Nell’ottobre del 1604 l’apparizione di una ‘stella nuova’ nella costellazione dell’Ofiuco suscitò, tra i seguaci di Aristotele, un certo imbarazzo e animò delle agitate discussioni. L’immutabilità e l’integrità della sostanza delle ‘sfere’ aristoteliche divenne il principale obiettivo polemico degli oppositori del cosmo tradizionale. Infatti, la consolidata visione dell’universo subì numerose critiche, e si accentuò lo spartiacque che si era creato tra i sostenitori di una materia celeste solida e incorruttibile e coloro che invece ritenevano gli spazi siderali composti da un’entità fluida e penetrabile.148
I filosofi si schierarono generalmente a favore della natura elementare o infralunare della nova.Così, mentre i matematici attribuirono al nuovo astro un carattere genuinamente celeste, i difensori di Aristotele sostennero che la nova apparteneva alla regione dell’atmosfera.
Dunque contro l’esempio di chi accertava il carattere astrale di questi fenomeni, gli aristotelici difesero l’inalterabilità delle sfere, sostenendo che
148 Per una analisi delle reazioni che la stella nova del 1604 suscitò tra gli aristotelici e, in particolare, per la discussione all’interno del Collegio Romano, si rinvia a U. BALDINI, La
nova del 1604 e i matematici e filosofi del Collegio Romano, in «Annali dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza», 6, 1981, pp. 63-97.
nessun nuovo fenomeno potesse modificare il perfetto assetto della struttura dei dei cieli stabilito da Aristotele.
Tra gli intellettuali che si schierarono a favore del cosmo aristotelico ricorderemo uno degli illustri esponenti dell’Accademia dei Lincei: il medico olandese, Jan van Heck (1579-d.1616).
Jan van Heck, infatti, nel 1605, pubblicò un opuscolo dedicato alla stella nuova dell’Ofiuco, dal titolo Disputatio de nova stella.149 In tale occasione
l’Accademia dei Lincei sostenne delle posizioni assimilabili a quelle dell’aristotelismo: caso forse unico di un’esplicita adesione alle posizioni peripatetiche nella storia dei primi Lincei.
Nell’autunno del 1604, durante i mesi in cui la nova fu visibile nei cieli, i quattro fondatori del sodalizio – Cesi, Stelluti, Heck e De Filiis –, come attestano i documenti, si trovavano divisi tra l’Italia e la Boemia. Come rivelano i Gesta Lynceorum, l’attività ufficiale dell’Accademia era stata infatti sospesa, e i contatti tra gli accademici furono interrotti per diverso tempo.150 Tuttavia, circa tre mesi dopo la prima osservazione della nova, nel
gennaio del 1605, Jan van Heck comunicò al princeps che «circa nonum Octobris diem coepit novum ac magnum una vice e coelo conspici portentum».151
Il Linceo olandese inviò, dunque, al Cesi, da Praga – dove si era stabilito da alcuni mesi presso la corte di Rodolfo II – una breve scrittura diretta ad illustrare alcune probabili conseguenze cosmologiche, che sarebbero scaturite dalla nuova scoperta celeste.152 Scrive, infatti, Heck:
Sit haec nova stella quam syderis noni orbis per rariores firmamenti (partes) apparitio nova. Roborat hanc nostram sententiam stella illa visa anno 1573, quae ut apparere destituit apparitionis loco, teste Tichone, in firmamento circa Galaxiae terminum hiatus quidam visus fuit et adhuc perspicue videtur serenis quibusdam temporibus, quemadmodum de hac etiam stella certo futurum scimus. Est enim hiatus ille ita apparens nihil nisi rarior firmamenti nostrum visum admittens, cum
149
Cfr. J. HECKIUS, De nova stella disputatio, Romae, apud Aloisium Zannettum, 1605.
150
Cfr. BANL, ms. Archivio Linceo 3, c. 23 ss. 151 Cfr. CL, p. 54.
152
Cfr. BANL, Archivio Linceo 11, cc. 16-23. La lettera fu pubblicata dal Gabrieli, che ne elise l’intera discussione scientifica, lasciando soltanto integra la forma epistolare: cfr. CL, pp. 54-55.
igitur motus noni orbis stellam hanc (in?) densiorem octavi orbis partem transtulerit, stella apparere (desinet?) […].153
La missiva dell’Heckius costituisce uno dei documenti più rilevanti, tra quelli presenti presso gli archivi dei Lincei. Su di esso si basa, infatti, la stampa della Disputatio de nova stella, un opuscolo particolarmente interessante per conoscere l’attività astronomica dell’Accademia Lincea, prima dell’affiliazione di Galileo.154
La nova del 1604 alimentò la discussione scientifica tra i primi Lincei, e preparò inoltre un terreno favorevole per l’accettazione della dottrina copernicana. Per la prima volta, infatti, furono chiaramente manifestate le attitudini del Cesi per le concezioni sulla fluiditas celeste ma si avverte, inoltre, una chiara, e decisa, presa di posizione dell’Heckius riguardo ai rischi e alle difficoltà verso cui andava incontro la tradizionale interpretazione dei fenomeni celesti.
Scrive opportunamente Saverio Ricci: «la Disputatio dell’Heckius […] consente pure di datare già al 1605 posizioni che il Cesi svilupperà dopo l’incontro con Galileo, superando, fra l’altro, talune resistenze e riserve di quest’ultimo rispetto alle dottrine di Brahe e di Keplero, che il principe aveva invece da tempo abbracciato. Tuttavia, al di là di queste differenze, il Cesi si spingeva in una battaglia comune: il riconoscimento della realtà fisica della realtà copernicana, e quindi la forzatura del copernicanesimo stesso, al di là delle intenzioni di Copernico, in un senso più ampiamente cosmologico e filosofico che aveva, alle sue origini, l’interpretazione bruniana del De revolutionibus».155
La ‘lettera-trattato’ dell’Heckius fornisce, in primo luogo, una testimonianza preziosa del fermento che animò i filosofi fedeli alla tradizionale visione dei cieli, dopo l’osservazione della nova. in particolare come avremo modo di osservare, il De nova stella linceo pone in luce alcune incongruenze o divergenze che caratterizzarono il dibattito aristotelico, incentrato sul nuovo “singolare” fenomeno.
153
Lo scritto heckiano del De nova stella si trova conservato presso la Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana. Cfr. BANL, Archivio Linceo 11, c. 23v.
154 Per l’edizione della Disputatio heckiana si veda S. R
ICCI, “…et iam Aristotelis
denegant coelestia”. Federico Cesi e la nova del 1604, in ID., Una filosofica milizia”. Tre
studi sull’Accademia dei Lincei, Udine, 1994, pp. 7-31.
155Ibid.
In una lettera del 5 gennaio 1605, Van Heck descrisse al Cesi l’apparizione della stella ‘nova’, rivelando che essa sarebbe stata in grado di mutare una rappresentazione dei cieli ormai consolidata da secoli:
Evenere in caelesti illo corpore et eveniunt – scrive, infatti, il medico olandese - quae Mathematices legem omnem frangunt, et mentem imo antiquissimam disciplinam variant et mutant. […] ecce nuper astrologis negocium facere novi quidam in coelo motus deprehensi, et novae stellae sydus exortum, hoc praeterlapso anno 1604, cuius incrementa aliquando clara observata, erat in decimo octavo precise Sagittarij gradu, ubi et nunc ante solis ortum rutilanti candidoque conspicitur radio, mira an nova etiam addita coelo intelligentia, an variatione etiam suscipiant coelestia illa corpora.156
Nell’autunno del 1605, si era verificata una rara congiunzione dei tre pianeti superiori (Marte, Giove e Saturno) nell’area del cosiddetto “trigono igneo”. Gli astronomi approfittarono dell’occasione, veramente unica, per testare l’attendibilità delle effemeridi. La stella nova apparve, tuttavia, la sera del 9 ottobre, nelle adiacenze dell’allineamento di Marte e Giove, in corrispondenza del segno del Sagittario, contravvenendo al principio che sanciva l’immutabilità dei cieli.
Tra i Lincei emerse, dunque, una crescente ansia, dovuta ad alcune verosimili conseguenze cosmologiche che sarebbero potute scaturire dalla diffusione delle opinioni braheane, le quali riguardavano la natura delle stelle nuove e della corruttibilità dei cieli. Come rivelano le parole dell’Heckius, infatti:157
156
Cfr. CL, p. 52. 157
La coniunctiomaxima di Marte, Giove e Saturno del 27 settembre fu seguita, dodici giorni dopo, dall’unione di Marte e Giove nel segno del Sagittario, in corrispondenza della quale avvenne il ritrovamento della nova. Si pensò, dunque, che l’apparizione dell’astro potesse essere stata un prodotto del raro congiungimento planetario, al quale, si associarono delle profonde inquietudini e delle preoccupazioni di natura astrologica: la nuova scoperta si caricò di superstizioni di ogni genere e di attese profetiche, o addirittura messianiche; secondo alcuni calcoli che erano stati confermati a Praga dal matematico cesareo, lo stesso raggruppamento di pianeti doveva essersi verificato prima della nascita di Cristo e portava, quindi, ad attendersi, per la sua inusitata infrequenza, degli accadimenti altrettanto straordinari: «Nelle piazze si ragiona come che tal stella minacci al Papa per esser poco lontana da Saturno, il quale dicesi esser significatione di S. S.tà, sì che alla congiontione di Saturno con questa, la quale sarà nei prossimi giorni di gennaio prossimo, si potrebbe dubitare dell’ultimo giorno suo». Tale notizia è contenuta in un trattatello anonimo, conservato presso la Biblioteca Vaticana, nel quale si fa cenno all’intensa attività preditoria che si era diffusa nella capitale pontificia al momento della comparsa della supernova. Cfr.
[…] difficulter sane creditur in ipso de novo nasci aliquid posse coelo.158
Jan van Heck, nel trattato De nova stella, dichiara di aver osservato la stella ‘nova’ l’11 ottobre.159 Egli fornisce quindi al princeps delle solide argomentazioni a favore della disposizione celeste dell’astro, ben oltre, dunque, la sfera lunare:
ipsum [sydus] praecise locum commensus sum – annota Van Heck -, qua potui in his exteris regionibus difficili commoditate videre, ut nam eam citius Itali, et stellam esse sagacissimis ad has regiones testantur litteris ex octavo, vel superiore coeli orbe effulgere […] nemo doctorum, nunquam qui Mathematices principia degustarit, eam in alio coeli loco statuere ausus fuerit.160
Grazie ad alcune indicazioni che sono fornite nell’opuscolo heckiano apprendiamo che il medico impiegò il metodo della parallasse per rilevare l’esatta distanza della nova dalla Terra: «fulgentibus undequaque radiis loco et situ Sagitarii […] quemadmodum longa linearum et arcuum serie pro Thiconico calculo satis praeterlapso tempore designavi epistolis», come scriverà infatti il medico.161
La parallasse stellare definisce l’apparente cambiamento di posizione di un corpo, osservato da punti diversi. In astronomia, la misura della parallasse era, dunque, comunemente utilizzata per determinare l’esatta posizione degli astri. Tale metodo, ad esempio, fu impiegato dall’astronomo Tycho Brahe, nei suoi studi sulla nova del 1572.
L’assenza di una parallasse diurna rivelò che la nuova stella osservata nell’Ofiuco era situata nei cieli e non sotto la Luna. Tra gli astronomi si concluse, pertanto, che essa costituiva un fenomeno genuinamente celeste, a dispetto delle opinioni dei peripatetici che intendevano, invece, tutelare le tesi tradizionali, sostenendo l’immutabilità dei cieli.
Gli astronomi italiani furono effettivamente i primi a osservare in cielo la nova. L’astro fu, infatti, scorto la prima volta a Verona, il 9 ottobre, dal
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M. BUCCIANTINI, Galileo e Keplero. Filosofia, cosmologia e teologia nell’età della
Controriforma, Torino, Einaudi, 2003, p. 128 n. 35. 158 Cfr. CL, p. 52.
159
Cfr. J. HECKIUS, De nova stella, cit., p. 8.
160 Cfr. Arch. Linc. 11, c. 16r. 161Ibidem
francescano Ilario Altobelli.162 Il giorno successivo, anche il matematico
Simon Mayr scrutò la stella a Padova.163 Scrivendone a Galileo, il 3 novembre, Altobelli affermava: «mi piace che V. S. si sia accorto di questo nuovo mostro del cielo, da far impazzir i Peripatetici ch’anno creduto sin hora tante bugie in quella stella nova e miracolosa del 1572, priva di moto e parallasse».164
In realtà, poiché nessun cospicuo spostamento parallattico fu rilevato, sia Ilario Altobelli che Simon Mayr opinarono che il nuovo corpo celeste fosse a tutti gli effetti una stella fissa, disposta nell’ottavo cielo.165
Il 24 gennaio 1605, Jan van Heck inviò al Cesi dodici tesi esplicative dedicate al fenomeno della nova (il documento autografo si conserva, ancora oggi, nel ms. Archivio Linceo 11 della Biblioteca Corsiniana, alle cc. 16-23). Secondo le informazioni contenute nella lettera, Federico Cesi mostrandosi interessato ad avere delle notizie dettagliate circa l’apparizione della stella nova, si era rivolto al medico, chiedendogli di stilare alcune
162
A Praga, le condizioni climatiche ostili non consentirono di osservare la stella se non diversi giorni dopo tale data. Lo studio della nova fu affrontato secondo i metodi tychonici da un’equipe di scienziati che comprendeva Johannes Kepler, Franz Tengnagel e Joost Bürgi (1552-1632). David Fabricius, che osservò la nova a Osteel, dichiarò che l’oggetto luminoso era una “luce infuocata”, situata vicino alla congiunzione di Marte e Giove. Fabricius pubblicò tre opuscoli dedicati alla nova, scritti sia in lingua tedesca che latina, uno dei quali, risalente al 1605, fu diffuso dal Frobenius. Kepler si servì dei dati rilevati dal Fabricius e di quelli di Franz Tengnagel e pubblicò nel 1606 un celebre trattato dedicato al fenomeno luminoso dell’Ofiuco (J. KEPLER, De Stella Nova in pede Serpentarii, et quid sub ejus exortum de novo
iniit, Trigono Igneo, & c., Pragae, Ex Officina calcographica Pauli Sessii, 1606). Come attesta Kepler, furono eseguite diverse osservazioni dell’astro dal giardino dell’Imperatore (viridarium), dove fu ubicata la strumentazione del Brahe (cfr. J. KEPLER, De Stella Nova, in KGW, I, p. 209). In Italia, le osservazioni furono meno precise di quelle effettuate nella capitale boema, dove i matematici disponevano di strumenti di gran lunga più affidabili, dal punto di vista tecnico. Questo fatto spinse i matematici italiani a cercare un confronto con i responsabili dell’osservatorio di Praga: la trasmissione dei dati tra la Boemia e l’Italia avvenne soprattutto grazie al matematico bolognese Giovanni Antonio Magini, il quale si trovava in rapporti epistolari con Ilario Altobelli, con il padre Cristoforo Clavio a Roma, e a Praga con l’attendente presso l’osservatorio, Franz Tengnagel, cfr. A. FAVARO, Carteggio inedito di Ticone Brahe, Giovanni Keplero e di altri celebri astronomi e matematici […] con Giovanni Antonio Magini, Bologna, Zanichelli, 1886, pp. 283 e sgg.
163
Cfr. OG, II, p. 293. 164
Cfr. Ibid., X, p. 117.
165 Nell’opera De numero annorum mundi coniectatio, trattato che fu portato a termine da Altobelli nel 1635 (tuttavia, mai stampato), il francescano sosterrà la sua paternità della scoperta della nova dell’Ofiuco. Cfr. G. STANO-F. BALSIMELLI, Un illustre scienziato
riflessioni in merito al nuovo fenomeno celeste.166 Heck realizzò un
elaborato conciso senza nascondere, tuttavia, l’opportunità di approfondire in futuro i suoi argomenti, da offrire alle stampe:
haec sunt quae pro temporis spacio de hoc sydere dicere potui ad istam meam confirmandam […] sententiam, plurima habeo in promptum argomenta, quae ne tibi taedium afferam omitto.167
Nel mese di febbraio, Federico Cesi consegnò alla tipografia di Luigi Zannetti lo scritto astronomico del ‘fratello’ olandese,168 modificandolo, e pubblicandolo, con il titolo di Disputatio de nova stella.169
Il trattato heckiano conteneva uno studio originale e, per molti versi, ingegnoso, della stella nuova del 1604. Come avremo modo di approfondire, Heck garantiva infatti la possibilità di stabilire un accordo tra i due principali schieramenti in campo: i fautori di Aristotele e i difensori del Brahe. Forse proprio tale espediente consentì al trattato di riscuotere un consistente successo negli ambienti gesuitici, ancora molti anni dopo la sua pubblicazione.170
Secondo Jan Van Heck, il nuovo fenomeno luminoso non avrebbe potuto essere considerato come un corpo generato ex novo nei cieli, benchè appartenesse alla regione delle stelle fisse:
absurdum […] est – dichiara il medico – omnino asserere hanc stellam generatam in coelo.171
166
«Licet – scrive Heckius nel manoscritto del De nova – haud intellexerim C. T. placitarum ob loci distantiam citae responsionis impedimentum, praetermittere tamen nolui, tum ut rerum quae mei muneris sunt explicationem qua possum integritate tradam, tum etiam ut philosophorum in Romana ista academia hac visa doctiorem mittas sententiam, accedente desiderio in te non minus quam debito satisfaciendi aviditas. Rem igitur agredior […]», BANL, Arch. Linc. 11, c. 16r.
167 Cfr. BANL, Arch. Linc. 11, c. 23v. 168
Cfr. CL, p. 59. 169
Cfr. G. GABRIELI, Verbali, cit., in CSAL, p. 512. 170
Cfr. BNCR, Fondo gesuitico 458. Il codice contiene cinque testi letti presso il Collegio Romano, in occasione dell’apparizione delle tre comete osservate nel 1618. Heck è citato alle cc. 33v e 35r. Come nota Ugo Baldini, il quale ha pubblicato il testo dei Gesuiti, la
Disputatio de nova «sembra essere stata alla base dell’informazione del conferenziere gesuita, perché diverse delle notizie che egli fornisce sono tratte da essa». Cfr. U. BALDINI,
Legem impone subactis. Studi su filosofia e scienza dei Gesuiti in Italia. 1540-1632, Roma, Bulzoni, 1992, p. 275 n. 32.
171
A Praga, come in altre città europee, la nova fu identificata come una stella recente.172 Anche in Italia, essa fu posizionata da Galileo e da alcuni matematici, tra cui il padre gesuita Cristoforo Clavio, nell’ottavo cielo. È noto che la maggior parte degli astronomi europei, agli inizi del mese di gennaio, considerasse la nova come un astro (sydus), e, dunque, come un corpo effettivamente situato nei cieli. note
Joannes Heckius, nello scritto De nova stella, difese tuttavia il principio dell’“incorruttibilità” dei cieli. Secondo il medico linceo, è infatti impossibile che possa avvenire la nascita di una nuova stella e che, quindi, sia alterato il numero delle “fisse”: le argomentazioni dell’Heckius sono, dunque, favorevoli alla tradizionale tesi aristotelica, secondo cui nelle regioni sopralunari sarebbe stata presente una sostanza ingenerabile e incorruttibile.173
Il fine principale perseguito dall’Heckius nel suo trattato è evidente: nel 1573, infatti, il celebre astronomo di origini danesi Tycho Brahe, in un libello pubblicato con il titolo di De nova stella, sostenne che le novae erano delle comuni stelle fixae distribuite nell’ottavo cielo, e formate dalla stessa materia “corruttibile” che occupava il firmamento.
La teoria tichonica fu, tuttavia, considerata dal medico olandese, nelle sue repliche alle posizioni del matematico danese, come uno dei deliramenta
tipici della dottrina degli «eretici» astronomi d’Oltralpe.174 Polemizzando con
Tycho Brahe (ma anche con Rothmann e Kepler), Heck difese infatti la solidità e l’icorruttibilità delle sfere celesti.175 Tuttavia, al di là dell’incisività degli argomenti utilizzati le sue parole furono pervase da un aspro risentimento confessionale. I toni astiosi ed esacerbati con cui Heck affronta le posizioni dei matematici protestanti incidono infatti pesantemente sulla ‘sobrietà’ scientifica dello scritto. Principalmente per tale ragione, numerose pagine del trattato De nova stella non furono accolte integralmente dal Principe Federico Cesi, il quale, infatti, attuò una
172 Cfr. Arch. Linc. 11, c. 16r. 173
CL, p. 52. 174 J. H
ECKIUS, De nova stella disputatio, p. 13.
175
revisione approfondita dei suoi contenuti, modificando il documento in numerose parti, prima di consegnarlo alle stampe.176
Riteniamo che la decisione di Cesi di editare l’opera presso l’ex- direttore della stamperia dell’Oratorio, Luigi Zannetti, non fosse dettata da una scelta casuale, ma che fosse attribuibile, anzi, alla profonda spiritualità di origini ‘filippine’ che permeò l’attività filosofica del primo entourage
linceo.177 Sottolineiamo, tuttavia, che numerosi spunti polemici di carattere
confessionale presenti nello scritto ‘de nova’ heckiano non furono accettati dal Cesi, forse poichè furono giudicati estranei alla sensibilità scientifica dei primi Lincei.178
Il seguente passo rivela ad ogni modo un’accettazione non ‘realistica’ delle concezioni celesti di Aristotele da parte dell’Heckius; un aspetto su cui sarebbe interessante indagare con maggiore attenzione:
Aristoteles eum coelorum motum ac naturam et situm – scrisse infatti Heck – constituit quales generationi corruptionique exigit, ut si eo modo locati essent coeli ac ipse dicit et cum eo tota Peripateticorum schola consentit, posset generationis et corruptionis esse causa non quod realiter ita sit.179
Un ulteriore elemento suscita particolare attenzione: ossia, il carattere ‘semiufficiale’ che l’opuscolo del De nova stella ottenne nel disegno complessivo dell’Accademia. Nel frontespizio dell’opera, l’emblema dell’Accademia (il quale, insieme al titolo di “Linceo” accluso al nome dell’autore, attesta l’appartenenza al sodalizio cesiano di tutte le successive opere uscite in stampa), non è presente. Sembra, dunque, che il primo contributo editoriale dell’Accademia avesse visto la luce senza alcun ausilio illustrativo che ne attestasse l’appartenenza lincea. Tale mancato riconoscimento fu forse dovuto alla cautela di non ascrivere l’opera del
176
Cfr. S. RICCI, “…et iam Aristotelis dogmata denegant coelestia”. Federico Cesi e la
nova del 1604, cit., p. 14 ss. 177
Cfr. G. FINOCCHIARO, Intorno a due libri “lincei”: il De nova stella di Joannes Heckius
emendato dall’autore e il Compendium di Christophorus Clavius già della Biblioteca Cesiana, in «Atti della Accademia Nazionale dei Lincei-Rendiconti», sc. Morali, s. IX, v. 14, 2003, pp. 89-97.
178 Cfr. G. G
ABRIELI, Verbali, cit., in CSAL, p. 507.
179
naturalista olandese, in quel momento esiliato dall’Italia, e indagato dal Sant’Uffizio, al già “perseguitato” sodalizio linceo.180
Il Princeps, dunque, prima di editare la Disputatio, valutò probabilmente i rischi nei quali l’Accademia sarebbe potuta incorrere nel caso in cui il suo