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Dall'apettura del processo apostolico di Don Bosco ai processicoli segreti:

Nel documento DON BOSCO (pagine 81-105)

le congiunture favorevoli alla causa

Sia neu'opinione collettiva prevalente sia au'inrerno di quanti erano com.

volti neUa trattazione del processo, la fama della santità di Don Bosco era or- mai fissata nella saldatura di due termini: il grande «zelo» che lo aveva ani- mato e la grandiosità deUe opere che ne erano scaturite. Nel linguaggio della religiosità corrente il termine «zelo» era connesso a sua volta essenzialmente a pochi termini: la gloria di Dio, il bene deUe anime, il trionfo della Chiesa.

I n altre parole era l'immagine prefigurata dal cardinale Alimonda che s'impo- neva e si specificava nelle forme più variegate: Don Bosco, divinizzatore del secolo X I X ; o, come si era spinto a scrivere Carlo Salotti nel 1915, «il più grande e il più benemerito apostolo del secolo XIX».

Nonostante ciò, l'apertura del processo apostolico nel 1907 non doveva far sperare come imminente la beatificazione. Come aveva awenito Ilario Ali- brandi, non sarebbero mancate le consuete lentezze di cause del genere, né sa- rebbe stato possibile rimuovere celermente gli ostacoli che imprevedibilmente si sarebbero frapposti; tanto meqo sarebbe stato possibile, da quando il pro- cesso era entrato neUe maglie ben ampie e ben cariche della S.C. dei Riti.

Solo scorrendo gli «Acta Apostolicae Sedisa o più speditamente l'«Ari- nuaire pontifica1 catholiquen del Battandier sarebbe stato possibile compren- dere che la causa di Don Bosco fmiva per essere una delle tante che ciascun anno si aggiungevano nei dicasteri romani. Come abbiamo già notato, era que- sta una delle conseguenze provocate daila massima centralizzazione della Chiesa cattolica; ed era anche un effetto delle istanze socio-religiose connesse al moltiplicarsi di istituzioni ecclesiastiche vecchie e nuove che chiedevano sia la ratifica di antichi culti, sia la beatificazione di fondatori e di altri personaggi preminenti, a garanzia e a dimostrazione dei favori divini. Una certa tregua si ebbe ai Riti a motivo del conflitto mondiale tra il 1915 e il 1918; ma fu presto interrotta già sotto il pontificato di Benedetto XV, e I'inoltro di processi as- sunse ritmi più intensi nei pontificati successivi.

A creare problemi e remore nella causa di Don Bosco non furono tanto in quegli anni i passi procedurali ch'era necessario compiere a Torino a Roma;

né la raccolta e selezione di miracoli da proporre. Il punto più delicato rima- neva quello delle virtù eroiche e dei doni soprannaturali da dimostrare. I sa- lesiani dovettero pertanto predisporre per gli ulteriori processi sulla fama di santità e sulle virtù una schiera di testi selezionata e nutrita alio scopo di ri- muovere le obiezioni, diradare dubbi, rintuzzare le accuse che il Colomiatti, com'era facile immaginare, aveva continuato a raggranellare facendosi porta-

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voce di impressioni e aneddoti che pur sempre si tramandavano in certi am- bienti, e non solo a Torino.

Visto dall'angolo prospettico del canonico Colomiatti, il processo prose- guiva verso queli'esito che, a suo modo di vedere, era la consacrazione deli'in- giustizia.

Ii

card. Agostino Richelmy, infatti, come i suoi immediati predeces- sori, si dimostrava favorevole d a canonizzazione di Don Bosco. Al suo fianco c'era ormai come vicario generale il canonico Michele Sorasio. Questi, in più, era stato nominato giudice delegato sia al processo «de fama sanctitatis* che si tenne a Torino nel 1911, sia nel processo apostolico «incoativo», dedicato ali'escussione dei testimoni più anziani «ne pereant probationes», iniziato a Torino il 28 maggio 1909 e ratificato a Roma il 13 luglio 1915. Inoltre i ca- nonici della metropolitana di Torino, come abbiamo già notato, si erano pro- nunziati ufficialmente per Don Bosco inviando anch'essi nel 1903 una lettera postulatoria e prendendo in tal modo posizione nei confronti del Colomiatti.

Le congiunture favorevoli ai salesiani e a Don Bosco risultavano ancor più consolidate e moltiplicate se si allargava lo sguardo anche solo al panorama p i e m ~ n t e s e . ~

I1 drappello di vescovi che andava subentrando a quello ch'era stato coevo al Gastaldi era profondamente rinnovato sotto molti aspetti: la formazione pa- storale era tendenzialmente aifonsiana; l'estrazione sociale era in genere della piccola borghesia agraria. A mons. Bertagna, ad esempio, si era aggiunto un'al- tro castelnovese, Matteo Fiipello (1860-1938), vescovo d'Ivrea dal 1898. Pro- motore del monumento a Don Bosco eretto a Castelnuovo era mons. Giam- battista Rossi (1838-1922), nativo di Casalgrasso, parroco di Castelnuovo, amico personale di Don Bosco, vescovo di Pinerolo dal 1894. Erano stati stu- denti a Valdocco mons. Giuseppe Gamba (1838-1930), nato a S. Damiano d'Asti, vescovo di Novara dal 1906 al 1924, poi arcivescovo di Torino, e mons.

Vincenzo Tasso (1850-1919), nato a Montiglio in Monferrato, lazzarista, ve- scovo d'Aosta dal 1908. A sua volta Giov. Battista Ressia (1850-1933), nato a Vigone, curato della cattedrale di Pinerolo e poi vescovo di Mondovi (1897-

1932), da ragazzo era stato al Cottolengo nel vivaio vocazionale dei «tomma- sini»; come ricordò nella lettera postulatoria per la causa di Domenico Savio, tra i tommasini si parlava del contiguo Oratorio di Don Bosco, si conosceva il giovane Savio ed egli stesso in cuor suo da ragazzo sognava di farsene emulo.

Era il nuovo sistema di selezione di vescovi in Italia, inaugurato da Leone XIII già nei primi anni del suo pontificato, che giocoforza portava a far entrare nella cerchia dei vescovi vari effettivi della piccola borghesia rurale (ch'era d'altronde quella che ormai dava al clero elementi qualitativamente di spicco).

Papa Pecci aveva costituito una commissione cardinalizia alla quale i vescovi d'Italia erano invitati a far pervenire nominativi di ecclesiastici con buone doti

" Sono apprezzamenti e atteggiamenti che è possibile ricavare dalla Poririo ruper dubio: An odducte mntra (1921).

pastorali. Le segnalazioni cadevano in prevalenza su vicari generali, rettori di seminario, direttori spirituali e parroci zelanti, personaggi cioè che proveni- vano in genere non dalla nobiltà antica o dalla borghesia finanziaria e impren- ditoriale, ma appunto dalle parrocchie del territorio e in prevalenza da zone agricole collinari o di bassa montagna. Questo nuovo tipo di episcopato, forse più che il precedente, era in sintonia con personaggi ch'erano cresciuti per la Chiesa nel mondo rurale ed avevano finito per approdare in quello urbano in via di sviluppo indu~triale.~~

La stima per Don Bosco cresceva anche di riflesso in certe curie vescovili, come quella di Novara e di Acqui, dove furono iniziati i processi informativi del salesiano Andrea Beltrami e della prima superiora delle figlie di Maria Au- siliatrice, Maria Domenica Mazzarello. Intanto aumentava anche il drappello di vescovi salesiani. Ai primi vescovi e prelati missionari, Cagliero, Fagnano, Lasagna, Costamagna, altri se ne aggiungevano in Italia e in America. I due procuratori generali e postulatori delle cause a Roma, Marenco e Munerati, fu- rono nominati rispettivamente vescovi di Massa Carrara (1909) e di Volterra (1923); i'uno e i'altro a Roma furono consultori di sacre congregazioni; mons.

Marenco nel 1917 fu inviato internunzio apostolico in Centro America; Dome- nico Malan fu nominato prelato di Registro de Araguaya nel 1914; Francesco de Aquino Correa fu ausiliare (1914) e poi titolare (1921) della sede vescovile di Cuiabà, fu inoltre governatore dello stato del Mato Grosso in Brasile dal 1917 al 1921; alla gerarchia vescovile si aggiungevano i nomi di Elvezio Gomes de Oliveira e di suo fratello Emanuele, vescovi entrambi in Brasile; Felice Guerra fu nominato vescovo a Cuba; Ernesto Coppo, vicario apostolico di Kimberley in Australia; Giovanni Cagliero, primo vescovo salesiano, nel 1915 fu creato cardinale e assegnato d e congregazioni dei Religiosi, di Propaganda, dei Riti, Orientale e per gli affari ~traordiinari.~~

Tutta questa serie di circostanze piemontesi, romane, mondiali, sorrette dal

«Bollettino salesiano» e dd'attività dei salesiani sparsi ormai in vari continen- ti, portava a confermare un giudizio positivo su Don Bosco; nonostante a loro volta stentassero a estinguersi o addirittura tendessero a consolidarsi riserve e critiche nei confronti sia dei salesiani che del loro fondatore, ormai venerabile.

Come molti ripetevano, e come avrebbe attestato il canonico AUamano (fi- glio di una sorella di Don Giuseppe Cafasso), c'era chi, vivente Don Bosco, considerava YOratorio di Valdocco come un ambiente poco ordinato e dove Cf. P. S E L L A , Il prete piemontese deli'800 tra b ri~oluzionef>imcese e b riuokione indu- striale, Torino 1972 (ciclostilato a cura del Centro di studi suUa storia e la sociologia religiosa del Piemonte); e più analiticamente, in un quadro storico più specifico: Francesco TRAMELLo, L'epi- rmpatopiemontese in epoca fasciste, in: AA.W., Chiesa, Azione Cattolicn e frlscismo nell'Itolio set- tentrionole durante il pontifcato di Pio XI (1922-1939). Atti del quinto convegno di storia della Chiesa, Toweglia 2 5 2 7 mano 1977, a cura di Paolo PECORARI, Milano, Vita e Pensiero 1979, p. 111-139.

e Un ragguaglio sui vescovi salesiani è dato dal «Bollettino salesiano* 47 (gemaio 1923) p. 26s.

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le famiglie non potevano avere le massime garanzie di un'istruzione metodica e di un'educazione da manuale di buona ~reanza.~' Tra fme '800 e primo '900 molti in Piemonte preferivano senz'ombra di dubbio e senza perplessità in- viare i propri figli a Torino nell'istituto dei gesuiti o al collegio S. Giuseppe dei fratelli delle scuole cristiane, owero anche presso quello degli artigiane%

del teologo Leonardo Murialdo.

Ma c'era il pro e il contro. Molti venivano attratti piuttosto dal clima se- reno e quasi di spensieratezza adolescenziale che sembrava travasasse dagli oratori festivi salesiani ai loro collegi, dove i teatrini, le bande musicali, i giochi in cortile creavano un clima tutto particolare; dove, del resto, il carico finan- ziario deUe famiglie era abbastanza più accessibile che altrove; dove infine, stando agli esami che gli allievi sostenevano come privatisti in scuole pubbli- che, gli esiti non erano nel complesso diversi da quelli di altre scuole. Di fatto ii Piemonte aveva ormai una vistosa rete d'istituti dei salesiani e delle figlie di Maria Ausiliatrice: essi andavano dagli oratori festivi ai collegi per studenti, dalle scuole agricole a quelle professionali. Gli allievi e gli ex allievi degl'istituti di Don Bosco costituivano oltre tutto nelle famiglie e nelle istituzioni civili un supporto anche per la Chiesa diocesana, e i vescovi non mancavano di apprez- zare tale fatto.

Il

clima politico dell'età giolittiana era poi, nel complesso, di awicina- mento e d'intesa fra cattolici, classe liberale, monarchia sabauda. Tale clima aveva i suoi riflessi in vari momenti e sotto vari aspetti. La presenza di membri della casa reale in celebrazioni organizzate da istituti cattolici, e perciò anche da quelli dei salesiani, era diventata in quegli anni più frequente. Persino in politica estera, a imitazione di quanto facevano la Francia, l'Inghilterra, il Bel- gio e la stessa Germania, si tendeva a favorire istituzioni che per le loro origini o per il numero di effettivi di nazionalità italiana, potevano apparire più dispo- nibili all'assistenza dei connazionali d'estero, e forse anche potevano rivelarsi più sensibili d e scelte politiche nazionalistiche. Come già notammo, il «Bel- lettino salesiano» nell'edizione italiana a partire dagli ultimi anni dell'800 de- dicò un certo spazio alle iniziative dei figli spirituali di Don Bosco in favore degli emigrati italiani nelle due Americhe. Particolarmente ben viste, e soste- nute più o meno direttamente dal governo tramite l'associazione «Dante Ali-

P Chiamato come teste circa le accuse del Colomiatti contro Don Bosco, il canonico Giu- seppe Mamano il 15 dicembre 1916 rifed: uRecatomi una volta, poco dopo il 1880 [...l presso il venerabile Don Bosco, parlando di Don Cafasso, egli mi disse queste parole: - In una cosa sola non eravamo d'accordo, ed abbiamo avuto una discussione passeggiando sul piazzale del santuario di S. Ignazio [sopra Lanzo Torinese]. Egli diceva che il bene doveva farsi bene, ed io sosteneva che bastava farlo così alla buona in mezzo a tante miserie [...l. Penso [...l alludeva a conversazione

[...l s~1l'~ccettazione ed educazione dei giovani: Don Cafasso voleva maggior scelta nel ricwerli e più soiveglianza ed ordine. Ciò pure deduco dali'aweaimento che diede a mia madre (sua so- rella) ... »; cf. Positio super dubio: An odducta contra ..., p. 115; TUBALW, Giuseppe AIlamano. Ilsuo tempo, la suo vita, la sua opera, Volume I: 1851-1891, Torino, Ed. Missioni Consolata 1982, p. 23;

32-35.

ghieri~, furono le opere che i salesiani andarono impiantando nel Medio Oriente. Nell'anno della morte di Don Rua (1910), oltre alle opere aperte dal prete Don Luigi Belloni in Palestina già dal 1863 e affidate ai salesiani nel 1891, si potevano annoverare l'istituto Don Bosco ad Alessandria d'Egitto (1896), la «scuola italiana tecnico-commerciale>> a Smirne (1903) e la «regia scuola popolare italiana» nella stessa città (1903), la «scuola italiana» di Ge- rusalemme (1904) e altre opere che non sempre furono in buona armonia con l'«orphélinat de Jésus Adolescent» di Nazareth (1896) patrocinato dalla Fran-

~ i a . ~ ~ Esistevano insomma condizioni perché gli ambienti politici italiani mo- derati, nonostante la massoneria e scossoni anticlericali, vedessero di buon oc- chio la canonizzazione di Don Bosco, mentre intanto in Francia ci si compia- ceva dei progressi che facevano i processi canonici di Giovanna d'Arco, di Bernadette Soubirous, del Curato d ' h , di Teresa di Lisieux, Miche1 Gari- coits, Pierre-Julien Eymard, Claude-Jean Colui, Louise de MariUac, Made- leine-Sophie Barat

...

Per quanto dunque in Piemonte, a Roma e altrove, soprattutto tra preti an- ziani, si ripetessero aneddoti e battute sui salesiani e su Don Bosco, prete fur- bo, dal linguaggio ambivalente, plagiatore di giovani che induceva a farsi sa- lesiani e preti, prevaleva nel complesso un alone di simpatia e una sorta di at- tesa del buon esito, che prima o dopo sarebbe venuto, della sua causa di bea- tificazione.

Tra le tante prese di posizione a favore di Don Bosco nel secondo decen- nio del '900 basta citare la testimonianza che rese nel 1911 al processo «de fama sanctitatis» a Torino mons. Pasquale Morganti, arcivescovo di Ravenna, uno dei lombardi che vivente Don Bosco erano stati convogliati a Valdocco:

«A sfatare la diceria più volte da me udita, specialmente in Lombardia, che cioè il venerabile violentasse i giovani ad ascriversi alla sua Società, sento di dovere affermare

che non solo non aveva fondamento tal diceria, ma ho sperimentato io stesso il con- trario...».

Mons. Morganti proseguiva narrando il proprio caso e le parole di Don Bosco che gli erano rimaste nel cuore: «Ritorna pure dunque nella tua diocesi, e ricordati che a Torino lasci il tuo padre, al quale ti rivolgerai ogni qualvolta ne avrai bisogno (parole che ancor oggi mi commuovono profondamente)».69 Nella sua schiettezza mons. Morganti aggiungeva un altro episodio, che, no-

* Si veda il catalogo a stampa: Sonetd di San Francesm di Saler. Antico Continente: 1910, [Torino, tip. deU'Oratorio di S. Franc. di Sales 19091; sui salesiani a Nazareth cf. Francis DESRA-

MAUT, L'orphélinat Jésus-Adolescent de Narareth en Galilée au temps des turcs, puir &s ong&

(1896-1948, Roma, LAS 1986.

Testimonianza di mons. Morganti, sess. 25, Torino, 25 febbraio 1911, interrogatorio 25; 6.

Copia p u b l k transumpti procerrur aposto~ica ouctoritnte constmcti in curia ecclesi~rtica taurinensi superfama sanctitatu vite, virtutum et miranrlomm in genere ven.,senii DeiIo~nnis Bosco sacerdotis fundotorir pie ro~etatis rulerinnie, vol. unicum ... anno 1913, fol. 291"-2921 (presso il postulatore

dei processi di beatificazione salesiani, Casa generalizia, Roma, via della Pisana).

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nostante il commento che si affrettò ad aggiungere, poteva invece apparire sconcertante, ed in effetti fu posto in rilievo da mons. Verde nelle « A n i a d - versiones» relative al processo «de fama sanctitatis». Dichiarò mons. Morgan- ti:

«Aggiungo ancora di aver udito da Don Luigi Rocca, morto economo generale della congregazione salesiana, come Don Bosco, in viaggio per la Spagna, disse confidenzial- mente a lui quanto segue: - A Don Bosco, sai, dopo morte scriveranno la vita; diranno di lui molte cose; ma nessuno dirà che egli sia stato minchione. Molte altre cose non potranno dire però, perché qualche settimana fa io ho bruciato un baule pieno di carte di cardinali, vescovi, sacerdoti ed altri, carte scritte da persone non tutte certo a me fa- vorevoli, e che io conservai fino a quando le ritenni utili per la congregazione.

Questa notizia comunicai già io stesso al defunto Don Baratta, che la inseri nella biografia da lui scritta sul prelodato sacerdote Don Luigi Rocca salesiano.

I1 ricordo di questa suesposta comunicazione mi commuove sempre ad ammira- zione deUa squisita carità del venerabile in ordine alla fama dei suoi prossimi, che non volie in nessun modo compromettere distruggendo cosl quei documenti che per taluni potevano riuscire dannosi alla loro fama»."

Mons. Verde nelle sue osservazioni suggerl di chiedersi se lo scopo di tale distruzione non fosse stato quello opposto, cioè tutelare se stesso e subordi- nare tutto all'immagine che intendeva lasciare della propria persona e delle proprie istituzioni."

9. La convocazione del canonico Colomiatti a Roma e i processicoli segreti (1915-1922)

Chi a Torino e a Roma seguiva i processi del Cottolengo, del Cafasso e di Don Bosco non tardava a pronosticare, attorno al 1910, un corso ulteriore tranquillo e normale ai primi due; difficoltà e ritardi a quello di Don Bosco.

Sulla santità interiore infatti del Cottolengo e del Cafasso nessuno muoveva dubbi; le difficoltà che potevano prospettarsi e le obiezioni che potevano sol- levarsi non apparivano rilevanti e irrisolvibili. Non cosl per Don Bosco, visto anche in relazione ai suoi salesiani. Si poteva essere d'accordo nell'ammettere che le opere da lui promosse erano, rispetto a quelle del Cottolengo e del Ca- fasso, più appariscenti e più grandiose; ma ci si poteva interrogare se vera- mente all'efficienza delle opere corrispondesse una «vita interiore» secondo i canoni della spiritualità intimistica che andava caratterizzando in certi am- bienti la religiosità cattolica in quel torno di tempo. I salesiani apparivano in- traprendenti e tuttofare, ma in loro non si manifestava quell'interiorità che si desiderava nel clero secondo modelli seminaristici e monastici. Se poi si pas-

Testimonianza di mons. Morganti, I r , fol. 2 9 2 ~ .

... Cardinoli Antonio Vico relatore ... Poritio ruper famo ranctitatir in genere (1915), Animad- verrioner (12 giugno 1915), nr. 10, P. 9s.

sava al loro fondatore e maestro, ci si interrogava se non era da attribuire a

' lui quello stile apparentemente esteriore, non profondo, e nei loro ailievi forse non duraturo. Aile impressioni generiche altre se ne aggiungevano, ali'interno del processo, fondate su fatti specifici.

La necessità di superare certe lacune d'informazione e alcune incon- gruenze apparve impellente a Roma, quando furono trasmessi dal tribunale apostolico istituito a Torino gli atti del processo «de fama sanctitatisn (1913) e poi quelli del processo incoativo sulla vita, le virtù e i doni soprannaturali (1915).

Ci si poteva stupire che non fosse mai stato chiamato come teste il cano- nico Colomiatti: né al processo ordinario né a quello apostolico. Oltre al Co- lomiatti, *ltri a Torino probabilmente si ritenevano esclusi nonostante le pro- prie aspettative. Stando a quello che il Colomiatti aveva scritto nel 1910 a mons. Verde, fra costoro c'era il canonico Giuseppe Allamano, nipote di Don Cafasso e antico allievo dell'oratorio: «E dire - avrebbe detto l'AUamano -

che anch'io sono ~astelnovese».?~ Nella lettera del 1910 a mons. Verde il Co- lomiatti, in una serie di ventotto paragrafi numerati, riferiva varie testimo- nianze che aveva ricevute quasi tutte spontaneamente, data la sua carica di av- vocato fiscale della curia, dal 1888 al 1910. Vi evocava una cinquantina di per- sonaggi, ecclesiastici e laici, uomini e donne. Alcuni di questi erano del mondo romano ed egli aveva potuto ascoltarne gli apprezzamenti su Don Bosco in oc- casione dei viaggi che aveva dovuto fare nella capitale per ragioni di uffici^.'^

Non era nella prassi della Congregazione dei Riti rimanere inerti davanti a fatti del genere. A prendere l'iniziativa fu, a quanto pare, mons. Pietro La Fontaine, segretario dei Riti dal 2 aprile 1910. Il piemontese mons. Carlo Grosso, vice cancelliere deUa congregazione, nel periodo natalizio 1914-1915 ebbe istruzioni perché, previa informazione e consenso deli'arcivescovo di To- rino, ascoltasse già alcune testimonianze giurate, ne raccogliesse scritte ove era

Non era nella prassi della Congregazione dei Riti rimanere inerti davanti a fatti del genere. A prendere l'iniziativa fu, a quanto pare, mons. Pietro La Fontaine, segretario dei Riti dal 2 aprile 1910. Il piemontese mons. Carlo Grosso, vice cancelliere deUa congregazione, nel periodo natalizio 1914-1915 ebbe istruzioni perché, previa informazione e consenso deli'arcivescovo di To- rino, ascoltasse già alcune testimonianze giurate, ne raccogliesse scritte ove era

Nel documento DON BOSCO (pagine 81-105)