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Le vicende autobiografiche dei testi da noi presi in esame costituiscono “un paesaggio psichico, un panorama interiore” crudelmente influenzato e segnato da “eventi [che] distruggono”97. Le autrici, attraverso una life-narrative, ricostruiscono la loro storia, rivelando ciò che è accaduto alle loro famiglie. Le date di pubblicazione dei rispettivi testi (1987, 1996 e 1998) sono un segno tangibile di quanto tempo sia servito per accettare, elaborare e decidere di condividere la loro esperienza di vita e tutto “ciò che è loro accaduto, ciò che gli è stato fatto dall’uomo bianco che ha invaso la loro terra e li ha scacciati from their own place. Sì, dal loro proprio luogo”98.

“Autobiografia” è un’accezione di genere letterario tra le più largamente utilizzate e conosciute, nonostante si tenda attualmente a considerarla indice di una particolare pratica di life-narrative che sarebbe emersa durante l’Illuminismo e che si affermò poi, in modo capillare e canonico, soprattutto nella cultura occidentale. “Autobiografia” deriva dal greco e rimanda al termine αυτόϛ, “autòs” (che si riferisce a “se stessi”), a βιοϛ, “bios” (la vita) ed infine γραφι, “grafia” (la scrittura). Queste parole denotano, da un punto di vista strettamente letterale, una “narrazione scritta della propria vita”, ovvero, in ottica strutturale, una forma di scrittura in cui il protagonista coincide con la voce narrante, nonché con l’autore implicito e reale dell’opera stessa. Roy Pascal, in Design and Truth in Autobiography, osserva come l’autobiografia debba coinvolgere la:

reconstruction of the movement of a life, or part of a life, in the actual circumstances in which it was lived. Its centre of interest is the self, not the outside world, though necessarily the outside world must appear so that, in give and take with it, the personality finds its peculiar shape.99

97 Nadia Fusini, “Prefazione” a Sally Morgan, La mia Australia, cit., p. VIII. 98 Ibidem.

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L’autobiografia come genere letterario codificato acquista rilievo nel XVIII secolo, anche se, precedentemente, esistevano canali e modalità compositive da cui traspariva comunque una dimensione autoreferenziale legata all’autore, talvolta frammista a speculazioni e riflessioni storiche, politiche e religiose, come nelle celebri, Confessioni di Sant’Agostino, nel Mémoir di Mme de Staël e la Vita di Teresa d’Ávila. Al di là delle diverse terminologie e di un impianto secolare o fideistico, si può dire che alla base di tutto risieda un bisogno universale di raccontare la propria vita, o meglio, alcuni tratti a cui si attribuisce particolare significato, insieme alla propria interiorità e al bagaglio memoriale. Sebbene l’esistenza privata non sempre incida in modo determinante sulla storia di un popolo, essa rimane comunque un momento di auto- osservazione decisivo, in quanto “autobiography is both a form of literary striptease and an archeology of the self”100.

Il contenuto dell’autobiografia non può essere costituito da tutti gli avvenimenti vissuti, bensì da tratti, più o meno lunghi e sostanziali, dell’esistenza passata, all’interno dei quali devono essere operate delle scelte di selezione, condensazione o espansione:

Autobiography means therefore discrimination and selection in face of the endless complexity of life, selection of facts, distribution of emphases, choice of expression. Everything depends on the standpoint chosen; and it is clear that the more arbitrary the standpoint, the greater is the likelihood that the autobiography will be one-sided, blinkered, or downright false.101

Il “castello” del vissuto viene letteralmente edificato con i mattoni della memoria e dell’interpretazione per sopperire alle discontinuità che il soggetto narrante è destinato a registrare nel momento in cui ricorda:

come resoconto, l’autobiografia è specializzata nel dare significato agli eventi che riguardano il Sé. Potrebbe essere definita una composizione di testi. I testi vengono selezionati, tutti o in parte, e organizzati allo scopo di attribuire coerenza e continuità al sé. Questa coerenza tuttavia è realizzata sia modificando la storia della propria vita sia anche rendendo le proprie azioni coerenti con essa. Il resoconto non è solo la rappresentazione di un testo, non è solo ciò che raccoglie e organizza l’esperienza, ma anche ciò che la produce […] il resoconto quindi è uno sguardo sul passato ma anche un’anticipazione sul futuro, una guida per l’azione.102

100 John Colmer, Australian Autobiography: The Personal Quest, Oxford University Press, Oxford 1990, p. 7. 101 Roy Pascal, Design and Truth in Autobiography, cit., p. 9.

102 Andrea Smorti, Il sé come testo: Costruzione delle storie e sviluppo della persona, Giunti, Firenze 1997, pp. 31-

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I processi costitutivi dell’autobiografia sono stati definiti da Sidonie Smith e Julia Watson, in un importante studio contemporaneo sulla life-narrative, come facenti capo a “memory, experience, identity, embodiment, agency”103. L’autobiografia deve affidarsi alla capacità multiplanare di ricostruire il passato per poterlo rendere oggetto di una resa letteraria. Tale processo non è assolutamente un atto di “ripescaggio” passivo perché, nel momento in cui ricorda, si rielabora e si attribuisce significato agli avvenimenti che affiorano alla memoria, ricucendo frammenti di vita all’interno di storie articolate e significative anche rispetto al momento presente:

Thus, narrated memory is an interpretation of the past that can never be fully recovered. As Daniel L. Schacter has suggested, “[M]emories are records of how we have experienced events, not replicas of the events themselves”. 104

L’atto del ricordare non si limita all’ambito privato, in quanto il viaggio nei percorsi della memoria può essere coadiuvato anche dalla consultazione di documenti pubblici, dal confronto con avvenimenti storici, riti collettivi. Si può inoltre rivivere il passato non solo per sé stessi, ma anche per gli altri, per qualcuno di molto caro:

Precisely because acts of remembering are implicated in how people understand the past and make claims about their versions of the past, memory is an inescapably intersubjective act, as W.J.T. Mitchell insightfully suggests: “memory is an intersubjective phenomenon, a practice not only of recollection of a past by a subject, but of recollection for another subject”.105

Il recupero del passato da parte del narratore–biografo può implicare il riemergere del rimosso e di avvenimenti traumatici che ne hanno segnato fortemente l’esistenza. La memoria viene, in questo caso, ad assumere anche una funzione terapeutica:

Speaking or writing about trauma becomes a process through which the narrator finds words to give voice to what was previously unspeakable. And that process can be, though it is not necessarily, cathartic. Thus narrators of trauma often testify to the therapeutic effects of telling or writing a story, acknowledging how the process of writing has changed the narrator and the life story itself.106

103 Sidonie Smith and Julia Watson, Reading Autobiography: A Guide for Interpreting Life-Narratives, University of

Minnesota Press, Minnesota 2001, pp. 15-16.

104 Ivi, p. 16. 105 Ivi, p. 20. 106 Ivi, pp. 22-23.

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L’esperienza è un elemento imprescindibile, una “sostanza” di cui la personalità si nutre e che è a sua volta in grado di valutare anche attraverso il ricordo. L’esperienza è ciò che contribuisce a formare e plasmare l’essere umano, affinando in lui le caratteristiche relazionali, linguistiche e sociali:

experience, then, is the very process through which a person becomes a certain kind of subject owning certain identities in the social realm, identities constituted through material, cultural, economic, and interpsychic relations. “It is not individuals who have experience,” Scott claims, “but subjects who are constituted through experience.”107

Lo scrittore di un’autobiografia diventa così agente, lettore e interprete delle proprie esperienze, che, per non dimenticarle, decide di trasferire su carta. L’esperienza serve, in modo esplicito o implicito, a conferire autorevolezza e personalità al narratore e a far sì che il lettore (perlomeno nei testi autobiografici di impronta testimoniale) accolga come veritiero quanto gli viene presentato:

Because issues of authority can be crucial to autobiographical acts, life narrators have much at stake in gaining the reader’s belief in the experiences they narrate and thus having the “truth” of the narrative validated. Persuasion to belief is fundamental to the pact between narrator and reader.108

Il narratore è in qualche modo chiamato ad autodefinirsi attraverso degli acts of identification, cosicché l’identità entra in dialogo con l’appartenenza etnica, il genere sessuale, la nazionalità, la classe sociale e le varie ideologie (sia politiche che religiose). Il fatto che le strutture sociali vivano continui cambiamenti comporta che anche le identità singole si collochino in un perimetro storicizzato e contestualizzato dal punto di vista culturale, in un compenetrarsi di elementi:

It is not possible to add the effects of one identity to the effects of another to understand the position from which someone speaks. To speak autobiographically as a black woman is not to speak as a “woman” and as a “black”. It is to speak as a blackwoman.109

La “soggettività autobiografica” sarebbe costituita anche da un embodiment, perché il corpo, con le sue infinite sensazioni e reazioni, è parte integrante della persona. Il contesto culturale,

107 Ivi, p. 25. 108 Ivi, p. 28. 109 Ivi, p. 36.

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d’altro canto, insegna a quali aspetti del corpo sia necessario dare più rilevanza, quali segni riconoscibili siano più determinanti rispetto ad altri. Questi significati culturali plasmeranno a loro volta “the kinds of stories people can tell”110.

Nel momento in cui ci si trova di fronte ad un’autobiografia, è facile invece dare per scontato che l’autore sia agente e orchestratore assoluto della propria vita. Le vicende autobiografiche si mostrano spesso ai nostri occhi come “prova” della libertà di scelta di un individuo e delle sue azioni, grazie alle quali egli riuscirebbe ad arrivare alla piena affermazione del sé:

consequently, we tend to read autobiographical narrative as proofs of human agency, relating actions in which people exercise free choice over the interpretation of their lives and express their “true” selves. In fact, traditional autobiography has been read as a narrative of agency, evidence that subjects can live freely.111

Naturalmente, questo tipo di interpretazione deve essere “temperata” alla luce della prospettiva culturale, storica ed etnica cui si è accennato. L’autobiografia è in effetti un atto performativo, in quanto non si limita a narrare o a raccontare storie di vita, ma crea e scopre un sé poliedrico a cui intende dare coerenza. Le istanze fondamentali chiamate in gioco in questo processo sono l’autore/narratore, il destinatario, il mezzo e la componente extratestuale. Per quanto riguarda l’istanza produttrice, Sidonie Smith e Julia Watson distinguono tra “real or historical I”, “narrating I”, “narrated I” ed “ideological I”. Il “real or historical I” sarebbe colui il cui nome compare sulla copertina, la persona che “produce” materialmente l’autobiografia e la cui vita è meno lineare e “selezionata” rispetto a quella che ci viene raccontata. L’io storico ha una tangibile collocazione spazio-temporale e intesse varie relazioni sociali:

because there are traces of this historical person in various kinds of records in the archives of government bureaucracies, churches, family albums and the memories of others, we can verify this “I”’s existence. We can hear her [/his] voice, if she [/he] is still alive, but this “I” is unknown and unknowable by the reader and is not the “I” that we gain access to in an autobiographical narrative.112

L’io narrante è invece quello che racconta la storia e l’io narrato è quello la cui storia è raccontata. La differenza di prospettiva fra i due, come sottolinea François Lionnet in Autobiographical Voices, è che il “narrated I” è il protagonista dell’azione, mentre il “narrating

110 Ivi, p. 39. 111 Ivi, p. 42. 112 Ivi, p. 59.

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I” è l’agente del discorso113. L’io narrato è quel sé che l’io narrante cerca di ricostruire per il narratario/lettore. Infine, l’“ideological I” sarebbe un’istanza che entra in rapporto con le sollecitazioni storico-culturali che caratterizzano l’epoca di ambientazione della “storia”:

historical and ideological notions of the person provide cultural ways of understanding the material location of subjectivity; the relationship of the person to particular others and to a collectivity of others; the nature of time and life course; the importance of social location; the motivations for human actions; the presence of evil, violent, and self-destructive forces and acts; the metaphysical meaning of the universe. Because every autobiographical narrator is historically and culturally situated, each is a product of his or her particular time. We need, then, to situate the narrator in the historical notion of personhood and the meaning of lives at the time of writing.114

Il narratore racconta la storia rivolgendosi implicitamente a un interlocutore, come se non potesse procedere con la stesura dell’opera senza immaginarsi un possibile “addressee”:

addressees can be imagined, and addressed directly in the text or indirectly through the text. And often there are multiple addresses in the narrative, narrates and implied readers addressed simultaneously in sequence […] narrator and addressee(s), then, are engaged in a communicative action that is fundamental to autobiographical acts and the kinds of intersubjective truth they construct.115

Quando si pensa all’autobiografia, immediatamente si immagina un testo scritto; il sé può essere però raccontato attraverso l’utilizzo di mezzi narrativi di vario tipo, capaci di integrare la scrittura:

the kinds of media that can be used to tell an autobiographical story include short feature and the commentary films; theatre pieces; installations; performance art in music, dance, and monologue; the painted or sculpted self-portrayed; quilts, collages, and mosaics; body art; murals; comics; and cyber art.116

“The consumers” sono coloro che si trovano a contatto e si avvicinano all’opera e che rispondono alle sollecitazioni generate dal testo. L’opera seguirà comunque rotte anche inaspettate, attraversando barriere spaziali e temporali; la sua ricezione sarà inoltre fortemente

113 François Lionnet, Autobiographical Voices: Race, Gender, Self-Portraiture, Cornell University Press, New York

1990, p.193.

114 Sidonie Smith and Julia Watson, Reading Autobiography: A Guide for Interpreting Life-Narratives, cit., pp. 61-

62.

115 Ivi, p. 69. 116 Ivi, p. 74.

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influenzata dal contesto storico e geografico, dalla nazionalità e dal genere sessuale del “consumer” stesso:

readers “consume” narratives along with other cultural stories. So their interpretations of and their responses to narratives are influenced by other kinds of stories in general circulation—in families, communities, regions, nations, diasporas.117

Come sostengono Smith e Watson, la vita non può essere separata dalla sua narrazione, così come la narrazione “contiene” la vita o parte di essa. Anche Jerome Bruner sottolinea la forte interazione esistente tra vita vissuta e narrata:

eventually the culturally shaped cognitive and linguistic processes that guide the self- telling of life narratives achieve the power to structure perceptual experience, to organize memory, to segment and purpose-build the very “events” of a life. In the end, we become the autobiographical narratives by which we “tell about” our lives. And given the cultural shaping to which I referred, we also become variants of the culture’s canonical forms.118

Le due studiose americane, nel loro studio, tracciano sin dalle prime pagine una linea di demarcazione tra due pratiche narrative: quella della life-writing e quella della life-narrative, che, seppur abbiano nomenclature simili, sottointendono fini diversi. La prima espressione comprenderebbe diverse forme di scrittura, siano esse di natura biografica, romanzesca o storica, che fanno della vita di uno o più soggetti il tema centrale119. La seconda, con un’accezione

trasversale, abbraccerebbe molteplici tipologie di scrittura del sé, tra cui l’autobiografia stessa120. Nella complessità e nell’interazione dei generi letterari in cui entra in gioco una componente di autoreferenzialità è comunque necessario adottare un criterio elastico, perché, come nota Pamela Cecconi,

il ricorso a una serie di linee nette di demarcazione tra le varie sezioni non [è] in grado di suggerire visivamente un dato di incontestabile validità nell’odierno panorama letterario, ovvero quell’intreccio di forme e contenuti che dimostra quanto siano in effetti porosi e mutevoli i confini che separano le pratiche autobiografiche.121

117 Ivi, p. 78.

118 Jerome Bruner, “Life as Narrative”, Social Research, 54, 1987, p. 15.

119 Sidonie Smith e Julia Watson, Reading Autobiography: A Guide for Interpreting Life Narratives, cit., p. 5. 120 Ibidem.

121 Pamela Cecconi, Seeing through Places and Spaces: Geografie contemporanee della scrittura del sé, I libri di

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I rapporti tra i generi e i sottogeneri letterari, inoltre, non sono fissi, ma mutano, si modificano e si intrecciano non soltanto da un punto di vista diacronico, ma anche in senso sincronico. È quindi difficile riuscire ad inquadrare in modo preciso e definitivo una rappresentazione concettuale nonostante “divent[i] normale, per reazione, cercare di tracciarne il perimetro, ossia, in senso etimologico, di ‘definirl[a]’, vale a dire di ‘segnarne i confini’”122.

Per queste ragioni si tende ad assimilare l’autobiografia a generi letterari ad essa limitrofi. Molto spesso gli autori si riferiscono a determinati tipi di “storie del Sé” chiamandoli indistintamente autobiography o, ad esempio, memoir. Del resto, come scrive Roy Pascal in Design and Truth in Autobiography, “there is no autobiography that is not in some respect a memoir, and no memoir that is without autobiographical information; both are based on personal experience, chronological and reflexive”123. La radice del termine memoir sottintende sia l’atto di memorizzare, sia l’atto di ricordare, che a sua volta, ha insito un doppio significato:

to record means literally to call to mind, to call up from the heart. At the same time, record means to set down in writing, to make official. What resides in the province of the heart is also what is exhibited in the public space of the world. In this way, memoir is fashionably postmodern, since it hesitates to define the boundaries between private and public, subject and object.124

Nell’autobiografia propriamente detta, verrebbe messa in luce l’esperienza esterna insieme a quella interiore di un “io” singolo che decide di auto-raccontarsi. Il genere memoriale, invece, inserisce il soggetto, sia come protagonista sia come osservatore, all’interno di un quadro sociale più ampio ed è per questo che, in generale, si è qui propensi ad evidenziare contemporaneamente aspetti della vita di persone “altre” rispetto al narratore. Nel memoir la presenza del sé è una delle numerose componenti, perché l’attenzione è rivolta parimenti verso l’anamnesi di altri vissuti:

memoirs have traditionally occupied a category of their own within the field of “life- writing”, and have been distinguished from autobiography as being more flexible and outward-looking.125

122 Andrea Battistini, “I ‘generi marginali’ del Novecento letterario”, Seminario di Studi a cura di Daniela Baroncini

e Federico Pellizzi, Bologna, 22 maggio 1997 (Dipartimento di Italianistica), http://www.boll900.it/convegni/gmbattistini.html, [consultato il 28 novembre 2017].

123 Roy Pascal, Design and Truth in Autobiography, cit., p. 5.

124 Nancy K. Miller, Bequest and Betrayal: Memoirs of Parent’s Death, Indiana University Press, Bloomington

2000, p. 2.

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Il fatto, però, che questo genere sia indirizzato più verso un’analisi esterna non significa che non abbia un ruolo centrale nel mettere a nudo parti nascoste o nel comunicare esperienze dolorose e traumatiche personali.

Verso la fine del ventesimo secolo, la life-narrative è diventata una forma particolarmente studiata nelle istituzioni culturali occidentali. In conseguenza di ciò, gli approcci si sono moltiplicati e il campo degli studi autobiografici stessi si è dilatato, parallelamente a nuovi tipi di scrittura del sé e stili narrativi. Tra questi generi, è andata acquisendo un ruolo importante l’autoethnography, parola composta da “auto” ed “etnografia”, cioè “la rappresentazione scritta delle forme di vita sociale e culturale di gruppi umani”126. Nella prima metà del Novecento, si è cominciato a produrre testi autoetnografici in cui soprattutto i soggetti reduci da trascorsi coloniali raccontavano le loro storie, sia come singoli individui, sia come collettività: questa modalità di scrittura si proponeva come mezzo per condividere ed “esorcizzare” il passato, rendendolo fruibile ad un pubblico che ne era stato finora all’oscuro. Più precisamente, alla base del genere autoetnografico c’è un metodo di ricerca “qualitativo” che intreccia la self-reflection con l’analisi dei significati culturali e sociali. Due importanti critici americani, Carolyn Ellis e Arthur Bochner, definiscono la autoetnografia come:

an autobiographical genre of writing and research that displays multiple layers of consciousness, connecting the personal to the cultural. Back and forth, autoethnographers gaze, first, through an ethnographic wide-angle lens, focusing