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Nell’autunno del 1612, Christoph Scheiner, celandosi nuovamente dietro l’identità del finto ‘Apelle’, pubblicò altre tre lettere dedicate al fenomeno delle macchie solari. Il trattato De maculis solaribus accuratior observatio

sosteneva che le maculae erano dei corpi, dotati di una natura molto simile a quella dei satelliti di Giove.521 L’obiettivo del gesuita tedesco fu,

evidentemente, quello di evitare che si dimostrasse vera l’ipotesi della presenza nei cieli di qualità materiali o ‘alterabili’.

Le pagine del Carteggio Linceo inerenti alla pubblicazione delle Macchie

solari contengono una serie di interessanti spunti riflessivi elaborati dal

Cesi, e dedicati al problema della corruttibilità celeste. Il Princeps

Lynceorum aveva deciso di far editare il trattato sulle macchie solari,

repentinamente, dopo l’estate del 1612, anche se l’opera non era stata ancora terminata, ma si trovava in piena fase redazionale. È importante, dunque, comprendere le motivazioni che indussero Federico Cesi ad affrettare il corso della stampa. Galileo, come abbiamo accennato, era ancora impegnato nella stesura della Terza Lettera.522 Dal verbale

dell’adunanza del 9 novembre 1612, risulta che il Bibliotecario, Angelo de Filiis, assunse in quella data la cura dell’edizione dell’opera: «Bibliothecarius protulit exemplaria literarum D. Galilei ad Valserum de

520

«Un Padre Dominicano – scrive, infatti, Federico Cesi il 14 settembre – la domenica passata, nelle publiche dispute al Colleggio de' Gesuiti, difendendo, il sole esser nel centro et girarsi circa lui tutti i mobili, n'addusse per indicio dette macchie, materia, come lui dicea, solubile et vaporosa, che propinquamente le gira attorno. Le risposero i Gesuiti, esser stelle minutissime, che congionte in folta schiera si veggano, separate non possano distinguersi. Replicò egli, le stelle esser rotonde, et le macchie di figure stravaganti et irregolari. Le fu fiaccamente risposto, la lontananza non lasciarci distinguer la figura. Soggionse benissimo, che quando ciò avviene, ogni cosa par tonda, e non mai le cose tonde d'altra figura. […]. Ho voluto di ciò darle conto, acciò, se le pare, tronchi anco questa via di sfuggir la verità, o interserendo in queste lettere subito qualche cosa al proposito, o in altra occasione riserbandosi a farlo». CL, pp. 267-268.

521

Cfr. C. SCHEINER, Maculis Solaribus . . . Accuratior Disquisitio (Augusta, 1612),in OG,

V, pp. 37-70. 522

Maculis Solaribus; et an imprimi illa deberent proposuit. Omnino hoc fieri debere conclusum fuit».523

Cesi era indubbiamente consapevole che la dottrina della corruttibilità dei cieli non era sul punto di essere condannata, nonostante il rigido muro che i gesuiti seguitavano ad opporre contro l’ipotesi dell’alterabilità della sostanza celeste. La questione della fluidità e della corruttibilità delle regioni sopralunari ebbe un ruolo effettivamente cruciale nell’ambito della discussione sulla natura delle macchie solari. Giovanni Battista Agucchi, ad esempio, confermò le osservazioni registrate da Galileo e concluse, a favore dell’ipotesi galileiana:

affermo […], esser le macchie che perpetuamente sopra il corpo solare si scorgono, la più maravigliosa di tutte le nuove apparenze, e quella che maggiormente distrugge la Peripatetica dottrina della natura de’ cieli.524

Galileo, in una lettera a Federico Cesi del 1612, scrive a proposito della scoperta delle macchie solari:

[…] dubito che voglia essere il funerale o più tosto l'estremo et ultimo giuditio della pseudofilosofia, essendosi già veduti segni nelle stelle, nella luna e nel sole.525

523 Cfr. il verbale dell’adunanza del 9 novembre 1612: «Bibliothecarius [Angelo de Filiis] protulit exemplaria literarum D. Galilei ad Valserum de Maculis Solaribus; et an imprimi illa deberent proposuit. Omnino hoc fieri debere conclusum fuit» (CSAL, p. 522). Il ruolo del Bibliotecario, nella prima Accademia Lincea, aveva un’importanza fondamentale soprattutto nel contesto dell’edizione delle nuove opere. Cfr. F. CESI, Del natural desiderio, cit., p. 128: «Si consegnino o in vita o doppo morte subito dell’autore le composizioni al Officiale Accademico ch’ha tal cura, acciò al suo luoco, doppo l’altre presentate, di mano in mano si stampino dal comune dell’Accademia; e si notificano non solo in tal atto a tutti li compagni, ma anco in vita dell’autore e mentre quelle si vengono producendo, nelle conferenze [...] sono gli autori più che certi che le opre ben riviste e corrette, etiam morti loro, per honor di tutta l’Accademia e per obligo e constitution particolare ferma verranno da’ cari compagni stampate, con quell’istessa diligenza che se essi vivessero».

524

Scrive, inoltre, l’Agucchi, in difesa delle posizioni di Galileo: «Imperochè elle [macchie] si veggono chiaramente nascere, e crescere, e calare, e mancar del tutto, et esser di mille forme irregolarissime, et accidentali e strane, et hora più, et hora meno scure, e dense, e profonde; alterandosi in somma nella quantità e nella forma estrinseca non altrimenti di quel che si facciano le nostre nuvole. In guisa che a niuna cosa possono più acconciamente assomigliarsi che alle nuvole stesse; parendo che nascano dal corpo del Sole, come fumi, e che si elevino sopra di quello, e poi da’ suoi raggi si dissipino». Cit. in M. BUCCIANTINI, Teologia e nuova filosofia. Galileo, Federico Cesi, Giovambattista Agucchi, cit.

pp. 441-42. 525

Come osserva lo scienziato pisano, i «vapori» e le «fumosità» che, «movendo e dissolvendo continuamente», si producono sul disco del Sole sarebbero stati infatti in grado di creare delle notevoli difficoltà nel corpus

filosofico degli aristotelici: ben maggiori rispetto alla presenza delle imperfezioni e scabrosità osservate sulla superficie della Luna:

[…] spero – scriveva quindi al Cesi il 12 maggio 1612 – che le montuosità della luna sieno per convertirsi in uno scherzo et in un solletico, rispetto a i flagelli delle nugole, de i vapori e fumosità.526

La scoperta delle macchie solari avrebbe dunque contribuito a sollevare discredito sull’idea della perfezione e dell’immutabilità delle regioni sovracelesti:

sto aspettando di sentir scaturire gran cose dal Peripato per mantenimento della immutabilità de i cieli, la quale non so dove potrà essere salvata e celata, già che l'istesso sole ce l'addita con sensate manifestissime esperienze.527

Nel settembre del 1612, Federico Cesi scrisse a Galileo:

con meno difficoltà [i peripatetici] concederanno il cielo fluido, che corrottibile et alterabile; et posto quello, non si daranno molta briga del confuso e inordinato moto delle stelluccie, dicendo con la medema facilità l'ordine et via d'esso esserci ascosta, che propongono l'istesse stelle impercettibili. 528

In sostanza, l’ammissione della fluidità dei cieli, per il Cesi, non avrebbe comportato automaticamente l’accettazione della corruttibilità delle regioni sopralunari.

Il Principe inoltre, nella stessa missiva, fornì delle notizie utili riguardo alle dispute filosofiche che si svolsero presso il Collegio Romano durante i giorni precedenti, nel corso delle quali i padri gesuiti avrebbero sostenuto delle posizioni affini a quelle avanzate da Christopher Scheiner. Secondo i matematici del Collegio, infatti, le macchie sarebbero state delle entità

526Ibidem. 527Ibidem. 528Ibid

corporee che, a guisa di «stelle minutissime», apparirebbero e scomparirebbero, in modo tale che esse «congionte in folta schiera si veggano, separate non possano distinguersi».529

Alla fine del mese di settembre Federico Cesi annunciò a Galileo che la scrittura dedicata alla questione della composizione dei cieli fluidi, che egli stava nel frattempo approntando si trovava in fase di ultimazione: il trattato avrebbe dimostrato non solo l’importanza delle «novità» osservate nei cieli ma anche il valore che il Principe dei Lincei e la sua Accademia attribuivano alla «verità» scientifica e alle nuove prove empiriche del sistema del mondo copernicano che furono offerte da Galileo. Il Princeps rivelò il titolo dell’opera: si trattava, infatti, del «Celispicio».530

L’edizione delle Macchie solari fornì all’Accademia un’importante vetrina: la prestigiosa pubblicazione confermò l’avanguardia degli studi naturalistici realizzati dai Lincei e, soprattutto, delle nuove osservazioni celesti di Galileo, ma anche la celebrità dei sostenitori del suo programma.

Welser era, infatti, uno dei rappresentanti della scena internazionale più influenti e noti e godeva non soltanto della fiducia di Rodolfo II, ma anche di una grande notorietà, e rispetto, presso i gesuiti. Il duumviro di Augusta fu sottratto, infatti, dai Lincei ad un’esclusiva amicizia con i padri del Collegio Romano, e con alcuni gesuiti tedeschi, come Christoph Scheiner. L’edizione lincea sulle macchie solari fu inoltre promossa da intellettuali rinomati, come Luca Valerio, e come il noto medico, originario di Bamberga, Joannes Faber: i due Lincei offrivano, infatti, dei suggestivi componimenti encomiastici che celebravano le nuove scoperte telescopiche.531

Le Macchie solari, la prima pubblicazione astronomica galileiana, la

quale reca impresso il sigillo della “Lincealità” sul frontespizio, ostenta non solo l’internazionalità raggiunta dall’Accademia, ma anche la collegialità dell’opera. Le odi celebrative che introducono le Lettere sulle macchie

solari furono composte da tre Lincei (Luca Valerio, Joannes Faber e

Francesco Stelluti). A Mark Welser («Linceo») è indirizzato l’intero volume, realizzato dal “Signor Galileo Galilei Linceo”. La lettera ‘dedicataria’ del

529

CL, pp. 267-268. 530

Cfr. ibid., p. 274. Sul “Celispicio” si v. V. FERRONE, Galileo tra Paolo Sarpi e Federico

Cesi, cit, pp. 248-253. Si può, inoltre, consultare G. GABRIELI, L’orizzonte intellettuale e

morale di Federico Cesi. Illustrato da un suo zibaldone inedito, in CSAL, I, pp. 37-38. 531 Su Mark Welser v. G. G

ABRIELI, Marco Welser Linceo Augustano, in CSAL, pp. 989-

“linceo” Angelo de Filiis è inoltre rivolta ad un altro accademico, Filippo Salviati.532

Una volta uscita in stampa, l’opera sortì tuttavia l’effetto di aprire un’aspra rivalità con i padri gesuiti.

Il padre Grienberger era infatti dell’idea «che le machie […] sieno stelle, come quelle che si vedono attorno a Giove».533 Tuttavia il moto

rotatorio del Sole intorno al proprio asse fu opportunamente dimostrato dalle nuove osservazioni galileiane. Il fatto che le maculae non rivelassero alcun movimento periodico conforme ad un andamento epiciclico provocò, quindi, nel gesuita belga Odo van Maelcote alcuni irrinunciabili interrogativi. Maelcote propose, dunque, un parere sulle macchie solari a Johannes Kepler. L’astronomo tedesco era, tuttavia, giunto alle stesse conclusioni che furono esposte da Galileo nella Seconda Lettera. Secondo lo scienziato pisano infatti le macchie avrebbero mostrato:

un massimo comune ed universal moto, col quale vanno discorrendo il corpo del Sole: da i particolari sintomi del qual movimento si viene in congnizione, prima, che il corpo del Sole è assolutamente sferico; secondariamente, ch’egli in se stesso e circa il proprio centro si raggira, portando seco in cerchi paralleli le dette macchie, e finendo una intera conversione in un mese lunare in circa, con rivolgimento simile a quello degli orbi de i pianeti.534

In effetti Galileo giunse a queste conclusioni nel giugno del 1612, quindi, prima di accingersi alla composizione della Seconda Lettera. Proprio allora, egli inviò all’ambasciatore toscano a Praga, Giuliano de’ Medici, una copia del suo discorso sulle Galleggianti. Lo scienziato pisano, nell’opuscolo, asseriva che le macchie («macchiette oscure») presenti sul disco eliaco rappresentavano l’indizio di un possibile rivolgimento del Sole intorno al proprio asse.535

532

La Dedica a Filippo Salviati e la Prefazione dell’opera del De Filiis ebbero una vicenda piuttosto lunga, poiché il Cesi ne richiese una correzione accurata allo stesso autore delle Macchie solari: «Le mando la prefazione sbozzata dal’Autore – scrive a Galileo –, avendoci procurato toccar tutti i luoghi da V.S. avisati ed altri che son parsi a proposito. S’aspetta rimandi così questa come la dedicatoria, le quali qui anco si va accomodando, come anco si farà con questa» (15 febbraio 1613). Su questo episodio, cfr. V. PIRRO, Anastasio e

Angelo de Filiis Lincei di Terni, cit., pp. 178-182. 533

Cfr. OG, XI, p. 276. 534 OG, V, p. 117. 535

Alcuni anni dopo questa data, i gesuiti del Collegio Romano tuttavia negavano ancora che fosse possibile un moto rotazionale del Sole: «nelle conclusioni stampate ultimamente – scrive, nell’agosto del 1614, il “procuratore” dei Lincei, Francesco Stelluti – da questi Padri Giesuiti […], dicono che le macchie del sole non son altro che le parti più spesse di molti epicicli insieme fraposte et congionte, havendo novamente colasù nel cielo o campo del sole moltitudine d'epicicli seminati: opinione affatto ridicola, et da non potere in nessuna maniera salvarsi».536

Nella Prima Lettera Galileo non forniva alcuna spiegazione sulla natura del “farsi” e “disfarsi” delle macchie. Lo scienziato pisano ammette infatti di sapere «più tosto quello che le macchie solari non sono che quello che elleno veramente siano» («se siano poi o vapori, o esalazioni, o nugole, – scrive Galileo – o fumi prodotti dal corpo solare, o da quello attratti da altre bande, questo a me è incerto, potendo esser mille altre cose impercettibili da noi»).537

Su questo punto, la Seconda Lettera segna invece un decisivo passo in avanti, offrendo una possibile soluzione interpretativa del nuovo fenomeno solare.538 Galileo afferma:

Metterei in considerazione a gli specolativi come il cader che fanno tutte [le macchie] in quella striscia del globo solare che soggiace alla parte del cielo per cui trascorrono e vagano i pianeti, e non altrove, dà qualche segno che essi pianeti ancora possin essere a parte di tale effetto. E quando, conforme all’opinione di qualche famoso antico, fosse a sì gran lampada somministrato qualche restauramento all’espansion di tanta luce da i pianeti che intorno se gli raggirano, certo, dovendo correrci per le brevissime strade, non potrebbe arrivar in altre parti della solar superficie.539

536 CL, p. 449. 537

Cfr. OG, V, pp. 95, 108. 538 Cfr. M. B

UCCIANTINI, Galileo e Keplero, cit., pp. 221 sgg. «La Seconda Lettera

dell’Istoria – scrive Bucciantini – costituisce […] un progresso rilevante. La nuova filosofia galileiana è già in gran parte compiuta. Come la nave, rimossi gli impedimenti esterni e libera di muoversi, conserva perennemente il suo stato di quiete o di moto circolare uniforme, così lo stesso accade per ogni altro grave che sia di “natura ambigua”, che si trovi cioè sul confine tra quiete e moto, pronto ad assumere indifferentemente l’uno o l’altro stato. […] il passaggio successivo avrebbe dovuto essere accolto senza nessuna difficoltà: il riferimento al Sole come esempio di un corpo sferico libero di ruotare attorno al proprio centro appariva non soltanto evidente, ma del tutto coerente con la nuova visione meccanica dell’universo» (Ibid., pp. 222-23).

539

Come rileva lo scienziato pisano, le masse di materia vaporosa che si formano intorno alla Terra o ai pianeti potrebbero avere un legame specifico con le macchie che si compongono e si dissolvono intorno alla superficie del corpo solare.

Il fenomeno delle maculae, infatti, secondo l’astronomo dell’Accademia, si sarebbe verificato «sempre in una striscia […], che vien compresa tra due cerchi che rispondono a quelli che terminan le declinazioni dei pianeti»:540 dunque, in corrispondenza delle orbite dei corpi celesti. Secondo Galileo le macchie farebbero pertanto parte di un unico sistema di reintegrazione dell’energia luminosa dei corpi celesti.

L’ipotesi dell’“alimentazione astrale”, ovvero del pabulo, o restaurazione della fonte solare, è esplicitata soprattutto nella Terza

Lettera.541 Il fenomeno luminoso del Sole è qui interpretato come un

processo meccanico di “conversione” della materia celeste («a sì gran lampada somministrato […] da i pianeti che intorno se gli raggirano»).542

L’apertura di queste concezioni verso delle teorie fisiche che si discostano da quella aristotelica e che presuppongono l’idea di una unitarietà sostanziale dell’universo, è del tutto evidente. Il pensiero galileiano implicava, inoltre, una concezione corpuscolaristica della luce.

4.4 La censura

Nel 1615, la Lettera a Benedetto Castelli, dove Galileo affronta, per la prima volta, in maniera approfondita il problema dei rapporti tra scienza e fede, fu oggetto di una denuncia indirizzata al prefetto della Congregazione dell’Indice. In questa occasione, il Sant’Uffizio deliberò di porre sotto inchiesta anche l’ultima pubblicazione dell’Accademia, dedicata alle macchie solari.543

540Ibid. , p. 117. 541 OG, V, pp. 230-231. 542 Cfr. ibid. p. 227. 543 Cfr. M. B

UCCIANTINI, Contro Galileo. Alle origini dell’affaire, Firenze, L. S. Olschki,

L’imprimatur dell’Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari era stato concesso due anni prima, il 12 novembre 1612, nonostante si fossero verificate delle difficoltà con i censori romani, riguardo all’approvazione di alcuni passi dello scritto. La revisione dell’opera fu affidata ad Antonio Buzio.544

In realtà, il problema dell’accordo tra la corruttibilità celeste e le affermazioni contenute nel testo biblico fu oggetto di un difficile internegoziato tra il Principe dei Lincei e l’ufficio del Maestro di Sacro Palazzo, Ludovico Ystella.545

Nella conclusione della Seconda Lettera, Galileo aveva tuttavia indirizzato le sue argomentazioni verso l’ambito dell’esegesi scritturistica.546

Un particolare passo, nel quale lo scienziato spiega il fenomeno delle macchie solari attribuendolo ad un’alterazione del corpo eliaco, compatibilmente con il principio cristiano secondo cui l’intero universo è destinato ad un futuro di degradazione e annientamento, non fu accolto dai censori romani.547 Come osservava Galileo, tuttavia, l’ipotesi era in perfetto

accordo con l’idea della corruttibilità della materia dell’universo sostenuta nella Bibbia. Il 10 novembre 1612, Federico Cesi richiese quindi a Galileo di mutare il passo, rifiutato dai correttori:

Mi dirà anco quello ch’io debba fare in caso che non possa superar con le raggioni la volontà de’ revisori circa l’incorrottibilità celeste, ch’ella dice repugnante alle Sacre Lettere, nella 2a lettera al fine, poiché sin hora, avendo approvato tutto il resto non ci vogliono questo in modo alcuno. Io m’aiutarò co’ luoghi della Scrittura e col’esplicatione de’ S. Padri, avendole a punto alle mani per haver ciò trattato nel mio Celispicio; e mi è sola difficultà l’esser loro Peripatetici e Tomisti.548

544

Scrive Federico Cesi il 14 dicembre 1612: «I revisori han ritardato non poco, ma hora correrà: però ricordo a V. S., mi scriva subito come vol che si ponga il luogo per il qual non è bastato il temperamento, che faremo intanto un salto per aspettar il suo ordine. Qui non vogliono che vi si attesti la Scrittura» (CL, p. 299).

545

Cfr. P. REDONDI, Fede Lincea e teologia tridentina, Galilaeana. Journal of Galilean

Studies, 1, 117-143, pp. 120-24. 546

Ibid., p. 122 e sgg. Si possono confrontare, inoltre, P. ROSSI, Galileo Galilei e il libro

dei Salmi, in «Rivista di Storia della filosofia», LXIX,1978, pp. 54-71 e G. STABILE, Linguaggio

della natura e linguaggio della scrittura in Galilei. Dalla «Istoria» sulle macchie solari alle Lettere copernicane, in Nuncius, IX, 1994, fasc. 1, pp. 37-64, a pp. 38-41.

547 Cfr. OG, V, p. 138. 548

Il volume delle Macchie solari fu approvato prima della stesura definitiva. Per velocizzare la stampa, Federico Cesi consegnò infatti le pagine manoscritte agli ispettori del Sant’Uffizio, in maniera progressiva, a mano a mano che esse erano inviate da Galileo, in maniera tale che potessero essere effettuati i controlli previsti. Nel novembre del 1612 crebbe evidentemente l’urgenza con cui i Lincei intendevano dare corso alla pubblicazione del trattato.549 Il 4 novembre, lo scienziato pisano scrisse infatti al Principe Cesi di affrettare la stampa delle Macchie:

Solleciti pur V. S. quanto può la publicazione, chè la 3a lettera sarà finita fra quattro giorni, e gliela manderò insieme con quelle del s. Velsero.550

La difesa delle posizioni dell’Accademia sarebbe stata dunque fondata su un’esegesi scritturistica favorevole all’ipotesi della corruttibilità dei cieli.

Il Princeps, tuttavia, riferì a Galileo che sarebbe stata più agevolmente

accolta la tesi della fluidità, che non quella dell’alterabilità delle regioni sopralunari. Lo scienziato pisano, infatti, nel passo incriminato, aveva considerato «non solamente falsa, ma erronea e ripugnante alle indubitabili verità delle Sacre Lettere, le quali ci dicono che il cielo e tutto il mondo non pure esser generabili e corruttibili, ma generati e dissolubili e transitori», l’opinione che attribuiva ai cieli una sostanza immutabile.551

Federico Cesi richiese tuttavia a Galileo di modificare quel punto della stesura, il quale non poteva, evidentemente, andare incontro ad un’accettazione da parte dell’autorità ecclesiastica.552 Lo scienziato pisano

rivendicherà, invece, per la seconda volta, la verità dell’«instabile e caduca natura della celeste materia».

I luoghi scritturistici e patristici che furono addotti da Federico Cesi per sostenere l’opinione della corruttibilità dei cieli non furono sufficienti a far mutare l’opinione dei censori: «In somma non vogliono che si dica niente in quel luogo della Scrittura», comunicava infatti il Cesi il 30 novembre 1612.

549 Cfr. CL, p. 292 ss. 550Ibid. , p. 287. 551 OG, V, p. 138, linea 24. 552

Cfr. in particolare W. R. SHEA, La Controriforma e l’esegesi biblica di Galileo Galilei,

in A. Baboli, Problemi religiosi e filosofia, Padova, 1975, pp. 47-49; P. ROSSI, Galileo Galilei e