• Non ci sono risultati.

Mario Bellin

Nel documento Pane e progetto. Il mestiere di designer (pagine 37-49)

001 ol au ent produzione talia

do collaboratori e disponendo di strutture e staff in un intero fabbricato a Ivrea. In tutto eravamo più di cinquanta persone e io rispondevo direttamente all’amministratore delegato.

C’era qualcosa di speciale in questa azienda, un atteggiamento aper- to, che ti dava la possibilità di realizzare idee nuove. Io ho avuto la fortuna incredibile di divenire consulente per Olivetti proprio quando moriva l’elettromeccanica e nasceva l’elettronica. È stata una rivolu- zione incredibile, sono scomparse gran parte delle leve e ingranaggi, tutti i componenti funzionali di una macchina potevano essere messi in rapporto tra loro solo attraverso fili e quindi questo ti consentiva di reinventare la tipologia delle macchine. Da verticali trasformarle in orizzontali, piatte, trasversali, seguendo un’altra priorità di valori che era quella di ridare intensità e capacità di significare alla macchina, non tanto e non solo quello di renderla capace di entrare in rapporto funzionale con l’utente, ma proprio di ridare dignità a questo rapporto. Credo di aver avuto la fortuna straordinaria in quegli anni, di inventare alcune nuove tipologie, quella della macchina da calcolo trasversale, quella della macchina per scrivere elettronica, cunei piatti e invenzioni morfologiche, che non esistevano prima, non avevano precedenti. A partire da considerazioni proprio di natura ambientale, di significato, di valore comunicativo. Un’esperienza straordinaria, erano talvolta delle prime assolute: la prima macchina elettronica da tavolo da calcolo programmata, la prima macchina elettronica per scrivere. Questo mi ha dato la soddisfazione di ri- cercare e creare nuovi tipi, di accendere nuovi rapporti tra uomo, macchina, spazio. Credo sia questo il valore della mia esperienza con Olivetti.

Come iniziò la sua carriera di progettista e quando e dove apr il suo primo studio?

Nel corso della mia consulenza con Olivetti ho aperto il mio primo studio a Milano in società con Marco Romano all’interno della Umanitaria, dove anche Giovanni Romano, il vecchio architetto razio-

nalista, papà di Marco, aveva la sua attività. Abbiamo battezzato la società Design Italiana . Design nel senso generale di progetto, in cui facevamo architettura, interni e design. Fin dai miei inizi non ho mai accettato di identificarmi con un’azienda o un cliente, né con un settore delimitato. Poco dopo la breve esperienza all’Umanitaria apro il mio primo studio da solo. In una sede straordinaria: nel

197 Area produzione Artemide

ncoAn

geli

rla ca rla ca io di ridare d di ridare d straordinaria in qurdinaria in qu

lla della macchina da cella macchina da

r scrivere elettronica, cuneiere elettronica,

n esistevano prima, non avistevano prima, n

zioni proprio di natura amproprio di natur

ativo. Un’esperienza straor. Un’esperienza st

lute: la prima macchina el: la prima macchina e

onica per scrivere. Questo

onica per scrivere. Questo

ere nuovi rapporti tra uomo,e nuovi rapporti tra

Olivetti.

di progettista e quando e doogettista e quand

ulenza con Olivetti ho apa con Olivett

cinquecentesco Seminario Arcivescovile milanese di corso Venezia. In questo meraviglioso palazzo metto su un piano il mio studio e in un altro piano trasferisco la mia attività per Olivetti. Sono stato travolto fin dalla laurea dal design, ma l’architettura è stata sempre presente nella mia mente e nei miei progetti. Mentre ero loro consulente, per esempio, la Olivetti mi aveva chiesto di disegnare una facoltà di Informatica che sarebbe stata costruita ad Ivrea. Avevo fatto un progetto molto interessan- te. Poi si era fermato tutto per mancanza di fondi. La mia carriera di architetto comincia solo con gli anni ’8 . D’altra parte gli otto Compasso d’oro vinti uno dopo l’altro e i grandi successi internazionali coronati con una mostra al MoMA nel 87 mi impedivano di aprire subito un altro fronte professio- nale, un fronte così impegnativo.

Poi a seguire il rapporto con Cassina e in rapida successione con le principali aziende di produzione industriale del nostro paese.

È stato il mio primo Compasso d’oro, ovvero il tavolo prodotto da Sandro Pedretti, a portarmi da Cas- sina. Perché poco dopo Pedretti chiude la sua attività di mobiliere e io resto con il Compasso d’oro in mano e un tavolo senza produttore. Mi faccio presentare a Cesare Cassina, il cui nome era già un mito. E mi faccio precedere dalla consegna del mio tavolo da poco premiato. Alla fine a produrre il tavolo sarà Dino Gavina, ma quell’incontro a Meda sarà decisivo nella mia carriera. Perché in questa stessa occasione proprio Cesare Cassina mi chiede di entrare nella sua squadra di architetti. Perché allora i designer erano tutti architetti. C’erano già Gio Ponti, Vico Magistretti, Gianfranco Frattini, Ico Parisi, Paolo Deganello, Carlo e Tobia Scarpa. La prima persona con cui sono entrato in contatto è stato Francesco Binfaré, giovane che sarebbe diventato presto direttore e animatore del Centro Ricerche Cesare Cassina.

Nel 1966 Cesare Cassina fonda con Pierino Busnelli la C&B che diventa in breve un simbolo del nuovo design italiano. Chiedono anche a me, oltre a Magistretti, Zanuso e Scarpa, di iniziare la collezione per questa nuova avventura impren- ditoriale. Nasce così Amanta, primo imbottito con scocca in fibropoliestere formata a stampo che ha un travolgente suc- cesso finendo nelle case e negli uffici di mezzo mondo.

Quali dei suoi lavori di quegli anni ritiene avessero le migliori intuizioni progettuali?

Sono ancora particolarmente affezionato al mio primo dise- gno per Cassina, ovvero un sistema di imbottiti – il 2 – costruito soltanto con cuscini a volume rettangolare privi di struttura e uniti tra di loro con larghe cinture e bretelle. Era il 64 e il minimalismo molto di là da venire… È del 7 la proposta profetica di ar-a-Sutra per il MoMA, un’antici- pazione inaspettata dei milioni di auto monovolume che in- vaderanno il mercato dopo più di dieci anni. Ricordo anche il secondo successo per C B, Le Bambole, disegnate nel 72. Ancora un imbottito, praticamente privo di strutture, poggiato a terra, che esplora la potente carica semantica di un enorme cuscino. Quattro anni dopo, per Cassina, un’altra creatura cui sono altrettanto legato: la Cab, prima sedia mai realizzata interamente in cuoio, ancora oggi più viva che mai. Costruita, non rivestita perché sotto la sua tenace e flessibile pelle c’è solo un leggero scheletro in acciaio, che ha il dise- gno dell’archetipo della sedia, quella che risale indietro fino

ai tempi dei faraoni. Da allora a oggi sono stati prodotti più di 500 mila esemplari. Potrei citare ancora: il lavoro per Brionvega con il Totem, il mangiadischi Pop per Minerva-Grundig, le lampade Chiara e Area, rispettivamente per Flos e Artemide, la Divisumma 18 per Olivetti e molto altro ancora…

001 entro ulturale orino in corso di realizza- zione

Franc

oAng

eli

pas pas

nome era gnome era g

fine a produrrea produrre

era. Perché in questa Perché in quest

adra di architetti. Perché architetti. Per

etti, Gianfranco Frattini, IcGianfranco Fra

n cui sono entrato in consono entrato in

direttore e animatore deore e animatore

no. carpa, a imprenpren- on scocca in occa in

volgente sucente su -

ezzo mondo.mondo

ritiene avessero le migliori e avessero le miglio

affezionato al mio primo dzionato al mio p

un sistema di imbottiti – il istema di imbottiti

cuscini a volume rettangola

cuscini a volume retta

di loro con larghe cinture e

di loro con larghe cintu

lismo molto di là da venir

lismo molto di là da di ar-a-Sutra per di ar-a milioni di auto milioni più di d

Mario Bellini

La sua attività professionale, che non possiamo certo restringere nelle poche pagine di un’intervista, è stata un crescendo di successi e riconoscimenti. Come è cambiato il suo vivere di progetto con il procedere della sua carriera?

Non è cambiato granché. Il bello di questo lavoro è che non si vive né di ricordi, né di nostalgia. Ogni volta, quando si intraprende un nuovo progetto, è come fare un altro viaggio e allora ti entusiasmi delle nuove cose che scopri, dei risultati che raggiungi e questi sono l’oggetto di tutto il tuo amore, di tutta la tua cura. Quando riparti con un altro lavoro anche il fuoco del tuo interesse si sposta e nuovi pensieri vengono in primo piano.

Il 1987, l’anno della sua retrospettiva al MoMA, è anche l’anno in cui nasce la Mario ellini Associati, ora Mario el- lini Architect(s). È dagli anni ’80 che il suo lavoro inizia a frequentare sempre con maggiore forza i territori dell’archi- tettura. Come avviene questo cambio di direzione?

Nel 87 il MoMA (Museum of Modern Art di New York) ha dedicato una mostra personale alla mia attività nel cam- po del design. In questo contesto è iniziato negli anni ’8 – dopo venti anni di sospensione tattica – a farsi sentire insostenibile il richiamo dell’architettura, che mi ha spinto a rallentare con il design per cimentarmi con una nuova sfida ad aprire anche il fronte della grande scala, della città e dei grandi spazi costruiti. È stato come ricominciare un’al- tra volta, prendere nuovi rischi, rifondare una seconda vita prendendo le distanze dalla prima ma senza sconfessarla. Non è stato facile né ovvio, ma è stato emozionante risco- prire e coltivare un talento e una passione tenuti a lungo vivi nel cuore e nella mente, in attesa di liberarne tutto il potenziale. Sono seguiti i primi importanti incarichi, in Italia e in Giappone, e molti concorsi internazionali che hanno comportato la sfida diretta con i migliori architetti e con i grandi temi pubblici. Procedendo a ritroso: la nuova sede della Deutsche Bank a Francoforte, il nuovo Museo delle Arti Islamiche al Louvre di Parigi, il Museo della città di Bologna, la grande Biblioteca centrale di Torino, la National Gallery of Victoria a Melbourne, la Fiera di Essen, e molti altri.

007 randPiano produzione lou 007 tardust produzione eritalia

coAn

geli

o restringere nelle poche pagtringere nelle poc

ti. Come è cambiato il suo vivme è cambiato il su

oro è che non si vive né dche non si vive n

volta, quando si intraprende quando si intraprende

un altro viaggio e allora

un altro viaggio e a

scopri, dei risultati ch

scopri, dei risult

tutto il tuo amore,

tutto il tuo am un altro lavoro un altro nuovi pensie nuovi p Il 198 l’ann

Ci sono professioni per le quali l’avanzare dei tempi ha disegnato ambiti di competenza sempre più ristretti. Per esempio cinquant’anni fa un muratore pavimentava, realizzava gli intonaci, piastrellava, imbiancava e metteva infissi e sanitari; ora ad ognuna di questa fasi del lavoro corrisponde un me- stiere. Lei viene da una scuola che insegnava ad affrontare tutte le scale del progetto, e attualmente si occupa di design, allestimenti, arredamento e architettura vede un futuro (o un presente) nel qua- le ci sarà il progettista di orologi e quello di posate o la componente creativa di questa professione non consentirà mai una vera e propria specializzazione?

Se si guarda alla mia storia professionale si comprende quanto io detesti la specializzazione . La specializzazione è la tomba della creatività. Sarebbe come ritenere che per disegnare uno stadio, una cattedrale o una sedia si debba già aver fatto queste stesse esperienze. L’idea che esistano progettisti specializzati in sbarchi di ascensori mi fa rabbrividire. Esistono, purtroppo esistono. Per quanto mi riguarda provo l’emozione più forte quando devo affrontare un tema nuovo, una sfida di cui non conosco il percorso, sorretto soltanto dall’entusiasmo e dalla curiosità di raggiungere un risultato con la forza della mente e dell’intuizione.

uardiamo allo stato attuale del disegno industriale in Italia. Lei crede che l’esplosione delle scuole di design che va di pari passo ad un periodo non felice per il sistema produttivo, potrà portare a nuovi scenari evolutivi?

L’esplosione di scuole e il moltiplicarsi di aspiranti designer, così come l’espandersi o il contrarsi dei sistemi produttivi, registrano semplicemente un fenomeno evolutivo della cultura e dei modi del con- sumo. Ed entrambi nel complesso non possono che essere responsabili di eventuali nuovi scenari evolutivi.

Il grande successo del design italiano nasce da una precisa collaborazione tra cultura progettuale e cultura imprenditoriale. Cosa crede che oggi manchi di più nel nostro paese, buoni progettisti o buoni imprenditori?

Mi pare che siano entrambi presenti in abbondanza, anzi in sovrabbondanza. I progettisti in tutto il mondo, dall’Australia al Sudamerica, alla Cina, all’Europa. Gli imprenditori praticamente solo in Italia. Gli uni sono necessari agli altri e si condizionano l’un l’altro sorridendosi.

L’ultima domanda riguarda i giovani. Quali strade a suo parere sono ancora da percorrere e cosa è ancora importante per poter svolgere in maniera dignitosa questa professione?

Devono avere una forte motivazione, un talento innato, una buona formazione culturale e una ag- giornata preparazione tecnico-progettuale alimentata da una insaziabile curiosità ed entusiasmo. Ini- ziativa e senso di responsabilità e l’attitudine a migliorare e crescere senza entrare mai nella routine. Forse è questo che mi ha portato oggi, a più di settant’anni, a disegnare per Meritalia degli imbottiti pazzi e luminescenti come Stardust e Via Lattea, privi di peso e di struttura, confezionati con ravioli d’aria e materiale poverissimo di fibre riciclate. O piuttosto a disegnare il più grande Centro congressi d’Europa stravolgendo, al Portello di Milano, un mio edificio di vent’anni fa, con un’esplosione di foyer metallici e con una gigantesca cometa lunga 2 metri, che lo sormonta con 8 chilometri di nastri di luce. Mario ellini Milano, 8 Dicembre 2008

Franc

oAng

eli

losione delle scuolene delle scuole

o, potrà portare a nuovi trà portare a nuovi

l’espandersi o il contrarsi deandersi o il contra

della cultura e dei modi del cultura e dei mod

onsabili di eventuali nuovi bili di eventuali nu

cisa collaborazione tra cultursa collaborazione tra

di più nel nostro paese, buoniel nostro paese, b

anza, anzi in sovrabbondan, anzi in sovrab

a, all’Europa. Gli imprenditoll’Europa. Gli imp

izionano l’un l’altro sorridenno l’un l’altro so

ni. Quali strade a suo parere uali strade a suo pa

olgere in maniera dignitosa qun maniera dignit

ivazione, un talento innato, one, un talento

nico-progettuale alimentata progettuale alimen

nsabilità e l’attitudine a mig

nsabilità e l’attitudine

i ha portato oggi, a più d

i ha portato oggi, a

nti come Stardust e Via L

nti come Stardust e

ssimo di fibre rici

ssim

Portello di M

Porte

asce a Volterra PI nel . e prime espe- rienze risalgono alla fine degli anni ’60, con la progettazione legata all’Industrial Design (rubinetterie, carrozzerie di motori, macchine utensili, etc.). Dagli inizi degli anni ’70 il suo lavoro si concentra nel settore industriale del mobile e degli oggetti d’uso. Con l’intento di non lasciarsi suggestionare dalle mode, opera concentrando la propria attività creativa nella ricerca di soluzioni logiche e razionali. Diplomato all’ISIA di Firenze nel 1968, ha svolto atti- vità didattica quale docente di Progettazione presso l’Istituto d’Arte e l’ISIA della stessa città. Attualmente svolge attività didattica presso il Corso di Laurea di Disegno Industriale alla Facoltà di Architettura di Firenze. Nel 1968-1969 collabora con lo Studio Nizzoli Associati di Milano. A questa esperienza ha fatto seguito la collaborazione, negli anni 1970-1983, con Gianni Ferrara e Nilo Gioacchini, dando vita allo studio Internotredici Associati.

Dal 1985 lavora autonomamente. Ha disegnato tra gli altri per Arketipo, B&B Italia, Bosal, Casprini Gruppo Industriale, Ciatti, Dema, Falegnameria 1946, Ferlea, Fratelli Guzzini, Gruppo Sintesi, Ifi Industries (Steelmo-

bil), La Falegnami Italia, Neolt, Segis s.p.a., Seven Salotti, Zucchetti Rubinetterie.

r o i

i

ra

asce

degli anni ’60, con l

degli a motori, macchin moto industrial ind mod

1970 tudio nternotredici

arlo imbi ianni errara e Nilo

ioacchini

Partirei da un discorso iniziato in pullman percorrendo le strade di elgrado e da alcune domande fatte anche a ilo ioacchini con cui hai condiviso la parte iniziale della tua carriera professionale. Ripercorriamo la tua formazione dall stituto d Arte di olterra allo studio izzoli di ilano.

Dopo gli studi presso l’Istituto d’Arte di Volterra e l’ISIA di Firenze, la mia formazione si è compiuta in vari studi professionali e artistici: lo studio di Mino Trafeli a Volterra negli anni dell’adolescenza, poi lo studio di architettura “A 2” a Firenze dal 1962, in quel bell’edificio progettato da Renzo Falciani all’angolo tra Via Venezia e Via Cavour.

Infine, sul finire del famoso 1968 e per tutto l’anno successivo, ho lavorato nello Studio Nizzoli Asso- ciati di Milano, ricco ed effervescente di personalità come G. Mario Oliveri, Sandro Mendini e molti altri giovani tra i quali alcuni del futuro gruppo fiorentino “1999”.

Da Trafeli a Volterra: avevo quattordici-quindici anni quando iniziai a frequentare lo studio del mae- stro. Facevo il ragazzo di bottega, preparavo i materiali, aiutavo Mino nell’esecuzione di alcune ope- re, ero sempre pronto ad ascoltarlo e a sottoporgli i miei primi esercizi artistici. Utilizzavo il disegno per dare immagine a fantastiche forme urbane che si trasformavano in forme umane: ricordo ad esempio la Fortezza medicea che, nei miei occhi di giovane artista, diveniva un robot meccanico antenato dei giapponesi ufo-robot.

Allo Studio Falciani finì la poesia. Passavo le giornate a sviluppare progetti di architettura fino al disegno esecutivo. Venivo dalla sezione scultura dell’Istituto d’Arte e per la prima volta mi trovavo di fronte al tecnigrafo. L’inizio fu faticoso, ma dopo un paio di mesi mi trovai pienamente a mio agio tanto da vedermi affidati lavori sempre più impegnativi.

In quell’ambiente scoprii l’esistenza del Corso Superiore di Disegno Industriale a «Porta Romana», al quale mi iscrissi nel 1964. Cominciai lì a sentir parlare della Facoltà di Architettura e di tesi che avver- tivano i primi rumori di un cambio di sensibilità i cui esiti si sarebbero risolti nella ormai prossima con- testazione: con grande perplessità del mondo professionale, come avvertivo nello Studio Falciani. Nel 1966, nei giorni dell’alluvione, facevo parte del gruppo di lavoro che al Corso Superiore di Di- segno Industriale (quel Corso che poi sarebbe divenuto l’ISIA), stava preparando la partecipazione all’Expo di Montreal del 1967. In quell’anno si concretizzava il progetto di un tavolo smontabile sca- turito da una esercitazione per la cattedra di Progettazione diretta da Mario Majoli, per Planula, e di una lampada, per Guzzini; entrambi furono realizzati e inseriti in catalogo. Gli studi mi orientavano verso una progettazione finalizzata ad una committenza pubblica, come era uso in quegli anni (tele- foni a gettoni, piazzole di sosta sulle autostrade, auto elettriche urbane), una progettazione che mi teneva lontano da quelle utopie che stavano nascendo proprio in quel periodo anche a Firenze. Negli instabili umori dell’università di allora (e di sempre) si prefiguravano schieramenti diversi: Pier- luigi Spadolini e Giovanni K. Koenig che nelle loro diversità erano comunque colleghi all’ISIA; Leo- nardo Savioli, Leonardo Ricci ed altri che riuscivano

a stimolare e fiancheggiare i giovani più vivaci nella ricerca di massima visibilità.

Allo Studio Nizzoli Associati mi occupo in prima perso- na della progettazione di oggetti per l’industria come ad esempio una mietitrebbia per Laverda, dei rubinetti per Zucchetti, lampade per Stilnovo. I miei lavori venivano poi sottoposti a discussione con i titolari dello Studio, Oliveri e Mendini in particolare. Il metodo di lavoro era adesso la continua discussione ed il continuo appro- fondimento delle complessità progettuali. L’incontro con l’ambiente milanese – un ambiente dove era co- stante il desiderio di sperimentare – fu assai positivo. Intorno ruotava tutto il mondo del design che si apriva ad un mercato internazionale, con continue presenta- zioni di prodotti nuovi.

Altrettanto importante era il circuito delle mostre d’ar- te contemporanea, in special modo quelle allo Studio

Franc

oAng

eli

o il o il ne: ricor ne: ricor

robot meccant meccan

ti di architettura fino al rchitettura fin

r la prima volta mi trovavrima volta mi

Nel documento Pane e progetto. Il mestiere di designer (pagine 37-49)