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8 – Secundae intentiones Analisi e struttura

Conclusa la discussione sulle primae intentiones, e sulle difficoltà sorte a proposito dell’haecceitas e dell’ens, è utile analizzare alcuni passi dei

Theoremata191, che sono d’ausilio nello studio del passaggio dalla conoscenza primo-intenzionale alle seconde intenzioni. I Theoremata constano di dodici teoremi riguardanti l’universale e la predicazione. In base a questi teoremi è possibile esplicitare alcuni concetti che non sono stati completamente chiariti nel corso delle precedenti questioni; i temi trattati da Scoto possono così essere ordinati:

- rapporto tra intellezione ed intelligibile; - ruolo dell’universale nell’intelletto;

- formazione e statuto del concetto formato nella mente.

I primi due teoremi trattano, brevemente, il primo tema. Scoto sostiene che: «Intellectionem intelligibile natura praecedit. [T.1] Primum intelligibile natura creari, impossibile. [T.2]»192.

Il primo teorema focalizza l’attenzione sulla gerarchia esistente tra l’intelligibile e la sua intellezione, ribadendo che l’atto conoscitivo è presente grazie all’esistenza di qualcosa che possa essere conosciuto. Ancora una volta, Scoto dà rilievo all’indipendenza della res in rapporto all’intelletto che conosce. L’introduzione di un rapporto spazio-temporale tra un oggetto e il relativo soggetto senziente, mostra come solo l’esistenza di qualcosa nel mondo sensibile permette all’actus intelligendi di conoscere mediante i sensi.

Il secondo teorema limita ancor di più il campo d’azione dell’intelletto, attraverso una riformulazione del concetto di intelligibile, che mostra un’ulteriore indipendenza della res. Proprio per questo, Scoto afferma l’impossibilità della

191 I Theoremata, ormai considerati autentici, sono stati oggetto di numerosi studi critico-

filologici, volti a stabilire la loro reale autenticità. La disputa nasce all’interno del dibattito filologico del primo ventennio del XIX secolo, basato soprattutto dal diverso stile utilizzato per la stesura dell’opera, rispetto al resto delle opere di Scoto. La risoluzione della controversia viene data da Padre Balic, commissario per l’autenticità delle opere di Scoto e da Étienne Gilson. Il primo dimostra l’autenticità a partire dalle continue edizioni che i Theoremata hanno avuto a partire dal XV secolo, mentre il filosofo francese mostra un’affinità di stile e contenuto con il resto del corpus filosofico scotista. Un’indagine completa di questa disputa è stata fatta da Gedeon Gàl, De Duns Scoti “Theorematum” authenticitate ex ultima parte operis confirmata, «Collectanea Francescana», XX, 1950, pp. 5-17.

creazione del primo intelligibile da parte della natura. Ciò porta a una doppia interpretazione dell’intelligibile, in quanto può essere: a) primum in quantum ens; b) primum sive res quae habet intelligibilitatem. In entrambi i casi, però, è fuor di dubbio l’impossibilità di istituire un legame tra natura e oggetto in quanto ente conoscibile. Nel primo caso, infatti, l’ente rappresenterebbe la communitas rerum e, quindi, non potrebbe essere creato dalla natura; mentre, nel secondo caso, l’intelligibilità delle res deriverebbe esclusivamente dalla presenza di un intelletto che le può conoscere.

Ex parte rei, l’oggetto è, naturaliter, qualcosa che esiste nel mondo e

intrattiene un rapporto con altri oggetti presenti nell’insieme ‘mondo’ di riferimento. Se nelle questioni sul De Anima lo studio sull’intellezione delle res era rivolta maggiormente alla loro conoscenza, qui Scoto la utilizza per trattare dell’universale che si forma all’interno del soggetto senziente. Così: «Universale primo intelligimus.[T.3] 193; Cuilibet universali correspondet in re aliquid gradus entitatis, in quo conveniunt contenta sub ipso universali194 [T.4]».

La spiegazione del teorema 3 viene affidata all’esempio del costruttore di case: egli, dovendo costruire, si trova a dover teorizzare nella sua mente una serie di elementi tali da rendergli possibile l’edificazione del fabbricato. È chiaro che l’intelletto per prima cosa conosce l’oggetto singolare ma, operativamente, non può fermarsi ad esso. La necessità di andare oltre il singolare risiede nella differenza tra intelletto agente ed intelletto possibile. Il primo, per poter agire, deve necessariamente avere un concetto mentale che proviene dalla conoscenza della res; l’azione, infatti, è possibile solo quando essa è conosciuta. Per questo l’intelletto possibile svolge un ruolo fondamentale, poiché genera l’universale partendo dall’oggetto. Scoto può, quindi, affermare che l’universale è il primo oggetto conosciuto nella misura in cui si considera anche la parte attiva dell’intelletto conoscente. La ratio agendi, però, resta sempre la natura, da cui tutto viene intuito e conosciuto.

Nel teorema 4 Scoto introduce il concetto di correspondentia tra universale e singolare. Il concetto universale, infatti, può essere causato: a) dalla conoscenza di una res: b) dal risultato di un’intellezione. L’ordinamento della

193 Ivi, p. 1185. 194 Ivi, p. 1188.

conoscenza, così come strutturato da Scoto, implica la previa e necessaria conoscenza dell’oggetto, che svolge il ruolo di fondamento per l’intellezione. La

res si pone a fundamentum della conoscenza ma, dal momento che l’uomo non si

esprime solo per concetti singolari, l’intellezione stessa produce un’altra intellezione di livello superiore, che rielabora il concetto desunto attraverso un’opera di astrazione. Si è di fronte ad una prima presentazione della differenziazione dei concetti di prima intentio e secunda intentio. Il primo, anche se non è mai stato trattato esplicitamente, risulta sufficientemente chiaro da tutte le argomentazioni precedenti; il secondo, invece, è inedito per Scoto, e viene primariamente definito come un concetto mentale a cui aliquid correspondet195.

L’universale indica il concetto mentale, desunto dalla res conosciuta, del quale bisogna studiare lo statuto e il rapporto con l’actus intelligendi. Di questa tematica si occupano tre teoremi, l’ottavo, il nono ed il decimo, che possiedono la medesima enunciazione, conceptum dico quod actum intelligendi terminat196. In essi si dà la spegazione del legame tra concetto ed intellezione, preservando l’integrità del processo conoscitivo e introducendo l’intellezione ex parte

intellectus. Riguardo al conceptum Scoto enuclea quattro significati:

• conceptum sive obiectum. Definizione da ascrivere al senso comune, indicante il concetto come una delle molteplici cose conoscibili;

• conceptum sive intelligibile. Proprio di tutto ciò che può essere conoscibile in potenza, ovvero non ancora conosciuto;

• conceptum sive intellectum. Si dice di quel concetto formato nell’intelletto del soggetto senziente a seguito di un atto di intellezione; • conceptum sive intentio. Denominazione di difficile definizione. Scoto

sostiene che il termine intentio può essere riferito sia all’oggetto in quanto conosciuto, sia all’atto volitivo197.

195 Ibidem. Prende avvio, da qui, la trattazione che, pian piano, porterà alla teorizzazione delle

secundae intentiones; Scoto continuerà scrivendo che «aliter enim non magis diceretur homo

universale, quam Socrates. Sed sumitur hic corrispondere, sicut suppositum idem realiter illi universali; ita quod universalia non sunt fictiones intellectus, tunc enim numquam in quid praedicarentur de re extra; […] immo omnis scientia esset Logica, quia de universali, itaque secundum ordinem universalium, est ordo graduum in individuo».

196 Ivi, pp. 1192-1195.

197 Già in Hervaeus è stata rintracciata la duplice interpretazione del termine intentio, poiché

«dicitur igitur intentio ex parte voluntatis, uno modo, ipse actus voluntatis tendentis ad assequendum aliquem finem per aliquod medium […]. Alio modo dicitur intentio res intenta, sicut

Il significato che interessa maggiormente è il quarto. Dal momento che Scoto ha già affermato che è la logica ad occuparsi dell’universale, si può dare per dimostrata la conoscenza della differenza tra intentio come volontà ed intentio logica. Da questa differenza il filosofo britannico trae fuori una definizione/distinzione tra universale e singolare, affermando che «universale vel commune dico, cui non repugnat dici de multis.Singulare, cui repugnat»198.

Sebbene non esista alcun trattato specifico sull’intenzionalità redatto da Scoto, vi è una certa coerenza nei luoghi del corpus presi in considerazione. L’idea di Scoto prende le mosse dall’esigenza di spiegare come si strutturi la conoscenza che, a partire dallo studio della sensibilità, si addentra sempre più nell’esame dell’intelletto e scoprire quali siano le leggi e gli strumenti per l’apprensione per poi ritornare all’oggetto sensibile e comprendere in che modo possa instaurarsi una relazione tra res ed intelletto. La discussione sull’ente, che sembra slegata da tutto il resto della trattazione è, invece, fondamentale per cominciare a introdurre il problema delle secundae intentiones, dal momento che la formazione del concetto mentale deriva dalla conoscenza dell’ente sensibile; una volta stabilita la gerarchia tra le res, risulterà più semplice trovare un metodo adeguato allo studio dell’intenzionalità seconda.

quandoque voluntas dicitur res volita […]. Ex parte autem intellectus dicitur intentio dupliciter. Uno modo dicitur intentio ex parte intelligentis, omne illud, scilicet, quod per modum repraesentationis ducit intellectum in cognitionem alicuius rei […]. Alio modo dicitur intentio illud quod se tenet ex parte rei intellectae. Et hoc modo dictitur intentio res ipsa quae intelligitur in quantum in ipsam tenditur intellectus sicut in quoddam cognitum per actum intelligendi». (Hervaeus Natalis, Tractatus de secundis intentionibus, q.1 a.1, p. 332-333).

Capitolo II