L’approccio urbanistico allo studio dei “ricetti” piemontesi, a partire dalla fine degli anni ’90, è stato riproposto dall’architetto vercellese Angelo Marzi, che già da tempo si interessava dei borghi
nuovi che costituiscono uno dei suoi principali interessi61.
Il fulcro della sua riflessione è stato il riesame da lui svolto del rapporto tra queste due tipologie62. Considerando 22 casi di compresenza fra ricetti e borghi nuovo in Piemonte63, di cui sette nel vercellese, lo studioso si interroga se i primi siano nati contestualmente ai secondi ed avanza una risposta affermativa, ipotizzando che questi nuclei fortificati siano stati realizzati come misure per favorire il popolamento dei nuovi insediamenti64. Oltre all’attenzione urbanistica, in Marzi è stato minore ma non del tutto assente l’interesse per i dettagli costruttivi delle strutture senza tuttavia dare un contributo significativo65.
Un esito ultimo della volontà di confronto evidenziata dai convegni già menzionati, si può scorgere nell’incontro “Ricetti e recinti fortificati nel basso medioevo”, tenutosi, sotto l’egida della Regione Piemonte, a Torino nel 200166. Al di là di riportare nuovamente i “ricetti” al centro
dell’attenzione dopo circa un decennio di scarso interesse nei loro riguardi, esso non si segnala tanto
per nuove acquisizioni in Piemonte, pressoché assenti67, quanto perché, per la prima volta, si era voluto dare una dimensione sovraregionale e multidisciplinare a questa specifica tematica, ricercando confronti e realtà assimilabili sia nelle altre regioni italiane che all’estero.
Il convegno torinese, tuttavia, ebbe sicuramente il merito di creare un nuovo periodo di interesse
per i “ricetti”, destinato però ad avere una breve durata68
. In tal senso di deve sicuramente menzionare la creazione nel 2004, presso il Ricetto di Candelo, del “Centro Documentazione Ricetti
del Piemonte”, costruito principalmente attorno al ricco fondo fotografico e documentale legato agli
61 MARZI 2005, MARZI 2011a, MARZI 2011b. Su questo tema si ricordano anche COMBA-SETTIA 1993, opera di
fondamentale importanza, e GUGLIELMOTTI 2001, GUGLIELMOTTI 2002 e infine, sul rapporto fra villenove e borghi franchi, GUGLIELMOTTI 2008. Su questo argomento si veda inoltre BORDONE 2003.
62 L’autore ha trattato questa tematica dapprima in MARZI 1998. Nel 2012 egli ha raccolto e pubblicato un ventennio
di suoi contributi sotto forma di volume monografico (MARZI 2012).
63
MARZI 2012, pp. 120-121.
64 MARZI 2012, pag. 121. 65
Su tutti si ricorda un articolo apparso recentemente sul “Bollettino Storico Vercellese”, relativo ad un tentativo di datare, grazie ai portali litici, gli edifici del Ricetto di Candelo (BI) (MARZI 2009). Si veda anche il capitolo 4.3.4.
66
Gli atti del convegno sono stati prontamente pubblicati in versione integrale in BORDONE-VIGLINO DAVICO 2001.
67 La stessa Viglino Davico, nel suo intervento presenta alcune acquisizioni da lei ottenuto durante lo studio (VIGLINO
DAVICO 2001).
68
Non è un caso che proprio nel 2001 Settia abbia deciso di ripubblicare ed ampliare il suo saggio del 1976 (SETTIA 2001a). Si segnalano, ad esempio, due contributi recenti della stessa Viglino Davico (VIGLINO DAVICO 2002 e VIGLINO DAVICO-TOSCO 2003).
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studi condotti da Micaela Viglino Davico per i suoi volumi della fine degli anni ’7069
. Negli stessi anni Federica Chilà scrisse un piccolo volume sul Ricetto di Candelo analizzato nell’ottica della sua percezione da parte della popolazione e della creazione di un’identità locale, approccio innovativo e, ad oggi, non più seguito da altri70.
Fig. 15: lavori di ristrutturazione delle mura del Ricetto di Candelo (Foto: Comune di Candelo – Centro Documentazione Ricetti del Piemonte, Fondo Toselli)
Carlo Tosco, in suo breve contributo apparso nel 2007 in un volume di scritti in onore di Micaela Viglino Davico71, ha potuto fare un punto sullo stato e le prospettive dello studio dei “ricetti” a quasi 30 anni dalla pubblicazione delle prime ricerche della studiosa torinese72. Dopo aver constatato che, negli ultimi decenni, la ricerca, che pure si è sviluppata seguendo le diverse aree disciplinari, ha ormai superato l’iniziale rigida opposizione fra storici dell'architettura e storici
“puri”, creando così nuove fruttuose possibilità di collaborazione, egli ha riassunto in tre nuclei
tematici i temi che ancora si possono approfondire:
69 Il Centro, gestito dal Comune di Candelo, esiste tuttora ed il suo materiale è stato ampiamente utilizzato per il
presente lavoro. Chi scrive desidera pertanto cogliere l’occasione per ringraziare il Sindaco di Candelo, dott.ssa Mariella Biollino, per avere autorizzato la consultazione e l’utilizzo di queste fonti e per il sostegno sempre dimostrato verso le ricerche dell’Università Ca’ Foscari sui “ricetti” di Candelo e Magnano.
70
CHILÀ 2001.
71
VIGLINO DAVICO 2007.
72
Si veda TOSCO 2007. L’autore ricorda che, sebbene siano passati ormai 30 anni dall’uscita dell’opera principale di Micaela Viglino Davico sui “ricetti” (VIGLINO DAVICO 1978), siano tuttora assenti censimenti più aggiornati. Negli anni successivi all’articolo di Tosco non sono emerse opere specifiche, ma non sono mancate opere molto rigorose di ricognizione dell’architettura fortificata, anche se non specifiche. Ad esempio sono stati pubblicati, tra l’altro sotto la supervisione della stessa Viglino Davico, i primi volumi del “Atlante castellano”, relativi alle province di Torino (VIGLINO DAVICO et alii 2007) e Cuneo (VIGLINO DAVICO et alii 2010).
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I "paesaggi dei poteri" medievali: i ricetti visti nell’ottica più ampia delle dinamiche insediative del territorio;
La cronologia e le stratificazioni: tra aggiunte moderne e restauri le datazioni delle fasi costruttive sono spesso difficoltose; sarebbe necessario individuare indici cronologici precisi;
L'analisi delle strutture architettoniche: studiare i ricetti come prodotti di un cantiere, di maestranze organizzate e da sistemi costruttivi radicati nel territorio.
In sintesi Tosco riteneva necessario sviluppare il metodo di analisi in senso maggiormente
“processuale”, comprendendo in modo più approfondito i contesti sociali e culturali dei singoli casi, senza più considerare i “ricetti” come un fenomeno monolitico ed indifferenziato.
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