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4 – Duns Scoto e la conoscenza per sensus et intentiones

Parallelamente alla teoria di Hervaeus, Duns Scoto sviluppa una propria teoria della conoscenza, che prevede anch’essa l’utilizzo delle intentiones e che è ricostruibile attraverso lo studio di alcune parti della sua opera filosofica.

Lo studio sull’intenzionalità da parte di Duns Scoto non si presenta, come del resto in Tommaso, in forma sistematica, dato che egli non elabora alcun trattato riguardante il problema dell’intenzionalità. Tuttavia, attraverso l’analisi dei testi è possibile ricostruire una vera e propria teoria della conoscenza che, partendo dalla sensibilità, arriva a considerare il modo in cui l’intelletto conosce119.

La teoria di Scoto può essere schematizzata in tre parti fondamentali, che riguardano:

• l’essenzialità della conoscenza sensibile ai fini della conoscenza;

117 Sulla dottrina etico-morale di Hervaeus, che risente fortemente di quella di Tommaso e che qui

non sarà oggetto di analisi, rimando a C. Vollert S.J., Hervaeus Natalis and the Problem of

Original Justice, «Theological Studies», n. 3, 1942, pp. 231-251 e a K. Plotnik, Hervaeus Natalis O.P and the Controversies over the Real Presence and Transubstantiation, Verlag Ferdinand

Schoningh, Paderborn, 1970. Bisogna, però, tenere a mente la difficoltà di riscontrare elementi etico-morali nel Tractatus di Hervaeus: Sánchez Sedeño, quando connetterà la sua teoria della conoscenza alla logica, terrà principalmente in conto le teorie del bretone; esse non compariranno, invece, in tutti quei passi che aprono a una lettura morale della conoscenza e delle intentiones. Tale scelta è segno che anche lo spagnolo, probabilmente, era cosciente di questa difficoltà.

118 Cfr. A. Kenny, Aquinas on Mind, cit., p. 36: «theory of intentionality is not only, or mainly, a

theory about sense -perception. In addition to maintaining the identity in actualization of sense- faculty and sense-object, he had a corresponding theorem about thought. Not only is the actualization of a sensible object the same thing as the actualization of the sense faculty; so too the actualization of an object of thought is the same thing as the actualization of the capacity for thinking. Intellegibile in actu est intellectus in actu».

119 Duns Scoto sviluppa la sua teoria della conoscenza nei seguenti testi: Commentarius De Anima,

Ordinatio, Quaestiones in I e II librum Perihemeneias Aristotelis, Quaestiones super libros Aristotelis De anima, Super universalia Porphyrii, Theoremata.

• la modalità di apprensione del sensibile da parte dell’intelletto; • la teorizzazione dell’intenzionalità.

Per Duns Scoto il problema della conoscenza ha il suo punto di partenza nella sensibilità, dato che l’uomo è un ente che si relaziona con altri e vive pienamente immerso nel mondo. Per questo, nelle Quaestiones super libros

Aristotelis De Anima120, egli comincia la sua trattazione dal senso che si relaziona in misura maggiore con l’esterno, ovvero il tatto121.

Scoto, nella prima questione, si chiede utrum sensus tactus sit unus vel plures122: l’unicità o la pluralità di quest’organo di senso deriva dalla molteplicità di sensazioni con le quali l’uomo viene a contatto? Dal momento che i sensi sono deputati alla conoscenza delle cose in quanto esistenti al di fuori dell’intelletto, Scoto ha l’esigenza, in questa parte del testo, di comprendere se la conoscenza sia definita dall’operato di un unico senso o da tante piccole sensazioni tattili che concorrono alla formazione del senso del ‘tatto’. Qui, Scoto sta cercando di comprendere, sulla scorta dell’insegnamento aristotelico, come il sensus umano si rapporti al mondo sensibile. Da un punto di vista gnoseologico-psicologico sembrerebbe ovvio concludere con una risposta affermativa: anche la semplice analisi etimologica dei termini ‘senso’ e ‘sensibilità’ fa comprendere come entrambi siano strettamente correlati se non, addirittura, esprimenti lo stesso concetto di conoscenza del mondo. Tuttavia, il problema qui è di tipo logico: la ricerca scotista, infatti, sembra sottintendere la domanda ‘come possiamo conoscere ciò che non è in noi?’.

Evidentemente, la coincidenza tra senso e sensibilità sembra venir meno o, quantomeno, necessita una temporanea sospensione di giudizio. Senso, infatti, può essere interpretabile in un duplice modo: a) organo che permette a chi lo

120 Duns Scotus, Quaestiones super libros Aristotelis De Anima, in Duns Scoto, Opera Omnia, 4

voll., ed. minor a cura di Giovanni Lauriola O.F.M., ed. AGA, Alberobello, 1998-1999

121 Ibidem, vol. I, q. 1, p. 553: «sensus tactus facit animal esse animal, quia est primus sensus».

Scoto, quindi, prende come riferimento il tatto perché lo considera come specie-specifico dell’animale e, di conseguenza, dell’uomo. Inoltre, a p. 556, egli continua sostenendo che «exemplum de sapore qui fundatur in qualitatibus tangibilibus, ex quibus causatur tamquam qualitas secunda; et ideo gustus, cuius obiectum est sapor, fundatur in tactu: immo est quidam tactus, causaliter loquendo, sicut gustabile est quoddam tangibile». Il senso del gusto, fondandosi anch’esso su un oggetto, sarà tale solo perché esiste una qualità tangibile che gli permette di funzionare correttamente. Se non ci fosse il tatto non vi potrebbero essere i restanti sensi, i quali vengono definiti come qualità seconde.

possiede di conoscere qualcos, b) comprensione cosciente di ciò che è stato percepito (dare senso alla percezione).

Un'ulteriore problematica è quella della completezza della percezione sensoriale: quando, ad esempio, tocchiamo un oggetto, lo conosciamo non completamente, ma secondo alcune delle sue determinazioni,. La questione di Scoto appare lecita, in quanto si chiede se esista un unico senso del tatto che permetta all’uomo di conoscere oppure se esso sia suddiviso in molteplici istanze, tante quante sono le determinazioni di una cosa conoscibili con il tatto.

Rifacendosi allo schema della quaestio disputata, Duns Scoto inizia la sua ricerca spiegando quali siano le ragioni a favore dell’unicità del senso del tatto: sensus est unus, cuius organum est unum, quia sensus fundatur in organo; organum tactus est unum, quia est corpus mixtum quod habet unitatem ab una perfectione dominante in eo. 123

In prima istanza, l’unità del senso è data da ragioni di tipo fisico. Dal momento che l’organo proprio del tatto, il corpus mixtum, è uno, allora lo stesso senso del tatto habet unitatem. Da ciò derivano due importanti conseguenze. La prima è che il rapporto organo-senso è dimostrato secondo un’argomentazione di tipo logico, come conclusione di un sillogismo: il senso si fonda su un organo; l’organo è uno; il senso è uno. La seconda è che la relazione tra organo e senso non ha la forma della correlazione124, in quanto Scoto sottolinea come il corpus mixtum (formato dall’organo di senso e dalla ricezione della sensazione), che costituisce il senso del tatto, non è perfetto per se, ma ‘riceve’ la perfezione dal poter conoscere il mondo.

Tuttavia, dal momento che con ogni organo di senso possiamo conoscere i contrari, sostenere l’unità del tatto comporterebbe non solo la falsificazione del principio suddetto, ma anche la violazione del principio di non contraddizione

123 Duns Scotus, Quaestiones super libros Aristotelis De Anima, cit., q. 1, p. 553.

124 Bisogna sottolineare, in questo caso, la differenza che intercorre tra relazione e correlazione:

nel primo caso si intende un rapporto tra più variabili in base al quale l’esistenza o la modificazione di una di esse non è decretata necessariamente dall’azione di alcun’altra variabile; il secondo caso, invece, prende in esame quella relazione in cui la modificazione di una variabile implica un cambiamento nelle altre.

aristotelico125. Inoltre, se si definisce il corpo come mixtum, non è possibile attribuire l’unità alla sensazione che ne deriva, dato che un miscuglio è sempre composto da due o più elementi. Scoto, cosciente di questa obiezione, sottolinea che:

quaecumque pars nervi, vel carnis (quidquid eorum sit organum tactus) sentit unam contrarietatem sentit et aliam; ergo est unum contrarietatum organum tactus et per consequens unus sensus tactus.126

Questo passo della prima questione del commento al De Anima mostra a) la costituzione del corpus mixtum, che in precedenza rimaneva oscura; b) il rapporto esistente tra senso e contrarietà percepite. Il corpo mixtum, termine tecnico usato da Scoto per definire il corpo umano durante le fasi del processo conoscitivo, si definisce come quel composto di nervi e carne che permette al tatto di svolgere la propria funzione in modo corretto. Difatti, egli parte da una definizione di tipo biologico della sensibilità per sviluppare, successivamente, una teoria di tipo filosofico, legata al processo di apprensione dei contrari, caldo/freddo, grande/piccolo, etc. Proprio in questa parte del testo è introdotta la dottrina della conoscibilità dei contrari, che permette l’esplicitazione del loro rapporto con il senso. L’unione di nervi e di carne127 è, infatti, in grado di conoscere sia un’istanza sensibile che la sua contraria. Tale argomentazione, impostata su base fisica, assume anche un risvolto di tipo logico, poiché, esistendo un solo organo deputato all’apprendimento tattile, si darebbe un unico senso del tatto e i contrari verrebbero conosciuti solo da tale senso.

Qui emerge un’ulteriore conseguenza che, esulando dalla trattazione di tipo biologico, esplicita in modo evidente il background logico di questa parte della questione. Scoto muove la sua argomentazione dal seguente schema

125 Cfr. Aristotele, Metafisica, a cura di G. Reale, Bompiani, Milano, 2006, IV, 1005b 19-20: «è

impossibile che la stessa cosa, ad un tempo, appartenga e non appartenga a una medesima cosa, secondo lo stesso rispetto». La traduzione latina di Guglielmo di Moerbeke, probabilmente usata da Duns Scoto, è ancora più chiara: «idem enim simul esse et non esse in eodem, secundum idem, est impossibile» (Metafísica de Aristóteles, edición trilingùe por Valentín García Yebra, Editorial Gredos, Madrid, 1970, p. XXX).

126 Duns Scotus, Quaestiones super libros Aristotelis De Anima, cit., q. 1, p. 553.

127 È possibile sostenere, sulla base della precedente argomentazione, che Scoto intenda l’unione

mentale: oggetto sensibile Æ organo dell’apprensione sensibile Æ senso Æ conoscenza della cosa. È possibile notare che Scoto non sta facendo una descrizione solamente biologica della conoscenza sensibile, ma sta elaborando una vera e propria gnoseologia: questa descrizione dell’apprendimento serve a a) semplificare le condizioni ‘prime’ che favoriscono la conoscenza dell’uomo; b) porre una base forte a tutta la trattazione sull’intenzionalità. Infatti, una volta chiariti i processi che fanno della conoscenza sensibile la strada d’accesso alla definizione dell’haecceitas e alla strutturazione dell’oggetto mentale, sarà più agevole trasporre tutta l’argomentazione prima su un piano epistemologico e, successivamente, teologico.