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L’approccio europeo al terrorismo

Il secondo approccio che analizziamo è quello dell’Unione Europea, in proposito l’azione di contrasto al terrorismo è modellata attorno a

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quattro pilastri: la prevenzione, la protezione, la repressione e la capacità di rispondere agli atti terroristici36.

L’ approccio adottato a livello regionale europeo appare, rispetto a quello internazionale, più equilibrato, globale ed efficace; ciò è giustificato da una folta giurisprudenza della Corte europea per i diritti dell’uomo e quella delle Corti costituzionali nazionali che hanno un ruolo decisivo nell’impedire il perpetuarsi di misure eccezionali o antiterrorismo al di fuori dei limiti consentiti dagli strumenti giuridici internazionali. Gli atti del Consiglio d’Europa sono improntati all’idea che sia possibile attuare una lotta efficace contro il terrorismo, mediante misure che siano rispettose dei diritti umani fondamentali garantiti a livello internazionale.

La posizione comune 2001/931/PESC del Consiglio del 27 dicembre 2001 individua una nozione comune di terrorismo basata su un elemento obiettivo, la commissione di un fatto il cui disvalore è obiettivo secondo il diritto penale, ed un elemento soggettivo, il dolo specifico rappresentato dall’agire per finalità di terrorismo, che aggancia il disvalore del fatto al bene giuridico, la sicurezza dello Stato e dell’Unione, offeso37. La lotta contro il terrorismo si caratterizza per

l’individuazione di persone ed organizzazioni i cui patrimoni devono essere congelati e sottratti alla disponibilità dei soggetti, da questo punto di vista essa recepisce quanto stabilito dalla risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con la risoluzione n. 1373/2001. Giova ricordare che la posizione comune PESC è uno strumento con il quale le politiche degli Stati membri si conformano all’approccio indicato dall’unione sul tema oggetto dell’atto, agli Stati resta la scelta sui mezzi e sui tempi di questi per raggiungere gli scopi previsti dall’atto. Si può notare come con l’adozione della posizione comune PESC venga

36 G.L. CONTI, Op. cit., p. 37 37 G.L. CONTI, Op. cit., p. 38

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sacrificata la tempestività dell’intervento in quanto manca una previsione sui tempi e sui modi in cui la posizione deve essere attuata, la scelta di questo tipo di atto è sintomatica della difficoltà di obbligare gli Stati a cooperare nel settore della lotta al terrorismo38.

La lotta al terrorismo si inquadra nel Terzo Pilastro dell’Unione Europea, essendo richiamata all’art. K1 del Trattato di Maastricht ed essendo contenuta nell’art. 29 del Trattato sull’Unione Europea (TUE); in particolare l’art. 29 TUE dispone che l’unione si prefigge come obiettivo quello di fornire ai cittadini un livello elevato di sicurezza in ogni spazio di libertà, sicurezza e giustizia, sviluppando tra gli Stati membri un’azione in comune nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale e prevendendo e reprimendo il razzismo e la xenofobia. Gli artt. 30 e 31 descrivono il modello di “azione comune” da sviluppare per la cooperazione di polizia e per quella giudiziaria in materia penale; per quanto riguarda la cooperazione di polizia è previsto un fitto scambio di informazioni ed iniziative comuni in settori quali la formazione e la ricerca in campo criminologico, è istituita la struttura Europol come strumento di tale collaborazione, al Consiglio spetta il compito di fornire alla struttura gli strumenti adeguati al suo compito. L’Europol è stata concepita come un’agenzia di intelligence criminale priva di poteri esecutivi, gli agenti dell’Europol non possono svolgere indagini né in proprio né essere impegnati in atti di acquisizione probatoria nei Paesi membri, tuttavia possono fornire un aiuto importante alle autorità nazionali competenti alla lotta al crimine organizzato ed al terrorismo. La cooperazione giudiziaria è assicurata facilitando la cooperazione tra ministeri ed autorità giudiziarie, le procedure di estradizione, le iniziative per uniformare i sistemi normativi al fine di evitare conflitti di giurisdizione e realizzare un quadro armonica tra la nozione di reato e quella di sanzione.

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Queste premesse permettono di analizzare in maniera puntuale le misure che compongono la politica dell’Unione nella lotta al terrorismo. Come abbiamo accennato sopra la strategia europea si articola lungo quattro direttrici: prevenzione, protezione, repressione e reazione.

Per quanto riguarda la prevenzione si hanno strumenti diretti ad impedire che si formino le condizioni ottimali per lo sviluppo del terrorismo, si tratta di iniziative che attengono al campo dell’educazione per far sì che vi sia maggiore comprensione tra le diverse anime culturali che compongono il puzzle dell’Europa.

A proposito della protezione si parla di controllo dei confini internazionali, attuato mediante gli strumenti offerti da Schengen ed il

Visa Information System, a questo va aggiunto il controllo dei trasporti contro il rischio di dirottamenti o di attentati, in proposito ricordiamo l’attuazione delle linee guida dettate dalla Convenzione di Chicago mediante il regolamento 2320/2002 e il regolamento 1546/2006 sulla sicurezza negli aeroporti con riferimento a ciò che i passeggeri possono trasportare. Altre disposizioni riguardano l’accesso alle sostanze che possono essere utilizzate per compiere attentati terroristici.

Veniamo al terzo pilastro, la repressione, qui l’Unione agisce sul presupposto di una definizione comune dei reati terroristici, la decisione 475/2002 del Consiglio individua una serie di comportamenti che sono considerati reati terroristi. Viene data anche una definizione di organizzazione terroristica: associazione strutturata di più di due persone, stabilita nel tempo che agisce in modo concertato allo scopo di commettere atti terroristici (art. 2 azione comune del 21 dicembre 1998)39. Secondo questa impostazione il terrorismo assume la

consistenza di un dolo specifico, non è individuata una fattispecie, viene punito in maniera più o meno grave un reato in virtù delle ragioni che

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ne hanno orientato la commissione40. Il bene giuridico protetto è

individuato nella difesa dell’ordine costituzionale contro il terrore. La condivisione di tale bene giuridico protetto consente agli Stati membri di adottare delle forme di collaborazione incisive; queste riguardano la condivisione di informazioni e la negoziazione a livello unionale con gli Stati Uniti considerati il Paese che più degli altri è in prima linea nella lotta al terrorismo.

Particolare rilievo in questo ambito ha la disciplina dettata dalla Direttiva 2006/24/ Ce in materia di conservazione dei dati relativi alla comunicazione adottata dal Parlamento Europeo e dal Consiglio il 15 marzo 2006. La direttiva parte dal presupposto che ogni Stato disciplina in modo autonomo la materia della conservazione dei dati sulla comunicazione, ciò giustifica l’intervento dell’Unione allo scopo di assicurare una disciplina omogenea e con una base giuridica fondata sul principio di sussidiarietà. Per dati s’intendono, ex art. 2 secondo paragrafo lett. a), “i dati relativi al traffico e i dati relativi

all’ubicazione, così come i dati connessi e necessari per identificare l’abbonato o l’utente”.

La conservazione dei dati è a carico del soggetto incaricato del trattamento di questi, coincide quindi con il proprietario o il gestore dell’infrastruttura che permette la comunicazione; i dati devono essere conservati in forma anonima e messi a disposizione delle autorità nazionali competenti quando queste ne facciano richiesta per motivi collegati allo svolgimento di indagini aventi ad oggetto reati considerati “gravi” dal legislatore dei singoli Stati. I dati consultabili riguardano esclusivamente il nominativo dell’utente e la sua ubicazione, non riguardano quindi il contenuto delle comunicazioni. Questa segretezza, che coinvolge anche il nome del mittente e del destinatario e la frequenza della comunicazione, è un bene di interesse comune; i casi in

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cui la segretezza può venire meno sono individuati, così come le modalità, a livello dell’Unione.

La Decisione 2008/615/GAI del Consiglio prevede la creazione di banche dati comuni che contengono sia dati genetici che dattiloscopici così da poter inserire un profilo genetico o dattiloscopico possa essere inserito come chiave di ricerca dall’autorità di polizia di uno Stato membro ed essere investigato; lo Stato che ha promosso l’investigazione sarà autorizzato a ricevere informazioni soltanto nel caso in cui si abbia una corrispondenza positiva. Ciò significa che se una persona è sospettata dalla polizia di poter commettere dei reati terroristici questa persona può essere oggetto di indagini e di altre attività di polizia a carattere preventivo sia da parte dalle autorità di polizia che lo sospetta sia da parte di ogni altra autorità di polizia degli Stati membri. Il sospetto di poter commettere dei reati terroristici vale come un “timbro” unionale nei confronti del soggetto sospettato che viene sottoposto restrizioni della libertà a carattere preventivo da parte di tutti gli Stati membri che intendano aderire alla segnalazione. Tutto ciò è stabilito senza alcuna garanzia per l’interessato che non è colpevole di nessun reato e che si trova nello stato di soggezione tipico delle misure di prevenzione. Il diritto alla tutela giurisdizionale non può essere tralasciato in nessun caso, neppure per finalità di contrasto al terrorismo41.

Allo scopo di repressione, è stato profondamente semplificato il regime dello scambio di informazioni di polizia. Il principio è quello dell’accesso equivalente: l’autorità di polizia di uno Stato membro è tenuta a fornire tutte le informazioni che le sono richieste da un altro Stato membro e che sarebbe tenuta a fornire se le fossero richieste da una diversa autorità di polizia dello Stato membro stesso. Ciò fa sì che

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le autorità di polizia abbiano accesso ad un patrimonio investigativo comune.

Infine, per quanto riguarda l’ultimo pilastro, la reazione, le norme in materia di risposta agli attacchi terroristici sono composte dal meccanismo di protezione civile; la Decisone del Consiglio 2007/779/EC adottata da Euratom l’8 novembre 2007 istituisce un Meccanismo Comunitario di Protezione Civile avente ad oggetto il coordinamento dei sistemi nazionali di protezione civile in occasione di qualsiasi emergenza, dalle catastrofi naturali agli atti terroristici considerati come catastrofi per mano dell’uomo. Non c’è differenza tra l’attentato terroristico e la catastrofe, in entrambi i casi intervengono soggetti specializzati nel sollievo delle vittime di un evento che non distingue le persone che colpisce. Intervenendo le medesime persone lo Stato colpito dimostra di poter contare sulla solidarietà degli altri Stati e la popolazione colpita può trovare nella solidarietà lo spirito per reagire al tentativo di scatenare il terrore che rappresenta il fulcro di ogni atto terroristico; questa costituisce senza dubbio una risposta formidabile al terrorismo.

Abbiamo accennato alla raccolta di informazioni, queste rappresentano il patrimonio più importante degli Stati nella lotta contro il terrorismo allo stesso tempo però possono diventare uno strumento di oppressione perché caratterizzano il rapporto del cittadino con lo Stato, quest’ultimo può conoscere molte informazioni su un cittadino ed usarle per diversi scopi. Il cittadino talvolta non sa quali informazioni gli organi di polizia abbiano raccolto sulla sua attività, ciò pone le autorità di polizia in una posizione di superiorità rispetto al cittadino.

Nell’ottica dell’Unione ciò è amplificato in quanto le informazioni raccolte da uno Stato membro possono essere messe a disposizione degli altri Stati, ciò pone l’individuo in una posizione di inferiorità non solo

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nei confronti dell’autorità nazionale, ma anche nei confronti di quella degli altri Stati membri.

Volgiamo adesso lo sguardo in maniera più puntuale alla tutela dei diritti individuali nella lotta al terrorismo. In materia dobbiamo ricordare la Convenzione sulla prevenzione del terrorismo adottata il 3 maggio 2005, ma che trova le proprie radici storiche nei fatti risalenti all’11 settembre 2001. Questa va considerata unitamente alla Convenzione per la soppressione del terrorismo, perché nasce dall’aggiornamento di questa fatta dal Multidisciplinary Group on International Action against

Terrorism (GMT), a tale gruppo era affidato il compito di perfezionare la convenzione per soppressione a seguito degli eventi dell’11 settembre 2001. Il GMT voleva redigere una convenzione il più possibile completa ed in grado di disciplinare ogni aspetto giuridicamente rilevante sul piano della lotta al terrorismo42, tale compito tuttavia andava al di là

delle attribuzioni dell’organo. Il materiale elaborato è stato raccolto dall’assemblea parlamentare che ha cercato di unire la lotta al terrorismo con la promozione e valorizzazione della democrazia. Nell’elaborare la convenzione il Comitato dei ministri si è avvalso della collaborazione di un Comitato di Esperti sul Terrorismo (CODEXTER) il quale ha sostituito il GMT che aveva terminato il proprio mandato. Il CODEXTER è formato da un rappresentante per ogni paese aderente al Consiglio d’Europa. Il suo compito è seguire l’attività di sviluppo ed aggiornamento degli strumenti giuridici adottati dal Consiglio stesso. I lavori dell’organo si svolgono in due sessioni annuali ognuna delle quali dura due giorni, duranti tali sessioni è emersa la capacità dell’organo di funzionare come un osservatorio internazionale per la repressione e la soppressione del terrorismo anche attraverso lo scambio di informazioni circa le indagini in corso nei vari Stati e i procedimenti giudiziari pendenti. Tale organismo si è concentrato sull’elaborazione di uno

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strumento in grado di colmare le lacune degli strumenti vigenti nella lotta al terrorismo ed un tanto è significativamente definito attraverso la formula dealing with lacunae.

L’obiettivo è stato raggiunto ponendo l’accento sulla tutela dei diritti individuali nella lotta al terrorismo. È stato sviluppato un nuovo strumento in cui la lotta contro il terrorismo è uno strumento di tutela dei diritti individuali, i metodi utilizzati per combattere il terrore si strutturano sul patrimonio comune delle libertà tutelate in Europa. Viene individuato un legame forte tra la battaglia contro il terrorismo e quella per i diritti: lottare contro il terrorismo significa lottare per il rispetto dei diritti umani, le libertà fondamentali e quei valori e procedure che ricadono nel concetto della rule of law. Questo patrimonio diventa quindi uno strumento di lotta piuttosto che un ostacolo nella guerra contro il terrorismo come descritto talvolta dalla politica statunitense. Si ha una tensione tra due diversi modelli: quello che nella Global War è un limite inevitabile ed esterno per gli strumenti di lotta al terrorismo diventa il fondamento della battaglia contro il terrorismo portata avanti dall’Unione Europea.

Un aspetto su cui si concentra la convenzione è la necessità di cooperazione tra gli Stati nella lotta al terrorismo. Il rispetto dei diritti umani si trova in un rapporto dialettico con i bisogni espressi dalla lotta contro il terrorismo ed è stato osservato che alcune volte gli Stati sono andati contro i principi espressi dalla CEDU per ragioni legate alla soppressione del terrorismo, particolarmente in materia di libertà di espressione.

Il fulcro della convenzione europea sulla prevenzione del terrorismo è l’individuazione dei limiti fra la repressione del terrorismo e la libertà di espressione attraverso l’enunciazione delle condizioni che possono rendere punibili l’apologia del terrorismo o l’attività di addestramento e reclutamento di terroristi. L’attività del Consiglio di Europa consiste

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nell’elaborazione di standard comuni che rappresentano il punto di equilibrio fra il patrimonio costituzionale comune ed i bisogni di sicurezza.

L’Unione ha adottato una serie di atti, che pur non riguardando esclusivamente il terrorismo, sono da inserire nel quadro della strategia di lotta al terrorismo. Si tratta delle misure in tema di cooperazione giudiziaria decise nel 1999 a Tampere dal Consiglio Europeo, ma attuate solo in seguito all’11 settembre 2001. In particolare, si tratta del mandato di arresto europeo e dell’istituzione dell’Eurojust. Secondo le conclusioni del Consiglio di Tampere era opportuno abolire tra gli Stati membri la procedura formale di estradizione per le persone che si sottraggono alla giustizia dopo essere state condannate definitivamente ed accelerare le procedure di estradizione per quanto riguarda le persone sospettate di aver commesso un reato. Il fondamento della cooperazione giudiziaria tanto in materia civile quanto in materia penale doveva diventare il riconoscimento reciproco delle decisioni delle autorità giudiziarie. Cronologicamente è stato istituito prima l’Eurojust con la decisione 2002/187/GAI del 28 febbraio 2002: è un organo con personalità giuridica composto da un membro nazionale, distaccato da ogni Stato membro, avente titolo di magistrato del pubblico ministero, giudice o funzionario di polizia con pari prerogative. Lo scopo dell’organo è quello di migliorare il coordinamento tra le autorità degli Stati membri competenti nelle indagini, nelle azioni penali e nell’esecuzione delle sentenze in ordine alle forme gravi di criminalità; l’organo può agire tramite i singoli membri o in modo collegiale con funzioni diverse, ma che riguardano la richiesta agli Stati membri di avviare un’indagine o azioni penali per fatti precisi. Si tratta quini di un organo ausiliare il cui compito è facilitare l’azione delle autorità di polizia dei singoli Stati.

Il secondo strumento è il mandato di arresto europeo previsto dalla decisione quadro 2002/584/GAI adottata il 13 giugno 2002, questo può

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applicarsi soltanto ai reati previsti nella decisione stessa, tra i quali è compreso il reato terroristico per la definizione del quale è intervenuta la decisione 2002/475/GAI. Il meccanismo di funzionamento coinvolge solo le autorità giudiziarie competenti dei singoli Stati e prevede che l’autorità emittente trasmetta direttamente il mandato all’autorità di esecuzione mediante un formulario che deve contenere tutti gli elementi necessari all’identificazione del ricercato, del reato per cui è stata emessa nei suoi confronti una sentenza esecutiva e della pena inflittagli. L’arrestato resta titolare, nell’arresto, nella cattura e nella riconsegna, di una serie di garanzie quali l’audizione per il suo consenso alla consegna all’autorità emittente. La decisione circa la consegna spetta all’autorità che effettua l’arresto sulla base delle informazioni fornite dall’autorità emittente43.

In ultima analisi dobbiamo ricordare che gli Stati membri della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali sono vincolati dall’art. 15 della CEDU in base al quale in caso di guerra o di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione ogni Stato può adottare delle misure derogatorie degli obblighi previsti nella Convenzione se la situazione emergenziale lo richiede e a condizione che tali misure non siano in contrasto con gli altri obblighi derivanti dal diritto internazionale. Tuttavia, è stabilito che non possono essere derogati l’art. 2 (diritto alla vita) e gli artt. 3 (proibizione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti), 4, par. 1 (proibizione della schiavitù) e 7 (principio di legalità e di irretroattività in materia penale). Lo Stato che decide di esercitare tale diritto deve tenere informato il Segretario generale del Consiglio d’Europa delle misure prese e dei motivi che hanno spinto lo Stato stesso ad adottarle, nonché della data in cui queste cessano di essere in vigore e le disposizioni della Convenzione tornano ad essere pienamente funzionanti. Secondo la

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dottrina di stampo internazionale tale disposizione avrebbe due obiettivi principali: da una parte mira a scongiurare il ricorso indiscriminato al principio secondo il quale lo stato di necessità opera come limite cesserebbe di essere vincolante quando il suo rispetto pone in pericolo l’esistenza dello Stato, dall’altra vuole evitare che gli Stati membri si ritirino dalla Convenzione al sopravvenire di una situazione di “guerra

o di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione”44. Va

sottolineato che l’art. 15 CEDU non può configurarsi quale autorizzazione agli Stati a prevedere deroghe a norme nazionali di rango costituzionale al di fuori dei casi in cui queste ultime lo consentano, neppure in quegli ordinamenti che hanno recepito la Convenzione a livello costituzionale, né in quei sistemi costituzionali che vietino deroghe alle norme costituzionali o in quegli ordinamento costituzionali in cui manchino norme costituzionali o legislative in materia.

5. I cinque modelli costituzionali di risposta alle emergenze; in