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7 – Apprensione della res e momento primo intenzionale

Le definizioni scotiste di intenzionalità e di medium permettono di stabilire il significato di prima intentio. Il filosofo britannico utilizza la nozione di intenzionalità prima per mostrare le condizioni di possibilità di conoscenza del mondo sensibile da parte dell’intelletto del soggetto senziente.

149 Ibidem.

150 Bisogna porre attenzione alla funzione della congiunzione sed, da interpretare, in questo

specifico caso, nel suo significato di ‘altresì’, ‘per di più’, per rafforzare il concetto di ‘non necessità’ del medium, espresso nella proposizione precedente.

Come si è visto nei paragrafi dedicati alla conoscenza delle res per mezzo dei cinque sensi, il concetto di prima intentio non può in alcun modo essere espresso attraverso una definizione, in quanto non si propone come azione determinata, ma come atto. La prima intentio può essere definita come un processo della ragione umana che rende conoscibile l’oggetto esistente nel mondo. Per questo la si può definire come un actus simplex, poiché rende possibile l’apprensione del sensibile da parte dell’intelletto senza che, però, quest’ultimo formi su di esso un qualche concetto più o meno universale.

Inoltre, dal momento che la prima intentio si configura come un atto dell’intelletto che conosce, essa è una relatio rationis. Essa intrattiene con l’oggetto conosciuto per actus simplex una relazione che si dà nella ragione. Il momento primo-intenzionale di conoscenza ha, come punto di partenza, sempre l’oggetto sensibile, ma si realizza pienamente all’interno dell’intelletto del soggetto senziente151.

Dato che la prima intentio si definisce come actus simplex, la relazione di ragione che l’intentio definisce si limiterà solo alla res appresa, escludendo ogni possibile tipo di relazione intrattenuta dalla res con altre sue simili. Scoto per chiarire questa tesi prende ad esempio la res ‘persona’: nella distinctio 23 del primo libro dell’Ordinatio, cercando di definire la nozione di Persona nella Trinità, sostiene che:

persona […] non dicit relationem rationis, et praecipue non dicit relationem pertinentem ad actum intellectus comparantis. Quod autem non dicat aliquam relationem rationis videtur, quia tunc saltem necessario coexigeret correlativum ad quod refertur, quia impossibile est intendere relationem et non esse ad aliquem terminum et correlativum, ut species respicit genus pro suo correlativo, et particulare universale et sic de aliis; patet de

151 Ciò dimostrerebbe che è nell’intelletto che si realizza l’intero processo di conoscenza e il suo

primo momento è rappresentato dalla prima intentio. Cfr., a questo proposito, la chiarificazione di S. Swiesawski: «l’intention désigne la forme (forme veut dire ici l’essence) de l’objet de l’acte rationnel, et que cette forme est différente selon les différents actes. Ainsi les formes des objects des actes simples sont des intentions premières, et les formes des objects des actes comparatifs sont des intentions secondes. Dans l’object de l’acte simple (intention premiére), cette forme est absolue, non relative». (Stefan Swiezawski, Les intentions premières et les intentions secondes

chez Jean Duns Scot, «Archive d’histoire doctrinale et littéraire du moyen age, dirigèe par Étienne

idea quae est relatio rationis nec potest intendi nisi respectu alterius, persona autem non dicitur alicuius personae vel saltem non dicit extremum intellectus conferentis.152

Il concetto di persona, espresso sia sul piano teologico che su quello metafisico, non ammette alcun tipo di correlativo, dal momento che esprime solamente una relazione di ragione attraverso la quale si può conoscere l’oggetto sensibile e nient’altro al di fuori di esso. La prima intentio viene definita come un’entità di ragione attraverso la quale un oggetto viene appreso dall’intelletto: la res, di conseguenza, è conosciuta come un’entità particolare desunta dal mondo in cui si trova.

Esaurita la discussione relativa all’apprendimento sensibile delle res, che ha portato alla definizione di prima intentio, Scoto si chiede utrum sensus sit

receptivus specierum sine materia153. La ricerca scotista, in questa quinta questione che riguarda l’apprendimento delle specie senza la corrispondente materia, ha un diverso incedere. Costruita una base concettuale forte per definire che cosa si intenda per prima intentio, ora cerca di comprendere in che modo lo studio sull’intenzionalità possa essere trattato gnoseologicamente. L’obiettivo di Scoto è quello di determinare l’intenzionalità e il suo funzionamento all’interno del soggetto senziente che conosce. Tuttavia, non dimentica il rapporto che lega lo stesso soggetto alle res. La ricerca dovrà partire dal rapporto che il senso intrattiene con la materia, e precisamente con quella materia che manca quando vengono apprese le specie, che sono proprietà delle res. Scoto comincia la sua analisi sostenendo che «omne quod recipit aliquid ab agente, patitur ab eo, secundum quod est ens actu; sed agens in sensu est obiectum materiale vel forma existens in materia»154. Ciò presuppone la piena comprensione della nozione di soggetto senziente. In tale soggetto consiste: a) lo statuto del soggetto in quanto soggetto che conosce; b) la sua capacità conoscitiva che interagisce con le res; c) la capacità intellettiva che apprende il dato sensibile per elaborare dei concetti ben formati all’interno del soggetto stesso.

152 Duns Scotus, Ordinatio, l. I, d. 23, pp. 584-585.

153 Duns Scotus, Quaestiones super libros Aristotelis De Anima, cit., q. 5, p. 566. 154 Ibidem.

Il soggetto senziente è perciò quel soggetto che conosce ed elabora le conoscenze secondo le potenze dell’agire e del patire. Il patire è la potenza presente nel momento in cui si apprende l’oggetto sensibile a livello primo- intenzionale, mentre la potenza dell’agire sussiste quando si elabora intellettualmente il dato sensibile, in modo che si abbia una conoscenza più chiara o, comunque, meno grossolana di quella acquisita solo con il ‘patire’ l’oggetto. Colui che conosce è soggetto sia passivo che attivo, passivo quando la res intercetta il suo organo di senso, attivo quando elabora una conoscenza.

L’ente determinato dalla res, sostiene Scoto, può effettivamente comportarsi da agente nei confronti del soggetto conoscente che patisce. Quest’ente, inoltre, dev’essere in atto, dal momento che solo le qualità effettivamente conoscibili di un ente possono modificare l’organo di senso umano e portare alla conoscenza. Ne consegue che l’ente così costituito deve trovarsi necessariamente nell’oggetto materiale o, al massimo, esistere come sua forma. Sembrerebbe che più che l’oggetto in sé siano maggiormente importanti la materia e la forma che lo costituiscono. La prima perché è ciò che permette ai sensi di agire correttamente nel processo di apprensione e la seconda in quanto portatrice del ‘senso del senso’.

Diretta conseguenza dell’unione di materia e forma nella res sarebbe l’impossibilità di conoscere la specie senza la materia corrispondente. A questo proposito, Scoto riporta quattro argomentazioni fondamentali155.

Scoto discute di prima intentio quando i sensi recepiscono l’oggetto che,

effective, è posto loro davanti; per apprendere la specie è necessaria la presenza

fisica dell’oggetto. Dal momento che quest’ultimo possiede una materia, sarà impossibile apprendere la specie senza la materia corrispondente, dato che questa è costitutiva dell’oggetto. Scoto sostiene inoltre che i sensi ricevono e conoscono le res 1) materialiter; 2) naturaliter; 3) intentionaliter. Materialiter in quanto il senso conosce l’oggetto in quanto tale; naturaliter poiché l’oggetto è appreso secondo le determinazioni proprie e risultanti dall’interazione con l’ambiente circostante; intentionaliter perché ogni oggetto è appreso in base alle potenzialità conoscitive dei sensi. È chiaro che questa tripartizione di modi decreta

l’impossibilità di una conoscenza intenzionale156 che derivi solo dal senso, il quale non potrà apprendere solo la specie senza la materia157.

Scoto, considerando l’esemplificazione aristotelica della cera e della figura, la definisce inconveniens. La cera, pur configurandosi come immagine dell’oggetto, non potrà mai essere come l’oggetto stesso; tra le due entità, cera e figura, la forma e la materia differiscono. La ragione, conoscendole entrambe, non potrà mai concludere che avrà conosciuto gli stessi oggetti. Le specie in esse corrispondenti non sono le medesime e la figura rappresentata nella cera è solo immagine della res che si propone di raffigurare158.

Mettendo a confronto passio e subiectum, Scoto conclude che quest’ultimo riceverà la passio da un punto di vista quantitativo. I sensi apprendono prima gli aspetti quantitativi di una res e poi gli aspetti qualitativi. Alla suddetta quantità corrisponde una figura ben precisa, che trova la sua rappresentazione nell’oggetto conosciuto e, citando Euclide, conclude che «figura […] non est aliud, quam terminatio quantitatis»159.

Sembrerebbe impossibile conoscere una specie senza la relativa materia, dal momento che forma, materia e specie sarebbero tutte all’interno della res. Ancora una volta, Scoto sostiene che il problema si risolve solo se si mantiene la divisione tra piano biologico-fisico della conoscenza e piano del discernimento intellettuale: più semplicemente, apprendere qualche cosa con i sensi non significa affermare di averla conosciuta160.

Da un punto di vista fisico, infatti, è vero che il senso deve conoscere ciò che esiste e ciò si verifica intuitivamente nell’esperienza della vita quotidiana;

156 In questo caso Scoto indica una conoscenza che coglie gli aspetti formali delle res.

157 Questa argomentazione, anche se, come si vedrà, è considerata impropria da Scoto, è utile

perché pone un primo elemento di discrepanza tra quella che è la prima intentio e quella che, poi, sarà definita secunda intentio. Questa discrepanza risiede nel fatto che la prima intentio è quell’atto che, nell’intellezione del sensibile, fa conoscere la res senza costruirne un concetto mentale.

158 Quest’esempio risulta anche importante per chiarire il meccanismo di ricezione intenzionale

degli oggetti. Difatti, la figura di cera è stata costruita in base ad una riconfigurazione della res; qui, Scoto, anche se inconsapevolmente, pone le basi per poter argomentare a favore dell’esistenza delle secundae intentiones.

159 Duns Scotus, Quaestiones super libros Aristotelis De Anima, cit., q. 5, p. 566.

160 Ciò rappresenta la differenza che viene attribuita ai verbi sentire ed ascoltare. Ascoltare

significa porre attenzione a ciò che si sta recependo, affermando di sapere e comprendendo ciò che si sta apprendendo; sentire, invece, indica la semplice ricezione senza attenzione, come quando si percepisce qualcosa senza definirla in un modo più preciso.

tuttavia, dal punto di vista gnoseologico, Scoto ricorda che l’oggetto è sempre costituito dall’insieme di forma e materia che sussistono entrambe nell’oggetto, ma non nel soggetto, che può riconoscere la res in modo da individuarne le diverse proprietà. La res, quando viene appresa dal senso, è conosciuta nella sua totalità; l’intelletto del soggetto senziente, successivamente, ne individua gli elementi peculiari, cosicché la specie è intellettualmente conoscibile anche in assenza della relativa materia. Quest’assenza, però, non si configura come una reale assenza della cosa, ma come il risultato dell’azione mentale sul piano sensibile. Scoto, infatti, afferma che «anima potest mediante corporeo organo aliquid ab obiecto corporeo recidere, licet in anima non possit immediate»161.

La conoscenza per mezzo dell’intenzionalità, secondo la relazione soggetto-oggetto e in virtù della separazione dei piani biologico e gnoseologico, porta Scoto a introdurre nel suo sistema la nozione di sensus communis, che occupa lo spazio della percezione sensibile dell’oggetto. Di una persona, infatti, si possono conoscere le sue proprietà per mezzo di tutti i cinque sensi, così che è necessario un ‘senso unificatore’. Scoto afferma:

quod sensus communis non est unius unitate praedicationis, sed unitate singularitas vel causalitas: est enim causa et radix omnium sensuum particularium. Probatio propositi, quia quod est unum contrarietatem praedicatione tantum non habet operationem distinctam ab operationibus particularium contentorum sub ipso; sed sensus communis habet operationem distinctam ab operationibus sensum particularium, quia distinguit inter sensibilia singularia diversorum sensuum. […] Est etiam unus unitate actus, qui est discernere album a dulci.162

Il senso comune non fa riferimento all’unità predicativa soggetto-oggetto, ma all’unità della singolarità e della causalità. Della singolarità, poiché è nell’unione delle singole unità di senso che si può studiare il funzionamento del senso comune; della causalità, in quanto la res che viene conosciuta è tale per il rapporto intenzionale che possiede in riferimento al soggetto. O meglio, è il soggetto che, ‘intenzionando’ l’oggetto, instaura con esso una relazione di tipo

161 Duns Scotus, Quaestiones super libros Aristotelis De Anima, cit., q. 5, p. 567. 162 Ibidem.

causale. Il senso comune, allora, viene definito come la radice di tutti i sensi particolari, anche se il significato di radix non è da intendere come nodo vitale per l’esistenza degli altri sensi, ma come reductio ad unum di tutte le sensazioni particolari. Alla conclusione dell’apprensione della res da parte dei vari organi di senso interviene la potenza unificatrice del senso comune, che riunisce le varie sensazioni per costituirne una conoscenza unitaria nell’intelletto.

Tale determinazione è importante per comprendere il funzionamento dell’intenzionalità nel soggetto, dal momento che rende possibile spiegare in che modo la res, conosciuta da ciascun senso in modo diverso ma simultaneo, possa essere conosciuta dall’intelletto come il risultato di una sensazione unica ed unitaria. Scoto spiega tale unità attraverso l’esempio di un corpo che possiede le qualità di bianco e di dolce, afferenti al senso della vista e al senso del gusto. Entrambe le sensazioni saranno conosciute a livello sensibile, ma, al momento dell’apprensione vera e propria da parte del soggetto, queste sensazioni verranno riunite in un’unica percezione, grazie all’azione del senso comune che riduce ad unità le varie qualità dell’oggetto.

L’analisi scotista prosegue sottolineando l’importanza dell’unitas del senso comune, derivante dall’aggregazione delle sensazioni provenienti dai vari sensi. Tuttavia, con questa unità si ammetterebbe il senso comune come potentia

organica aggregatrice rispetto ai vari organi di senso, in apparente contraddizione

la precedente definizione di senso comune come radice della sensibilità. Scoto confuta tale obiezione sostenendo che il senso comune, nel quale le sensazioni si riuniscono, è quel senso che permette al soggetto senziente di poter conoscere le

res mixtae presenti in natura. Viceversa, il concetto di prima intentio non sarebbe

nemmeno pensabile se valesse la precedente obiezione e si dovesse cercare un altro mezzo di mediazione tra subiectum e obiectum. Per questo, riguardo al

sensus communis,

dicendum ergo quod organum eius non est unum contrarietatem unitate naturae, non quidem simplicis, sed mixtae, et quasi mediae inter naturas aliorum organorum: sic enim se habet organum sensus communis ad alia, […] quasi radix communis organorum particularium, et potentia sensus communis in eo existens est sicut Rex sedens in solio

iudicans de actibus particularium sensuum ad ipsum terminatorum representantium sibi propria obiecta.163

Da tale passo emergono due elementi decisivi per la costruzione della teoria della conoscenza scotista. Configurando il senso comune come organum, Scoto non si riferisce né alla contrarietà presente in natura né ai corpi semplici. È già stato sottolineato, infatti, che il senso comune ha come oggetto la similitudine tra i vari costitutivi della res. Il senso comune non può nemmeno studiare i corpi semplici, dal momento che non vi è alcuna qualità da confrontare con altre, né tanto meno da unificare a livello intellettivo. Secondo questo ragionamento, invece, si può asserire che l’obiettivo del senso comune è lo studio delle res mixtae che costituiscono la maggior parte degli oggetti in natura; queste res, quando vengono apprese, si comportano quasi da materia di un principio (l’actus), che media tra i vari sensi. Tali oggetti, così formati, sono appresi simultaneamente da tutti i sensi. Per questo, sostiene Scoto, sono quasi media.

Ribadendo il concetto di sensus communis sive radix, Scoto sottolinea l’effettivo ruolo del senso comune all’interno del processo di apprensione della

res. L’esempio addotto è quello del re: alla figura del re sono ricondotte tutte le

cariche distribuite ai sudditi; lo stesso ruolo svolge il senso comune, che conosce l’operato dei sensi e riduce tutto ciò che è stato appreso da essi, in modo da permettere la conoscenza degli oggetti.

La combinazione di questi due elementi chiarisce ulteriormente il concetto di

prima intentio, l’indipendenza della res e l’esistenza di un’entità che media tra

soggetto senziente ed oggetto conosciuto.

La res, per essere tale, non deve essere conosciuta necessariamente da un intelletto conoscente, dal momento che nel mondo sensibile una res interagisce già con altre sue simili e l’operato del soggetto senziente a livello primo- intenzionale si limita alla semplice apprensione del sensibile che percepisce. Questa percezione avviene concependo un elemento medio che possa mettere in rapporto colui che conosce con ciò che conosce: il ruolo di medio, per Scoto, è evidentemente ricoperto dal sensus communis. La sua azione permette una

spiegazione gnoseologica del processo di conoscenza. Questo culmina nell’elaborazione del concetto di prima intentio, definita come il risultato mentale di una semplice apprensione che avviene per mezzo dell’azione congiunta dei cinque sensi e del senso comune, il quale media, in ambito mentale, quanto conosciuto.

Ciò che rimane ancora da definire è il ruolo che il sensibile comune, risultato di tale processo conoscitivo, riveste all’interno dell’intelletto164:

de obiecto autem sensus communis, dicunt aliqui quod sit sensibile commune; quia omne sensibile per se est obiectum alicuius sensus; sensibile autem commune est per se sensibile: non autem est obiectum sensus proprii, quia excellens sensibile corrumpit sensum proprium, excellens autem sensibile commune, ut magnitude et figura, non corrumpit proprium sensum; ergo relinquitur quod sit obiectum sensus communis.165 Il senso comune apprende il sensibile comune, ma con questa tesi non si afferma che il sensibile stesso sia all’interno del soggetto senziente: in precedenza, infatti, è stata teorizzata l’esistenza fondamentale di un medium gnoseologico che mette in relazione l’organo di senso con la res. Se l’elemento di mediazione non esistesse, secondo Scoto, si osserverebbe nell’esperienza che l’oggetto sensibile non solo non sarebbe conoscibile, ma sarebbe anche la causa predominante del danneggiamento dell’organo di senso stesso. Ancora una volta, argomentazione logica e fisica si intrecciano nel tentativo di spiegare in modo soddisfacente le modalità di conoscenza.

Il sensibile comune, inoltre, è conoscibile per se: ciò significa che non è necessario postulare, in questo stadio del processo di conoscenza, la presenza del senso comune. Quest’ultimo interviene solo dopo che l’oggetto è stato percepito. Inoltre, il sensibile comune è dato quando una comunanza di res possiede caratteristiche simili che possono essere rappresentate da un’unica specie. Da questa operazione si può concludere che il sensibile comune è, per il soggetto

164 Queste risoluzioni saranno inaccettabili per la gnoseologia della Escuela de Salamanca, la

quale sostiene che dall’ente reale non è possibile risalire alla conoscenza di quello di ragione, perché quest’ultimo non dice il primo. Ciò è confermato dal significato del termine ‘intelligibile’ che, se riferito a ciò che consegue alla res, dirà che ciò che è intelletto ha un rapporto con l’esse

reale; viceversa, se l’intelligibile esprime termini astratti, come genere o specie, il riferimento è

all’ens rationis e non a quello reale.

senziente, un oggetto come tutti gli altri, ma la sua apprensione completa avviene solo dopo che il senso comune ne ha avuto conoscenza. Gli oggetti semplici possono essere conosciuti da ciascuno dei cinque sensi e la conoscenza di questi oggetti, anche dal punto di vista intenzionale, può dirsi completa con la loro semplice interazione con gli organi di senso, anche se resta necessaria la presenza di un medium tra soggetto ed oggetto. Le res tra loro simili o contrarie possono essere percepite dagli organi di senso, ma la loro conoscenza intellettuale