2.2 La X Biennale d’Arte
4. Le Biennali d’Arte degli anni Trenta
4.1. La XVII Biennale d’Arte di Venezia
La XVIII edizione della Biennale d’Arte di Venezia si apre con un’interessante informazione pubblicata nel The American Magazine of Art dove viene riportato che la Grand Central Galleries informa il pubblico della trattativa portata avanti durante l’inverno per permettere agli Stati Uniti di costruire un proprio padiglione nei Giardini Pubblici di Castello permettendo così al Paese di essere rappresentato ogni volta a questo evento senza dover sperare nell’invito e sulla possibilità di sfruttare delle stanze in comune nel Padiglione Centrale287.
«The great Biennial Expositions in Venice are international in scope and each nation has its own pavilion. The United States having no pavilion, and the United States Government having made no appropriation for such, the managers of the Exposition five years ago set aside
galleries in their own greatbuilding for an American exhibit which was assembled by the American Federation of Arts and transported and returned on government-owned vessels. It is exceedingly important that American art should be known abroad, not only for the benefit of the artists and to establish its standing, but to witness to the people of Europe that America is not entirely materialistic but, to the contrary, shares with the older nations of the world ideals which find expression through painting, sculpture, architecture, music, the drama, literature—those things of the spirit which enrich life288.»
Ad inizio 1930 viene riportato il successo di un’esposizione a Budapest d’arte americana, gestita dall’American Federation of Arts. In virtù del successo di quest’ultima essa verrà esposta nel padiglione americano a Venezia289. Ciò mette in chiaro anche chi gestirà il padiglione statunitense: l’AFA. Questa informazione non stupisce considerando che questa organizzazione sta prendendo sempre più potere in patria ed era quella che, nel 1924, aveva trattato per un’esposizione
sostanziosa da parte degli Stati Uniti. La società è anche la proprietaria della rivista dove viene pubblicata questa informazione che è l’unica che ha continuato a commentare e recensire la Biennale d’Arte di Venezia anche nelle edizioni in cui essa non ha invitato gli Stati Uniti. Il punto
287 An American Pavilion in Venice, «The American Magazine of Art»,20, 1929, p.714 288 Ivi
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centrale rimane quello di dover proporre l’arte americana anche in Europa, essendo questo l’unico modo per aprirsi un varco nel mondo internazionale d’arte contemporanea.
«Arrangements have been made to show this collection in its entirety as a part of the American exhibit at the Biennial International Exposition, Venice, opening May 10 and continuing until October. This exhibit will be set forth in the new American pavilion erected during the past winter through the generosity of Mr. Walter L. Clark, President of the Grand Central Art Galleries, which at last gives the United States an appropriate place in which to display the work of its leading artists and puts our country on an equal footing with the nations of Europe290.»
Nella medesima rivista Helen Gerard pubblica la sua recensione della Biennale d’Arte di Venezia. Come per le precedenti edizioni lo schema alla base è sempre lo stesso.
L’incipit è dedicato al nuovo padiglione statunitense, la questione su cui si concentra è la mancanza di informative al riguardo. Considerando che questo tipo di esposizione attira un pubblico variegato, non solo di intenditori d’arte la sua polemica riguarda il reale tasso di informazione di un qualsiasi fruitore che, entrato nei Giardini Pubblici di Venezia, si troverebbe davanti un edificio che non riconoscerebbe291.
Detto ciò afferma che l’unica critica, fino a quel momento, mossa al padiglione statunitense è quella di ospitare un numero troppo alto di artisti e quindi di non esporre abbastanza opere per artista. Infatti, come la Gerard ammetta, la maggior parte degli artisti americani ospitati nel padiglione sono sconosciuti al pubblico europeo292.
In seguito si esprime sui padiglioni non italiani: il primo in esame è quello britannico che ospita un’ampia collezione di opere di Epstein, la più grande mai esposta in Italia. Inoltre il padiglione del Regno Unito ospita un gran numero di artisti, come ogni edizione, riuscendo a coprire le v arie tendenze osservabili in patria.
Il padiglione russo invece è ancora chiuso, infatti le opere non sono ancora arrivate come fa notare la Gerard, che afferma che non si può nemmeno dare un commento visto che non sono note le opere che dovrebbero esservi esposte.
Il padiglione che durante questa edizione si fa notare è quello tedesco, che assicura essere quello
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291 Gerard, Helen, the XVIIth Venetian biennial and Italy's new art programme, «The American Magazine of Art», 21, 1930,
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con le opere più estreme ed un concetto brutale di bellezza293.
Gli altri padiglioni sono moderati seppur in modi diversi. Quello olandese, belga, ungherese sono nella media delle solite esposizioni. Quello della Spagna riceve una critica negativa, seppur relativa: infatti lo definisce come deludentemente ripetitivo. Gli artisti esposti dalla Spagna sono gli stessi che si vedono da diverse edizioni a questa parte294.
Come ogni anno viene definito il padiglione francese come il migliore295. A riguardo è da notare che Parigi in questi anni è il centro mondiale internazionale dell’arte contemporanea, ospita i più grandi artisti dell’epoca anche se non nativi francesi.
Il padiglione centrale, italiano viene apprezzato per il minor decorativismo espresso rispetto all’anno precedente. La Gerard fa notare come, per il regime fascista, continuare a considerare la Biennale d’Arte di Venezia come più importante evento d’arte contemporanea in Italia è
fondamentale. Nonostante l’istituzione sia più antica del partito fascista è chiaro che nonostante l’invenzione dell’esposizione a Roma essa non potrà mai sostituire, a livello internazionale, l’importanza ormai raggiunta da Venezia296.
Nonostante Mussolini, in questo anno, stia già palesando le sue intenzioni anti democratiche le scelte che fa per questa Biennale d’Arte di Venezia vengono apprezzate dalla Gerard. Una delle novità è l’assenza di numerose retrospettive che nelle precedenti edizioni avevano caratterizzato l’Esposizione di Venezia per dare più spazio all’arte contemporanea e alle nuove tendenze sviluppate in Italia297.
Anche il periodico Parnassus dedica un richiamo alla XVII Biennale d’Arte di Venezia nella corposa sezione dedicata all’Italia.
La presentazione fatta dal giornalista riguarda essenzialmente solo l’Italia e gli Stati Uniti. Ciò è in linea con l’id che sia nelle informazioni derivanti dall’Italia e non si presenta come una recensione della Biennale d’Arte in sé.
L’unica sezione presentata dell’esposizione è quella italiana. Ironicamente, nonostante i tentativi di non esporre troppe retrospettive quelle che vengono notate dal critico sono proprio le retrospettive soprattutto quelle di Modigliani e di Ettore Tito298.
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Per quanto riguarda la presenza statunitense vengono semplicemente riportate le parole di un giornalista italiano che afferma che ora, ufficialmente, anche gli Stati Uniti partecipano a questo contesto internazionale e che la loro selezione di opere dimostra le loro tendenze verso un esito positivo299.
Cinque anni dopo abbiamo l’unico riferimento che può essere utile riguardo all’opinione rispetto al padiglione russo:
«My thought keeps darting back to the Russian pavilion as it appeared five years ago in the Biennial at Venice. I then felt that the Russians were at quite the top of the heap, with their uncompromising freshness and bold, youthful enthusiasm. Of course it would be unreasonable to expect that the Soviet should tell its whole tale of contemporary achievement in the span of ten pictures300.»
Non ci vengono descritte le opere, ma possiamo cogliere che l’opinione è quella che l’arte russa fosse al passo con il resto del mondo occidentale. Inoltre questa opinione, inserita in un articolo dedicato all’arte russa negli Stati Uniti ci dichiara l’importanza della Biennale d’Arte di Venezia la cui rilevanza è tale da far affermare che se un Paese aveva un proprio padiglione ciò stava a
significare che era artisticamente ad un altissimo livello. Ciò mette in luce anche la volontà internazionale di ottenere uno spazio in questa manifestazione.