.

L’altro caso è interessante per diverse ragioni, anzitutto per il conflitto di giurisdizione che ne era derivato, ancora una volta, tra tribunale dell’Inquisizione e autorità politica, ma anche perché, coinvolgendo ebrei, emerge chiaramente la protezione loro accordata dalla corte e in particolare dall’ormai noto Giovanni Battista Laderchi. Il caso riguardava alcuni ebrei che avevano congiurato contro propri correligionari, facendo trovare in casa loro delle immagini deturpate di santi. Dopo un lungo interloquire, si era arrivati alla conclusione che la causa fosse di misto foro423, ma neanche allora l’inquisitore volle rinunciare a rivendicare la propria competenza esclusiva, se non su tutti, almeno su alcuni dei punti dell’accusa.

Casi di questo tipo mostrano come l’Inquisizione tendesse ad estendere sempre più le proprie prerogative, anche in un ambito che, tradizionalmente, i duchi estensi rivendicavano per sé.

Gli inquisitori, nella loro corrispondenza con i cardinali della Sacra Congregazione, potevano correre alcuni rischi, come ad esempio quello segnalato da Guazzoni a proposito del sospetto che qualcuno intercettasse la sua posta. Egli si diceva sicuro di qualche “sinistro”, come scriveva in una lettera del dicembre 1616:

Il dupplicato della lettera di Vostra Signoria Illustrissima delli 29 del passato, hier sera da me ricevuto, è chiaro inditio et argomento, che la lettera sua andò dispersa, et quanto à me tengo per cosa certa, che mi sia stata intercetta, tanto più perché m’accorgo, che in questa Città facilmente si possono fare di questi colpi, che perciò mandai le mie alla posta per altra mano, raccomandate costì al Padre Procuratore dell’ordine de servi [...]424

422 Ivi, lettera del 19 maggio 1617. 423 Ivi, lettera dell’8 dicembre 1617. 424 Ivi, lettera del 24 dicembre 1616.

Guazzoni assicurò che in futuro avrebbe usato ulteriori accorgimenti, avvalendosi dell’aiuto del vescovo di Modena e dell’inquisitore di Bologna425

.

Si può supporre che questo episodio derivi da una situazione di reciproca diffidenza e di sospetto tra i due poteri cittadini: la mancanza di collaborazione e l’ostilità, di cui sopra si sono forniti degli esempi, avevano probabilmente spinto ad adottare delle misure e degli atteggiamenti di difesa e prevenzione.

Neanche frate Massimo Guazzoni mancava di fare riferimento alle difficoltà economiche in cui versava il tribunale: talvolta era impossibilitato a spedire le cause, e quindi ripetutamente sollecitato dagli imputati e costretto a sua volta ad esortare i cardinali romani affinché intervenissero in suo aiuto, tanto più dovendo fare i conti con i debiti contratti dai suoi predecessori - tra cui quello con gli ebrei per l’edificazione della fabbrica del tribunale, che non sapeva in che modo saldare, «non havendo altro d’entrata, che cinquanta scudi»426

.

Non poche preoccupazioni erano legate alla circolazione di libri proibiti e sospetti, come nel caso della presunta introduzione di Bibbie in volgare e del Catechismo di Calvino, anche se l’inquisitore, da parte sua, assicurava ai superiori il suo impegno e l’efficacia del controllo:

Usarò ogni necessaria et oportuna diligenza, acciò niuno riesca il maneggio degli heretici intorno all’introdutione della Bibia volgare in lingua nostra col catechismo di Calvino; et mi giova il credere, che non culpiranno in questa Città, perché nel dare il giuramento ài librari, gli ho ordinato, che non aprino qualsivoglia balla ò fagotto de libri senza la presenza mia427.

425 Ibidem: «[...] et per l’avenire mi valerò della cortesia di Monsignor Reverendissimo Vescovo

nostro, ò manderò le lettere al Padre Inquisitore di Bologna, et massime quando dubitarò di qualche sinistro [...]».

426 Ivi, lettera del 23 settembre 1616. La somma dovuta agli ebrei ammontava a lire 492 di bolognini. 427 Ivi, lettera del 7 gennaio 1617.

Nel documento L’Inquisizione a Modena nel primo Seicento (pagine 149-152)