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La libertà religiosa negli Stati Uniti, la reazione agli attacchi dell’

CAPITOLO 3: I LIMITI ALLA LIBERTÀ RELIGIOSA ALLA

2. La libertà religiosa negli Stati Uniti, la reazione agli attacchi dell’

Il modello statunitense costituisce per molti Stati un’ispirazione, perché considerato modello- guida della civiltà occidentale.

La libertà religiosa negli USA è intesa come first freedom, è la prima libertà menzionata nel primo emendamento del 1791 che impedisce al Congresso di legiferare in materia di libertà di religione, di parola, di stampa e di riunione. La norma è formata da due clausole, la free

exercise e la Establishment clause volte entrambe a proteggere la libertà religiosa. La portata di questa disposizione si inizia ad apprezzare nella seconda metà del Novecento quando, accanto alla libertà di credere come libertà assoluta, si affianca la libertà di praticare il proprio credo che appare una libertà relativa e limitabile. Merita di essere ricordata la decisione della Corte Suprema nel caso Employment Division c. Smith del 1990: oggetto del ricorso era la legge federale statunitense che sanzionava l’uso del peyote e di altre droghe allucinogene utilizzate dai nativi americani durante le loro cerimonie religiose. Lo Stato dell’Oregon nega il sussidio di disoccupazione a due indiani, licenziati per aver fatto uso illegale di sostanze allucinogene nel contesto di riti religiosi. Dopo un lungo e complesso iter giudiziario la Corte Suprema ritiene che la formulazione della legge fosse di carattere generale e non indirizzata a uno specifico gruppo religioso, basandosi su questo ha afferma che una legge il cui scopo primario non sia quello di sanzionare

57 F. ALICINO, Lo Stato laico costituzionale di diritto di fronte all’emergenza del terrorismo islamista, pp. 3-6, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, n. 2 del 2018, www.statoechiese.it

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direttamente una condotta religiosa, ma abbia effetti su questa solo in mondo incidentale, sia da ritenersi compatibile con la clausola della free

exercise del primo emendamento. L’approccio della Corte nel caso Smith tende a trasformare il diritto di libertà religiosa in un diritto di uguaglianza formale dei cittadini davanti alla legge. Il libero esercizio della libertà religiosa sembrerebbe essere tutelato solo da quelle leggi che lo limitano intenzionalmente e ciò ne ridurrebbe la portata58.

L’ordinamento statunitense si trova prima di altri a dover fissare i limiti applicativi del diritto di libertà religiosa. Mentre in Italia, e più in generale in Europa, abbiamo costruito un concetto di libertà religiosa tendenzialmente illimitato in America si comincia ad applicare un criterio di bilanciamento tra interessi concorrenti; ciò può portare, talvolta, la libertà religiosa su un piano più basso rispetto ad altri interessi, quale, nel nostro caso, la sicurezza59.

Il 16 novembre 1993 viene approvato il Religious Freedom Restoration

Act che vieta al governo di limitare l’esercizio della libertà religiosa individuale, a meno che l’eventuale limitazione non sia giustificata dal conseguimento di un interesse pubblico prevalente il cui raggiungimento non è altrimenti possibile. Si concretizza l’idea che la libertà religiosa debba essere assicurata e tutelata, ma che, a seconda delle circostanze, possa anche essere limitata. Solo tre anni dopo tale atto è stato ritenuto parzialmente incostituzionale dalla Corte Suprema nel caso City of Boerne c. Flores che ha recuperato l’impostazione del caso Smith imponendo grossi limiti alla potenziale estensione voluta dal potere legislativo. La protezione prevista dal Religious Freedom

Restoration Act risulta applicabile alle sole leggi federali e non a quella statale che viene valutata sulla base di un criterio più stringente. Numerosi gruppi religiosi hanno visto in questa pronuncia una minaccia

58 P. ANNICCHINO, Esportare la libertà religiosa. Il Modello Americano nell’Arena Globale, pp. 24- 26, il Mulino, 2015

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per la libertà religiosa in quanto non garantiva deroghe rispetto alla legge generale e configurava la libertà religiosa come un diritto di parità di trattamento davanti alla legge60. Queste pronunce hanno portato ad

una reazione politica atta a ribaltare il risultato delle pronunce della Corte Suprema.

Nel 1998 viene approvato l’International Religious Freedom

Restoration Act: la promozione della libertà religiosa diventa parte integrante della politica estera degli USA declinata, di volta in volta, in modo diverso dai presidenti che si sono susseguiti nel tempo. Dal punto di vista del contenuto il testo prevede quattro diverse linee di azione: 1) protezione e promozione della libertà religiosa quale parte integrante della politica estera; 2) assistenza ai nuovi Paesi democratici per rendere effettiva la tutela della libertà religiosa; 3) misure di supporto per le organizzazioni e i gruppi religiosi; 4) misure sanzionatorie per Paesi che violino il diritto di libertà religiosa. Nella seconda sezione (b) si individuano le politiche che gli Stati Uniti dovranno seguire. Queste sono suddivise in cinque categorie diverse: 1) azione di condanna delle violazioni della libertà religiosa e di promozione del diritto stesso; 2) sulla base del Foreign Assistance Act del 1961 e dell’International

Financial Insitution Act del 1977 un impegno a dedicare fondi per l’assistenza a Paesi terzi che non abbiano attuato politiche che violino, in modo grave, il diritto di libertà religiosa; 3) un’ applicazione delle misure previste dalla normativa che sia “vigorosa e flessibile” tenuto conto delle relazioni che gli USA hanno con i diversi Paesi; 4) la necessità di un approccio multilaterale e della cooperazione con gli altri Paesi; 5) un richiamo a tutti i possibili strumenti utilizzabili dalla diplomazia degli Stati Uniti per la promozione della libertà religiosa. Vengono istituiti l’ambasciatore per la libertà religiosa, di nomina presidenziale, e la Commissione per la libertà religiosa internazionale,

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agenzia di nomina mista parlamentare e governativa che monitora la libertà religiosa nel mondo e stila la lista dei Paesi “canaglia”61.

Lo schema statunitense quindi prevede un’attenzione bilanciata alla libertà religiosa che non è vista come diritto universale e illimitabile dal momento che deve essere bilanciato con altri interessi considerati altrettanto importanti, come appunto la sicurezza. La protezione della libertà religiosa diventa così strumentale e relativa.

Come abbiamo visto nei capitoli precedenti il Governo statunitense dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 ha adottato diversi atti con i quali sono stati attribuiti all’Esecutivo poteri straordinari, tra cui la possibilità di far giudicare i sospettati di terrorismo da tribunali militari, a porte chiuse e senza le ordinarie garanzie processuali. L’attuale Presidente, Donald J. Trump, ha più volte ipotizzato di usare strumenti di sorveglianza nelle moschee e di vietare l’immigrazione ai cittadini provenienti da Paesi a maggioranza musulmana. Il 27 gennaio 2017 Trump ha firmato un executive order che blocca in maniera temporanea l’entrata negli Stati Uniti a cittadini di sette Paesi a maggioranza musulmana; il “travel ban” è stato prima ritirato in seguito a diversi ricorsi alle Corti Federali, poi ripristinato dalla Corte Suprema in attesa di pronunciarsi sul provvedimento. La decisione della Corte Suprema è arrivata il 26 giugno 2018 ribaltando le decisioni prese nelle singole Corti Federali: la Corte Suprema ha affermato che il provvedimento rispetta la legge e il dettato costituzionale. In particolare, i giudici hanno votato per la conferma dell’ordine presidenziale seguendo la divisione fra conservatori e liberali. L’opinione della maggioranza è che la legge dia al Presidente il potere di “sospendere l’ingresso di stranieri negli Stati Uniti” e la Casa Bianca abbia “esercitato tale autorità basandosi sui dati, in seguito a una indagine globale, affidata a diverse agenzie,

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secondo cui l’ingresso di certi stranieri sarebbe stato dannoso per l’interesse nazionale” 62.

In tale quadro normativo si inseriscono anche i provvedimenti della polizia statunitense incentrati sulla sorveglianza e sulla raccolta di informazioni relative a persone ed organizzazioni musulmane. Negli ambienti investigativi l’appartenenza religiosa è considerata come il principale fattore su cui concentrare l’attenzione per trovare potenziali terroristi e prevenire possibili attentati.

Si tratta di un modus operandi che è rimasto impresso fra le strategie di contrasto e di prevenzione dell’attuale fenomeno eversivo, nonostante numerose ricerche abbiano nel frattempo dimostrato l’insuccesso di un approccio investigativo e penale-repressivo basato esclusivamente su tali premesse. Non sempre la minaccia terroristica ha una connotazione comunitaria-islamista: spesso sono proprio le persone che non appartengono o che non frequentano in modo assiduo associazioni o organizzazioni religiose a intraprendere, in solitudine o magari con l’ausilio di altri, la via del radicalismo, una via agevolata dalle opportunità offerte dal web e dagli strumenti telematici.

Negli anni ’60 la diffusione di movimenti politici percepiti dalle autorità americane come sovversivi e potenzialmente pericolosi per la sicurezza pubblica spinge molte agenzie degli affari interni ad iniziare una serie di attività di sorveglianza al fine di prevenire reati ed attività illecite. Tale tipo di sorveglianza viene riproposta oggi come strumento di lotta al terrorismo e grazie al progresso tecnologico è diventata ancora più pervasiva e pone non pochi problemi con il tema della tutela della privacy e del suo bilanciamento con la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza. Le agenzie di intelligence e i servizi di sicurezza americani

62 M. FERRARESI, Sul "travel ban" la Corte Suprema regala una gran vittoria a Trump, su www.ilfoglio.it, 26 giugno 2018

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hanno raccolto una sostanziosa mole di informazioni sui cittadini americani e non solo, hanno creato database che contengono informazioni sulla posizione delle persone, su chi incontrano, sui siti Web che visitano. Allo stesso tempo le agenzie locali e nazionali hanno anche condotto operazioni mirate di sorveglianza di minoranze politiche e religiose, in special modo nei confronti della minoranza musulmana63.

L’aver condotto tali operazioni nei confronti di soggetti preventivamente individuati e catalogati in base alla loro appartenenza religiosa e nei confronti di specifiche associazioni religiose ha fatto sì che alcuni membri dell’apparato giudiziario abbiano riscontrato una violazione del principio di uguaglianza che, se confermata, condurrebbe ad una duplice discriminazione: sia nei confronti dei singoli soggetti interessati, sia nei confronti delle organizzazioni religiose cui appartengono tali soggetti. Per lo stesso motivo, secondo i giudici, tali misure rischiano di creare fattispecie e prassi investigative ad elevato contenuto simbolico sul piano della sicurezza, dotate di un carico sanzionatorio afflittivo sproporzionato rispetto alla condotta dei soggetti interessati e con risultati non sempre funzionali alla prevenzione, contrasto e repressione del terrorismo64.

Si rende quindi necessario trovare nuove modalità e nuovi strumenti per la tutela dei diritti civili. Il tema della tutela dei diritti civili nel contesto dell’uso dell’attività di sorveglianza da parte delle forze di polizia o di organismi pubblici è sollevato anche dalle istituzioni europee a seguito delle rivelazioni successive al caso Snowden: un ex tecnico della CIA e consulente dell’NSA divenuto celebre per le rivelazioni che hanno portato “alla luce” i sistemi di sorveglianza di massa utilizzati dal governo degli Stati Uniti. Nel marzo 2014 il Parlamento europeo

63 P. ANNICCHINO, Sicurezza nazionale e diritto di libertà religiosa. Alcune considerazioni alla luce della recente esperienza statunitense, p. 4, in Stato, Chiese e

pluralismo confessionale, n. 5 del 2017, www.statoechiese.it

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approva una risoluzione con la quale esprime riserve circa la raccolta dei dati personali, anche di cittadini europei, da parte delle agenzie statunitensi. Viene sottolineato l’impatto che tali tecniche di raccolta dei dati possono avere sull’applicazione di misure restrittive della libertà personale, tali tecniche andrebbero a creare un sistema di tipo preventivo che rischia di scardinare i principi del diritto penale in cui ogni interferenza con i diritti fondamentali delle persone indagate dev’essere regolata per legge ed autorizzata da un giudice sulla base di un ragionevole sospetto65.

Recentemente alcuni giudici statunitensi si sono pronunciati su sospette violazioni della libertà religiosa dei fedeli musulmani ad opera del New

York Police Department. Tali azioni evidenziano quanto la tutela dei diritti civili sia sempre più difficile da perseguire quando i poteri pubblici possono controllare, anche ricorrendo a metodi contrari alla legalità costituzionale, i dati personali delle persone66. A seguito degli

attentati dell’11 settembre 2001 la città di New York è sempre più percepita come il principale bersagli di ulteriori attacchi terroristici. Il

New York Police Department (NYPD) crea, per questo motivo, una

“Intelligence Unit” e, all’interno di questa, una “Demographics Unit” alla quale viene assegnato il compito di identificare e localizzare le concentrazioni di particolari etnie e monitorarle; l’oggetto delle attenzioni del NYPD sono principalmente i fedeli di religione musulmana. Tale aspetto emerge grazie ad un’inchiesta della Associated

Press che dimostra come la polizia abbia monitorato ogni aspetto della vita dei fedeli e creato una banca dati con le informazioni sui luoghi di ritrovo e di preghiera; ciò è stato possibile grazie ad operazioni di infiltrazione della polizia all’interno di gruppi universitari di studenti musulmani e gruppi simili. La polizia ha organizzato squadre di agenti sotto copertura nei quartieri abitati da minoranze musulmane,

65 P. ANNICHINO, Op. cit., p. 5 66 P. ANNICCHINO, Op. cit., p. 6

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monitorandone la vita quotidiana nelle librerie, nei bar. Sono stati utilizzati anche informatori il cui compito era monitorare i sermoni degli imam anche a scopo preventivo, anche in assenza di prove o di indizi di possibili reati. La polizia newyorkese, inoltre, redige, un rapporto dal titolo “Radicalization in the West: The Homegrown Threat” nel quale individua degli indicatori predittivi di possibile radicalizzazione ed attività terroristica. I principali elementi che possono portare alla radicalizzazione sono tre: 1) essere uomo, giovane, musulmano; 2) partecipare attivamente alla vita della comunità musulmana; 3) esternare punti di vista religiosi influenzati dall’Islam. Risulta evidente che l’attenzione della polizia si concentra in modo principale sull’appartenenza religiosa come elemento predittivo di una propensione al terrorismo. Tutti e tre gli indicatori portano ad individuare i soggetti che in seguito potranno essere oggetto di sorveglianza ed intercettazioni che risultano non più basate su un ragionevole sospetto nei confronti dell’interessato, ma basate su elementi sommari che nulla dicono circa l’affiliazione ad organizzazioni terroristiche67.

Tra le varie pronunce ricordiamo la decisione relativa al caso Hassan c.

City of New York, la United States Court of Appeal for the Third Circuit ribalta la pronuncia della District Court affermando che la situazione creata dalle misure antiterrorismo non è nuova e neppure priva di effetti dannosi e irragionevolmente discriminatori. La Corte richiama casi precedenti in cui il Paese ha preso decisioni simili nei confronti, ad esempio, degli ebrei americani nel periodo influenzato dalla paura del comunismo, degli afroamericani durante le rivolte per i diritti civili, degli americani di origine giapponesi durante la seconda guerra mondiale. La Corte sottolinea come poi, con il tempo, gli americani si siano sempre resi conto che la “lealtà ai valori repubblicani americani

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è una questione di cuore e di mente, non di razza, credo o colore della pelle” consci di questo non è possibile continuare a ripetere gli stessi errori. Nell’amicus curiae presentata per sostenere il ricorso dei ricorrenti, una folta coalizione di differenti attori religiosi sottolinea come il programma del NYPD costituisca una minaccia per il rispetto del diritto di libertà religiosa che avrebbe portato a restrizioni dei diritti costituzionalmente garantiti. Si evidenzia inoltre che tali attività violano direttamente il Primo Emendamento in quanto il sistema di sorveglianza costituisce un’indebita relazione tra lo Stato e la religione che autorizza un programma che va oltre la sorveglianza del singolo a favore di un’attività di rilevamento di tutti gli appartenenti ad un gruppo religioso. Questa sorveglianza che oggi ha come oggetto la comunità islamica che potrebbe un domani riguardare altre comunità religiose rappresenta una palese violazione dei diritti tutelati dal Primo Emendamento.

Le dichiarazioni dei giudici della Court of Appeal rivestono ancora oggi un ruolo importante, tanto più alla luce delle parole del nuovo Presidente, Donald J. Trump, che durante la campagna elettorale del 2016 ha descritto i fedeli musulmani come un pericolo imminente per la sicurezza nazionale e un ostacolo al soddisfacimento degli interessi nazionali; motivo per il quale occorre intervenire nei loro confronti in modo rapido ed urgente, tali intenzioni si sono concretizzate subito con l’ordine esecutivo “travel ban”, esaminato in precedenza.

Possiamo concludere dicendo che, nonostante alla libertà religiosa sia stato affidato un ruolo preminente in politica estera, gli eventi che hanno visto protagonisti gli Stati Uniti a partire dall’11 settembre 2001 hanno portato ad una limitazione della libertà religiosa nei confronti dei fedeli ed una generale diffidenza nei confronti di questi, spesso giudicati come potenziali terroristi sulla base di informazioni sommarie.

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3. La libertà religiosa in Francia, la reazione agli attacchi a Charlie