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Nel documento Pane e progetto. Il mestiere di designer (pagine 121-129)

Il bolidismo si connotava con oggetti caratterizzati da un accentuato dinamismo delle forme, che conferisce loro personalit ed unicit tipiche delle forme viventi, industrializzabili nella loro variet e complessit grazie all evoluzione della tecnologia. Producevamo piccoli modellini, alti una decina di centimetri, che poi fotografavamo con grande

cura perch paressero veri allora non c era- no i computer . I bolidisti iniziarono subito a riscuotere l interesse dei media ed ebbero un grande riscontro sulla stampa internaziona- le. olte riviste, collezionisti e gallerie d arte ci chiedevano di fare mostre di oggetti che in realt erano del tutto virtuali.

n una intervista hai affermato che quando eri studente d Architettura, ancora non pensavi al design. Quando il design ha iniziato ad occu- pare i tuoi spazi progettuali? E soprattutto ciò accade per l impossibilità dell architettura o per una precisa scelta di campo?

ppena laureato con alcuni colleghi formai uno studio a a Spezia che si chiamava Studio

into. ra il periodo dell architettura disegnata. Vincemmo concorsi nazionali ed internaziona- li, fra cui uno in iappone con giudice isho

uro a a. Io mi gasai e volevo continuare con i concorsi e la ricerca mentre i miei colleghi preferivano rimanere sul terreno professionale

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all all l esperienza di ing ong con uido enturini come nasce e perch muore ing Kong?

uido Venturini era uno dei primi studenti che incontrai nel corso di emo uti e insieme fondammo nel 8 i ing ong. Sono del 8 i primi stand per Pitti rend, realizzati con le bombolette di schiuma di poliuretano e le spille che facevamo con le pistole per la colla a caldo ed i colori me- tallizzati. e spille erano un pretesto per sperimentare nuovi materiali, ma quando cominciammo a commercializzarle diventò un altro lavoro che ci impegnava completamente con spedizioni e fatture, cos smettemmo. Progettavamo mobili realizzando dei modellini molto piccoli che ben fotografati sembravano veri. I “bolid s ates” pubblicati su una trentina di riviste internazionali erano il prototipo di un solo pattino fotografati davanti ad uno specchio. a concettualit ed il minimalismo rigoroso di papà uti, alla cui scuola ci eravamo formati, ci faceva sentire le spalle robuste, ci permetteva di sporcarci le mani confrontandoci con gli aspetti itch e grotteschi del mondo dei fumetti e della fan- tascienza. C’era comunque in queste cose un tentativo di spostare i confini disciplinari verso aspetti pi mediatici, erano le prime intuizioni di un progetto sul linguaggio che tendeva a spostarsi sempre più sul terreno della comunicazione. Il nome “King Kong” significava lavorare con un mix di poesia e ironia in un’atmosfera science-fiction con un’iconografia forte e primaria. L’ultimo progetto King Kong fu di interni per il bar addalena, dopodich , come tutti i gruppi che si rispettano, ci siamo divisi per una evoluzione quasi naturale che coincise con il mio trasferimento a ilano.

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orrei che mi raccontassi come nato il tuo primo contatto con Alessi che ha segnato e poi accom- pagnato tutta la tua carriera professionale…

el 88 fu lessandro endini che presentò me e uido ad lberto lessi, il quale rimase incurio- sito dai nostri lavori anche se non riusciva ad immaginare che cosa avremmo potuto combinare per la sua azienda.

Il giorno dopo il nostro primo incontro nacque il vassoio irotondo ed iniziò per lessi un nuovo ciclo che avrebbe costituito il filone portante degli anni ’90 ed una collaborazione che dura ancora oggi.

el procedere di questo libro appare sempre pi evidente come la maggior parte dei protagonisti del

design italiano provenga fondamentalmente da due scuole: la scuole milanese e la scuola fiorentina, dove la maggior parte di coloro che si sono formati a Firenze hanno poi scelto di sviluppare a ilano la propria carriera professionale. el tuo caso quando e perch decidi di trasferirti a ilano e perch a tuo parere Firenze ha perso il suo ruolo di centro intellettuale della cultura del progetto?

Come ho già detto Firenze negli anni ’70 era una città culturalmente molto viva e stimolante. Era un ottimo terreno formativo visto che molti esponenti dell architettura radicale insegnavano all universit . ilano era la citt legata all industria e all editoria per cui era gioco forza che ad un certo momento della propria crescita un designer dovesse trasferirsi. Oggi pi che irenze è l universit in generale che ha perso il proprio ruolo formativo.

Parliamo del tuo linguaggio, del mondo fantastico popolato dai tuoi oggetti, dell’ironia, del gioco?

I miei riferimenti culturali furono la filosofia dell’immaginario e del desiderio in Deleuze e Guattari, le teorie del consumo e della merce in audrillard, la no-stop cit degli rchizoom.

Come gi ti stavo spiegando, dopo aver assimilato il minimalismo capii che mi stava un po stretto e cercai di superarne i limiti a favore di un linguaggio meno esclusivo ma pi aperto ed inclusivo in termini di comunicazione verso quelle nuove trib di consumatori, soprattutto le nuove generazioni, estranee fino ad allora a quel fenomeno elitario da intellettuali che era il design. Designer ed architetti continuavano a sforzarsi di insegnare al pubblico quali case dovessero abitare o di quali oggetti do-

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vessero circondarsi mentre il nuovo consumatore sapeva benissimo cosa voleva e bisognava partire piuttosto dai suoi desideri.

Il ludico non fu altro che il bisogno di sdrammatizzare una relazione fra l uomo e gli oggetti che era stata fino ad allora drammatica. Gli oggetti erano status symbol o style symbol di cui ci circondavamo per esibire un nostro status sociale o culturale. Negli anni ’90 questo tipo di ostentazione divenne itsch per cui sentivamo il bisogno di circondarci di oggetti buoni, che creassero con noi un feeling diretto e non oggetti che si sostituivano a noi per rappresentarci.

Ho sempre ritenuto una grossolana banalizzazione la definizione di “oggetti giocattolo” che la stes- sa lessi diede di quei prodotti che stavano piuttosto in bilico fra il cinismo della merce e la poesia dell immaginario.

el tuo studio lavorate con tecniche di prototipizzazione tridimensionale, il disegno tende ad avere un ruolo sempre pi di secondo piano. i chiedo quando e come nasce la fase di ideazione dei progetti e come comunichi le tue idee ai collaboratori?

Oggi la fase in cui il designer può mettersi a pensare è sempre pi limitata. Solitamente seguiamo in studio circa dieci progetti in contemporanea e per questo motivo partiamo improvvisando, cercando di individuare concetti forti. Si tratta di una sorta di brainstorming da cui possono scaturire idee total- mente opposte.

acciamo continuamente piccoli schizzi che servono unicamente per comunicare tra noi. tilizziamo soft are veloci per avere delle prime visualizzazioni e da li iniziamo a valutarne l effettivo potenziale. Il lato negativo è che oggi molti giovani designers non sanno disegnare, poich progettano diret- tamente in 3D. Ciò fa s che si perda la

capacit di pensare l oggetto bidimensio- nalmente, e cioè come accadeva in pas- sato di analizzarlo nelle tre viste ortogo- nali. uesto metodo permetteva di trovare degli errori che oggi, saltando la fase di disegno, sfuggono alla vista.

a alcune tue parole scenari di design Rai educational ipotizziamo uno scena- rio futuro nel quale i designer, imprenditori di se stessi, vendono su internet le pro- prie idee. uno scenario di promozione dei designer verso l industria e quindi in qualche modo un ipotesi di sviluppo della professione o uno scenario di autoprodu- zione e quindi di sviluppo imprenditoriale della figura del designer?

I designer che hanno costruito dei nuovi modelli professionali hanno un approccio imprenditoriale che talvolta può portare alla creazione di un vero e proprio brand. Internet e l e-commerce hanno faticato ad emergere come referenti rispetto al mon- do del design, ma i siti che vendono pro- dotti design sono oggi in grande crescita per cui possiamo ipotizzare in un futuro prossimo un interfaccia diretto fra il desi- gner ed il proprio pubblico. Su un versante diametralmente opposto, in questi ultimi anni emergono oggetti con una caratteri- stica spiccatamente artistica iami, a-

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sel, etc.) che determinano nuove figure professionali, che si muovono in totale autonomia rispetto all industria ed anche in questo caso possiamo parlare di nuovi imprenditori.

orrei che mi parlassi del tuo rapporto con l insegnamento e di che opinioni hai sui giusti passi da percorrere per intraprendere la professione di designer.

Sin dal 7 , anno dopo la mia laurea in rchitettura presso la acolt di rchitettura a irenze, sono stato prima assistente di Savioli e Santi, miei relatori di tesi, e subito dopo di emo uti. Sono stato professore all niversit di rchitettura di enova e all niversit del Progetto di eggio milia, alla Domus cadem , alla Scuola Politecnica di Design. i giovani vorrei consigliare di non limitare il pro- prio orizzonte ad ambiti troppo specifici in senso disciplinare. Sarebbero sempre in ritardo. È invece importante capire che il design è legato a fenomeni culturali pi generali in continua trasformazione, alla vita stessa prima ancora che al mondo delle idee. È importante avere un proprio progetto ed un propria visione del mondo.

tefano iovannoni ilano, ettembre

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Di origini toscane, nasco a oma nel . Vivo da sempre a Pistoia. Da piccolo volevo fare il meccanico alla errari. Dopo la scuola mi recavo sempre in una officina meccanica vicino a casa mia, ero affascinato dai motori e dalle carrozzerie. Cerco lavoro e nel 1967 vengo assunto come progettista all’interno del gruppo Permaflex dove collaboro alla ricerca sull’uso dei poliuretani espansi per la costruzione di mobili e imbottiti. Vengo trasferito alla UNO PI, in quegli anni azienda leader nel settore della chimica per l arredamento. Collaboro con vari architetti e designer industrializzando i loro progetti utilizzando industrial- mente il poliuretano espanso abbinato a tecnologie meccaniche d’avanguardia. Collaboro alla progettazione tecnica di alcuni sedili per gli aerei di linea. Affino le mie esperienze con l’azienda Giovannetti di Pistoia. Nel 1977 inizio la mia attività aprendo a Pistoia uno studio di progettazione industriale e consulenza tecnica. La mia filosofia progettuale ha sempre tenuto conto che non dobbiamo mai sottovalutare l’im- portanza sociale di un oggetto d’uso. Adolf Loos, in un piccolo scritto titolato egenerazione della civiltà, scriveva: “ oi abbiamo la nostra civiltà, le nostre forme, nelle quali si rispecchia la nostra vita ed abbiamo gli oggetti d uso che ci consentono di vivere questa vita”.

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ra i progettisti che partecipano a questa pubblicazione, sono davvero pochi quelli che come te sono arrivati alla professione attraverso un percorso strettamente legato agli aspetti tecnologici. Puoi par- larmi della tua formazione e di quanto questa ha influito sulla tua attività?

Ti racconto un po’ quello che mi ricordo.

Da piccolo volevo fare il meccanico alla errari. Ogni pomeriggio, dopo aver fatto i compiti a casa, mi recavo in una officina dove riparavano le automobili. Ero affascinato da bielle, pistoni, cuscinetti, differenziali, carburatori etc. Dopo le elementari faccio la scuola di avviamento industriale Pacinotti di Pistoia, poi continuo le superiori fino a diventare un perito meccanico.

Tutti i miei compagni di scuola entravano in ferrovia oppure alla San Giorgio (oggi Breda), io invece volevo fare il meccanico di automobili, ma a causa del mio titolo di studio non trovai lavoro come meccanico e andai a fare il tornitore presso un’officina che produceva macchine e telai per la realiz- zazione di tessuti.

Feci poi domanda alla Permaflex per entrare come impiegato, e venni assunto provvisoriamente come operaio meccanico, all’interno dell’officina che progettava e produceva le macchine per la re- alizzazione dei materassi a molle. Lì lavoravo affianco a un personaggio davvero particolare: Carlo Gori, un inventore “pazzo” con cui imparai a progettare macchine e attrezzature fra cui “macchine per fare le molle, attrezzi vari per l’assemblaggio delle carcasse dei materassi etc.”.

Nel 1967 finalmente divenni impiegato e venni affiancato al mio più grande maestro: l’architetto Emi- lio Guarnacci. Con lui inizia la mia avventura di progettista industriale. Come primo lavoro, collaborai alla progettazione di casette prefabbricate, costruite con pannelli di poliuretano rigido dotati all’inter- no di tutti gli impianti per acqua, luce, gas etc. I prototipi furono montati in una fattoria del cavalier Giovanni Pofferi, allora proprietario della Permaflex. La Permaflex aveva all’interno dello stabilimento un laboratorio chimico ed un reparto prototipi, dove facevamo varie sperimentazioni sulle nuove materie prime della Bayer. Lì un giorno nacque l’idea di costruire le poltrone in poliuretano espanso, fino ad allora usato come protezione e isolante per le carcasse dei materassi a molle. Il risultato fu eccellente, si dimostrò che il poliuretano, se usato in densità e dimensioni idonee, poteva assolvere oltre che a funzioni di comfort ed elasticità, anche a funzioni strutturali. L’unico inconveniente di quel prototipo fu che se sottoposto a forte compressione rimaneva deformato. Fu richiesta allora alla Bayer una formula che permettesse di realizzare un poliuretano espanso indeformabile. Loro dissero che ci stavano già lavorando e così dopo alcuni giorni arrivarono dei campioni di poliuretano espanso in tre densità che presentavano una deformabilità minima.

Fu così possibile iniziare a costruire imbottiti con il nuovo materiale che andò a sostituire il lattice di gomma (gomma piuma). Da questa idea e da questa esperienza nasceva a Calenzano la UNO PI (industria chimica per l’arredamento) e io venni trasferito a questa divisione. Lì fu allestito il nuovo laboratorio di ricerca chimica per l’arredamento, dove si sperimentavano le materie prime che la Bayer ci inviava sotto forma di componenti miscelabili che, opportunamente mischiati, davano vita a materiali espansi sia morbidi che rigidi (schiumati, integrali, Baydur etc.)

Gli anni dal ’67 al ’75 sono stati i più formativi per la mia futura attività di designer, collaboravo alla ricerca e alla progettazione di prodotti con varie tecnologie, da prodotti realizzati con poliuretano espanso schiumato a freddo, a poltrone e tavoli in Baydur e/o in integrale.

Collaborai alla progettazione dei sedili per gli aerei di linea quali i DC-10 europei, i DC-9 presidenziali e gli Aerbus A-300 europei, usando tecnologie innovative ricavate anche dal settore auto sulla base del mio amore per le automobili. Per poter produrre le nuove sedute degli aerei, fu aperta a atina una nuova fabbrica, la Aviointeriors dove venivano realizzate le componenti meccaniche dei sedili. La progettazione avveniva prevalentemente nella sede centrale della Permaflex a Roma dove fui inviato per alcuni mesi. Appena fu allestito un buon ufficio di progettazione ritornai a Calenzano e da lì seguivo le fasi prototipali e di industrializzazione di tutti i prodotti. Partivamo dalle prime materie chimiche sino ad arrivare al prodotto finito.

Per me è stata una grande scuola. Lì ho cominciato ad interessarmi all’arredamento, seguendo l’evoluzione dell’arte, della moda e del gusto e visitando manifestazioni come i saloni del mobile di Milano, Parigi, Colonia e le fiere tecniche come Plast a Milano, Sasmil a Colonia etc. La UNO PI nel frattempo era diventata una grossa azienda; oltre alle materie prime produceva divani e poltrone, nonché componenti per aerei. Lo stabilimento ormai era diventato per me troppo grande, sopra

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