• Non ci sono risultati.

3 – La ‘rivoluzione antropocentrica’ di Salamanca Il caso Bartolomé de Las Casas

nella Escuela de Salamanca tra XV e XVI secolo

II. 3 – La ‘rivoluzione antropocentrica’ di Salamanca Il caso Bartolomé de Las Casas

Un’altra riflessione particolarmente interessante a proposito della conoscenza intenzionale come mezzo attraverso cui accedere al mondo, è data da un’illustre figura del XVI spagnolo, nota soprattutto per le riflessioni relative alla dignità dei popoli del Nuovo Mondo, di fronte alla conquista spagnola: Bartolomé de Las Casas238. Anch’egli frate domenicano, si distinse per l’operato attivo a favore degli Indios, che gli valse la nomina a procurador o protector universal de

todos los indios de las Indias. A seguito dei suoi diversi viaggi compiuti nelle

Americhe, diede alla luce diverse opere, tra cui alcune cronache di viaggio e testi di carattere teologico. In una di queste opere, il De unico vocationis modo

omnium gentium ad veram religionem, scritto tra 1522 e 1526 e del quale ci sono

pervenuti solo i capitoli V e VI239, Las Casas spiega i motivi per i quali il cristianesimo debba considerata la religione ‘vera’, a partire dallo studio dei

modus cognitionis. Analizzando il titolo si manifestano tre nuclei tematici

fondamentali. Il primo è quello della vocatio, ovvero la vocazione, ma anche l’esser chiamati a credere in qualcosa o a qualcuno. Tale vocatio deve esser circoscritta a un insieme di riferimento, ovvero rispondere alla domanda ‘chi è chiamato?’ Entra in gioco qui il secondo nucleo tematico, rappresentato da

omnium gentium, ossia l’intera umanità. Tutti gli esseri umani sono chiamati a

238 Per una esaustiva bio-bibliografia di Las Casas, si veda Sepúlveda, J., Bartolomé de Las Casas.

La primera biografía italiana, Bulzoni, Roma, 1963.

239 Il percorso di scrittura e di edizione del De unico vocationis modo è piuttosto controverso. Per

comprendere meglio la genesi e la struttura di tale opera si veda P. Castañeda Delgado, A. García del Moral, O.P. (ed.), Fray Bartolomé de Las Casas, Obras completas, II, Alianza Editorial, Madrid, 1990, p.s. I-XLII.

credere in qualcosa. Il terzo nucleo tematico soddisfa la terza domanda, ‘in cosa credere?’. La risposta a tale quesito è ad veram religionem, a una religione che abbia in sé una verità dottrinale più certa delle altre.

Il trattato di Las Casas intende studiare il modo in cui tutta l’umanità è chiamata a credere all’unica vera religione, quella cristiana. Per far ciò, il vescovo domenicano non fa riferimento solo alle fonti bibliche, ma richiama anche fonti come Aristotele e Tommaso. Il percorso di Las Casas, in questo senso, parte proprio da questioni di teoria della conoscenza, che rispondono sempre all’esigenza di comprendere in che modo l’uomo possa conoscere il mondo240.

Le parti più significative in questo senso, sono nei primi sette paragrafi del V capitolo del De unico vocationis modo, in cui Las Casas espone le motivazioni secondo le quali gli uomini possano arrivare a credere in una sola e vera religione, anche con l’aiuto delle proprie capacità intellettuali. Il punto di partenza per tale esposizione può essere rintracciato nel §7, in cui Las Casas afferma che

patet affatim magnam esse similitudinem inter modum ducendi nomine ad scientiam et ad fidem sive ad veram religionem, tum ex parte principiorum, quae utrobique supponuntur, tum ex parte processus deductionis per explicationem principiorum.241

Per il domenicano, sussiste una similitudine tra le scienze e la fede, dal momento che entrambe apportano al soggetto che apprende e che crede la possibilità di poter accrescere la sua conoscenza. Tale accrescimento avviene sia per quanto riguarda i principi che reggono conoscenza e fede, sia per il processo che permette allo stesso soggetto di poterne disporre. Un aspetto interessante è la particolare connotazione di quest’ultimo processo, ovvero il suo essere deduttivo. Con tale termine, infatti, si designa quel tipo di generalizzazione della conoscenza

240 L’importanza, in Las Casas, della teoria della conoscenza come mezzo per credere è stata

brillantemente messa in luce da F. J. González Pérez nel suo articolo De unico vocationis modo y

el esperimento de la Vera Paz. Una estrategia cognitiva revolucionaria en la conquista de América, in Atti del XVIII convegno dell’associazione ispanisti italiani, Bulzoni Editore, Roma,

1999, pp. 93-104. L’autore, in tale articolo, sottolinea come la strategia di de Las Casas di far passare la credenza religiosa come un atto mentale derivato dalla conoscenza del mondo fosse, a quel tempo, la migliore per far recedere l’opinione pubblica dal considerare la guerra come unico metodo di conversione. Credere, oltre a un atto di fede, è un atto mentale e, quindi, raggiungibile da qualsiasi essere umano.

241 P. Castañeda Delgado, A. García del Moral, O.P. (ed.), Fray Bartolomé de Las Casas, cit., p.

che, partendo da diverse apprensioni, arriva alla formulazione di un principio generale che le regola. Il concetto di deduzione viene legato a quello dell’esplicazione dei principi della scienza e della fede, arrivando a determinare in che modo si possa avere conoscenza delle due discipline e dei relativi principi e contenuti. Dati questi termini, bisogna andare alla ricerca del processo che permette al soggetto di avere tale tipo di conoscenza deduttiva. Ancora una volta, ci si trova di fronte alla necessità di spiegare in che modo il soggetto possa essere messo in connessione con il mondo che lo circonda. Il domenicano non sviluppa la sua teoria in modo sistematico. A differenza di Tommaso, di Hervaeus e di Barrientos, che circoscrivevano e sviluppavano le rispettive teorie della conoscenza in ambito reale, proprio del rapporto immanente soggetto – oggetto, Las Casas definisce, già al cominciamento del §1 del V capitolo, l’origine di ogni potenzialità conoscitiva, che è Dio:

modus divinae Sapientiae proprius unus et solus est, ut omnes res creatas provideat et moveat ad actus et fines suos naturales blande dulciter atque suaviter. Sed inter res creatas, rationales creaturae sunt superiores et excellentiores cunctis aliis quae ad Dei imaginem non sunt factae, quibusque singulari modo divina Sapientia propter se ipsas, caeteris autem propter illas, providet […]. Ergo Sapientia divina creaturas rationales, id est, nomine, movet ad actus sive operationes sua.242

Dio, per mezzo della sua Sapienza, è l’unico ente che dà alle sue creature la possibilità di volgersi verso scopi definiti in accordo alla loro natura, dal momento che Egli è l’unico a poter imprimere in essi la volontà di agire per il raggiungimento di un fine ben preciso. Tale possibilità è donata alle creature grazie alla sua bontà (blande, dulciter, suaviter). In virtù di tale bontà, saper discernere su come agire correttamente per il raggiungimento di un fine non è una prerogativa di tutti gli esseri creati, ma solo di quelli creati a Sua immagine e somiglianza, ovvero uomini e donne, che possiedono la Sua stessa bontà nei confronti di ciascuna creatura. Il genere umano, rispetto al resto del creato, ha razionalità e, di conseguenza, applica la capacità di discernimento alle proprie azioni, riuscendo ad agire rettamente. Tale potenzialità si esplica anche nel

processo di conoscenza del mondo. Un animale conoscerà, infatti, in modo istintivo e per la sua sopravvivenza, senza saper rivolgere in modo cogente il proprio intelletto e la propria volontà per il raggiungimento di un fine, cosa che, al contrario, è possibile all’uomo.

Il ruolo di Dio, in questo senso, consiste nel donare le potenzialità conoscitive all’essere umano. Dal momento che l’uomo ha notizia del mondo attraverso intelletto e volontà, e dato che questi gli sono stati donati da Dio, la conoscenza degli oggetti del mondo può dirsi infallibile se si applicano correttamente gli schemi e le categorie dell’apprensione, dell’intelletto e della volontà. Per questo, Las Casas sostiene che è naturale per un essere umano concludere che quella cristiana sia l’unica religione possibile. È la stessa conoscenza del mondo a rendergli possibile tale considerazione. Tratteggiando in tal modo la relazione tra Dio e l’umanità, si sarebbe spinti a concludere che esiste un vincolo tra la Sapienza divina e l’intelletto e la volontà umani, esplicato nel fatto che Dio muove le Sue creature verso le azioni rette e, più in generale, verso il bene. Così, attraverso la volontà l’uomo si convince a compiere una determinata azione, e l’intelletto la crea, mettendola in pratica. Anche in tale processo, è Dio colui che permette a tal processo di essere messo in pratica243. Come conseguenza della relazione uomo – Dio sembrerebbe porsi in secondo piano il problema del libero arbitrio e della libertà umana, poiché l’uomo è fattivamente guidato dal suo Creatore nell’azione, sia intellettuale che volitiva. In effetti, tale lettura è concretamente ammissibile stando alle parole di Las Casas, ma rischia di rimanere su un piano superficiale. Bisogna comprendere, infatti, cosa si intende da parte di Dio movere res creatas ad fines suos naturales. La spiegazione di tale espressione viene fornita nelle righe seguenti l’introduzione del §1 appena analizzata. La Sapienza divina, in quanto ‘datrice’ del corretto modo di conoscere e di volere, consente agli uomini di muoversi verso un fine

et sic motus, quibus a Deo moventur, fiunt creaturis connaturales, convenientes, suaves et faciles, quasi habentes in se ipsis aliquod inclinationis principium, ratione cuius earum

243 Ivi, p. 18: «in toto orbe atque in omni opere, scilicet, intellectus persuasivus et voluntatis

inclinatio naturalis est et suavis, quaemadmodum lapidi contulit gravitatem, qua naturaliter et suaviter tendit deorsum.244

Gli esseri umani, in virtù di tale dono divino, si rendono certamente capaci di conoscere e di agire rettamente, senza però subire l’influsso diretto da parte di Dio che, così, non li guida direttamente, ma fornisce loro la possibilità di tendere alla rettitudine. Las Casas sottolinea, infatti, che l’uomo riceve da Dio tale condizione, esercitata come inclinazione naturale. Di conseguenza, gli uomini saranno completamente liberi nel loro conoscere e agire; tuttavia, seguendo le direttive che provengono dai testi sacri, essi condurranno la loro esistenza seguendo il principio di inclinazione verso il bene. Tale principio è del tutto naturale, in quanto fa agire gli uomini come quei corpi che si muovono secondo la forza di gravità, i quali naturalmente tendono verso il basso. L’uomo, allora, non è comandato da un essere superiore che obbliga a determinati comportamenti, ma è guidato naturaliter da un principio che gli permette di non fallire la sua ricerca. Dio, infatti, non impone nulla, ma dona all’uomo le facoltà di cui ha bisogno e le modella a Sua immagine e somiglianza, affinché le creature possano trovare una via maestra che le conduca, con un minimo margine di errore, ad agire in modo retto e, in prima istanza, a trovare nel mondo la veridicità della dottrina della religione cristiana.

A seguito della scoperta dell’America, molti erano stati gli interrogativi a proposito dell’uguaglianza tra gli uomini del vecchio mondo e quelli del nuovo. Si cercava di comprendere se poteva darsi effettivamente una comunanza di genere e di specie tra gli europei e i nuovi popoli, oppure se dovesse esserne giustificata una qualche disuguaglianza, con una conseguente sottomissione dei secondi da parte dei primi. Sostenere che esiste un modo univoco, donato da Dio, con cui tutti gli uomini accedono al mondo, lo conoscono e agiscono in esso, è fondamentale per il cominciamento di una profonda riflessione sullo statuto dell’essere umano nel mondo, con un conseguente ripensamento del funzionamento dei rapporti umani. Proprio in questo Salamanca, la sua università e il convento di San Esteban giocano un ruolo fondamentale, prontamente colto

da Las Casas e impresso nelle sue pagine. Forte, in questo senso, l’influsso della tradizione tomista sul tema, che prende spunto proprio da Tommaso d’Aquino. Le righe che sono state appena analizzate testimoniano il notevole attaccamento del domenicano nei confronti dell’Aquinate, dal momento che la sua principale fonte di ispirazione è la Summa Theologiae. Nel II articolo della quaestio CX della I-II, Tommaso spiega che

non est conveniens quod Deus minus provideat his quos diligit ad supernaturale bonum habendum, quam creaturis quas diligit ad bonum naturale habendum. Creaturis autem naturalibus sic providet ut non solum moveat eas ad actus naturales, sed etiam largiatur eis formas et virtutes quasdam, quae sunt principia actuum, ut secundum seipsas inclinentur ad huiusmodi motus.245

In questo passo, l’Aquinate analizza la relazione tra sovrannaturale e naturale e si mostra piuttosto critico nei confronti di coloro che guardano al trascendente e cercano di raggiungerlo con lo scopo di comprendere in che modo agire

secundum bonum. Dio, infatti, conferisce agli uomini la possibilità di tendere al

bene e, di conseguenza, di disporsi verso un retto comportamento già nel mondo in cui essi vivono. Gli esseri umani possiedono tale disposizione per natura e, attraverso la contemplazione del mondo che li circonda, hanno la possibilità di accrescere le virtù personali. Ciò che circonda l’uomo diviene, tenendo conto dell’argomentazione di Tommaso, l’elemento portante dello sviluppo delle virtù umane. Las Casas, per mezzo della Summa di Tommaso, riesce a trovare una fonte autorevole per confermare la tesi in base alla quale l’accesso al mondo è già donato da Dio al momento della creazione. Tale accesso si esplica sia sul piano gnoseologico, che su quello morale, dal momento che una conoscenza permette all’uomo di conoscere ciò che lo circonda e di agire in modo tale da perseguire il bene, regolando se stesso in base al risultato della sua conoscenza. Per questo, tutti gli esseri umani possiedono naturaliter le medesime capacità conoscitive, proprio in virtù di tale donazione divina. Las Casas, commentando tale passo della Summa, ribadisce che Dio si limita a ‘consegnare’ tale modus cognoscendi,

ma lascia totale libertà per la scelta dell’oggetto verso cui esercitare la conoscenza: Dio fornisce il contenitore e l’uomo decide, di volta in volta, quale contenuto porvi246.

Una volta definita con chiarezza la fonte della conoscenza e il ruolo che il mondo possiede nell’atto conoscitivo, Las Casas può determinare come avvenga effettivamente una conoscenza, che ha come principio il movimento, come affermato nel §2 del De unico vocationis modo. Il domenicano, spiegando il perché, durante la sua vita, l’uomo agisca interamente in base al suo libero arbitrio, spiega che

modus conveniens et naturalis creaturae rationalis, secundum conditionem naturae humanae, propter arbitrii libertatem, est ut ad bonum proprium moveatur, dirigatur sive ducatur dulciter, leniter atque suaviter, ita ut motus ille sit illi lenis, dulcis et suavis et connaturalis, quatenus sua sponte in bonum illud tendat et vadat, non minus quam caeterae res creatae.247

Il modo attraverso il quale gli esseri umani hanno accesso agli oggetti che li circondano è il movimento naturale che li conduce verso il mondo. Tale movimento ha per fine anche la comprensione di come tali oggetti possano essere utili per il raggiungimento del bene, ovvero del retto comportamento. La conoscenza non ha solamente una valenza teorica funzionale, cioè di mera ‘teoria della conoscenza’, ma anche antropologica e sociale, dal momento che questa tensione all’oggetto non si risolve solamente nella conoscenza del mondo ma, altresì, punta alla comprensione delle modalità attraverso le quali gli esseri umani possano interagire tra loro. Las Casas sottolinea la naturalezza di questo movimento utilizzando diversi termini – come naturalis, connaturalis, sua sponte – che testimoniano effective come il processo di conoscenza e di interazione reciproca degli uomini sia del tutto naturale e abbia come principio iniziale Dio. L’uomo è a tutti gli effetti una creatura del mondo e come tale si comporta e, per

246 Cfr. Fray Bartolomé de Las Casas, Obras completas, cit., II, p.. 20: «solet insuper Deus

interdum sine hoc quod aliquam formam imprimat volutati humanae movere eam, sicut sane appositione alicuius habitus quandoque facit, ut homo inclinetur in illud aut velit hoc quod prius non volebat, quod tamen semper fit absque violentia, quin motus ille semper suavis est et quodam modo naturalis».

questo, Las Casas non indugia nell’affermare che le potenzialità conoscitive dell’uomo siano equiparabili a quelle del resto degli esseri creati. Ciò a confermare che il processo di conoscenza è uguale per tutti gli esseri senzienti. In particolare, nell’uomo tale processo assume anche un valore etico-morale per la capacità che egli ha di tendere a qualcosa – in questo caso al bene – in modo razionale e non soltanto per istinto di autoconservazione.

Nelle parole di Las Casas bisogna notare un altro aspetto piuttosto interessante, assai significativo se legato agli avvenimenti storici presentati in precedenza relativamente alla storia dell’università di Salamanca e ai suoi rapporti con Roma nel XV secolo248. La descrizione del cominciamento della conoscenza umana e, conseguentemente, del suo rapporto con il mondo è accompagnata da termini come dulciter, leniter, suaviter, che conferiscono al processo di apprensione una connotazione quasi poetica, se non addirittura fiabesca. Tale scelta terminologica da parte dell’autore potrebbe far capo alle mutate condizioni della società di fine ‘400 – inizio ’500, la quale ricercava sicurezze da parte dei governanti e dei dotti. La diffusione della cultura, come è stato già visto in precedenza249, doveva essere codificata in modo tale da consentire alle persone di riacquistare fiducia verso la cultura e, più in generale, verso il mondo. L’uscita dalla crisi del senso dell’essere umano era veicolata nel far comprendere la relazione tra uomo e mondo come qualcosa di assolutamente naturale, e non peccaminosa come invece si tendeva a credere fino a qualche decennio prima, soprattutto sotto l’eco lontana delle idee di Innocenzo III. Il concetto di fuga mundi è stato definitivamente deposto, e scrivere un’opera in cui si definisce ‘dolce e soave’ la conoscenza aiuta il lettore a interiorizzare il senso positivo della conoscenza, dell’intersoggettività e delle azioni umane nel mondo. I primi due paragrafi del De unico vocationis modo tracciano le basi del processo conoscitivo riconosciuto da Las Casas ed evidenzia soprattutto l’esistenza di due principi, Dio e il motus-tendentia, che rendono possibile l’inizio di qualsiasi conoscenza che, bisogna ricordarlo, avviene allo stesso modo per tutte le creature. Rimane da comprendere in che modo si esplichi fattivamente la conoscenza e di questo Las Casas si occupa nel corso dei cinque paragrafi successivi a quelli

248 Cfr. infra XXX 249 Cfr. infra XXX

analizzati che compongono il quinto libro della sua opera. Nel §3 si legge, infatti, che

intellecta in nobis duobus modis fiunt. Primo modo naturaliter, secundo modo voluntarie. Naturaliter quidem dicitur intellectus noster intelligit quae sine ratiocinatione precedente intelligit […] ut non contingit idem simul esse et non esse; omne totum maius sua parte, vel ab aequalibus aequalia. Voluntarie autem intellecta sunt illa, quae non statim sunt manifesta intellectui esse vera, sed oportet precedere aliquam ratiocinationem ad credendum ea esse vera. Itaque intellectus non concedit ea vera esse, nisi velit, et nisi per voluntatem et ex proposito ratiocinante fuerit circa ea sufficienter.250

L’intelletto può conoscere in due modi, secondo natura o secondo volontà. Al primo modo appartengono tutte quelle conoscenze che vengono acquisite senza la necessità di operare su di esse un particolare ragionamento, in quanto la verità che recano in esse è autoevidente, come ad esempio nel caso del principio di non contraddizione o in quello della conoscenza delle verità matematiche. Accanto a questo tipo di conoscenze si ritrovano quelle che Las Casas definisce ‘volontarie’, ovvero derivanti da un ragionamento messo in moto dall’intelletto di chi conosce. Per mezzo di tale ragionamento, l’uomo arriva alla conoscenza del mondo che lo circonda, e ritiene vere sia la conoscenza di tali oggetti, sia l’esistenza degli oggetti stessi. L’intelletto perviene alla conoscenza solo quando ha decretato sufficiente il ragionamento prodotto per giungere a ritenere un oggetto realmente esistente nel mondo e non frutto di una qualsiasi forma di immaginazione fallace.