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Simultaneamente alla pubblicazione dedicata alle macchie solari, Federico Cesi promosse un secondo progetto editoriale, l’Indice delle opere filosofiche di Antonio Persio; il quale, come si desume da una lettera del 24 novembre 1612, si trovava probabilmente già nelle mani del bibliotecario Angelo de Filiis, quando le Lettere galileiane ottennero l’imprimatur.571

Il 4 maggio 1612, Federico Cesi annunciò a Galileo: «[le opere] del Persio […] non tarderanno troppo a veder la luce».572

Il Princeps comunicò infatti allo scienziato pisano di aver visionato i

volumi contenuti nella prestigiosa biblioteca dall’abate materano – il celebre e discusso allievo di Bernardino Telesio –, che l’Accademia aveva acquisito insieme alle opere manoscritte del filosofo.573

Nel 1613 l’Accademia pubblicò un Index capitum librorum di Antonio Persio.574 Il Bibliotecario ricevette l’incarico di stampare l’Indice

nell’adunanza del 15 ottobre 1612.575 La prefazione dell’opera è datata al 13

570 Cfr. CL, p. 663. 571 Cfr. ibid., p. 293. 572Ibid. , p. 219. 573

Per Antonio Persio cfr. G. GABRIELI, Notizia della vita e degli scritti di Antonio Persio,

in CSAL, pp. 865-888; E. GARIN, Nota telesiana: Antonio Persio, in ID., La cultura del Rinascimento italiano, Firenze, Sansoni, 1979, pp. 435-438; L. FIRPO, Appunti campanelliani,

«Giornale critico della filosofia italiana», 1940.

574 Index capitum librorum Abbatis Antonii Persii Lyncei Materani Civ. Rom. I. V. C.

philosophi theologi praestantissimi. De ratione recte philosophandi et De natura ignis et caloris. Romae. Apud Iac. Mascardus, s. d. [1613]. Cfr. CL, p. 298.

575

dicembre 1612. Come mostrano i documenti successivi, tuttavia, l’ambìto progetto di un’edizione integrale dell’opera del Persio fallì senza che si conoscano le cause di questa mancata pubblicazione. Ma una folta messe di informazioni rivela quale iter avesse seguito il manoscritto persiano tra il 1612 e il decennio successivo.

Il 26 maggio 1612 Federico Cesi scrisse a Galileo:

Pensavo mandarli un indice delle materie trattate dal Persio stampato, ma i revisori ancor me lo trattengono, per esser grandemente contrario ad Aristotele.576

«Pol considerarsi quanto [Aristotele] domini hoggidì», commentava infine il Cesi.577

Come è stato osservato da Pietro Redondi nel suo saggio su Galileo

eretico: «Federico Cesi aveva auspicato di pubblicare Persio per smuovere

le acque romane […] e ridurre la pressione soffocante del conformismo aristotelico».578

Se teniamo nel debito conto che l’Accademia era in quel momento impegnata nel progetto della edizione del volume sulle Macchie solari, appare evidente che la consistenza del patrimonio scritto del Persio potesse, tuttavia, sembrare eccessivamente dispendiosa da trasferire su stampa. I verbali lincei rivelano che cinque anni più tardi – nel marzo del 1617 –, e, quindi, dopo che i decreti contro Copernico avevano interrotto bruscamente la battaglia dell’Accademia in difesa dell’eliocentrismo, Federico Cesi aveva affidato al Faber la cura operativa dei manoscritti del Persio, in tre volumi.579 Nel mese di agosto, il Principe invitava il

“cancelliere” al compimento dell’opera di revisione del trattato:

Aspetto con desiderio intendere che la revisione Persiana sia a termine, che possa cominciarsi a stampare.580

576 Cfr. CL, p. 225. 577 Ibidem. 578

Cfr. P. REDONDI, Galileo eretico, cit., p. 105.

579 Si veda il verbale dell’adunanza accademica del 6 marzo 1617, pubblicato dal Gabrieli: «ut videantur tres tomi Antonii Persii a Fabro, qui Romae debent imprimi». CSAL, p. 537.

580

Circa tre anni dopo, Cesi pensava di editare l’opera persiana a Fabriano, presso un tipografo di fiducia.581 In una lettera del 19 dicembre 1620, il Principe sollecitava dunque, nuovamente, al “cancelliere”, l’inedito scritto del Persio,582 giungendo, infine, nel febbraio del 1622, ad un vero e proprio

reclamo:

per il Persio ho dato ogn’ordine necessario, e mi preme, e V. S. mi farà gratia di essere sopra ciò col sig.r De Filiis.583

La lunga attesa del Principe Cesi per vedere ultimata e stampata l’opera del Persio dimostra effettivamente quale ruolo, effettivamente cruciale, egli attribuisse alla filosofia dello scienziato materano, amico del Campanella e di Giordano Bruno. Forse anche in vista di un reindirizzamento degli studi cosmologici dell’Accademia dopo la promulgazione dei decreti anti- copernicani del ‘16. Possiamo, dunque, apprezzare meglio il programma del Cesi se consideriamo quale relazione si fosse stabilita tra il pensiero del Persio e l’opera a cui Federico Cesi si stava applicando in prima persona: il

Coelispicium.

La scrittura del Princeps difende infatti delle posizioni compatibili con l’ipotesi della fluidità dei cieli. Tuttavia, come ricorderemo, l’idea del Patrizi che «v’è un solo cielo, con Mosè, e spesso con gli Atti degli Apostoli» fu messa all’Indice circa vent’anni prima.584

È presumibile che Federico Cesi, nel Coelispicium, intendesse promuovere il pensiero del Persio per mezzo di un’opera che supportasse le sospette opinioni filosofiche dello scienziato materano, grazie a delle prove esegetiche e scritturistiche favorevoli alla liquidità celeste. Un confronto tra le composizioni dei due Lincei dimostra infatti che i loro argomenti si sorreggevano a vicenda, come avremo modo di approfondire.

Il 19 maggio 1612 Federico Cesi scrisse dunque a Galileo che le opere del Persio avrebbero presentato delle tesi «molto noiose a’ peripatetici».585

In seguito, quando i censori del Sant’Uffizio obbligarono i Lincei a non

581 Cfr. ibid., p. 730. 582Ibidem . 583Ibid., p. 762. 584

P. ROSSI, Sfere celesti e banchi di gru, in ID., Immagini della scienza, Roma, Ed.

Riuniti, 1977, pp. 146-147. 585

travalicare il piano della disputa naturalistica in relazione al problema delle macchie solari, il Principe annunciò al matematico toscano: «quella raccolta delle materie del Persio l'hanno addormentata i revisori con alcune difficultà».586

Nel febbraio del 1616 la Congregazione del Sant’Uffizio impose un veto alla campagna eliocentrica di Galileo; ma, il versante naturalistico degli studi lincei fu incentivato ulteriormente dal principe Cesi: «L’idea di far uscire i trattati di Persio – ha osservato Pietro Redondi – rispecchiava il desiderio di Cesi di reagire, riorientando la produzione dell’accademia dal campo astronomico a quello della filosofia naturale».587

Tuttavia, sappiamo che la dottrina di Copernico era ancora parte integrante del programma di studi linceo, anche dopo la sospensione all’Indice del De Revolutionibus. Nel 1617 il linceo fabrianese Francesco Stelluti dedicò al principe Cesi un discorso celebrativo pubblicato presso la tipografia di Giovanni Mascardi, intitolato Il Pegaso. Il lungo carme, che fu composto in occasione delle nozze del Principe con Isabella Salviati, e che ebbe certamente un intento non solo celebrativo, ma anche divulgativo, contiene un’esposizione programmatica dei principali campi di attività dell’Accademia. In esso, trova spazio anche una celebrazione delle nuove scoperte galileiane ed un’esaltazione della fede copernicana di Federico Cesi.588 Il Pegaso è, effettivamente, l’unica composizione lincea che, al di là

dello “spartiacque” del 1616, e prima del Saggiatore, delinei in maniera netta e precisa le posizioni astronomiche dell’Accademia. In effetti, alcuni mesi dopo la pubblicazione del componimento stellutiano, nella sua Epistola

de coelo (1618) Federico Cesi invitò il cardinale Bellarmino ad assumere

delle posizioni coraggiose, nell’ambito degli studi cosmologici:

Con le nostre discussioni – scrive il Principe nell’Epistola – noi celiamo e occultiamo a noi stessi proprio quel cielo su cui indaghiamo, quel cielo stipato di nubi e avvolto in profonda nebbia, e non di quella nebbia che si forma naturalmente su un corpo in tutte le sue parti sfolgoranti (e anzi fonte di tutta questa luce), ma di

586Ibid., p. 293. 587

Cfr. P. REDONDI, Fede lincea e teologia tridentina, cit., p. 130.

588 Cfr. Il Pegaso. Epitalamio di Francesco Stelluti da Fabriano nelle nozze di Federico

quella nebbia che gli viene aspersa e gettata intorno dalle menti umane con la loro tortuosità di pensiero; così noi facciamo il buio a noi stessi, in mezzo alla luce.589

La filosofia di Bernardino Telesio (1509-1588) fu condannata e messa all’Indice da Clemente VIII nel 1596. L’edizione dei libri del celebre filosofo, uscita postuma, fu curata dal suo discepolo, l’abate Antonio Persio. I motivi della censura riguardavano la sua difesa della dottrina materialista dell’anima universale. Tuttavia il De rerum natura iuxta propria principia

(1586) fu un testo molto discusso, al quale si ispirò, indubbiamente, anche l’opera del Persio.590 Sotto accusa finirono, inoltre, i suoi adattamenti scritturistici, e i suoi riferimenti ad una concezione della natura contraria a quella ufficiale, che si serviva di suggestioni pitagoriche. Telesio rifiuta, infatti, la tradizionale distinzione tra il cielo e la terra suggellata dalla Bibbia («in principio creavit Deus caelum et terram») ed acquisita dalla letteratura aristotelica attraverso la millenaria contrapposizione tra mondo elementare, e mondo sopralunare o celeste. Al suo posto, sono invece avanzate delle posizioni favorevoli all’omogeneità e all’unità della sostanza universale. 591

L’abate Antonio Persio, come Telesio, difenderà l’esistenza di un cosmo dominato da un cielo unico, ovunque fluido, e pervaso dal principio del calore. L’universo è governato da una medesima sostanza sensibile, il calore, ed è fondato sul dualismo tra le qualità del caldo e del freddo.592

L’interesse del Principe Cesi fu rivolto soprattutto verso un inedito del Persio, il trattato De natura ignis.593 Nel 1617 fu realizzata una nuova

edizione compendiata del De rerum natura iuxta propria principia del Telesio, curata da Tommaso Campanella: la prefazione di Tobia Adami presenta la filosofia dello scienziato di origini meridionali come un pensiero capace di dar vita ad un sapere naturale più conforme al dettato cristiano rispetto all’aristotelismo pagano.594

589 F. C

ESI, De caeli unitate, cit., p. 12.

590

Sulla condanna di Telesio cfr. L. FIRPO, Filosofia italiana e controriforma. La

proibizione di Telesio, «Rivista di filosofia», XLII, 1951, fasc. 1, pp. 150-173. 591

Cfr. B. TELESIO, De rerum natura iuxta propria principia (Napoli, 1586). Per una

trattazione generale su questi temi cfr. P. REDONDI, Fede lincea e teologia tridentina, cit., pp. 128-136.

592

P. REDONDI, Fede lincea e teologia tridentina, cit., p. 130 ss.

593 Per una descrizione di questo manoscritto, cfr. CSAL, pp. 883-84. 594

Cfr. T. ADAMI, Praefatio, in T. CAMPANELLA, Compendium de rerum natura,

Francofurti, 1617, in Opera Latina Francofurti impressa annis 1617-1630, a cura di L. Firpo, Torino, Bottega d’Erasmo, 1975, vol. I, p. 12.

La compatibilità tra la cosmologia telesiana e quella copernicana fu, tuttavia, messa in dubbio da Antonio Persio: «Il Sig.r Persio – scrive infatti il Cesi a Galileo, il 22 marzo 1612 – era tutto di Vostra Signoria fuori che nell’opinione di Copernico».595 L’idea della centralità del Sole nell’universo

non sarebbe stata infatti compatibile con l’idea di un corpo freddo, quale la Terra, posizionato in un cielo igneo che ospitava tutti gli altri astri, di natura calda, e dotati della proprietà del fuoco.

Nel sistema telesiano il Sole continuava comunque ad assolvere, come nel sistema copernicano o in quello kepleriano, la funzione di una forza viva che, attraverso l’intero cosmo, diffondeva il suo potere per mezzo di «raggi che han guisa di spiriti, e indi per tutto l’universo piovi, et infondi vita, senso e moto». 596

Come non ricordare, a tale proposito, alcune pagine del Commentum in

distichon cuius titulus «De Sole et api» di Campanella, dove è presente un

riferimento alla disputa tra Christoph Scheiner e Galileo in merito al problema delle macchie solari; e il quale si conclude, infine, con un’interessante riflessione sulla natura del Sole.597 La visione del cosmo

rappresentata da Federico Cesi nell’Apiarium presenta, inoltre, una visione “organicista” dell’universo, dove il Sole è riconosciuto come la fonte del calore celeste, da cui scaturisce il nutrimento e la vita degli astri:

[…] quem caelestem, quem a stellis dicunt, mastice magis respondentem elemento Stellarum; quamvis origine et domicilio terrestris sit. Quo, Animae functiones spirituum [tenuiorum scilicet et assidue concitarum productarumque partium, interiori pulsatione ad animam usque continua] instrumentis, molisque ipsius, utpote muscolis variisque membris et organis omnibus, distributa obedienti a exerceri possint, libratione retractione, impulsu, pressione flatuque varie excitaris.598

595

CL, p. 212. 596

Cit. in P. REDONDI, Fede lincea e teologia tridentina, cit., p 133. 597

Cfr. G. FORMICHETTI, Campanella critico letterario. I “Commentaria” ai “Poëmata” di

Urbano VIII (cod. Barb. Lat. 2037), Roma, Bulzoni, 1983, pp. 79-89, cit. in L. GUERRINI, De Sole et Api. Tommaso Campanella e Federico Cesi : un’amicizia filosofica nella Roma di Urbano VIII, in All’origine della scienza moderna: Federico Cesi e l’Accademia dei Lincei (a cura di A. Battistini, G. de Angelis, G. Olmi), Bologna, il Mulino, pp. 107-46, p. 138: «Campanella introduce anche un originale riferimento a Telesio e alla sua concezione della luce» (ibid. p. 133, n. 47 ss.).

598

È evidente l’influsso del sapere platonico-stoico, ma, soprattutto, della filosofia telesiana sulle affermazioni del Cesi. Il neoplatonismo ficiniano sembra dunque essere alla base delle riflessioni persiane, ma anche cesiane. La «teologia naturale» – ovvero il labile confine tra misticismo e naturalismo affermato dal Cesi – che aveva colmato tante pagine della storia dell’Accademia, si ripropone nel seguente passo, che accenna all’iconologia ermetica e religiosa dei primi Lincei, profondamente intrisa di platonismo e di misticismo cattolico:

Sia per te dunque conceduto, o Sole, che noi conosciamo bene il primo Sole et per conseguenza l’amiamo: e tu, vero e primo Sole, concedine che queste luci delle nostre anime, per poco lucenti stelle divenute […] sieno illuminate a grazia e somiglianza della pura e bella Vergine che di Sole vestita, coronata di stelle […] sempre collo ingegno donatoci, come aquile gli occhi teniamo fissi a Dio.599

Quale ruolo Federico Cesi attribuisse all’edizione del Persio viene dunque rivelato soprattutto dalle pagine del De natura ignis. Citiamo, a tale proposito, dalle interessanti pagine di Pietro Redondi: «Il […] De natura

ignis non si presenta come un’opera di esegesi biblica concordista, ma come

un trattato di termodinamica cristiana: a far muovere gli astri e i fenomeni sublunari non erano sfere solide aristoteliche di sostanza eterea oppure qualità terrestri, ma la natura ignea universale di cui era fatto tutto lo spazio cosmico chiamato cielo e dove calore e fluidità facevano tutt’uno».600

599

A. PERSIO, Trattato dell’ingegno dell’huomo (Venezia, 1576), p. 126. Cit. in P.

REDONDI, Fede lincea e teologia tridentina, cit., p. 134.

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Capitolo 5