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2.2 La X Biennale d’Arte

3. Le Biennali d’Arte degli anni Venti 1 La XII Biennale d’Arte di Venezia

3.5. La XVI Biennale d’Arte di Venezia

Anche la XVI edizione della Biennale d’Arte di Venezia non fu di particolare interesse per la critica statunitense. Gli articoli al riguardo sono solamente due di cui uno scritto dall’inviato a Londra. Ciò è probabilmente legato al nuovo regime che sta cominciando a riorganizzare l’Italia, cominciando a modificare anche l’assetto della Biennale di Venezia e i suoi equilibri storici. «It is generally considered that the British pavilion in the Venice Biennial Exposition takes a foremost place with that of Spain. In the national pavilions impressiveness is gained by some notable group or individual showing. […] It is achieved in the British pavilion by a brilliant

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display in the entrance room of paintings by Sir William Orpen and Augustus John; cartoons and drawings by A. K. Lawrence, and sculpture by Frank Dobson and Reid Dick. The British section also contains a typical English landscape by George Clausen and a fine example of one of the later paintings of Charles Sims, R. A., whose loss is much lamented. In the black and-white section are etchings of notable importance by Sydney Lee and McBey. This British section, it is said, "avoids mediocrity and the violence which elsewhere (in the German showing, for instance) claims attention by insistence of color and exaggeration of form280."»

Il pezzo riguarda esclusivamente l’esposizione britannica a Venezia. Dopo aver informato il lettore sugli artisti e le opere esposte, il giornalista espone l’idea per cui l’arte inglese in quanto più moderata risulta più interessante delle opere di altri Paesi, quali per esempio la Germania. Queste righe sono fra le più estremiste che si sono lette negli ultimi anni nelle pagine delle riviste

statunitensi che, nel commento delle opere straniere, si sono tenuti su un tono neutrale scegliendo di non esprimere opinioni nelle sezioni considerate meno interessanti. Detto ciò è da considerare che l’articolo appartiene alla sezione delle notizie scritte dal Regno Unito dopo a livello politico culturale vi era una rivalità più forte e radicata tra i diversi paesi che ancora si trascinava dalla Grande Guerra.

A febbraio del 1929 Helen Gerard pubblica un articolo di recensione della Biennale d’Arte di Venezia, in linea con quello pubblicato per la precedente edizione.

Anch’esso ha lo scopo di raccogliere le informazioni principali che prima erano riportate su diversi articoli: cerimonia d’apertura, opere esposte, critiche sviluppatesi durante l’apertura

dell’Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia.

Come per la XIV e XV edizione la Gerard scrive sui padiglioni e le sale sulla base del percorso che ha seguito concretamente nel visitare i Giardini Pubblici di Venezia.

Nuovamente comincia a parlare dei padiglioni stranieri cominciando da quello francese che nella scorsa edizione aveva definito superbo. Anche questa volta lo considera uno dei più importanti: il tema era quello di esporre i più alti risultati dei movimenti del Novecento e la Francia decise di ospitare delle opere di Gauguin e Matisse principalmente, scelta che viene fortemente appoggiata dalla Gerard281.

Il padiglione tedesco viene definito come uno di quelli che merita considerazione anche se, tutto

280 Britton, Selwyn, British art at Venice, «The American Magazine of Art», 19, 1928, p.466

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sommato, non ha presentato nulla di particolare o distintivo rispetto agli anni precedenti.

Il padiglione britannico viene invece particolarmente apprezzato al punto che la giornalista afferma che è la miglior selezione d’arte inglese esposta in Italia dalla fine della guerra282.

Il padiglione russo, appena riaperto dopo la guerra, non attira particolare attenzione nonostante la Russia non esponesse da molto tempo. Anche quello ceco-slovacco non viene particolarmente apprezzato nonostante la scelta di esporre solo sculture e opere in bianco e nero283.

Olanda, Belgio, Ungheria e Spagna vengono considerati in senso positivo ma senza particolari note di merito284.

«Everyone is aware that the Exhibition has always included a limited quantity of good applied art in glass, faience, wrought iron, wood-work, enamel and cane furniture, designed, usually, by men and women distinguished in the fine arts, following the example of the old Masters. But never before had so much been seen, giving to the fatiguing monotony of the picture-lined walls a relieving balance upon the floor space, to say nothing of the air of comfort, for they were not corded off; the chairs, couches and small tables obviously were there quite as much for the practical test of the visitors’ convenience as for their inspection. Not only were examples of the arts applied to the interior decoration accepted from well-known artists but from manufacturing firms285.»

Questo quello che viene scritto sul Palazzo dell’Esposizione che viene fatto notare che non solo in questa dizione si è particolarmente concentrato sulla dimensione espositiva ma non ha ospitato nessun’altra Nazione. Generalmente, oltre ai Paesi con un proprio padiglione, ne venivano invitati altri che potevano esporre in alcune Sale del Padiglione centrale che potevano essere dedicata ad una nazione oppure essere internazionali. In questo caso non ospitano nessun’opera non italiana, infatti nessun Paese senza padiglione è stato invitato. Fra i non invitati anche gli Stati Uniti che ancora non avevano un proprio padiglione, di conseguenza le grandi speranze del 1924 sono state cancellate molto velocemente e probabilmente per questo motivo non vi si è dedicato molto spazio nelle riviste.

Anche l’arte italiana viene commentata, in modo meno preciso rispetto alle altre edizioni da parte della Gerard che definisce le proposte italiane nulla di diverso da ciò che è sempre stato esposto

282 Ivi 283 Ivi 284 Ivi 285 Ivi

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dall’Italia e dunque nulla di nuovo286.

Il tono dell’articolo, pur tenendosi sul neutrale, si spinge oltre rispetto agli anni precedenti. Il tono appare in parte seccato dell’affermare che l’Italia non ha ospitato nessun Paese nel padiglione centrale senza offrire delle proposte innovative o tanto interessanti da giustificare questa scelta. La decisione è probabilmente di matrice politica, l’intera struttura decisionale della Biennale è stata modificata dal regime che ha consegnato la direzione nella mani di Maraini.

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