Nel precedente paragrafo abbiamo dimostrato come il principe Cesi fosse favorevole alla teoria dell’animazione celeste. La sua opinione, chiaramente esposta nell’epistola De coelo, illustrata al cardinale Bellarmino nel 1618, sosteneva, infatti, che i corpi planetari e siderali fossero mossi da angeli.429
La questione che suscita maggiore interesse nel Principe Cesi si rende, a tale proposito, particolarmente evidente: Lagalla, in merito al problema della materia coeli, sosteneva, infatti, delle posizioni che erano molto vicine
427
Cfr. ibid., p. 420. L’opera di Cesare Cremonini citata dal Cesi era la Disputatio de coelo, in tres partes divisa, de natura coeli, de motu coeli, de motoribus coeli, de abstractis. Adiecta est apologia dictorum Aristotelis de Via Lactea, de facie in orbe lunae, Venezia, T. Baglioni, 1613.
428 CL, p. 374. 429
a quelle approvate dal Princeps. Nel De phoenomenis in orbe lunae il medico padulese dimostra, non solo di aderire alla fisica di Telesio, manifestando, inoltre, delle simpatie per gli averroisti, ma, soprattutto, nega la realtà degli orbi solidi, pur sostenendo l’incorruttibilità della materia celeste.430
Nel febbraio-marzo 1616 l’Accademia fu coinvolta nell’incresciosa vicenda del “processo” al copernicanesimo. Federico Cesi, il quale era certamente al corrente delle politiche e delle strategie di azione praticate nel mondo ecclesiastico e curiale romano, suggerì a Galileo di usare cautela, e, soprattutto, diplomazia, nell’esporre le ragioni dell’eliocentrismo. Tale precauzione non ebbe, tuttavia, gli esiti sperati dal Cesi, e non condusse alla salvezza della verità copernicana professata dallo scienziato pisano.
Ad ogni modo, due anni dopo la promulgazione dell’editto del Sant’Uffizio, che sancì la condanna della filosofia eliocentrica, un estratto del trattato cesiano dedicato alla fluidità dei cieli, il Coelispicium, fu inviato, in forma di lettera, al Bellarmino, forse per testare le reazioni del teologo e inquisitore gesuita, o forse per indurlo a rivedere le sue posizioni in merito al problema di Copernico.
Una prima elaborazione del trattato De coeli unitate, da cui è tratta l’Epistola inviata al Bellarmino, può essere fatta risalire al 1612. Lo scritto del Cesi mira, infatti, a dimostrare l’attendibilità delle scoperte galileiane, in concomitanza con la realizzazione del volume delle Macchie solari.431
Il trattato cesiano De coeli unitate (o Coelispicium) assume, dunque, un particolare interesse, soprattutto nell’ottica del passaggio dalla crisi della cosmologia aristotelico-scolastica, alla fortuna decretata dalla teoria sui cieli fluidi. Federico Cesi vi affronta il problema della flessibilità e unitarietà dei cieli, forse dietro incoraggiamento dell’Inquisitore gesuita Bellarmino. Con l’ausilio di alcuni passi scritturistici, il princeps difende, all’interno della lettera, l’ipotesi dell’unicità, liquidità e tenuità della sostanza presente nelle regioni sopralunari; Cesi esprime, inoltre, l’idea della “espansività” e non
430
Cfr. W. H. DONAHUE, The dissolution of the celestial spheres : 1595-1650, New
York, Arno press, 1981, cit., p. 109.
431 La lettera di Federico Cesi «sulla fluidità del Cielo» reca la data del 14 agosto 1618. Cfr. CL, pp. 648-56.
rotondità della forma dei cieli, mentre dedica un ulteriore spazio alla discussione del problema della forma ellittica delle orbite dei pianeti.432
La Lettera sui cieli “fluidi” fu inviata al cardinale Bellarmino il 14 agosto 1618. L’Inquisitore gesuita rispose, alcuni giorni più tardi, con una secca smentita alle teorie esposte dal Cesi. Bellarmino dimostrava, infatti, di essere ancora fedele al sistema tolemaico.433
Nel 1630, Christoph Scheiner pubblicò la lettera del Cesi e quella di Roberto Bellarmino nell’opera Rosa Ursina sive Sol. Nella missiva di risposta, il Cardinale dissente sul problema delle orbite planetarie, ma invita il Cesi a dare forma definitiva alla sua scrittura, che giudica «molto dotta e molto nuova».434
Gli argomenti addotti a favore dei cieli fluidi dal Cesi provenivano da diverse fonti: dai nuovi fenomeni celesti (nova phoenomena), in primo luogo, ma, soprattutto, dalle Sacre Scritture. Il passo di Isaia, 51, 6 («quia caeli sicut fumus liquescent»), ad esempio, fornì un valido supporto alla difesa delle tesi favorevoli alla ‘liquidità’ celeste.435
Come sottolinea Federico Cesi, non solo il sistema tolemaico appariva ormai superato dalle nuove evidenze celesti (per cui, «difficilmente s’accomoda a creder sia opra della natura, ma più tosto se l’immagina aborto d’huomo cerebroso e miscuglio di strani fantasmi», come scriveva)436
ma la geometria del sistema copernicano avrebbe, inoltre, offerto numerosi vantaggi dal punto di vista matematico, in particolare grazie alla possibilità di «rimuover la multiplicità de’ moti et orbi, et loro sì grande e sì intrigata diversità»:437
non posso […] non lodare – scriveva, infatti, Federico Cesi a Galileo –, senza partirmi dall’opinione di V. S., l’odio delli eccentrici et epicicli: orbi però, non orbite o motioni; poichè se queste la natura non secondo le regole ch’a noi paiono belle, ma a suo modo ha drizzato, così devono da noi conoscersi et riceversi, et credersi anco tali esser perfettissime, come V. S. benissimo dice.438
432
Per una presentazione dei contenuti dell’Epistola de coelo cfr. A. ALESSANDRINI,
Originalità dell’Accademia dei Lincei, cit., pp. 136-40. 433
CL, pp. 662-63. 434Ibid.
, p. 662. 435 Cfr. F. C
ESI, De caeli unitate, cit., pp. 12, 21-22.
436
Cfr. CL, p. 252.
437Ibidem. Federico Cesi a Galileo Galilei, 21 luglio 1612. 438
Il Princeps Lynceorum era un sostenitore dell’astronomia kepleriana, alla quale si era avvicinato già da diversi anni. Rispondendo a una precedente missiva dello scienziato pisano che tentava di distoglierlo dalle sue convinzioni sugli “eccentrici” e gli “epicicli”, Cesi si dichiarava un convinto assertore della fluidità dei cieli.439
Il problema delle sfere solide dei pianeti fu una delle maggiori preoccupazioni del Cesi, e fu discussa diffusamente nella sua operetta dedicata alla natura flessibile e corruttibile dei cieli. Nel trattato De coelo
Cesi analizza infatti «molte materie celesti […], anche teologicamente». Egli scriverà, inoltre, a Galileo, il 29 settembre del 1612:
sbatto particolarmente la sodezza e durezza e molteplicità d’orbi e copia de’ moti.440
Nell’estate del 1612 dunque, mentre l’Accademia si trova intenta alla realizzazione dell’opera sulle Macchie solari, il principe Cesi e Galileo si confrontarono su temi e problemi decisivi come, ad esempio, il problema della corruttibilità della luna, la fluidità dei cieli, e l’eliocentrismo. Essi rappresentavano, infatti, dei punti fondamentali della discussione relativa alla costituzione fisica dei cieli, oltre che del problema della validità del sistema tolemaico-aristotelico. La loro discussione non sarebbe stata, dunque, procrastinata dal Cesi.441
Francesco Stelluti, nello stesso periodo, omaggiava Galileo per i suoi «studii et osservazioni sideree», e affermava di aver letto con grande piacere le lettere, ancora inedite, sulle Macchie Solari: «hebbi gusto particolare per haver anco lette quelle del finto Apelle [Christoph Scheiner], quale mi pare V. S. lo vada toccando con tanta destrezza, che meglio non si possa desiderare».442 Il “procuratore” dei Lincei contribuì, in seguito, alla nuova pubblicazione galileiana, con un sonetto dedicato alle macchie solari che fu inserito tra le prime pagine dell’opera.
Il 20 giugno 1612 Federico Cesi richiese a Galileo un parere sul sistema copernicano:
439 Cfr. ibid., pp. 243-245. Galileo a Federico Cesi , 30 giugno 1612. 440
CL, p. 274.
441 Su questo argomento cfr. CL, pp. 238-39, 243-44, 253. 442Ibid.
talvolta considerando cose celesti e mondiali, veggio che m'aggradarebbe molto il sistema Coperniceo quando togliesse via affatto gl'eccentrici e l'epicicli, quali, sì come benissimo in tutte l'altre parti leva, così nella terra et luna par che ammetta […]. Non so che habbiano in ciò stabilito l'astronomi che l'hanno seguito, nè se d'accordo. Nè meno vedo che Copernico tratti mai della solidità del'orbi, quale Tichone ha destrutta, appresso il Coperniceo Keplero, a sufficienza.443
Galileo rispose sottolineando la sua ferma adesione all’«introduttioni di tali movimenti». Infatti, secondo lo scienziato pisano: «non pur ci sono moti per cerchi eccentrici e per epicicli, ma non ce ne sono d'altri, nè si dà stella alcuna che si muovain cerchio concentrico alla terra».444
«Noi non doviamo desiderare che la natura si accomodi a quello che parrebbe meglio disposto et ordinato a noi – Galileo scriverà infine al Cesi – ma conviene che noi accomodiamo l'intelletto nostro a quello che ella ha fatto, sicuri tale esser l'ottimo et non altro».445
I due Lincei esprimevano tuttavia un importante accordo riguardo alla “necessità” di eliminare gli orbi solidi:
Che poi la natura per eseguire tali movimenti habbia bisogno di orbi solidi eccentrici et epicicli – scrive Galileo – , ciò reputo io una semplice imaginatione, anzi una chimera non necessaria.446
Un mese più tardi, Federico Cesi, seguendo le orme del Kepler, rispose allo scienziato pisano che «l'obligar l'erranti alla giustezza de' circoli sia un attaccarli contro lor voglia al pistrino et chiuderli onde spesso scappino».447 La solidità delle sfere, d’altronde, era un punto lasciato ‘aperto’ dal De
Revolutionibus, come sottolineava il princeps.448 Galileo negli Juvenilia
443 CL, p. 238. 444Ibid. , p. 244. 445 Ibidem. 446 CL, p. 244. 447 Ibid., p. 253. 448
Cfr. CL, p. 238. «Quanto alle due figure notate da V. E. – risponde Galileo in una succesiva missiva –, dico che il Copernico si serve dell'una e dell'altra in diverse occasioni senza considerare solidità alcuna di orbi, ma solo i semplici cerchi descritti dalle revolutioni delle stelle. Più ne haverà in breve in una lettera che scrivo, circa le contradittioni del Signor Lagalla, per il volume etc», ibid., p. 244.
aveva considerato i cieli come uno spazio solidissimum e densissimum:449
questa posizione fu affermata nel 1584. In occasione dell’apparizione della
nova del 1604, lo scienziato pisano ammise che la sostanza celeste poteva essere tenue e penetrabile.450 Nella Lettera a Piero Dini del 1615, Galileo
rifiuterà infine, definitivamente, l’esistenza di orbi solidi e materiali.451
Nel secolo precedente, alcuni filosofi che Federico Cesi mostrava di apprezzare (come Gioviano Pontano, Francesco Patrizi, Girolamo Cardano e Jean Pena), dietro l’influsso delle dottrine dello stoicismo e del neoplatonismo, ritennero che gli eccentrici e gli epicicli fossero delle realtà non necessarie nell’esposizione dei moti celesti.452 Tra il 1570 e il 1572,
Roberto Bellarmino sostenne questa stessa posizione in una serie di letture che furono tenute presso l’Università di Lovanio. Il cardinale gesuita ipotizzava, infatti, che il cielo, di natura corruttibile, fosse composto dall’elemento del fuoco; le stelle e i pianeti, concepiti come esseri viventi, erano dotati di autonomia e volontà, e le orbite planetarie non sarebbero affatto esistite.453
Il cardinale Bellarmino, al quale, con ogni probabilità, si era ispirato il Cesi, nei suoi anni giovanili si dimostrò, dunque, disposto a rinunciare all’idea degli orbi reali e rigidi, privando in questo modo il cosmo della consueta separazione tra la regione sopralunare e quella elementare.
Infatti, l’idea che un “unico” cielo fosse dotato di una materia continua e corruttibile, e che possedesse in sè delle qualità elementari fu, in seguito, riproposta anche dal Principe dei Lincei.454
449
Cfr. OG, I, p. 66. 450
Per le posizioni espresse da Galileo nella disuputa sulla nova del 1604 rinviamo a M. BUCCIANTINI, Galileo e la nova del 1604, in La diffusione del copernicanesimo in Italia (a cura
di M. BUCCIANTINI e M. TORRINI), Olschki, Firenze, 1997, pp. 237-248 e ID., Galileo e Keplero.
Filosofia, cosmologia e teologia nell’età della Controriforma, Torino, Einaudi, 2003, pp. 117- 143.
451
Cfr. OG, V, p. 299. 452
«Toto ergo errarunt coelo et Philosophi et Astronomi omnes, qui stellas coelo fixas, uti nodos tabulis esse docuerunt», F. PATRIZI, Nova de Universis Philosophia (Ferrara, 1591),
p. 89. 453
Cfr. U. BALDINI-G.V. COYNE, The Louvain Lectures of Bellarmine and the Autograph
Copy of his 1616 Declaration to Galileo, Studi Galileiani, vol. 1, no. 2, Vatican City, 1984, p. 20.
454
Per le posizioni cosmologiche del Bellarmino, cfr. R. J. BLACKWELL, Galileo,
Bellarmine and the Bible : including a translation of Foscarini's Letter on the motion of the Earth, Notre Dame, University of Notre Dame press, 1991, pp. 29-51.
Per Federico Cesi il cielo sarebbe stato ripartito in tre zone: in primo luogo una ‘aerea’ («aeream»), in seguito una siderale («sydeream») mentre sarebbe stato, infine, composto dalla regione dell’Empireo. Fedele all’interpretazione esamerale il Principe traduce il termine biblico rakiah con l’idea di un expansum, ovvero di un’estensione libera, fluida e unitaria, dove non avrebbero trovato spazio gli orbi solidi della tradizione aristotelico- tolemaica:455
in alcuni miei scartafacci [il Coelispicium] – scriveva a Galileo il 21 luglio 1612 –, per stabilimento maggiore del mio chaos naturale, ho in qualche parte considerato […] con V. S. molte motioni non concentriche nè al sole nè alla terra, alcune alla terra, alcune al sole, et forse tutte, se la via de' pianeti è elliptica, come vol Keplero. Mi dispiacquero però gl'orbi adamantini, chè tali eccentrici et epicicli nelle Peripatetiche o almeno Tolemaiche scuole si celebrano et propongono con tanto fasto per certissimi; et chimera con V. S. riputandoli, v'ho speculato alquanto d'intorno.
È evidente che la mentalità del Cesi, nel 1612, si volge, ormai, oltre le soglie degli schemi tradizionali delle orbite circolari, concentriche, e solide, dei pianeti. Il suo apprezzamento per l’astronomia kepleriana, oltre che per quella tichoniana, è dichiarata con un intento quasi polemico nei confronti delle idee che furono sostenute da Galileo, il quale si mostrava più prudente del Cesi sotto questo profilo.
Gli studi sulle macchie solari e le ipotesi scheineriane favorirono la discussione sugli eccentrici e sugli epicicli. Anche il gesuita Christoph Scheiner, dopo il 1614, divenne seguace dell’ipotesi dei cieli fluidi, e, nella
Rosa Ursina, mosse una critica severa contro chi riteneva che le maculae
solari fossero prodotte da «sphaeras ibidem duras, incorruptibiles, infinitas».456
Nel settembre del 1612, Federico Cesi fece probabilmente consultare a Galileo la sua scrittura dedicata ai cieli fluidi, il «Celispicium». L’opera, infatti, era stata probabilmente quasi ultimata agli inizi dell’autunno.457
455 Cfr. F. C
ESI, De caeli unitate, cit., p. 15.
456
Per una disamina del trattato di Christoph Scheiner Rosa Ursina sive sol, cfr. C. DOLLO, “Tanquam Nodi in Tabula-Tanquam Pisces in Aqua”. Le innovazioni della cosmologia
nella Rosa Ursina di Christoph Scheiner, in ID., Galileo Galilei e la cultura della tradizione,
Soveria Mannelli : Rubbettino,2003,pp. 139-66, in particolare a p. 155 ss. 457
Come sostenne Federico Cesi, se la natura «spesso burla e rompe le regole che da gl'huomini le son poste», allora «non secondo le regole ch’a noi paiono belle, ma a suo modo ha drizzato, così devono da noi conoscersi et riceversi, et credersi anco tali esser perfettissime».458 Il Coelispicium
introduce, significativamente, tra i Lincei, il tema del ‘libro della natura’. È
necessario, dunque, «sottolinearne l’evidente significato ideologico e culturale» – come è stato messo in evidenza – «dal momento che senza alcun dubbio esso si muove nella direzione della Lettera alla granduchessa di Toscana, e cioè verso l’obiettivo di scalfire l’egemonia scolastica attraverso una nuova immmagine dell’universo, legittimata autorevolmente da un diverso modo d’interpretare la Bibbia».459
Tale aspetto è stato rilevato recentemente da Romano Nanni, il quale ha evidenziato l’effettiva vicinanza delle posizioni esegetiche di Galileo e dal Cesi.460 Nella Lettera a Madama Cristina di Lorena (1615) lo scienziato
pisano mostra, ad esempio, di aver letto il Commentario In Genesim (1589) del gesuita spagnolo Benito Pereira (c.1535-1610), il quale, infatti, viene citato a margine;461 ma lo stesso Federico Cesi utilizza diffusamente questo
riferimento nell’Epistola de coelo, nei suoi commenti a diversi luoghi biblici.462
Si deve, inoltre, osservare che il Pereira approvò un’interpretazione scritturistica che supportava l’idea di uno spazio aperto e flessibile nei cieli, esattamente come indicato dal termine ebraico “rakiah”. Pereira, infatti, sostenne che il cielo che fu creato il primo giorno era formato da parti quasi “nebulose” di una materia acquosa e fluida. Il Firmamento, che occupa l’intero spazio compreso tra Terra e stelle, era dunque composto dall’acqua, la quale si sarebbe in seguito trasformata progressivamente in vapore, e, quindi, nell’aria e nel fuoco.463
Non è casuale che la lettera di Federico Cesi sui cieli fluidi fosse stata inserita, in un secondo momento, nel volume che Christoph Scheiner dedicò a delle argomentazioni non tradizionali in merito alla composizione dei cieli.
458
Ibid., p. 253. 459
V. FERRONE, Galileo tra Paolo Sarpi e Federico Cesi, cit., p. 252. 460
R. NANNI, Per lo studio dei teologi di Galilei: le Regulae del Commentario In Genesim
di Benito Pereira, in I primi lincei e il Sant'Uffizio, Roma, Bardi, 2005, pp. 421-446, p. 445 s. 461 Cfr. ibid., pp. 423-24.
462
Cfr. F. CESI, De coeli unitate, cit., pp. 15-16, 23.
463 Cfr. B
ENITO PEREYRA, Prior tomus Commentariorum et Disputationum in Genesim
Il gesuita tedesco, esattamente come il Princeps Lynceorum, afferma che la chiave dell’interpretazione patristica della Bibbia adottata fino ad allora non avrebbe rispettato le tesi cosmologiche presenti nel libro del Genesi. In tale occasione, l’opera di censura dei Revisori dell’Ordine gesuita fu tuttavia favorevole, e approvò le proposizioni sulla fluidità celeste e sulla natura ignea del Sole.464
464
Il parere finale dei gesuiti preposti all’analisi del testo è stato pubblicato da U. Baldini: «Vidi librum 4. tractatus de maculis solaribus P. Christophori Scheineri in quo agit del fluiditate coeli, et substantia solis ignea, non tam ex propria sententia, atque absolutate assere videtur, quam Sacrorum Patrum ac philosophorum tum veterum, tum recentiorum ac ipsa de re sententia se referre. Opus porro ipsum scientiis omnibus perutile futurum censo, nihilque proinde ostare ne typis quam primum mandetur. In Coll. Rom. 18 sept. 1628. Horatius Grassius». Cfr. U. BALDINI, “Legem impone subactis”, cit., pp. 100-101.