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Le «Animadversiones» del promotore della fede (1907): virtù eroiche o astuta manipolazione della religiosità collettiva?

Nel documento DON BOSCO (pagine 68-77)

Si giunse a un momento cruciale quando nel marzo 1907 il promotore della fede, mons. Alessandro Verde, esibì le «Animadversiones» con la serie di quesiti e obiezioni da risolvere prima di decidere se accantonare o prose- guire il processo di beatificazione.

In quegli anni mons. Verde aveva dovuto occuparsi di personaggi quasi coevi di Don Bosco, come Anna Maria Taigi (1769-1839) e Bernardo Clausi (1789-1849), sui quali Don Bosco, stesso aveva portato la propria attenzione pubblicandone alcune profezie riguardanti la Chiesa sul «Galantuomo».

Riguardo alla Taigi mons. Verde aveva rilevato nelle «Animadversiones» al processo apostolico l'inattendibilità di profezie che preannunziavano «trionfi»

durante il pontificato di Pio

E;

inoltre aveva lamentato la poca credibilità della gran parte dei testi reclutati nella cerchia ristretta dei devoti e degli am- miratori: tutti enfaticamente affermavano nella serva di Dio virtù superlative, in contrasto con quello che lasciava apparire qualche teste più autonomo sulla Taigi, povera vedova la cui religiosità non di rado era caduta, a suo dire, in intemperanze ingenue.')

Di Bernardo Clausi, padre minimo di origine contadina calabrese, mons.

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Verde non trovava proponibile come esempio di santità il comportamento ch'era stato triviale e buffonesco persino in conventi femminili; soprattutto trovava da rilevare lo spirito inquieto e quasi torbido del Clausi, tendente alla depressione psichica. Quasi alla fine della vita si era gettato in mare in uno stato di delirio alla ricerca di una sorta di annientamento purificatorio; fu sal- vato dall'intervento tempestivo di un pescatore; ma non era ceno da presen- tare come modello di santità un gesto che rasentava il suicidio e a cui poi

" Novinime animaduersiones 7.p. promotoris fidei, p. 1-13, 24 agosto 1905, in: S. Rifuum

Congregafione, e.mo ac rev.mo domino card. Dominio Ferrate relatore. Romana, beatzj?cationis et , canonizationir vcn. seme Dei A n n e Marie Taigi tertiaris professe Ordinis Sanctissims Trinitotis redemptionis capfiuorum. Nouissima p&io.super uiitutibux, Romz, typis Perseverantia 1905.

Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella

erano seguiti tormenti interiori e forse anche il rifiuto deii'assoluzione (di cui il Clausi si sentiva indegno) in punto di

Neil'elaborazione di obiezioni e quesiti circa l'eroicità di virtù di Don Bo- sco mons. Verde sembra si sia ispirato piuttosto aile «Animadversiones» che dieci anni prima aveva presentato nei confronti del Cottolengo mons. Gustavo Persiani, d o r a deputato promotore della fede."

Come già il Persiani nelle osservazioni sui Cottolengo, mons. Verde rile- vava anzitutto I'ambivalenza deile opere di carità che si attribuivano al servo di Dio. D d a loro intrinseca bontà e d d a loro efficienza ed espansione non si potevano senz'altro dedurre argomenti in favore delle virtù praticate da co- lui del quale si proponeva la causa di beatificazione. Quanto nel Cottolengo era considerato semplicità di spirito poteva essere interpretato come un accor- gimento per meglio coprire sottili doti di umana accortezza.

Il

nome di Piccola Casa della Divina Prowidenza era contraddetto d d a complessità e grandiosità deii'opera; era antifrasi e ironia; più che santa prudenza, sembrava denotare furbizia; altrettanto era possibile dire deil'abbandono nella Prowidenza atte- stato e giurato dai testimoni in coro. I n effetti il Cottolengo si era interessato con cura del supporto economico da prowedere alle sue iniziative accettando la protezione del re, facendo erigere come opera pia la «Piccola Casa», inca- nalando donazioni, eredità e lasciti di vario genere. Indicativo era da conside- rare il modo di agire del Cottolengo quando si adoperò per assicurare una pre- benda a suo fratello Luigi: un comportamento che il Persiani indicava come rasentante la simonia: «Ho parlato col canonico Chicchiglione l,..]. Mi assi- curò che tenghiate bene l'occhio aperto su qualsivoglia benefizio [...] che possa dipendere l'investitura di Monsignore, che ve la procurerà

...

».l6

Il

tema deli'astuzia nel contesto della religiosità collettiva diviene il registro con il quale mons. Verde orchestra le sue osservazioni ed obiezioni nei con- fronti di Don Bosco. Ed esordisce citando dal Don Bosco in francese del d'E- spiney il giudizio che avrebbe espresso il venerabile Giuseppe Cafasso, che a Torino era di Don Bosco confessore, direttore spirituale, sostenitore e finan- ziatore:

" Animaduersiones r.p.d. prornotorisfidei, p. 1-65, 20 dicembre 1906, in: S. Rituum C o n p - gatione e.mo ac rre.mo. d n o card. Antonio Vico relntore. Romana reu Cusentina beatificationir et canonizationis ven. remi Dei Bernardi Mariie Clausi socerdoti~ proferri Ordinir Minimomm S. Frnn-

&n

de Paula. Poritio ruper virtutibur, Rome, typ. Guerra et MLri 1917.

" Nouie animadverrioner r.p. promotorirfidei, p. 1-17, 20 gennaio 1897, in: S. Rituum Con- gregatione e.mo ac rev.mo domino cardinali Alorio Oreglia o S. Stephano relatore. Tnurinen. beati- f2cntionir et canonizationis ven. servi Dei Josephi Benedirti Cottolengo canonik collegiate ecclerie Sanctis~imi Corporis Domini funaùttoru instituti tanrinensis Pamie Domus Divine Prooidentiie.

Noua positio ruper uirtutibus, Rome, typis Guerra et Muri 1899. - Gustavo Persiani nato a Roma, 31 gennaio 1841; ordinato sacerdote, 19 dicembre 1863; commissario di giustizia al conc. Vaticano I; auditore di Rota, 13 marzo 1896; aiutante di mons. Agostino Caprara e poi interinalmente pro.

motore della fede; morto a Roma, 17 febbraio 1911; d Annuaire 1912, p. 775.

PF.RS~NI, Nove animadversiones, p. 3.

«Sapete voi bene chi è Don Bosco? Per me, più lo studio e meno lo capisco: lo vedo semplice e straordinario; umile e grande; povero ed occupato da disegni vastissimi, da progetti in apparenza non attuabili; e tuttavia sempre attraversato nei suoi disegni e come incapace di far riuscire a bene le sue imprese. Per me Don Bosco è un mistero.

Se non fossi certo che egli lavora per la gloria di Dio, che Dio solo lo guida, che Dio solo è lo scopo di tutti gli sforzi suoi, lo direi uomo pericoloso più per quello che lascia intravedere, che per quello che manifesta. Ve lo ripeto: Don Bosco per me è un mi- stero. Lasciatelo fare! »."

Erano le certezze del Cafasso che il promotore della fede suggeriva di met- tere in discussione. Per dare attendibilità alle sue argomentazioni presentava una serie d'indizi e di fatti, sulla base dei quali era possibile chiedersi se l'agire di quest'iiomo, dall'infanzia ali'età matura, non era stato mosso piuttosto dal- l'ardente passione del successo, cioè da sottile orgoglio e superbia, che lo in- ducevano a essere un illusore più che un illuso, un simulatore e un impostore, un uomo testardo, litigioso, prepotente e anche ingiusto, un efficientista la cui vita era priva di mortificazioni personali che attestassero veramente l'impegno verso le virtù. Svariate erano le cose che sembravano costituirsi in un'unica trama e indicare in Don Bosco uno spirito ambizioso, abilissimo manipolatore della religiosità collettiva. Secondo gli stereotipi in uso in questo campo, mons.

Verde nelle sue «Animadversiones» rovesciava interamente lo schema delle virtù in quello dei vizi, così come del resto anche Don Bosco aveva fatto con i salesiani narrando il sogno del manto con incastonati diamanti simbolo delle

'' Animodverrioner 7,p.d. promotorisfidei, p. 1-25, 16 mano 1907, nel volume: ... Jorepho Ca- lnrantio Viver Y Tuto relntore ... Positio super introdudione cause (Informario, Animadverrioner et Rerponrio), Romse, Schola typ. Salesiana 1907, p. 2: «Memoratu digna sunt, q u e de hoc famdo Dei protulisse fertur ven. Jose~hus Cafasso, quo pietatis magistro ille usus est, et cuius beatiiica-

tionis causa superiore anno ab hoc sacro cetu benigne excepta fuir: - Sava-vous bien qui est Don Bosco? Pour moi, plus je I'étudie et moins je le comprends. Je le vois simple et extraordi- naire; humble et grand; pauvre et travailli. de vastes pensées, des projets en apparence irréalisa- bles

...

et avec tout cela, constamment traversé dans ses desseins et camme incapable de mener ?a

bien ses entreprises ... Pour moi, Don Bosco est un mystère. Si je n'avais la certitude qu'il travaille

pour la gloire de Dieu, que Dieu seul le conduit, que Dieu sed est le fin de tous ses efforts, je le taxerais d'homme dangereux, plus encore pour ce qu'il laisse dwiner que pour ce qu'il dit ...

Je vous le répète, pour moi, Don Bosco est un mystère: Laissez-le faire (D. Charles d'Espiney, Vie de Don Borm, Préface, pag. Xi). Iamvero, cum humana qmque deficiant suapte natura, si que- dam superbie semina intus oborta virtutes inficiant, non ex rerum gestamm amplitudine ac splen- dore huius viri sanctimoniam dimetiri fas est, sed vitam eius totam introspicere scmtarique debe-

mus...». Mons. Verde attinge a Charles D'ESPINEY, Don Bosco. D i d m e édition entièrement refon- due et enrichie ... Ouvrage npprouvé por ler rnlérienr, Nice, imprimerie-libr. salésienne du Patronage

St.-Pierre 1888, p. XIs. Nel testo abbiamo trascritto da: Don Bosco ... Prima versione italiana sui- i'undecima edirionefrnncere ..., S. Pier d'Arena, tip. S. Vinc. de' Paoli 1890, p. Xi. Il brano del- l'introduzione al Don Bosco del d'Espiney è inserito in MB 2, p. 351 (1901) e MB 4, p. 588 (1904);

in entrambe le citazioni Don Lemoyne sopprime, dopo le parole n è un mistaou, l'espressione:

«Se non fossi certo - per quello che manifesta*, espressione che si legge, oltre che n d e varie edi- zioni del d'Espiney, nel «Bdetin salésienn X (septembre 1888) p. 109.

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella

virtù: al centro di tutto, non la regina delle virtù, la carità, ma il suo preciso opposto, la superbia.

Da piccolo facendo l'equilibrista e il giocoliere in mezzo a crocchi di coe- tanei e di adulti il servo di Dio aveva subito mirato a mettersi in mostra e su- scitare meraviglie. Poi narrando i suoi sogni aveva ottenuto il doppio intento di farsi immaginare privilegiato da arcane rivelazioni relative al proprio awe- nire e farsi così favorire nella carriera ecclesiastica che aveva cominciato ad agognare. La narrazione di sogni divenne un accorgimento personale per met- tersi in vista da chierico e da giovane prete. Quando cominciò a raccogliere at- torno a sé giovani e discepoli, usò intrattenerli e attrarli raccontando che aveva visto in sogno chi tra loro sarebbe morto: «Somnia sua iisdem narrabat, qui- bus sibi ostensum fuisse asserebat, eorum alterum brevi esse mortem obitu- rum». Ma lui stesso si esprimeva lasciando capire che non era troppo convinto della natura soprannaturale di quanto asseriva di avere sognato. La voce ch'e- gli usasse predire la morte di qualcuno dei suoi giovani si sparse anche fuori dell'oratorio, sicché ci fu chi intervenne per indurlo alla prudenza e ali'uso di mezzi educativi non così lugubri, di miglior gusto e più idonei: posto pure che avesse il dono di prevedere la morte, sarebbe stato più opportuno preparare i ragazzi all'ultimo passo in modo meno traumatico:

«Expediebatne eiusmodi priedictionibus tot puerorum animos ade0 frequenter tur- bare eosdemque mortis instantis terrore iugiter vexare? Nonne debuisset potius, iis ac- cersitis alumnis quos nosset morti destinatos, secreto ac pedetentim przmonere, eosque ad bene moriendum disp~nere?».'~

Don Bosco giunse a narrare i suoi sogni a Pio M come prova ch'era so- prannaturalmente ispirato a fondare una congregazione religiosa che ne con- tinuasse le opere. Che cosa avesse confidato al papa non era dato saperlo. Ma si trattava veramente di rivelazioni celesti oppure di accorgimenti suggeriti da sottile furbizia? Nelle sue argomentazioni mons. Verde era ormai ben lontano dal d'Espiney e dallo stesso Don Cafasso; arieggiava piuttosto a quanto di Don Bosco avevano scritto giornali anticlericali, o confidenzialmente il Colomiatti, e sotto giuramento avevano deposto al processo informativo mons. Bertagna e Domenico Bongiovanni:

«Verumne est, servi Dei przdictiones, quas ipse somnia vocabat, a Divino Spi- ritu fuisse eidem inditas, ve1 potius cum humana calliditate coniunctas? Res in incerto hieret~.'~

Ammesso pure che il servo di Dio di notte sognasse quanto di giorno lo assorbiva e aggravava, narrando i suoi sogni come fossero rivelazioni celesti manifestava, a ben vedere, il suo temperamento caparbio che tutti voleva pie-

" Animudversiones (1907) N. 8, p. 7 .

Anim~dverriones (1907) nr. 9, p. 7.

gare al proprio volere. Non solo dunque i conflitti con mons. Gastaldi deno- tavano tale tendenza e tale comportamento. Significativo era quanto accadde a meno di due mesi dalla morte. 11 7 dicembre 1887 si era recato a Valdocco mons. Doutreloux, vescovo di Liegi, per chiedere insistentemente l'apertura colà di un'opera educativa salesiana.

Ii

vescovo aveva parlato con calore a Don Bosco nelle sue camerette. A sua volta il servo di Dio chiamò a sé mons. Ca- gliero e Don Celestino Durando per consiglio; ma questi gli espressero parere contrario, data la scarsezza di personale disponibile. I1 giorno dopo, 8 dicem- bre, festa dell'Immacolata Concezione, Don Bosco fece scrivere dal suo gio- vane segretario Don Carlo Viglietti un biglietto: «Parole letterali che la Ver- gine Immacolata, apparsami questa notte, mi disse: - Piace a Dio ed alla B.V.

Maria, che i figli di S. Francesco di Sales vadano ad aprire una casa a Liegi in onore del SS. Sacramento. Qui essi incominceranno le glorie di Gesù pub- blicamente...». «Don Bosco - dichiarò Don Lemoyne al processo - dettò queste parole piangendo e singhiozzando

[...l.

Monsignor Cagliero entrò nella camera di Don Bosco e visto quel biglietto esclamò: - Io era di parere con- trario; ma ora, venuto questo decreto dail'alto, non c'è più a dire». Mons.

Verde proseguiva notando come casi di questo tipo davano l'impressione che il servo di Dio tendesse a interporre il volere divino per mettere a tacere i col- laboratori ch'erano di opinione contraria aUa sua:

«Nonne hiec narrata videntur, ut servus Dei placitum supernum interponeret, quo sodalium suorum Cagliero ac Durando adversa consilia in suam sententiam addu- ceret?~."

I n una seconda serie di osservazioni il promotore della fede induceva a chiedersi se l'alone di santità non fosse provenuto essenzialmente dal modo di agire di Don Bosco e dei suoi salesiani. Don Bosco aveva preso l'abitudine d'impartire la benedizione di Maria Ausiliatrice. Come aveva deposto Don Francesia, «stava seduto in sacrestia benedicendo quanti venivano a lui».

Comportamenti del genere nella mentalità popolare, incline a connettere be- nedizioni a guarigioni taumaturgiche e queste con la santità personale di chi aveva benedetto, inducevano l'idea della santità di Don Bosco. A coltivare e d i o n d e r e tale convincimento prowidero i salesiani in vario modo. Il promo- tore della fede citava a questo punto il giudizio espresso da mons. Bertagna al processo: «Non può negarsi che i medesimi abbiano cooperato assai a diffon- dere la medesima opinione, giovandosi a questo scopo del "Bollettino salesia- no" in special modo, dove sogliono narrare molte cose, delle quali forse alcune non reggono troppo alla critica». E aggiungeva la deposizione resa dal cano- nico Giuseppe Corno: «Ancor vivente eransi stampate di lui varie vite in varie lingue e di tutte se ne fecero varie edizioni [.,.l Io stesso vidi la vita di Don Bosco stampata in inglese, tedesco, spagnuolo, polacco, boemo, irlandese e

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Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol III. Stella

fiammingo». C'era da chiedersi se tutto questo non suonasse vanteria e osten- tazione promossa dallo stesso servo di Dio: dactantia haec sapere nemo non videt*. Conveniva riflettere se veramente Don Bosco era da considerare un mi- rabile esempio di umiltà e di confidenza in Dio così come si ostentava a parole che fosse?'

Testardaggine, astuzia e poco senso della giustizia erano denotate dal com- portamento del servo di Dio con Domenico Bongiovanni e con altri. Induce- vano a riflettere le parole che su Don Bosco avrebbe detto il predecessore di mons. Gastaldi, Alessandro Riccardi di Netro: «Don Bosco è un superbo! Egli vuol fondare una congregazione per sottrarsi all'autorità dell'arcivescovo; se è santo, lo dimostri coll'essere ossequiente al suo superiore». Mons. Verde ci- tava ancòra mons. Benagna: «Da alcune reminiscenze però che ho, pare che il servo di Dio non fosse sempre pieghevole affatto ai consigli che gli erano dati, quando questi non erano conformi ai suoi disegni e alle sue viste»?'

Poco malleabile, era anche a quanto pare poco mortificato. «Non ci consta

-

aveva deposto al processo mons. Cagliero

-

che il nostro caro padre Don Bosco usasse cilicio e discipline». E secondo un altro teste, non mangiava

«sempre solo fagiuoli, cavoli od insalata»; nei giorni non proibiti a mensa

&era pure una piccola porzione di carne». C'era da chiedersi se dawero in Don Bosco fossero presenti le qualità essenziali richieste da un processo di beatificazione: «praecipua verae sanctitatis arg~menta»?~

3. Carlo Salotti e le risposte alle «Animadversiones»

NeUa quarantina di giorni che la prassi lasciava a disposizione, la replica alle «Animadversiones» fu affidata a un giovane brillante ecclesiastico, Carlo Salotti (nato a Grotte di Castro nel 1870), fatto subentrare al laico Ferdinando Morani nel ruolo di awocato deUa causa. L'affezione del Salotti per Don Bo- sco risaliva agli anni in cui, giovane chierico a Orvieto, aveva avuto come ret- tore al seminario già nel 1892 il salesiano Don Matteo Ottonello e a partire dall'anno successivo aveva potuto apprezzare lo stile educativo dei salesiani ai quali era stato affidato il collegio Lazzarini (o Leonino). A Orvieto il Salotti ebbe modo di ammirare le doti oratorie e organizzative di Don Arturo Conelli, in quegli anni direttore del collegio Lazzarini, poi superiore dell'ispettoria ro- mana (1902-1917) e infine chiamato a far parte del capitolo superiore salesiano a Torino."

" Animadverriones (1907) m. 19, p. 13s.

" Animduersiones (1907) nr. 32, p. 23.

" Animadverrioner (1907) nr. 35. .

.

D. 24.

" Cf. F. TOMASEITI, Memorie confdenriali in margine alle cause di D. Bosco e di D. Savio, redatte dn D. Francesco Tomasetfi (giugno 19441, p. 9s (dattiloscritto di 37 fogli, presso I'archivio del Postdatore deiie cause di beatificazione, Casa Generalizia, via della Pisana). Don Tomasetti, procuratore e postulatore dal 1924 al 1953, mette in luce quanto Don Ceria aveva lasciata nell'om- bra in MB 19, integra e corregge in base alla propria conoscenza diretta di persone e di fatti.

Erano quelli gli anni in cui i salesiani, ispirandosi al dettato delle loro Co- stituzioni primitive, tendevano a proporsi ai vescovi come direttori e maestri

' nei seminari. Dopo Magliano Sabino essi avevano accettato di andare a Orvie- to, a Catanzaro e altrove. Era anche I'epoca in cui i vescovi, mirando alla ri- conquista della società d a Chiesa, appuntavano le loro cure nella formazione del clero entro la chiostra ben chiusa dei seminari. La chiamata di ordini re- ligiosi alla direzione e all'insegnamento, come i gesuiti o i lazzaristi, era sug- grita, oltre che da secolari esperienze italiane, da quanto si sapeva d d a Fran- cia, dove si affermava con apparente successo il tipo di prete formato secondo il modello sulpiziano. Ma per i salesiani si trattò di un esperimento limitato;

,ia perché non potevano disporre di molto personale veramente all'altezza del molo di direttori spirituali e di maestri al di fuori delle case salesiane; sia per- ché, in realtà, il loro tipo di formazione, fatta attraverso più che altro il tiro- cinio pratico - nella catechesi, nell'insegnamento, nella partecipazione ai gio- chi dei giovani - non poteva corrispondere in pieno alle esperienze che i ve- scovi avevano e alle loro aspettative comunque ancorate ai modelli seminari- stici tradizionali. A Orvieto dunque e altrove sulla proposta delle esperienze salesiane erano destinate a prevalere, già tra fme '800 e primo '900, quelle spe- rimentate e in parte aggiornate degli scolasticati gesuitici e dei seminari duetti in Francia dai sulpiziani o dai lazzaristi. Com'è noto, la chiusura in se stessi dei seminari fu anche all'origine dell'irrequietezza che cominciò a fermentare in quegli anni caratterizzando anche I'epoca del clero in Italia tra modernismo e democrazia cristiana, tra istanze di modernizzazione delle scienze ecclesiasti- che e attivismo combattivo pur sempre mitante alla riconquista della società d a Chie~a.~' Uno dei frutti di quell'epoca, in rapporto al processo di Don Bo- sco, f u appunto il coinvolgimento del Salotti, la cui presenza in ordime all'esito desiderato sarebbe stata positiva fino agli anni deiia canonizzazione.

Trasferitosi a Roma appena prete, il Salotti aveva accumulato rapidamente tre lauree con esiti brillanti: in lettere e filosofia all'università di Stato; una in

Trasferitosi a Roma appena prete, il Salotti aveva accumulato rapidamente tre lauree con esiti brillanti: in lettere e filosofia all'università di Stato; una in

Nel documento DON BOSCO (pagine 68-77)