• Non ci sono risultati.

2.2 La X Biennale d’Arte

1. Anna Seaton-Schmidt

Anna Seaton Schmidt fu una critica e scrittrice d’arte di successo che viaggiò per tutta Europa nel corso della sua vita343.

Durante la sua carriera lavorò per l’American Federation of Art, scrivendo articoli prima per l’Art and Progress ed in seguito per The American Magazine of Art.

Buona parte dei suoi articoli sono dedicati a singoli artisti. Solo uno di essi ha un respiro più ampio: è l’articolo riguardante la Biennale d’Arte di Venezia.

«The most important event in the art world of Italy since the great days of the Renaissance has been the establishment of an International Biennial Exhibition in Venice. When first proposed the artists of other countries pessimistically insisted that Italy had no modern art. […] In the great art periods paintings and statues were produced in conjunction with the buildings which they were intended to adorn. They were sister arts, closely co related with architecture in their high mission of producing Beauty. Since we have divorced the three, should we not at least strive to place them in harmonious juxtaposition? This has been the problem worked out for us by the Venetians.344»

Questo articolo è particolarmente innovativo sotto molteplici punti di vista. Infatti questo pezzo fu pubblicato nella prima uscita dell’Art and Progress che come rivista dell’American

Federation of Art si concentrava sull’arte americana.

In questa fase, infatti, gli Stati Uniti non ricoprivano ancora un ruolo rilevante presso la Biennale d’Arte di Venezia anzi al contrario non erano nemmeno invitati. Talvolta, in rari casi venivano selezionati quando si proponevano ma fino all’esposizione voluta dalla signora Whitney nel 1920.

Di conseguenza solo dopo il 1920 l’America comincia ad approcciarsi seriamente a questa istituzione, proponendo artisti e allestimento di un certo valore.

A questa fase, il 1909, l’Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia non ha ancora

343 <https://mydailyartdisplay.wordpress.com/2019/03/02/elizabeth-nourse-part-1/>, ultimo accesso: 07/10/2019 344 Seaton-Schmidt, Anna, Venice- An Example, «Art and Progress», 1, 1909, pp.12-13

112

l’importanza internazionale che assume negli anni successivi. Di conseguenza l’interesse americano verso questa manifestazione non è maggiore rispetto ad altre realtà simili europee. Inoltre, a questa fase, la Biennale d’Arte di Venezia ha ancora un carattere molto nazionalista, che riavrà con il fascismo, dunque lo spazio dedicato agli artisti stranieri è relativamente piccolo rispetto a quello dedicato agli artisti italiani.

In questi anni poi, la Biennale d’Arte di Venezia dedica molto spazio agli artisti veneziani; inoltre, quasi tutti gli artisti ospitati sono già noti all’ambiente storico artistico europeo mentre gli artisti americani, generalmente in questo periodo, non godono di particolare successo oltre ai confini nazionali.

Perciò è chiaro che negli Stati Uniti l’Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia non fosse particolarmente nota o rilevante, questo perché contemporaneamente vi era a Pittsburgh una realtà molto simile, aperta il medesimo anno della Biennale: il Carnegie International.

L’esposizione di Pittsburgh attira molti più commenti e articoli rispetto alla biennale d’Arte di Venezia in America. Anna Seaton Schmidt commenta anch’essa ma solo nel 1913, dopo

dunque quattro anni dal suo articolo sulla Biennale di Venezia.

È da notare inoltre che i due articoli sono completamente diversi: quello proposto sulla biennale d’Arte di Venezia non è una recensione su una particolare edizione ma sullo sviluppo espositivo e sulle novità d’allestimento che questa manifestazione propone e che la contraddistingue dalle altre. Al contrario, ciò che scrive a riguardo del Carnegie International è una recensione di una particolare edizione.

L’alta opinione della Biennale d’Arte da parte della scrittrice è chiara anche per il fatto che il Carnegie International propone un’esposizione all’anno e non biennalmente come la città di Venezia.

Considerando che nel corso della sua vita ha viaggiato molto per l’Europa, è plausibile pensare che abbia effettivamente visitato la Biennale d’Arte di Venezia in questi anni di cambiamento. L’articolo infatti fa riferimento alla creazione di galleria, sale nazionali e i primi padiglioni per i Paesi stranieri. Questa nuova strutturazione, ai suoi occhi, appariva come un’opzione

all’avanguardia considerando tutte le proposte. Infatti è plausibile affermare che volesse importare questo modello anche al Carnegie International che, sostanzialmente, come la Biennale ospita artisti locali e internazionali mettendo in palio dei premi.

Oltre a ciò è evidente anche il suo interesse per la presenza americana in Europa. Avendo viaggiato molto ha anche avuto la possibilità di promuovere lei stessa artisti americani.

113

Uno dei casi più noti è quello dell’artista Elizabeth Nourse, artista americana nata nel 1859 in Ohio, che accompagnò a Parigi345.

A conferma di questa intenzione la chiusura del suo articolo fa riferimento alla creazione da parte del Belgio del proprio padiglione avvenuta nel 1907 mentre si interroga su quando gli Stati Uniti prenderanno la medesima decisione.

«Pittsburgh is again the fortunate possessor of an unrivaled annual international

exhibition. The 352 paintings shown are of such high merit as to resemble a choice loan collection, rather than a yearly salon. By limiting the number of pictures accepted, it has been possible to establish a much higher average than is obtained even in the Paris salons, where the fine paintings of a few great artists are often obscured by the hundreds of mediocre canvases346.»

Questo è quello che scrive riguardo al Carnegie International. Anche in questo caso sostiene un’idea di allestimento che preveda un numero di opere inferiore che possano avere uno spazio adeguato all’interno dell’edificio.

Il principio è lo stesso per cui la volontà di creare dei padiglioni a Venezia è corretta. Non solo serve uno spazio adeguato agli artisti per poter esporre le proprie opere, in numero che riesca ad esprimere il loro stile, ma è anche importante che lo spazio che le accoglie sia in grado di enfatizzare i caratteri delle opere d’arte.

La sua posizione rispetto al Carnegie International è palesemente più di parte. Infatti la definisce come un’occasione senza pari, ma forse questo può valere solo per il continente americano visto che in Europa vi sono molte opportunità di questo genere.

Le sue parole sono molto più forti in questo caso perché chiaramente il suo intento è quello di promuovere l’arte americana e questa è l’occasione più semplice in cui perpetrare questo ideale. Infatti mentre gli Stati Uniti cercano di costruirsi un’indipendenza culturale dell’Europa non solo conta avere delle proprie opere e stili riconoscibili ma anche organizzare delle realtà in cui queste possano essere apprezzate internazionalmente. Allo stesso tempo è importante anche proporre gli Stati Uniti come un Paese che può ospitare le stesse realtà europee in modo da attirare artisti e collezionisti da tutto il mondo.

345 <https://mydailyartdisplay.wordpress.com/2019/03/02/elizabeth-nourse-part-1/>, ultimo accesso: 07/10/2019 346 Seaton-Schmidt, Anna, The Carnegie Institute’s Annual Exhibition, «Art and Progress», 4, 1913, pp.988-995

114

«There are some, however, who object to this strict limitation, claiming that the jurors have grown too conservative and that the Carnegie Institute admits only the work of those who have already "arrived," thus depriving the public of the stimulus and

incentive of a more comprehensive exhibition. Such criticisms seem unfair to the noble spirit of this institution which strives to use its splendid opportunities for the betterment and enlightenment of the people by securing, not youthful experiments in art, but the accomplished work of the world's greatest artists, and no unprejudiced critic can visit these galleries and fail to be impressed by the really magnificent paintings displayed347.» Infatti, come è evidente dalla citazione la giornalista sceglie di rispondere anche alle critiche che vengono poste al Carnegie International. Critiche che sono state mosse frequentemente anche alla Biennale d’Arte di Venezia ovvero quella di esporre artisti che già sono famosi non dando spazio ad artisti emergenti che ne avrebbero la necessità.

La scelta di difendere questa istituzione e non la Biennale d’Arte di Venezia chiarisce quale sia la sua posizione a riguardo e anche come abbia inteso il suo stesso articolo sull’allestimento a Venezia.

Un altro suo articolo interessante al fine di conoscere meglio le sue opinioni è quello che scrive riguardo al museo di arti industriali della Pennsylvania.

«Unhappily, modern churches are less beautiful, our public buildings are not always inspiring, nor have we the loveliness of the human form constantly before us, as had the Greeks, but we do possess priceless treasures of art in all our large museums and many of their directors are striving to make them centers of living interest that will draw our people as irresistibly as did the churches of old. […] They realize that the public are demanding more artistic productions and that if they cannot supply this awakening desire for beauty our people will purchase foreign importations. Once beauty invades the factory-the mill-art will gradually re gain her kingdom in the hearts and lives of the workers who will once more experience of joy of the creator in his daily work348.»

Il principio che trasmette è quello dell’arte come salvezza dell’uomo, concetto che viene espresso molteplici volte da diverse riviste statunitensi d’arte.

È chiaro che, a suo parere, l’arte è qualcosa che non è da intendere in senso puramente elitario da Salon o da esposizione privata bensì deve far parte della vita di tutti. Questo è possibile

347 Ivi

115

tramite l’architettura e le arti applicate: secondo la Seaton-Schmdit esse si sono fortemente sviluppate in questi anni, in America, proprio perchè si è sentita la necessità di avere qualcosa di bello di guardare.

Infatti a sostegno della sua tesi afferma che nel corso degli ultimi anni gli edifici che si stanno creando in America non sono belli e non sembrano nemmeno appartenere alla stessa categoria dei magnifici palazzi greci. Questo sentimento di necessità della bellezza viene espresso dall’intera popolazione che ha bisogno di avere esempi di belle opere.

Uno degli esempi pratici che porta sono le chiese: questo genere di edificio è storicamente stato costruito con dei risultati estetici di altissimo livello. Ciò è tradizionalmente dovuto alla

presenza di ricchi committenti aristocratici che mettevano al loro ricchezza a disposizione per la creazione di luoghi dove la loro anima potesse essere assolta. Essendo considerato il regno del Signore veniva riccamente decorato essendo l’unico luogo degno di esserlo.

Nel corso dei secoli la fede però era divenuta sempre meno forte e diffusa, in alcuni casi alcune correnti protestanti applicavano un principio di totale iconoclastismo istituendo una tradizione di chiese poco decorate. Inoltre, i potenti dell’età moderna, difficilmente investivano il proprio denaro in luoghi religiosi in quanto la società stessa era molto diversa da quella più antica e il legame con i luoghi di culto si è reso sempre meno forte. Per questa serie di motivi le chiese costruite nell’età contemporanea non avevano le ricche decorazioni che caratterizzavano l’antichità e l’esempio esposto in questo museo sarebbe una proposta positiva a riguardo349. «It has been suggested that branch museums be established in all large cities especially in tenement districts, where they are even more necessary than branch libraries, as few immigrants can read our books, but almost all can appreciate lovely objects when placed in restfully

furnished room where tired laborers, shop or factory workers could drop in for an hour of quiet enjoyment350.»

Aggiunge anche quanto sia importante che i musei siano istituiti in tutte le principali città, non solo nei centri per poter dare la possibilità a tutti di poter godere di una tale possibilità in quanto appunto l’arte e la bellezza sono una necessità dell’uomo.

349 Ivi 350 Ivi

116