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La prima intentio, esaminata nei precedenti paragrafi, è utile per la definizione della conoscenza del mondo sensibile in relazione agli stessi oggetti

che lo costituiscono; tuttavia, riguardo a una res, è possibile conoscere sia gli aspetti e le proprietà che le ineriscono direttamente, sia tutto l’insieme di elementi comuni ad altre res consimiles, che ne contraddistinguono l’appartenenza a un preciso gruppo di oggetti.

Dal punto di vista della conoscenza intellegibile, Hervaeus fa notare che la parte del processo di conoscenza deputata alla relazione con questo tipo di elementi è l’abstractio. Con l’astrazione sarà possibile spiegare la conoscenza intellettuale degli elementi comuni a più res. Hervaeus scrive che le secundae

intentiones sono quelle entità che convengono alle cose «prout sunt objective in

intellectu sicut est esse abstractum, universale, et similia. Et ista pertinent ad secundas intentiones»113.

Prendendo in considerazione due individui X e Y, si dirà che la proprietà comune ‘essere uomo’ è astratta, in quanto separata intellettivamente dagli individui X, Y di cui essa stessa si predica114; tale definizione di prima intentio autorizza Hervaeus a definire la secunda intentio come l’entità per mezzo della quale ciò che è appreso viene astratto intellettivamente per la formazione del concetto generale/universale di ciò che è stato conosciuto attraverso la prima intenzione115.

La secunda intentio si configura come un’entità tramite la quale è possibile dire ciò che è comune ai molti elementi individuali conosciuti. Essa è un

conceptus mentis; tuttavia, senza l’individuo non vi sarebbe la corrispettiva

proprietà astratta. In tal modo, l’universalità si genera come un atto del soggetto, in quanto è rintracciabile nel soggetto stesso.

L’universale conseguente all’abstractio e la secunda intentio non si ritrovano nel soggetto per acquisizione diretta, ma mediata dalla relazione di

habitudo. La secunda intentio è di pertinenza assoluta dell’intelletto: non è

possibile pensarla come separata dal soggetto che apprende, né come facente parte di una qualunque entità avente esse reale. Inoltre, non è identificabile

113 Hervaeus Natalis, On Second Intentions, cit., q. I, a. 1, p. 333.

114 Si noti che anche per la secunda intentio è fondamentale l’esistenza della res.

115 Per un’esposizione dei punti chiave dei significati di prima intentio e di secunda intentio, cfr.

nemmeno con l’actus intelligendi, in quanto quest’ultimo è direttamente correlato alla res.

Da questa teorizzazione emerge ancor più chiaramente che cosa Hervaeus intenda per ‘universale’; dal momento che ciò che si trova extra animam è l’elemento decisivo per la generazione della definizione di ciò che si trova all’interno del nostro intelletto, l’universale è collectio intellettuale di elementi esistenti al di fuori dell’intelletto che conosce. L’universale, in sé, non esiste extra

animam, ma in anima.

Questa corrispondenza tra universale e oggetto sensibile fa emergere in modo chiaro il concetto di conformitas realis, ovvero la relazione di convenientia tra l’essere esistente della res e l’atto di astrazione dell’intenzionalità. Ciò determina una definizione del concetto di verità non univoco, nel senso di un’unica definizione, che allarga e precisa quello elaborato da Tommaso nel primo articolo della quaestio I delle Quaestiones disputatae De Veritate116. Vi sono, infatti, tre tipi di verità: a) quella propria della res in quanto esistente nel mondo; b) quella dell’intelletto quando svolge la funzione conoscitiva; c) quella dell’intenzionalità che consiste nella corretta creazione del concetto della cosa nel soggetto: tutte, nella loro autonomia, godono della medesima importanza.

La trattazione dei concetti di intentio e di verità così elaborati porta Hervaeus a sostenere che la scienza che deve occuparsi del loro studio è la logica; essa, infatti, supponendo le intenzioni come enti di ragione, le considera come soggetti propri. La logica consegue alle cose conoscibili secondo un processo razionale naturale di conoscenza che parte dalla forma astratta dei concetti delle

res. Inoltre, la logica inerisce a tutti gli enti di ragione che conseguono da una

116 Tommaso d’Aquino, Sulla verità, cit., q. 1, a. 1, p. 120. Spiegando che la conoscenza della

cosa, da parte dell’intelletto, è data per adeguazione tra la cosa stessa e l’intelletto, Tommaso scrive che: «secundum hoc ergo veritas sive verum tripliciter invenitur diffiniri. Uno modo secundum illud quod praecedit rationem veritatis, et in quo verum fundatur; et sic Augustinus definit in Lib. Solil.: verum est id quod est; et Avicenna in sua Metaphysic.: veritas cuiusque rei est proprietas sui esse quod stabilitum est ei; et quidam sic: verum est indivisio esse, et quod est. Alio modo definitur secundum id in quo formaliter ratio veri perficitur; et sic dicit Isaac quod veritas est adaequatio rei et intellectus; et Anselmus in Lib. de veritate: veritas est rectitudo sola mente perceptibilis. Rectitudo enim ista secundum adaequationem quamdam dicitur, et philosophus dicit in IV Metaphysic., quod definientes verum dicimus cum dicitur esse quod est, aut non esse quod non est. Tertio modo definitur verum, secundum effectum consequentem; et sic dicit Hilarius, quod verum est declarativum et manifestativum esse; et Augustinus in Lib. de vera Relig.: veritas est qua ostenditur id quod est; et in eodem libro: veritas est secundum quam de inferioribus iudicamus».

cognitio; con questo termine Hervaeus intende tutti quegli enti di ragione che

derivano da ciò che è conosciuto per astrazione e le cui definizioni si predicano degli enti reali. Per questo motivo il processo logico per i termini suddetti parte da ciò che è comune e proveniente da una collectio rerum.

Grammatica e retorica, invece, risultano escluse dallo studio dell’intenzionalità, poiché la prima non ha le intentiones come soggetti propri, ma le voci linguistiche che le descrivono; mentre la seconda si occupa di istituire discorsi volti alla persuasione di un uditorio.