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Voci aborigene femminili delle Stolen Generations australiane: ricostruzioni identitarie in Sally Morgan, Doris Pilkington/Nugi Garimara e Rosalie Fraser

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN LETTERATURE E FILOLOGIE

EUROAMERICANE

TESI DI LAUREA

Voci aborigene femminili delle Stolen Generations australiane: ricostruzioni

identitarie in Sally Morgan, Doris Pilkington/Nugi Garimara e Rosalie Fraser

CANDIDATO

RELATORE

Martina Coppola

Chiar.ma Prof.ssa Laura Giovannelli

(2)

1

INDICE

PREMESSA

... 3

INTRODUZIONE

... 4

CAPITOLO PRIMO

... 11

Il popolo aborigeno australiano ... 11

1.1 La storia aborigena prima dell’ascesa della Regina Vittoria ... 11

1.2 Dalla Protection Policy alla Assimilation………..15

1.3 Dalla Assimilation alla Integration ... 21

1.4 Dalla Integration alla Self-Determination ... 27

CAPITOLO SECONDO

... 36

La scrittura come memoria di sé ... 36

2.1 L’apporto del genere autobiografico ... 36

2.2 La life-writing delle donne aborigene australiane ... 45

CAPITOLO TERZO

... 53

Postcolonialità e “alterità” aborigena ... 53

3.1 La life-writing aborigena australiana nel panorama degli scritti postcoloniali ... 53

3.2 Osservazioni sull’accezione goffmaniana di stigma in rapporto alla Aboriginality ... 61

CAPITOLO QUARTO

... 70

My Place di Sally Morgan ... 70

4.1 Sally Jane Morgan e la scoperta del suo Place ... 70

4.2 Il vissuto e l’identità in My Place ... 85

CAPITOLO QUINTO

... 97

Follow the Rabbit-Proof Fence di Doris Pilkington/Nugi Garimara ... 97

5.1 Doris Pilkington/Nugi Garimara ... 97

5.2 Inseguire la libertà lungo la “barriera per conigli” ... 104

(3)

2

CAPITOLO SESTO

... 120

The Shadow Child: A Memoir of the Stolen Generation di Rosalie Fraser ... 120

6.1 Rosalie Fraser ... 120

6.2 Analisi di The Shadow Child: A Memoir of the Stolen Generation ... 133

CONCLUSIONI

... 144

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3

PREMESSA

Il mio interesse per la storia e la cultura aborigena australiana è nato sull’onda di un viaggio che ho fatto nell’ambito di un gemellaggio scolastico, nell’ottobre del 2007, in Australia occidentale e più precisamente a Bunbury, a 150 km da Perth.

In occasione di una delle lezioni frequentate da me e dal mio gruppo presso la scuola locale, due insegnanti aborigeni hanno accettato la nostra richiesta di parlarci della loro storia, ma hanno deciso di farlo attraverso un gioco. Dopo averci fatto sedere, ci hanno distribuito quattro fogli, sui quali dovevamo scrivere rispettivamente una cosa e una persona cui tenevamo moltissimo, oltre al nome di nostra madre e di nostro fratello o sorella. Eseguito il compito, sono passati tra i banchi, chiedendoci perché le cose scritte fossero così importanti per noi, ma, nonostante quello che dicevamo, anzi, soprattutto se dimostravamo un particolare attaccamento a quella determinata cosa o persona, ci sottraevano i fogli, senza dare spiegazione alcuna.

Di fronte al nostro stupore, guardandoci negli occhi, ci hanno semplicemente detto che quello era esattamente ciò che gli Inglesi avevano fatto con loro, privandoli delle case in cui abitavano, costringendoli ad abbandonare i luoghi in cui vivevano e, soprattutto, separandoli dalle proprie famiglie.

Uno dei due insegnanti ci ha anche detto che, quando un aborigeno sale su un autobus e incontra altri suoi simili, si presenta usando il cognome, nella speranza di trovare qualcuno dei suoi famigliari: lui stesso, durante un viaggio da Perth a Margaret River, aveva ritrovato sua sorella. A quel punto il gioco è proseguito in assoluto silenzio da parte nostra, ma la sofferenza dei due insegnanti, a distanza di tanti anni, nonostante si fossero formati una famiglia e avessero avuto dei figli, era ancora palpabile.

Tornata a casa, la mia curiosità verso questo popolo e la sua storia è progressivamente cresciuta, fino a quando, il primo anno di laurea magistrale, ho frequentato un corso di letteratura postcoloniale, circostanza che mi ha consentito di notare uno stretto collegamento fra i popoli aborigeni australiani e gli altri popoli colonizzati dagli inglesi. Ho pensato, quindi, che la tesi magistrale potesse essere una buona opportunità per conoscere più a fondo i torti subiti dalle popolazioni native australiane.

Non essendo una storica di professione, ho deciso di incentrare la mia trattazione sull’analisi di opere a sfondo memoriale di tre scrittrici, partendo da Follow the Rabbit-Proof Fence di Doris Pilkington/Nugi Garimara: gli amici australiani, durante il nostro soggiorno, ci avevano infatti regalato una versione in dvd del film ispirato a questo testo che mi ha particolarmente colpita.

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4

INTRODUZIONE

I move: that today we honour the indigenous peoples of this land, the oldest continuing cultures in human history. We reflect on their past mistreatment. We reflect in particular on the mistreatment of those who were stolen generations-- this blemished chapter in our nation’s history […] We apologise especially for the removal of Aboriginal and Torres Strait Islander children from their families, their communities and their country. For the pain, suffering and the hurt of these stolen generations, their descendants and for their families left behind, we say sorry.1

Il 13 febbraio 2008, il neo-eletto Primo Ministro australiano, Kevin Rudd, presentò le scuse ufficiali agli aborigeni per le ingiustizie a loro inflitte nel corso della storia, dopo che numerose organizzazioni autoctone avevano chiesto il pubblico riconoscimento dei torti commessi nei confronti del proprio popolo. Mentre il suo predecessore, l’ex Primo Ministro John Howard, si era opposto a tali richieste, Rudd considerò il riconoscimento degli errori commessi come un primo passo verso

a future where all Australians, whatever their origins, are truly equal partners, with equal opportunities and with an equal stake in shaping the next chapter in the history of this great country, Australia.2

In qualità di australiano non-indigeno, Rudd ha intuito che il percorso di conciliazione dovesse passare attraverso le scuse presentate sia dalla Gran Bretagna, sia dall’Australia ai primi abitanti di questo antico continente, alla luce di un secolo e mezzo di ripetute violenze e di continue espropriazioni, a partire dal primo contatto che gli inglesi ebbero con questa terra, nel 1770, fino al Coniston Massacre3 nel 1928 ed oltre, in particolare per le crudeli imposizioni riguardanti le Stolen Generations.

Tra il 1910 e il 1970, molti bambini indigeni vennero allontanati con la forza dalle loro famiglie a seguito di varie politiche governative convergenti con le Assimilation Policies, le cui linee guida erano state fissate nell’Initial Conference of Commonwealth and State Aboriginal Authorities dal 21 al 23 aprile 1937, a Canberra. Fu avallata pubblicamente l’idea che si

1 Kevin Rudd’s “Sorry Speech”, Parliament House, Canberra, 13 February 2008

https://www.youtube.com/watch?v=b3TZOGpG6cM [consultato il 10 ottobre 2017].

2 Ibidem.

3 Il 7 agosto 1928 un cacciatore di dingo, Fred Brooks, fu trovato morto alla stazione di Coniston, nell’Australia

centrale. Brooks era stato ucciso con armi tradizionali aborigene e bruciato. Al ritrovamento del corpo seguì una serie di rappresaglie ad opera di gruppi di uomini a cavallo costituiti da civili e polizia, che includevano aborigeni e non-aborigeni. Vennero uccisi più di sessanta aborigeni, tra cui anche bambini. A questi massacri fu dato il nome di

Coniston Massacre. Nessuna pena venne inflitta agli esecutori e l’indagine si concluse con il verdetto di

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5

dovessero creare le condizioni per cui i full blood Indigenous people4 si sarebbero estinti attraverso un processo di eliminazione naturale, mentre, d’altro canto, si riteneva necessario incoraggiare con qualsiasi mezzo un’assimilazione degli half-castes5 nella comunità bianca: questa strategia affondava le sue radici nella convinzione ideologica facente capo alla superiorità dei bianchi e all’inferiorità dei non-bianchi.

I bambini, strappati ai loro genitori, furono indotti a rinnegare la loro cultura e ad adottare quella dei bianchi; i loro nomi venivano spesso cambiati ed essi non potevano esprimersi nelle lingue tradizionali. Alcuni di loro vennero adottati da famiglie bianche e molti messi in istituti, dove l’abuso, il senso di abbandono e la trascuratezza erano all’ordine del giorno. L’Assimilation, compresa la politica di allontanamento dei bambini dalle famiglie di origine, non raggiunse lo scopo prefissato di migliorare le condizioni di vita degli aborigeni australiani, principalmente perché la società dei bianchi rifiutò di riconoscerli come soggetti paritari, nonostante i loro progetti di integrazione.

Il presente lavoro si propone di dar spazio a tre scrittrici aborigene, Sally Morgan (1951-), Doris Pilkington/Nugi Garimara (1937-2014) e Rosalie Fraser (1958-), che hanno trovato il coraggio di trattare un tema cosi attuale, delicato e per loro profondamente doloroso, come quello delle conseguenze che le politiche associate alle Stolen Generations hanno avuto sulla loro vita e su quella di un intero popolo.

Sarà solo agli inizi degli anni Ottanta del Novecento che emergerà qualche sbocco per poter parlare di quel passato e, più precisamente, saranno le donne aborigene, con la loro letteratura politically engaged, a iniziare a raccontare l’altra metà della Storia, rivelandone gli orrori. Nell’introduzione a A Companion to Australian Aboriginal Literature, Belinda Wheeler spiega come, tra i numerosi temi che caratterizzano la letteratura aborigena australiana, quello dominante riguardi proprio le Stolen Generations e come ciò si presti a divenire argomento di una letteratura impegnata, perché:

The loss of identity that was the consequence of legislation enacted by Australia’s federal and state governments has haunted numerous Australian Aboriginals, and many have chosen writing as a vehicle to overcome past injustices and start the healing process.6

4 Tale espressione, in questo contesto, viene utilizzata per indicare persone di sangue aborigeno “al cento per cento”. 5 In questo contesto, si intendono gli aborigeni nati da padre bianco e madre indigena.

6 AA.VV, A Companion to Australian Aboriginal Literature, ed. by Belinda Wheeler, Camden House, New York

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6

Nadia Fusini, nella Prefazione al libro La mia Australia (titolo originale My Place) di Sally Morgan, spiega come queste opere si incardinino in un certo senso sul semplice “narrare”, perché sarebbero gli avvenimenti stessi ad autoraccontarsi, a scuotere le coscienze e gli animi di coloro che si trovano catapultati all’interno di una realtà umanamente non ammissibile né immaginabile. Tutto quello che viene fatto è, in un ossimoro, raccontare storie “inaccettabilmente autentiche”:

[…] L’ho detto: è un libro commovente. Perché non accusa, ma racconta. Cerca un cuore aperto e una mente sgombra e soprattutto orecchi che sappiano ascoltare le parole di chi ha patito ed è sopravvissuto all’orrore.7

Sally Morgan, nata nell’Australia occidentale, a Perth, nel gennaio 1951, era la più grande di cinque fratelli. Nella prima parte di My Place, pubblicato nel 1987, la Morgan ricostruisce la propria vicenda autobiografica: la storia di una ragazzina la cui infanzia e fanciullezza furono accompagnate dalla presenza di due figure femminili, ossia la madre, Gladys Corunna8, e la nonna materna, Daisy Corunna9, intervenute a compensare la prematura perdita del padre, Bill Morgan.

In My Place, la vita dell’individuo diventa indissolubilmente legata a quella di una comunità e di un popolo: infatti, il racconto dell’esistenza della protagonista si intreccia alla life story dei suoi parenti, Arthur10, Gladys e, infine, Daisy Corunna, che cederà rispetto alla sua iniziale determinazione a non parlare.

L’altra autrice di cui ci occuperemo, Doris Pilkington/ Nugi Garimara, è nata nel nord dell’Australia occidentale, a Balfour Down Station, presso la comunità di Jigalong11, nel luglio del 1937. Nel suo libro Follow the Rabbit-Proof Fence, pubblicato nel 1996, la Pilkington racconta la fuga di sua madre, Molly, e delle sue due zie, Daisy e Grace, dal famigerato campo di reclusione Moore River Native Settlement,12 e del lungo, faticoso ed estenuante ritorno a piedi

dalle loro famiglie, alla stazione di Jigalong.

7 Nadia Fusini, “Prefazione” a La mia Australia di Sally Morgan, Bompiani, Milano 2011, p. VIII.

8 Qui Sally Morgan si rivolgerà alla madre chiamandola non per nome, ma semplicemente “Mum” o “Mummy”. 9 In My Place, i parenti si rivolgeranno a Daisy chiamandola sempre “Nan”.

10 Arthur Corunna è il fratello della nonna di Sally. Sarà il primo protagonista a voler realmente raccontare il suo

passato.

11 Remota comunità indigena australiana comprendente circa quattrocentoventisette persone, nell’Australia

occidentale.

12 Insediamento e campo di reclusione situato a nord di Perth, reso operativo dal governo dell’Australia occidentale

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7

La scrittrice, attraverso un linguaggio essenziale, incoraggia i lettori ad adottare un punto di vista non consueto o scontato. Difatti, le azioni narrate trascendono il mero susseguirsi degli avvenimenti per diventare rappresentazione tangibile dell’esperienza vissuta da bambine che arrivano a sperimentare la paura e la tristezza e non riescono a rinunciare a tornare nel loro “luogo”, che, come dice Nadia Fusini riferendosi al testo della Morgan, va

inteso non tanto come un’entità geografica e politica, quanto più semplicemente come l’identificazione nell’aperto dello spazio di un posto che è mio perché ci sto, ci sono nata, ci vivo e ci sono vissuta e mi ci trovo bene. E perciò e proprio il “mio posto”; il che significa – riconosco un’appartenenza. Delle radici mi radicano qui, proprio qui.13

Rosalie Fraser, nata a Mullewa Reserve nel dicembre 1958, è fra le tre scrittrici quella che, in The Shadow Child: A Memoir of the Stolen Generation (1998), ripercorre in modo più manifesto, senza titubanze ed attraverso un linguaggio diretto, tagliente e crudo, la propria vicenda autobiografica, partendo da quando, all’età di soli due anni, lei e i suoi fratelli vennero strappati alla loro famiglia dai funzionari del Child Welfare Department14, per essere portati alla Mount Lawley Receiving Home, a Perth:

The date was 13 March 1961, the place was Beverly, in Western Australia. On that day, my brothers and sisters Terry aged eight, Stuart aged six, Karen aged four-and-a-half, Beverly aged eight months, and myself, were all made Wards of the State through action taken by the Child Welfare Department of Western Australia […] we were taken from our parents and all sent to Perth.15

Credo non sia un caso che proprio la Fraser (l’ultima, cronologicamente parlando, tra le scrittrici prese in esame), abbia trovato il coraggio e la forza di raccontare la propria storia in prima persona. Attraverso le sue parole e le sue descrizioni, è riuscita a comunicare con efficacia tutte le sofferenze e gli abusi, di tipo sia fisico, sia psicologico, che ha dovuto subire a causa di una serie di politiche deviate, responsabili della lacerazione inferta alle Stolen Generations. Come scriverà nella Dedica del suo memoir:

I am dedicating this book to all mothers and fathers who, through past Government policies and practices, lost their children to the unknown, and to all the children who

13 Nadia Fusini, “Prefazione” a La mia Australiadi Sally Morgan, cit., p. VI.

14 Fondato nel 1927, il Child Welfare Department of Western Australia aveva il compito di togliere i bambini a

famiglie disagiate, per reinserirli all’interno di Children’s Homes oppure Foster’s Homes, tramite adozioni. Fino al 1972, aveva la responsabilità del controllo e della cura di tutti i bambini aborigeni da tenere sotto custodia.

15 Rosalie Fraser, The Shadow Child: A Memoir of the Stolen Generation, HALE&IREMONGER, Alexandria 1998,

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lost their identities […] that only those who have experienced a similar separation could begin to feel and understand the pain and loss. It’s almost like a death, you are made to feel like an orphan, but you know you aren’t. You’re too afraid to question, so you wonder in silence.16

La presente trattazione propone un itinerario che passa attraverso un iniziale excursus storico e sociale dell’Australia, in cui sarà delineata la storia del popolo aborigeno dopo la conquista inglese, per poi soffermarsi sull’analisi delle principali politiche governative che hanno preparato il terreno al vuoto delle “generazioni perdute”.

Dopo aver introdotto la storia del popolo indigeno, protagonista dei libri che ci si propone di analizzare, il lavoro fornirà su un quadro preliminare del genere autobiografico, del quale si esaminerà in breve lo sviluppo fino ad arrivare al concetto di life-writing, di cui si cercherà di delineare le caratteristiche principali anche in un’ottica di differenziazione rispetto ad un’autobiografia più tradizionale. Ancora più dettagliatamente, si cercherà di capire all’interno di quale genere si possano collocare i libri presi in esame.

Nel terzo capitolo si partirà da un interrogativo posto da Nadjia Zierott in Aboriginal Women’s Narratives: Reclaiming Identities, che valuta l’opportunità di avvicinarsi allo studio della letteratura aborigena attraverso i parametri della postcolonialità:

[this] seems to be the consensus among Indigenous intellectuals: “the term ‘postcolonialism’ implies that colonialism is a phenomenon that has been relegated to the history books”. We can see from this that the term ‘postcolonial’ is not unproblematic. Nevertheless, this term will be used for Australian Indigenous literature because up until now a more appropriate term has not been coined. 17

Dopo aver messo a fuoco le peculiarità per noi rilevanti degli scritti postcoloniali, in questo capitolo si tenterà di giustificare l’inserimento dei testi analizzati proprio all’interno di questo ambito letterario e culturale, mostrandone i tratti in comune e tenendo, comunque, in debita considerazione le obiezioni sollevate dalla critica stessa.

Verrà, poi, stabilita una connessione con lo studio del sociologo canadese Ervig Goffman e il suo saggio dal titolo Stigma: Notes on the Management of Spoiled Identities. Si cercherà di dimostrare come la Assimilation, e tutte quelle dinamiche sociali e politiche che hanno avuto come risultato le Stolen Generations, siano strettamente legate alle pratiche di subordinazione sociale della diversità.

16 Cfr. la “Dedication”, ivi.

17 Nadja Zierott, Aboriginal Women’s Narratives: Reclaiming Identities, Anglophone Literaturen, Piscataway 2005,

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Nel quarto capitolo, si ricostruirà la vita della prima autrice presa in esame, Sally Morgan, illustrando anche il suo macrotesto, per poi condurre uno studio della sua opera più incisiva, My Place, che rappresenta un passo verso un avvicinamento più esplicito al tema delle Stolen Generations. Emergerà, qui, l’importanza della presa di coscienza della propria “aboriginalità”, che avrebbe fatto maturare in lei la decisione di scrivere un libro, nel 1979, come climax di un percorso di riconoscimento interiore, comunitario e famigliare:

“I’m going to write a book” It was the beginning of 1979, a good time for resolutions. Mum looked shocked. “Another new scheme, eh?” she asked sarcastically. She was used to my wild ideas.

“Not just a scheme this time, Mum”, I said determinedly. “This time, I’m really going to do it”.18

Il capitolo successivo verterà sullo studio della seconda autrice aborigena, Doris Pilkington (pseudonimo di Nugi Garimara), con il suo libro Follow the Rabbit-Proof Fence. Anche qui verrà presentato il macrotesto dell’autrice, per poi mostrare come, proprio nell’opera citata sopra, emerga l’importanza di un atto narrativo inteso non come circoscritta storia del sé, ma come storia di una comunità. La vicenda è presentata al pubblico internazionale come un’opportunità per familiarizzare con la vera Storia e i veri costumi del popolo aborigeno. Infatti la Pilkington, tramite la dedica, chiarisce che questo libro si appella a “all of my mother’s and aunty’s children and their descendants for inspiration, encouragement and determination.”19 Il sesto capitolo sarà dedicato a Rosalie Fraser, che, con il suo The Shadow Child: A Memoir of the Stole Generation, già nella dedica utilizza parole forti come pain, loss e death, che fanno presagire la portata della sua vicenda autobiografica difficile e decisamente straziante. La Fraser, infatti, fin dalle prime pagine, catapulta il lettore in una realtà ardua da accettare, nel perimetro di un contesto duro e disumano, facilmente deducibile dal titolo di uno dei capitoli, “The Separation”:

It’s Christmas time in our home in Perth. We have all woken later than usual for Christmas Day, because the children are not little any more […] I cannot help relieving the pain and torment that I know was in my parent’s hearts when we were taken away from them on that day so long ago. No Christmas Days of shared love for them, nor for us, their children.20

18 Sally Morgan, My Place, Virago Press, London 1988, p. 150.

19 Doris Pilkington/Nugi Garimara, Follow the Rabbit-Proof Fence, University of Queensland Press, Queensland

1996.

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La conclusione del lavoro, evidenzierà come l’incontro fra la cultura europea e quella aborigena abbia, da un lato, “decimated numerous indigenous cultures in various ways including unspeakable genocides”21, ma dall’altro abbia dato alle generazioni odierne l’opportunità di leggere materiale scritto direttamente da autori indigeni, i quali hanno ricostruito la loro storia e quella delle loro famiglie, tramandata oralmente, usando una tecnica “importata” e capace di veicolare il loro messaggio verso grandi distanze, oltre i confini nazionali:

Aboriginals passed down their histories from generation to generation through their rich oral traditions. This oral traditions, tribal rituals, and art work served Australian Aboriginal well and promoted a kinship within their culture that survived for tens of thousands of years.22

Fino agli anni Settanta e Ottanta del Novecento, i soggetti non aborigeni, nel momento in cui si accostavano alla letteratura indigena, si trovavano di fronte a testi in qualche modo distanziati, prima di tutto perché presentavano in una forma scritta poco contestualizzata canzoni e miti appartenenti alla tradizione orale, e poi perché il ricorso ai dialetti nativi conviveva con la resa in lingua inglese. Nel periodo tra il 1970 e il 1980, alcuni scrittori aborigeni cominciarono invece ad adottare un inglese di “mediazione” aprendo una nuova strada:

[…] some began to express in what might be called Aboriginal English, an English that is different from standard English. It is formed in short, simple sentences, and it makes considerable use of repetition with variation. It also conveys a certain dignity—and rich sense of humour.23

Questi scritti hanno contribuito a sensibilizzare le coscienze e a promuovere un processo di riconciliazione ancora in atto.

21 AA.VV., A Companion to Australian Aboriginal Literature, cit., p. 3. 22 Ivi, p. 2.

23 Adrian C.W. Mitchell, “Australian literature” in Encyclopaedia Britannica, 30 giugno 2017,

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CAPITOLO PRIMO

Il popolo aborigeno australiano

1.1 La storia aborigena prima dell’ascesa della Regina Vittoria

Uno studio condotto da un gruppo internazionale di accademici con base all’Università di Cambridge24, in collaborazione con membri di varie comunità australiane, ha dimostrato, attraverso l’analisi del DNA, che gli aborigeni appartengono a quell’onda migratoria che lasciò l’Africa 72˙000 anni fa. Da questo gruppo, non appena raggiunta la zona corrispondente all’attuale Medio Oriente, si staccò una frangia che arrivò a Sahul, un continente preistorico che univa, in origine, la Nuova Guinea, l’Australia e la Tasmania. Queste tre regioni si separarono, a causa dell’aumento del livello del mare, approssimativamente 10˙000 anni più tardi e conseguentemente le popolazioni si divisero.

Il popolo aborigeno rimase quasi completamente isolato dal resto della popolazione mondiale. Si espanse, poi, all’interno del suo territorio, su una molteplicità di aree, adattandosi al clima ostile, talora estremo, che contraddistingue un continente vasto come questo: dal freddo clima del sud, al deserto caratterizzante la parte centrale, fino alle foreste tropicali del nord. Non è un caso, infatti, che i costumi e le usanze aborigeni siano al loro interno diversificati e imprescindibilmente legati al territorio di ogni singolo gruppo.

Prima della comparsa degli inglesi, ci furono contatti, intorno al 1400, con alcuni esploratori cinesi che arrivarono a toccare la zona settentrionale dell’Australia, come lascia ipotizzare il ritrovamento di alcune statuette Ming25, risalenti al quindicesimo secolo, scoperte proprio in queste zone. Inoltre, ci furono gruppi di pescatori indonesiani che, intorno alla metà del 1400, iniziarono a commerciare con alcune comunità aborigene, sempre nella parte nord dell’Australia.

Il primo popolo europeo che riuscì ad entrare in contatto con gli aborigeni furono gli olandesi. Agli inizi del 1600, Willem Jansz e l’equipaggio della Duyfluen, mentre stavano esplorando la

24 AA.VV, “A Genomic History of Aboriginal Australia”, Nature International Journal of Science, 13 October

2016, n.538, pp. 207-214, https://www.nature.com/articles/nature18299, [consultato il 15 ottobre 2017].

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costa occidentale di Cape York Peninsula, si imbatterono in “poor and abject wretches”26, come verrà poi riportato dall’olandese stesso. La seconda (e negativa) testimonianza diretta sul popolo aborigeno e la prima, cronologicamente parlando, risposta sul fronte inglese fu quella dell’esploratore William Dampier, che, nel 1688, li descrisse come “the miserablest people in the world”27.

Il 22 agosto 1770 il capitano inglese James Cook dichiarerà l’Australia e, più precisamente, la costa orientale, possedimento britannico, battezzandola New South Wales. Come riporta Louise E. Rorabacher, nell’introduzione al volume Aliens in their Land, Cook sarà il primo a superare lo scoglio di un’impressione immediata e a configurare questi nativi in sintonia con il futuro modello del “buon selvaggio”. James Cook sottolineò infatti che:

they may appear to some to be the most wretched people on earth but in reality they are far happier than we Europeans; being wholly unacquainted not only with the superfluous but with the necessary conveniences so much sought after in Europe, they are happy in not knowing the use of them. They live in tranquility which is not disturbed by the inequality of condition […]28

Il 13 maggio 1787 il capitano Arthur Phillip, con la sua First Fleet29 composta da undici imbarcazioni e circa millequattrocento passeggeri, partì da Portsmouth, nella contea dello Hampshire, sulla costa meridionale del Regno Unito. Il 19 gennaio 1788 giunse a Botany Bay ma, ritenendo il luogo inadeguato, decise di spostarsi e raggiunse così Port Jackson, il 26 gennaio dello stesso anno30. Arthur Phillip fu poi eletto Governatore del New South Wales e rimase in carica dal 1788 al 1792, periodo in cui questa zona costituì per l’Inghilterra la base di una colonia penale. Per gli uomini e le donne a bordo di quelle undici navi, lo sbarco coincise con la fine di un viaggio terribile, in cui quarantotto di loro erano morti a causa di maltrattamenti e per un’epidemia di scorbuto, mentre i sopravvissuti sarebbero dovuti rimanere in un continente sconosciuto come soggetti di un esperimento voluto da George III, nell’intento di fondare colonie australiane che non fossero costituite unicamente da deportati.

Poiché gli aborigeni non erano un popolo bellicoso né militarmente organizzato, quando provarono ad opporre resistenza, subirono numerose perdite. Dal canto loro, i colonizzatori iniziarono a chiamare gli indigeni natives, blackfellows e, più comunemente, Dark People,

26 AA.VV, Aliens in their Land: The Aborigine in the Australian Short Story, ed. by Louise E. Rorabacher, F.W.

Cheshire Publishing, Canberra 1968, p.3.

27 Ibidem. 28 Ibidem.

29 Espressione che, ancora oggi, rimanda direttamente alla spedizione di Arthur Phillip e ai suoi uomini. 30 Data tuttora celebrata come Australia Day, festa nazionale.

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oppure, in modo più colloquiale, abos o boongs. Il governatore Phillip, intorno alla fine del 1700, diede l’ordine di catturare diversi natives come atto preventivo intimidatorio31 e, nel novembre del 1789, fu fatto prigioniero un personaggio ricordato come “Bennelong”32 (ca. 1764-1813). Questo capo tribù divenne un elemento chiave nella politica coloniale del luogo, in quanto fu eletto come tramite ufficiale tra la popolazione indigena e gli inglesi. Insieme a Phillip, Bennelong partecipò a un viaggio diplomatico in Inghilterra, dove incontrò il re George III, cosicché il suo ruolo di interlocutore fu ulteriormente rafforzato. L’anglicizzazione e l’istruzione di Bennelong furono una mossa strategicamente importante. Attraverso le sue lettere, primo documento datato scritto in inglese da un aborigeno australiano, indirizzate a Mr. Phillip, abbiamo testimonianze sulla situazione dell’Australia di quel periodo. Si ritiene comunque che, probabilmente, le lettere fossero state dettate invece che scritte da Bennelong stesso (quella dello scrivano, nel Settecento, era una professione diffusa):

Sir, I am very well. I hope you are very well. I live at the Governor’s […] We have had muzzy doings; he speared me in the back, but I better now; […] Not me go to England no more. I am at home now. I hope Mrs Phillips is very well. You nurse me madam when I sick […] Madam, I want stockings, thank you madam. Send me two pair of stockings […] Sir send me you please some handkerchiefs for pocket. You please Sir send me some shoes. Two pair you please.

Bannelong.33

La voce aborigena di Bennelong sottende espressioni quali ad esempio “muzzy”, che si ritiene un errore di trascrizione della parola “murri”, ovvero “big” nella lingua di Sydney. Gli interessi degli indigeni, si riflettono nella richiesta di calzini, fazzoletti e scarpe, con un rimando alla pratica della reciprocità e dello scambio di oggetti e merci propria di tali popoli.

Nel maggio del 1790, Bennelong riuscì però a fuggire e a liberarsi dal contatto “forzato” con gli inglesi; ritornerà nella sua terra, a Sydney, nel settembre del 1795, reintegrandosi nella comunità d’origine.

La situazione dell’Australia, alla fine Settecento, venne ampliamente descritta anche dall’ufficiale della marina britannica Tench Watkin (1759-1833) in A Complete Account of the

31 Il Governatore Phillip mirava a vivere in pace con gli aborigeni e si prefisse lo scopo di civilizzarli. Nonostante

ciò, aveva sottratto loro le terre. Verso la fine del suo mandato si convinse inoltre che il rapporto con gli indigeni non poteva essere pacifico e cominciò ad ordinare ai suoi soldati di uccidere i nativi per tenerli lontani dagli insediamenti britannici.

32 Era il senior man degli Eora, una tribù Koori (indigeni del New South Wales e Victoria) dell’area di Port Jackson. 33 Cfr. Rita Metzenrath, The Bennelong Letter-Voice of a Wangal Diplomat, 21 August 2017,

https://www.aiatsis.gov.au/news-and-events/blog/bennelong-letter-voice-wangal-diplomat?platform=hootsuite, [consultato il 15 ottobre 2017].

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Settlement at Port Jackson, Including an Accurate Description of the Situation of the Colony; of the Natives; and of its Natural Production (London 1793):

Broken Bay, which was supposed to be completely explored, became again an object research.[…] Here they again wandered over piles of mis—shapen desolation, contemplating scenes of wild solitude, whose unvarying appearance renders them incapable of affording either novelty or gratification […] This river they described to be of considerable breadth, and of great depth; but its banks had hitherto presented nothing better than a counterpart of the rocks and precipices which surround Broken Bay […] The water in every part was found to be fresh and good[…] All parties, however, agreed, that the rocky, impenetrable country, seen on the first excursion, had ended nearly about the place whence the boats had then turned back. Close to the fall stands a very beautiful hill, which our adventurers mounted, and enjoyed from it an extensive prospect. Potatoes, maize, and garden seeds of various kinds were put into the earth, by the governor's order, on different parts of Richmond-hill, which was announced to be its name […] Here also the river received the name of Hawkesbury, in honour of the noble lord who bears that title. Natives were found on the banks in several parts, many of whom were labouring under the small-pox. They did not attempt to commit hostilities against the boats; but on the contrary shewed every sign of welcome and friendship to the strangers. 34

Con il passare dei decenni, alcuni popoli indigeni iniziarono ad opporsi alle pesanti ingerenze dei colonizzatori; tra questi, i Darug35 si impegnarono in una resistenza che durò più di dodici anni. Il 1800 si aprì dunque con una serie di Killing Wars che portarono al decesso di più di diecimila nativi; parallelamente, gli aborigeni iniziarono ad essere trasferiti in mission stations36, stazioni che potevano essere controllate sia dall’organo della Chiesa, sia dal Governo e, in alcuni casi, da entrambe le istituzioni. In questi luoghi prese forma una sorta di “civilizzazione” basata sull’apprendimento dei principi fondamentali della cultura europea e del credo cristiano. Come più volte conferma lo sviluppo della storia coloniale, gli europei si attivarono per diffondere il proprio patrimonio culturale a discapito delle usanze, delle origini e della religione degli aborigeni.

Approssimativamente tra il 1828 e il 1832, nella Van Diemen’s Land37, terra finalizzata dai colonizzatori ad ospitare una colonia penale, ebbero luogo gli scontri più catastrofici a noi noti tra i coloni britannici e i nativi tasmaniani. L’isola fu segnata da una serie di conflitti, confluenti

34 Tench Watkin, A Complete Account of the Settlement at Port Jackson, Including an Accurate Description of the

Situation of the Colony; of the Natives; and of its Natural Production, University of Sydney Library, Sydney 1998,

pp. 23-24.

35 Comunità aborigena che era insediata nella zona corrispondente all’odierna Sydney.

36 Nonostante molte stazioni fossero state chiuse, esse rimasero un’istituzione per tutta la nazione per più di

centocinquant’anni.

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nella cosiddetta Black War38, in cui perirono migliaia di aborigeni. Mentre i loro attacchi erano sferrati soprattutto alla luce del giorno con una serie di pugnali, pietre, lance e con i waddy39 utilizzati per mutilare il nemico, uccidere il bestiame e le sue provviste, gli attacchi dei bianchi avvenivano in genere di notte e con armi decisamente più efficaci e all’avanguardia.

Contemporaneamente, nella costa sud-occidentale dell’Australia, intorno al 1831, un gruppo di aborigeni capitanati da un uomo della tribù Noongar, Yagan40, si coalizzò in una resistenza

che durò tre anni fino a quando, nel 1833, il loro capo non venne ucciso e la sua testa portata in Inghilterra per essere esposta in un museo a Liverpool come oggetto di interesse antropologico. La sua esecuzione sarebbe divenuta simbolo delle ingiustizie, delle sopraffazioni e delle violenze subite dai nativi australiani da parte dei colonizzatori bianchi.

Come scrive Jon Woronoff nella prefazione a Historical Dictionary of Australian Aborigines:

By the late 19th century, it appeared the Aborigines were destined to become extinct,

which to some extent accounts for the confused British-Australian official policies that wavered between assimilation and segregation.41

1.2 Dalla Protection Policy alla Assimilation

It is not to be doubted that this country has been invested with wealth and power, with arts and knowledge, with the sway of distant lands and the mastery of restless waters for some great purpose in the government of the world. Can we suppose otherwise than that it is our office to carry civilization and humanity, peace and good government, and above all the knowledge of the true God, to the uttermost ends of the earth?42

Il diciannovesimo secolo rappresentò per la Gran Bretagna non soltanto un periodo di importanti espansioni coloniali ma anche una fase contraddistinta da una serie di considerevoli riforme sociali, in alcuni casi estese ai possedimenti d’oltremare.

38 Il nome venne coniato nel 1835 dal giornalista australiano Henry Melville, anche se attualmente si ritiene più

appropriato utilizzare il termine Tasmanian Wars.

39 Tipica arma aborigena; è una sorta di bastone pesante ricavato dal lavorato del legno.

40 Esattamente 177 anni dopo, nel luglio del 2010, la testa di Yagan venne bruciata secondo la cerimonia aborigena

tradizionale nella Swan Valley.

41 Cfr. Mitchell Rolls and Murray Johnson, Historical Dictionary of Australian Aborigines, Scarecrow Press,

Plymouth 2011, p. vii.

42 British Parliamentary Papers, “Report of the Select Committee on Aborigines”, 1837, in Report from His

Majesty's Commission for Inquiring into the Administration and Practical Operation of the Poor Laws, vol. 27, n.44

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In Australia, i natives, non essendo cittadini britannici a pieno titolo, venivano automaticamente esclusi dall’attribuzione dei diritti di cittadinanza. Nonostante ciò, alcuni tra i primi governatori cercarono di estendere agli aborigeni l’applicazione di una serie di leggi vigenti per gli inglesi; fu, in particolare, il Governatore MacQuarie43 che cercò di introdurre in Australia le leggi contro l’abuso della violenza. Il 4 maggio 1816, su The Sydney Gazette, and New South Wales Advertiser, egli si dichiarò a favore di rapporti interetnici che si fondassero sulla protezione e l’assistenza, anziché su criteri severamente punitivi:

The GOVERNOR, however, having thus fulfilled an imperious and necessary Public Duty, in prohibiting the Black Natives from carrying or using offensive Weapons […] considers it equally a Part of his Public Duty, as a Counter – balance for the Restriction of not allowing them to go about the Country armed, to afford the Black Natives such Means as are within his Power to enable them to obtain an honest and comfortable Subsistence by their own Labour and Industry. His EXCELLENCY therefore hereby proclaims and makes known to them, that He shall always be willing and ready to grant small Portions of Land […] to such of them as are inclined to become regular Settlers, and such occasional Assistance from Government as may enable them to cultivate their Farms: – Namely:

[…] That they shall be furnished with the necessary Agricultural Tools; and also, with Wheat, Maize, and Potatoes for Seed […]44

MacQuarie provò, inoltre, a dare l’avvio a un’opera di “civilizzazione” fondando una scuola a Parramatta e riservando ai nativi una parte di terra lungo le rive di Port Jackson. Questi primi tentativi di “protezione” degli aborigeni non ebbero però un grande successo, soprattutto perché essi mantennero il loro stile di vita, rimanendo nelle vicinanze di Parramatta e di strutture analoghe, principalmente per ricevere beni di sussistenza primaria, come coperte e razioni di cibo.

Il 14 agosto 1834, in Inghilterra, venne pubblicato il Poor Law Amendment Act- An Act for the Amendment and Better Administration of the Laws Relating to the Poor in England and Wales, in base al quale il supporto assistenziale veniva riservato solo a quanti erano ritenuti “poveri meritevoli o disperati”. Nel 1836 la House of Commons nominò un Select Committee on Aborigines, il cui rapporto sarebbe partito dalle basi del Poor Law Amendament Act. Ambedue le normative cercavano di definire i modi più adeguati per trattare con strati della popolazione

43 Lachlan MacQuarie governò il New South Wales dal 1810 al 1821.

44 Governor Lachlan Macquarie, The Sydney Gazette, and New South Wales Advertiser, 4 May 1816, vol. 14 n. 60,

https://trove.nla.gov.au/newspaper/article/2176637, [consultato il 16 ottobre 2017]. Si noti, tuttavia, come nelle parole usate dal Governatore emerga in modo chiaro la condanna nei confronti delle “barbarie” e della violenza connaturata ai nativi stessi.

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gravitanti all’esterno delle strutture economiche codificate e che avrebbero potuto fomentare il disordine. Le politiche riguardanti i nativi stabilivano le seguenti priorità:

• to bring ‘outsiders’, whether the poor or aboriginals, within the established institutions of British society and, particularly, the wage economy

• the appointment of protectors (who could provide aboriginal people with a restricted status under the law and subject them to summary discipline) and of ‘overseers’ (who could do the same for paupers)

• a special recognition for the situation of children, who were considered particularly open to change, education and salvation

• a special recognition for the elderly for whom change seemed unlikely • an obligation to provide orderly reports on the progress of the administration

and the welfare of aboriginal peoples and/or paupers.45

Questi principi vennero introdotti in maniera graduale e rappresentarono, per molto tempo, un punto di riferimento per la regolamentazione del rapporto fra i bianchi e i natives.

Nel 1837 venne pubblicato il Report of the Parliamentary Select Committee on Aboriginal Tribes, la cui prefazione conteneva chiari riferimenti ai metodi coercitivi, ingiusti e crudeli, che erano stati applicati nei confronti degli aborigeni:

It appears that not a single native now remains on Van Diemen’s Land. Thus nearly, has the event been accomplished which was thus predicted and deprecated by Sir G. Murray: “The great decrease which has of late years taken place in the amount of the Aboriginal population, rendered it not unreasonable to apprehend that the whole race of these people may, at no distant period, become extinct. But with whatever feelings such an event may be looked forward to by those of the settlers who have been suffered by the collisions which have taken place, it is impossible not to contemplate such a result of our occupation of the island as one very difficult to be reconciled with feelings of humanity, or even with principles of justice and sound policy; and with the adoption of any line of conduct, having for its avowed, or for its secret object, the extinction of the Native race, could not fail to leave an indelible stain upon the character of the British Government.”46

Per questo motivo, dallo stesso anno, il Select Committee iniziò a tenere sotto controllo il trattamento dei nativi nominando i Protectors of Aborigines. Venne stabilito che ciascun Protector dovesse rimanere in stretto contatto con le tribù aborigene di sua competenza e accompagnarle nei loro movimenti migratori, cercando al contempo di indurle ad assumere uno stile di vita più stanziale. Il suo comportamento doveva ispirare un senso di rispetto e fiducia, in

45 Andrew Armitage, Comparing the Policy of Aboriginal Assimilation: Australia, Canada, New Zealand, UBC

Press, Vancouver 1995, p.17.

46 Van Diemen’s Land, Report of the Parliamentary Select Committee on Aboriginal Tribes, House of Commons,

Parliament, Great Britan, 1837, pp. 14-15, https://archive.org/stream/reportparliamen00britgoog#page/n32/mode/2up, [consultato il 18 ottobre 2017].

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modo che i nativi lo percepissero come un alleato. Questo tutore doveva proteggere i loro diritti e prevenire atti di crudeltà, oppressione o ingiustizia. Se gli aborigeni decidevano di stabilirsi in un luogo particolare, il Protector doveva insegnare loro i metodi per la coltivazione della terra, incoraggiarli a costruirsi un’abitazione adeguata e promuovere forme di civilizzazione ed emancipazione sociale. Il suo compito era inoltre imparare il prima possibile la lingua dei nativi, in modo da ricavare informazioni dettagliate sul numero degli abitanti del suo distretto e su tutte le questioni di primaria importanza. L’educazione dei bambini era considerata un altro elemento fondamentale; ogni English Protector doveva insegnare ai bambini i primi rudimenti della religione cristiana. La politica sulla protezione degli aborigeni segnò dunque anche un nuovo e incisivo coinvolgimento della Chiesa, soprattutto in seno alle comunità dell’Aboriginal and Torres Strait Islander.

I Protectors e i missionari lavorarono diligentemente e cercarono di adempiere al proprio compito riguardante la protezione dei nativi, “ancorandoli” a villaggi e protettorati. D’altro canto queste comunità, costrette ad adottare uno stile di vita non confacente ai loro costumi, vennero sopraffatte dalla melanconia e da un senso di impotenza che sfociò in attacchi violenza e abuso di alcol. I select committees emanarono regolamenti che cercarono di limitare questi problemi, proibendo l’uso di alcol e armi da fuoco. Il 1° agosto 1844, nell’Australia occidentale, venne inoltre emanato un atto “to prevent the enticing away the Girls of the Aboriginal race from School, or from any service in which they are employed”47, che stabiliva per:

Any person convicted of having enticed any girl of the Aboriginal race from school, or from service, to forfeit a sum not exceeding £2 for the first offence, and £5 for the second or any subsequent offence. 48

Gli atti legislativi che meglio ottemperarono ai principi del Select Committee della House of Commons sarebbero stati emanati a Victoria l’11 novembre 1869. Le autorità estesero alla popolazione nativa nel suo complesso l’Aboriginal Protection Act, che ne prevedeva un totale controllo, compreso l’esercizio della potestà sulla crescita e l’istruzione dei figli, sui loro matrimoni, sul lavoro e sulla residenza:

47 An Act to prevent the enticing away the Girls of the Aboriginal race from School, or from any service in which

they are employed, 1° agosto 1844, n. 6, http://aiatsis.gov.au/sites/default/files/catalogue_resources/52767.pdf, [consultato il 18 ottobre 2017].

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It shall be lawful for the Governor from time to time to make regulations and orders for any of the purposes hereinafter mentioned, and at any time to rescind or alter such regulations (that is to say):

(I.) For prescribing the place where any aboriginal or any tribe of aborigines shall reside.

(II.) For prescribing the terms on which contracts for and on behalf of aboriginals may be made with Europeans, and upon which certificates may be granted to aboriginals who may be able and willing to earn a living by their own exertions. (III.) For apportioning amongst aboriginals the earnings of aboriginals under any contract, or where aboriginals are located on a reserve, the net produce of the labor of such aboriginals.

(IV.) For the distribution and expenditure of moneys [sic] granted by Parliament for the benefit of aborigines.

(V.) For the care custody and education of the children of aborigines.

(VI.) For prescribing the mode of transacting the business of and the duties generally of the board or any local committee hereinafter mentioned and of the officers appointed hereunder.49

Sulla scia di questo decreto, nel 1886 a Victoria e nell’Australia occidentale vennero emanati gli Half-Caste Acts, che concessero alle autorità locali il permesso di allontanare, anche con l’uso della forza, gli half-caste children dalle loro famiglie per iniziare un processo di assimilazione nella società bianca:

The Board may if it thinks fit from time to time license any half-castes to reside and be maintained upon any place or any of the places now or hereafter to be prescribed by the Governor as the place or places where any aboriginal or any tribe of aboriginals shall reside, and such licence may at any time withdraw, and when withdrawal may renew; and so long as any such licence remains in force the provisions of this Act relating to half-castes shall cease to apply to the half-caste holding the same.50

Il termine half-caste venne utilizzato per indicare tutti quei bambini nelle cui vene scorreva almeno il 25% di sangue aborigeno. Il Governo decise di “convertire” proprio questa tipologia di soggetti perché riteneva fossero, per natura, più predisposti a recepire e far propri gli usi e i costumi europei.

Queste leggi limitarono, inoltre, le sovvenzioni del Governo britannico alle popolazioni native australiane, e il numero degli aborigeni, già nel 1888, era sceso a 80˙000 rispetto ai 220˙000 delle stime precedenti.

49 Aboriginal Protection Act, Victoria, 11 novembre 1869, n.3[49],

https://www.foundingdocs.gov.au/resources/transcripts/vic7i_doc_1869.pdf, [consultato il 18 ottobre 2017].

50An Act to Provide the Protection and Management of the Aboriginal Natives of Victoria, Victoria, 16 dicembre

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L’Australia divenne una nazione indipendente il 1° gennaio 1901, quando il Parlamento britannico emanò una legge che concedeva alle sei colonie coinvolte il potere di governarsi come parte del Commonwealth of Australia. La nazione si costituì come monarchia costituzionale che riconosceva come Capo di Stato la regina Vittoria. Il 23 dicembre dello stesso anno venne emanato l’Immigration Restriction Act, che riportava come intestazione “An act to place certain restrictions on Immigration and to provide for the removal from the Commonwealth of prohibited Immigrants”51.

La legge che ebbe l’impatto più significativo sulle popolazioni aborigene dell’Australia occidentale fu quella emanata il 23 dicembre 1905, che entrò in vigore l’aprile dell’anno successivo. Si trattava dell’Aborigines Act52, che previde un maggiore controllo sui natives attraverso la presenza di un Chief Protector of Aborigines, nominato dal Governatore e che avrebbe agito da tutore legale dei bambini aborigeni, sia full-blood che half-caste, fino all’età di sedici anni (“the Chief Protector shall be the legal guardian of every aboriginal and half-caste child until such child attains the age of sixteen years”)53. Questa figura, inoltre, poteva concedere o negare alle donne aborigene il permesso di sposare un uomo non aborigeno: “no marriage of a female aboriginal with any person other than an aboriginal shall be celebrated without the permission, in writing, of the Chief Protector”54. Il Protector poteva poi gestire le proprietà dei nativi senza un loro permesso formale: “the Chief Protector may undertake the general care, protection, and management of the property of any aboriginal or half-caste”55. Il

Governatore poteva, a sua discrezione, dichiarare un determinato luogo “riserva aborigena”, oppure trasferire i nativi da una riserva ad un’altra:

The Governor may, by proclamation, -

(1.) Declare any Crown lands to be reserves for aborigines, not exceeding in any one magisterial district an area of two thousand acres;

(2.) Alter the boundaries of reserve; (3.) Abolish a reserve. […]

The Minister may cause any aboriginal to be removed to and kept within the boundaries of reserve, or to be removed from one reserve or district to another reserve or district, and kept therein. Any aboriginal who shall refuse to be so removed to or kept within such reserve or district shall be guilty of an offence against this Act.56

51 Immigration Restriction Act, 23 dicembre 1901, n. 17,

https://www.foundingdocs.gov.au/resources/transcripts/cth4ii_doc_1901a.pdf, [consultato il 20 ottobre 2017].

52L’Aborigines Act verrà abrogato dal Native Welfare il 1° luglio 1964.

53Aborigines Act, 23 dicembre 1905, n. 14, http://aiatsis.gov.au/sites/default/files/catalogue_resources/52790.pdf,

[consultato il 20 ottobre 2017].

54 Ibidem. 55 Ibidem. 56 Ibidem.

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A norma di questi articoli, il Governatore poteva dichiarare virtualmente qualsiasi area come luogo proibito ai nativi. Tali proibizioni vennero applicate non solo a città di provincia, ma anche a Perth; il 18 marzo 1927, il Governatore dell’Australia occidentale, sulla base della legge del 1905, dichiarò infatti la città di Perth “luogo proibito” agli aborigeni. Questa decisione ebbe un effetto negativo soprattutto sui Noongar57, che vivevano e lavoravano in questo luogo.

Nonostante il Defence Act del 1909 non prevedesse l’arruolamento dei nativi in guerra, nel 1914 gli aborigeni militarono nell’esercito australiano. La prima guerra mondiale ebbe effetti devastanti per l’Australia; si stima che siano morti circa 60˙000 soldati e i feriti furono decine di migliaia. Per quanto riguarda la popolazione aborigena, le stime del 1920 parlano di 60/70˙000 nativi presenti sul territorio, un numero esiguo mai registrato prima.

1.3 Dalla Assimilation alla Integration

L’entità della popolazione indigena subì un calo vertiginoso intorno alla metà del 1900, a causa non solo della guerra, ma soprattutto delle restrizioni, delle malattie e delle espropriazioni che furono il risultato della politica di colonizzazione. In nome delle Protection Policies, molti natives persero le loro radici culturali, la famiglia, la terra e l’indipendenza. Durante la prima metà del ventesimo secolo, il Governo australiano cercò in sostanza di consolidare una cultura unica, uniforme e di stampo occidentale, attraverso politiche di “assimilazione” che ebbero effetti devastanti sulle comunità indigene.

Nell’agosto del 1936, durante la Premiers Conference tenuta ad Adelaide, fu programmata la costituzione di “a Conference of Chief Protectors and Boards controlling aborigines in the States and in the Northern Territory”58. Come effetto di tale decisione, dal 21 al 23 aprile 1937 fu convocata l’Initial Conference of Commonwealth and State Aboriginal Authorities, alla Parliament House di Canberra, dove vennero illustrate le linee guida dell’Assimilation. Nel discorso di apertura, si sottolineò l’importanza di questo convegno:

57 Tribù aborigena che tradizionalmente abitava la regione situata tra la Jurien Bay e la costa meridionale

dell’Australia occidentale.

58 Initial Conference of Commonwealth and State Aboriginal Authorities, House of Parliament, Canberra, dal 21 al

23 aprile 1937, p. 3, http://nla.gov.au/nla.obj-52771316/view?partId=nla.obj-88456768#page/n0/mode/1up, [consultato il 20 ottobre 2017].

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This Conference is an epoch-making event. It is the first conference of all the governmental authorities in Australia controlling natives. The public has taken the greatest interest in this meeting, and some decisions of concrete nature are expected to result from your deliberation.59

Durante questa assemblea venne deliberato che, per quanto possibile, ci dovesse essere un criterio di uniformità legislativa sulle questioni riguardanti gli aborigeni nei vari stati dell’Australia:

That the details of administration, in accordance with the general principles agreed upon, be left to the individual States but there shall be uniformity of legislation as far as possible.60

Fu deciso di allontanarsi dalle politiche protezionistiche, per muoversi verso una sorta di differente “assimilazione” che doveva riguardare tutti i nativi, ad eccezione dei full-blood, sui quali gravava evidentemente un processo di estinzione naturale, visto il loro numero esiguo:

That this Conference believes that the destiny of the natives of aboriginal origin, but not of the full blood, lies in their ultimate absorption by the people of the Commonwealth and it therefore recommends that all efforts be directed to that end.61

La commissione decretò che l’assimilazione dovesse passare attraverso l’istruzione e l’inserimento nel mondo del lavoro. La domanda che i partecipanti si posero fu se gli half-castes avessero le stesse potenzialità dei bianchi e Dr. Cook, uno dei membri, riferendosi alla sua esperienza nel Northern Territory, affermò che:

In the Northern Territory, we have found that, given equal chances, the average half-cast is not inferior in mental ability to the average white child. It is true that the percentage of children of outstanding ability may be higher among the whites, but the half-caste has sufficient intelligence to give him the right to demand equal opportunity. In the past, we also had a special syllabus which brought the half-castes up to the standard of white children of about twelve years of age, but experience has shown us that they are capable of going beyond that.62

Sulla base di questa dichiarazione, la Conferenza stabilì che:

59 Ivi, p. 5. 60 Ivi, p. 3. 61 Ivi, p. 21. 62 Ibidem.

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[the] efforts of all State authorities should be directed towards the education of children of mixed aboriginal blood at white standards, and their subsequent employment under the same conditions as whites with a view to their taking their place in the white community on an equal footing with the whites.63

Nello stesso anno, gli attivisti William Ferguson64 e Jack Patten65 fondarono l’Aboriginal Progressive Association, una confederazione che aveva legami con l’Australian Aborigines League66 di Victoria, membro dell’Australian Aborigines Progressive Association67.

L’anno seguente, il 26 gennaio 1938, a Sydney, in risposta allo scioglimento del Parliamentary Select Committee e alla celebrazione del Sesquicentenary of European Invasion68, Ferguson, Patten e l’Australian Aborigines League organizzarono una protesta che passò alla storia come Day of Mourning. Per la conferenza, si assicurarono l’Australian Hall, in Elizabeth Street, dalle dieci del mattino alle cinque del pomeriggio. L’accesso venne concesso solo ai nativi, e il volantino che pubblicizzava la giornata recitava:

WE, representing THE ABORIGINES OF AUSTRALIA, assembled in Conference at the Australian Hall, Sydney, on the 26th day of January, 1938, this being the 150th

Anniversary of the whitemen’s seizure of our country, HEREBY MAKE PROTEST against the callous treatment of our people by the whitemen during the past 150 years, and WE APPEAL to the Australian Nation of today to make new laws for the education and care of Aborigines, and we ask for a new policy which will raise our people to FULL CITIZEN STATUS and EQUALITY WITHIN THE COMMUNITY. Aborigines and Persons of Aboriginal Blood only are invited to attend. Please come if you can!69

Alla fine del 1938, l’organizzazione si divise in due fazioni capeggiate da una parte da Patten e dall’altra da Ferguson, ma, nonostante ciò, i capofila continuarono a lavorare insieme per

63 Ivi, p. 3.

64 William Ferguson (1882-1950) fu un sindacalista e politico australiano indigeno. Fondò l’Aboriginal Progressive

Association nel 1937 e fu membro dell’Aborigines Welfare Board dal 1944 al 1949.

65 John Thomas Patten (1905-1957), conosciuto come Jack Patten, fu un attivista per i diritti civili degli aborigeni

australiani e giornalista. Fu il presidente dell’Aboriginal Progressive Association.

66 Fondata nel 1934 a Melbourne. Il suo maggior esponente, William Cooper, provò a lanciare una petizione rivolta

a George V in cui si chiedeva l’inserimento di membri aborigeni all’interno del Parlamento australiano. Raccolsero 1814 firme, nonostante Cooper stesso credesse che i nativi sarebbero stati troppo intimoriti per firmarla.

67 Fondata nell’aprile 1925. Fred Maynard, il presidente dell’associazione, si ispirò ai black activists statunitensi. La

loro prima istanza fu chiedere la restituzione delle terre ai loro legittimi proprietari aborigeni, soprattutto perché molti tra gli attivisti dell’associazione le avevano perse come conseguenza delle prescrizioni introdotte con l’atto del 1883. Portarono avanti una campagna contro l’allontanamento sistematico dei bambini aborigeni dalle loro famiglie. Infine, avrebbero voluto che l’Aborigines Protection Board del New South Wales venisse sostituito da un’organizzazione controllata direttamente da aborigeni.

68 Celebrazione dell’Australia Day, che commemora i 150 anni dall’arrivo degli inglesi sul continente australiano. 69 J.T. Patten e W. Ferguson, “Aborigines Claim Citizen Rights: A Statement of the Case for the Aborigines

Progressive Association”, The Publicist, Sydney 1938, p. 12, http://nla.gov.au/nla.obj-241787110/view?partId=nla.obj-241788570#page/n11/mode/1up, [consultato il 21 ottobre 2017].

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l’abolizione dell’Aborigines Protection Act del 1909, sostenendo un programma di integrazione dei natives all’interno della società bianca.

Gli anni successivi alla seconda guerra mondiale, che aveva portato all’ulteriore perdita di circa tremila aborigeni, videro una rinascita dell’Australia dal punto di vista economico, politico e sociale, insieme ad un altissimo incremento dell’immigrazione. Di fronte a questo enorme flusso migratorio che investì il continente, a partire dal 1947, il Governo iniziò ad interrogarsi più seriamente riguardo a problematiche delicate ed importanti come, ad esempio, il concetto di citizenship. Si valutò di estendere e riconoscere la cittadinanza anche a coloro che, nonostante fossero stati i primi abitanti di questo continente, continuavano a rimanere relegati ai margini, in una condizione di inferiorità politica e sociale:

Eppure, l’estrema complessità di questo problema è amplificata dal fatto che gli unici veri australiani continuano a non avere diritti, anzi, rimangono delle «non persone», dimenticate e abbandonate, per di più da educare e civilizzare. È un paradosso all’interno di una situazione paradossale: nel mezzo del brulichio di etnie, gli aborigeni sono a loro volta sottoposti alla politica dell’assimilazione, devono essere «australianizzati», devono conquistarsi il diritto di essere considerati cittadini della terra da loro abitata per millenni prima dell’arrivo degli inglesi.70

Il 21 dicembre 1948, venne emanato un atto noto come British Nationality and Australian Citizenship, che stabiliva i criteri per cui un soggetto poteva definirsi “cittadino australiano”. Prima di tale data, il concetto di cittadinanza australiana come categoria legale non esisteva (veniva usato, invece, il termine British subjecthood). I criteri del caso vennero applicati anche agli aborigeni:

A person born in Australia after the commencement of this Act shall be an Australian citizen by birth […] A person born outside Australia after the commencement of this Act will be an Australian citizen by descent if—

(a) At the time of the birth—

(i) His father was an Australian citizen; or

(ii) In the case of person born out of the wedlock, his mother was an Australian citizen or a British subject ordinarily resident in Australia or New Guinea; and

(b) The birth is registered at an Australian consulate […]71

70 Francesca Giusti, Vincenzo Sommella e Santa Cigliano, Storia dell’Oceania: l’ultimo Continente, Donzelli

Editore, Roma 2009, p. 188.

71 An Act Relating to British Nationality and Australian Citizenship, 21 dicembre 1948, n.83,

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Bisogna dire però che, nella pratica, non cambiò molto, e che i natives rimasero nella condizione di reclamare i loro diritti, tant’è che, durante gli anni Cinquanta e Sessanta, fu costantemente applicata la politica della separazione dei figli dalle loro famiglie, al fine di essere “australianizzati” ed educati all’interno della cultura bianca. La definizione di Assimilation coincise dunque con il decidere che tutte le persone di sangue aborigeno o misto dovessero vivere esattamente come gli australiani bianchi. Al di là di premesse che suonarono democratiche e liberali, vennero a costituirsi delle “riserve” e degli insediamenti che avrebbero dovuto ospitare, educare e civilizzare gli aborigeni “indisciplinati”. La discriminazione continuò a serpeggiare; ad esempio il Social Services Act, del 1959, estendeva i benefici della maternità e delle pensioni anche alla popolazione aborigena, ma aveva una sezione in cui si dichiarava che:

An Aboriginal native of Australia who follows a mode of life that is, in the opinion of the Director-General, nomadic or primitive is not entitled to a pension, allowance, endowment, or benefit under this Act.72

Il fatto che il destino del popolo aborigeno continuasse a far capo al Governo venne ribadito anche il 20 aprile del 1961, quando, durante i Parliamentary Debates, si affermò che:

The policy of assimilation, in the view of all Australian governments, means that all aborigines and part aborigines are expected eventually to attain the same manner of living as other Australians and to live as members of a single Australian community enjoying the same rights and privileges, accepting the same responsibilities, observing the same customs and influenced by the same beliefs, hopes and loyalties as other Australians.73

L’anno successivo, il 21 maggio 1962, fu finalmente emanato il Commonwealth Electoral Act, che sostituiva il Commonwealth Electoral Act del 1918 e concedeva il diritto di voto agli aborigeni di tutti gli stati e territori attraverso l’integrazione, fra le altre, della sezione 156 e l’inserimento, dopo il paragrafo (a), di una dicitura riguardante “any enrolment, or refraining from enrolment, as an elector by an aboriginal native of Australia […]”74. Lo scopo di tale

decreto fu, infatti, “to give to Aboriginal Natives of Australia the right to Enrol and to Vote as Electors of the Commonwealth”75.

72 Social Services Act, 1959, n. 57, http://www7.austlii.edu.au/cgi-bin/viewtoc/au/legis/cth/num_act/1959.

73 Commonwealth of Australia, Parliamentary Debates, House of Representatives, 20 aprile 1961, p.1051,

http://historichansard.net/hofreps/1961/19610420_reps_23_hor30/, [consultato il 21 ottobre 2017].

74 Commonwealth Electoral Act, 21 maggio 1962, n. 31, https://www.legislation.gov.au/Details/C1962A00031,

[consultato il 21 ottobre 2017].

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