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Libertà religiosa e sicurezza: un bilanciamento difficile

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

TESI DI LAUREA

LIBERTA’ RELIGIOSA E SICUREZZA: UN

BILANCIAMENTO DIFFICILE

RELATORE CANDIDATO

Prof. Francesco DAL CANTO Carolina Angeli

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INDICE

INTRODUZIONE 5

CAPITOLO 1: LA LIBERTÀ RELIGIOSA

NELL’ORDINAMENTO 7

1. L’Italia prima della Repubblica: alla ricerca di una separazione tra istituzioni civili e istituzioni ecclesiastiche ... 7 2. Il primo dopo guerra: necessità di riformare la legge delle Guarentigie ... 11 3. I “Patti Lateranensi” del 1929: la conciliazione con la Chiesa ... 12 4. La Costituzione Repubblicana: il diritto alla libertà religiosa come diritto fondamentale ... 15 5. La Prima Repubblica: prime difficoltà di attuazione del disegno costituzionale ... 20 6. L’Accordo di Villa Madama: un nuovo assetto dei rapporti tra Stato e Chiesa conforme a Costituzione ... 22 7. La libertà religiosa nell’ordinamento europeo, la CEDU, la CSCE e la Carta di Nizza ... 24 8. La libertà religiosa nei trattati internazionali, in particolare, lo Statuto delle Nazioni Unite, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, il Patto Internazionale sui diritti civili e politici e Dichiarazione sull’eliminazione di tutte le forme d’intolleranza e di discriminazione fondate sulla religione e sul credo ... 29

CAPITOLO 2: IL TERRORISMO, UN PERICOLO PER LA DEMOCRAZIA: I DIVERSI APPROCCI 34

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1. La definizione di terrorismo ... 34

2. Il terrorismo di matrice islamica: da Al- Qaeda all’IS ... 39

3. L’approccio internazionale al terrorismo ... 46

4. L’approccio europeo al terrorismo ... 53

5. I cinque modelli costituzionali di risposta alle emergenze; in particolare quello statunitense e francese ... 64

6. L’ approccio italiano al terrorismo ... 72

CAPITOLO 3: I LIMITI ALLA LIBERTÀ RELIGIOSA ALLA LUCE DELLA MINACCIA TERRORISTICA: UNA VISIONE COMPARATISTICA 84 1. Diritto alla sicurezza e terrorismo religioso ... 84

2. La libertà religiosa negli Stati Uniti, la reazione agli attacchi dell’11 settembre, il caso del dipartimento di polizia di New York ... 89

3. La libertà religiosa in Francia, la reazione agli attacchi a Charlie Hebdo e il principio di precauzione ... 98

4. La libertà religiosa in Italia, le leggi “anti- moschee” e i simboli religiosi negli spazi pubblici ... 110

CAPITOLO 4: LA NECESSITÀ DI UNA LEGGE GENERALE

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1. Uno sguardo di insieme sulle intese ... 134 2. Profili critici dello strumento delle intese ... 137 3. Progetti per una legge generale sulla libertà religiosa ... 144

CONCLUSIONI 152

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INTRODUZIONE

Il terrorismo rappresenta una minaccia globale che coinvolge tutti i Paesi, questo ha come obiettivo quello di stravolgere il mondo come noi lo conosciamo, mira a modificare il nostro sistema di valori e diritti, la nostra concezione di Stato e vuole generare in noi un costante senso di insicurezza. Le democrazie sono chiamate a disporre strumenti efficaci per prevenire e contrastare tale fenomeno senza però mettere a rischio il sistema delle libertà e i valori fondanti della democrazia. In che misura i diritti della persona e, in particolare, la libertà religiosa possono essere condizionati dal fenomeno del terrorismo e in che misura, qualora tale presenza persista, gli strumenti di difesa previsti dall’ordinamento possono derogare i principi dello Stato di diritto?

In questi anni il terrorismo ha aumentato la propria diffusione e ha accresciuto la propria influenza nella vita quotidiana delle nazioni. A partire dal settembre 2001 abbiamo assistito ad un’escalation di violenza e di attacchi, prima per mano di Al- Qaeda e più recentemente per mano dell’IS; quest’ultimo si è proposto come un vero e proprio Stato, con una capitale, recentemente riconquistata, con un sistema sanitario e scolastico, un ordinamento che vuole ergersi a riferimento per tutti i musulmani che si riconoscono nell’Islam professato dai combattenti del cosiddetto Stato Islamico; tale organizzazione terroristica ha assunto proporzioni globali, nelle sue fila conta uomini e donne provenienti da ogni parte del mondo con la sola missione di liberare il mondo dagli infedeli e cancellare tutto ciò che non rientra nella visione del “vero” Islam.

Il presente elaborato cerca di inquadrare il tema del terrorismo e il necessario bilanciamento tra la richiesta di sicurezza e la tutela dei diritti fondamentali, soffermandosi, in particolare, sulla libertà religiosa; questo perché sovente si tende a identificare tutti i terroristi con tutti i

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musulmani, travisando una confessione religiosa e confondendo le motivazioni che spingono tali soggetti ad agire. Provvedere alle emergenze e reprimere il terrorismo sono tra le prerogative di ogni Stato, tuttavia questi due compiti non possono mai prevalere sulla tutela della democrazia e dei diritti fondamentali di ogni individuo.

Nel primo capitolo si procederà ad una ricostruzione delle fonti che regolano il diritto alla libertà religiosa. Dopo un excursus sull’evoluzione del diritto all’interno del nostro ordinamento, partendo dall’età prerepubblicana fino ad arrivare ad oggi, volgeremo poi lo sguardo sia all’ordinamento europeo che a quello internazionale, avendo così un quadro completo delle fonti che regolano il diritto alla libertà religiosa. Nel secondo capitolo ci concentreremo invece sul concetto di terrorismo, su una definizione di tale fenomeno e sul terrorismo di matrice religiosa in particolare, soffermandoci su Al- Qaeda e sull’IS; dopo di che analizzeremo i diversi approcci al terrorismo focalizzandoci su tre livelli, internazionale, europeo e l’approccio nazionale di Stati Uniti, Francia ed Italia. Nel terzo capitolo l’attenzione sarà rivolta ai limiti posti all’esercizio della libertà religiosa in un’ottica securitaria, come è stata influenzata la fruizione di tale diritto dagli attentati terroristici, anche qui riproporremo l’approccio di Stati Uniti, Francia e Italia. Infine, nel quarto capitolo, indirizzeremo la nostra attenzione sul nostro ordinamento, in particolare sullo strumento delle intese e sulla necessità di una legge organica in materia di libertà religiosa.

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CAPITOLO 1: LA LIBERTÀ RELIGIOSA NELL’ORDINAMENTO

1. L’Italia prima della Repubblica: alla ricerca di una separazione tra istituzioni civili e istituzioni ecclesiastiche

La struttura e la conformazione odierna della legislazione in materia di libertà religiosa sono frutto di un percorso lungo che ha visto il concetto stesso di “libertà religiosa” subire diversi mutamenti.

L’Italia è un Paese tradizionalmente cattolico che comprende nel suo territorio il più piccolo territorio dello Stato della Città del Vaticano, sede della Chiesa Cattolica. Ciò ha sempre portato la Chiesa ad avere una forte influenza nelle vicende politiche dell’Italia, favorendo la sovrapposizione tra poteri, civile ed ecclesiastico, un tempo considerati entrambi fonte di autorità negli stessi territori e sugli stessi popoli. Ripercorrendo la storia della formazione dello Stato è possibile comprendere come alcuni problemi siano ancora oggi attuali.

Lo Stato Italiano attuale si è formato in modo progressivo a partire dalla seconda metà del 1800, mediante la riunione dei piccoli stati che lo componevano sotto la sovranità del Regno di Sardegna. Il Regno d’Italia viene proclamato il 17 marzo 1861, ma lo Stato Pontificio ne entra a far parte solamente nel settembre del 1870 con la “breccia di Porta Pia”1 .

L’unificazione del Regno d’Italia avviene in conflitto con il papato che non voleva rinunciare al proprio potere temporale sullo Stato Pontificio. Partendo dallo Statuto Albertino si evidenzia l’art. 1 che riporta: “La

Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi”. La religione cattolica godeva di un regime privilegiato: le attività

1 V. TOZZI, La libertà religiosa in Italia e nella prospettiva europea, p. 2-3, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, n.35/2014

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cattoliche non solo erano lecite, ma protette2, al contrario delle attività

delle altre confessione che erano “solo” libere.

Nonostante l’eco di tale affermazione dobbiamo da subito fare alcune annotazioni. In primo luogo, è importante ricordare che la religione di Stato è subordinata alle esigenze del neonato Stato desideroso di recuperare il tempo perduto e di intraprendere il proprio cammino verso la modernità. In questa ottica sia le discriminazioni fondate sulla diversa appartenenza religiosa, sia molti dei privilegi riservati esclusivamente alla Chiesa Cattolica non trovano più spazio. L’affermazione della sovranità del potere civile e la sua totale indipendenza da quello religioso diventano, in questo momento storico, d’importanza fondamentale.

Al tempo stesso l’obiettivo primario è l’affermazione del principio di “laicità” intesa come separazione delle istituzioni civili da quelle ecclesiastiche; in quest’ottica è escluso ogni accordo bilaterale con i diversi culti, la materia è regolata con leggi unilaterali che riguardavano soltanto la dimensione formale.

Il 18 giugno 1841 viene emanata la legge n. 735 c.d. legge Sineo che stabilisce che la differenza di culto non poteva costituire eccezione “al

godimento dei diritti civili e all’ammissibilità alle cariche civili e militari”. La legge incoraggiava un’interpretazione egualitaria ponendo un argine alla possibilità di lettura estensiva della clausola dell’art. 1 della “sola religione dello Stato”. Nel 1850 abbiamo le due leggi Siccardi che portano avanti con decisione il processo di separazione dello Stato dalla Chiesa. La prima legge Siccardi, n.1013, aboliva i privilegi giurisdizionali del clero sia in materia civile che penale, cancellando le immunità ecclesiastiche. La seconda legge Siccardi, n.1037, colpiva la cosiddetta “manomorta”, una condizione giuridica di privilegio sull'insieme dei beni appartenenti ad un ente ecclesiastico i

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quali, non potendo essere trasmessi per successione ereditaria mortis

causa a terzi a causa della continuità temporale del soggetto giuridico ecclesiastico, non potevano essere assoggettati alle imposte di successione dello Stato. Per l’acquisto, oneroso o a titolo gratuito, di bene mobili ed immobili diventa necessaria l’autorizzazione dell’autorità civile; così facendo si pone un argine all’eccessiva crescita dei patrimoni delle persone giuridiche.

Nell’ottica di un’assoluta separazione tra Stato e Chiesa s’inserisce anche il nuovo Codice Civile del Regno che, entrato in vigore il 1° gennaio 1866, istituisce il matrimonio civile e allo stesso tempo rende irrilevante quello religioso, gli atti di nascita, matrimonio e morte dovevano essere formati nel comune in cui tali fatti accadevano. Nel frattempo Roma capitale continua ad essere il principale obiettivo dei Governi della Destra storica che cercano di dare attuazione al disegno di Cavour che ben si riassume nella celebre frase “libera Chiesa in libero Stato”2: Cavour sperava di riuscire ad ottenere una

conciliazione amichevole, la cessione di Roma doveva essere compensata dal riconoscimento della piena libertà della Chiesa Romana; tuttavia il sogno di Cavour si deve scontrare con la chiusura della Santa Sede che porta all’annessione di Roma in modo del tutto differente. Nel 1864, anno decisivo, il Regno d’Italia garantiva alla Francia con la

Convenzione del 15 settembre l’integrità dello Stato Pontificio. Le truppe francesi lasciano così Roma e l’Italia si impegna a trasferire la capitale da Torino a Firenze, allo stesso tempo Pio IX pubblica il Sillabo in cui elencava gli errori della modernità e si avvia a convocare il Concilio Vaticano I (1869-1870) che avrebbe canonizzato il dogma dell’infallibilità pontificia. Con la caduta di Napoleone III dopo la disfatta di Sédan il Regno Sabaudo si ritiene sciolto dalla Convenzione e occupa militarmente Roma che il 3 febbraio 1871 diviene formalmente la capitale del Regno d’Italia.

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Tutto ciò avviene senza il consenso del pontefice che, chiuso nei palazzi vaticani, grida al mondo la sua condizione di prigioniero. Si aprono così gli anni del non expedit, disposizione del 10 settembre 1874 con la quale il Papa vieta ai cattolici di partecipare alla vita politica italiana sia come elettori che come eletti, il divieto è un segno di protesta per la mancata d’indipendenza della Santa Sede.

La cosiddetta questione romana non porta né alla fine della libertà religiosa né alla distruzione dello Stato: piuttosto alimenta una ricerca di pacificazione, di un accomodamento con la Chiesa.

Tale accomodamento viene raggiunto con la legge n. 214 del 13 maggio 1871 detta delle Guarentigie, con tale legge il Governo mira, nel titolo primo a disciplinare le “prerogative del Sommo Pontefice e della Santa

Sede” e nel titolo secondo le “relazioni della Chiesa collo Stato in

Italia”. Il titolo primo della legge riconosce il pontefice come sacro e inviolabile attribuendogli piena libertà nel governo della Chiesa, il diritto di legazione attivo e passivo e il pieno godimento, non la proprietà dei palazzi vaticano e lateranense e della Villa di Castel Gandolfo dichiarati inalienabili ed esenti da ogni imposta. Viene riconosciuta l’immunità ai luoghi in cui si teneva un conclave o un concilio ecumenico stabilendo il divieto di perquisizione e sequestro. Il secondo titolo cancella tutte le restrizioni all’esercizio del diritto di riunione del clero, non era quindi più necessario l’assenso del Governo, viene meno ogni diritto di nomina o proposta governativa in relazione ai benefici maggiori, a partire dai vescovi che non dovranno più prestare giuramento al re.

La legge delle Guarentigie s’inserisce in un contesto in cui lo Stato assume sempre più un ruolo primario rispetto alla Chiesa, ciò comporta l’affermazione del primato della coscienza individuale sulle istanze religiose della comunità, è proprio questa focalizzazione sull’individuo a costituire una novità e il segno di svolta rispetto alla politica

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precedente. Dal primato della coscienza individuale discende il superamento del vecchio regime di tolleranza e il riconoscimento ai non cattolici di una libertà religiosa effettiva. Il richiamo alla religione cattolica come religione di Stato risulta sempre più sfumato.

Nel 1889 il nuovo Codice penale c.d. Zanardelli concepisce la tutela penale dei culti in funzione della libertà religiosa riconosciuta come bene giuridico individuale, quindi di spettanza del singolo; non si parla più di religione di Stato o altre confessioni religiose, il Codice considera tutte le religioni in un’unica categoria quella dei culti ammessi. Nella medesima ottica opera il Testo unico di pubblica sicurezza emanato con la legge n. 6144 del 1889 con cui si sottopongono tutte le cerimonie e pratiche religiose svolte al di fuori dei luoghi di culto alle medesime limitazioni e alla stessa procedura.

In questi anni l’opinione pubblica comincia a perdere interesse nei confronti della questione romana e il prestigio del pontefice anziché diminuire aumenta, liberato dai fardelli del potere temporale.

Con l’ampliarsi dell’elettorato attivo, la questione romana finisce per fondersi con la più ampia questione cattolica. Il “pericolo socialista” si faceva più concreto e i liberali iniziavano a valutare positivamente l’eventuale appoggio cattolico all’ordine costituito. Con l’introduzione del suffragio maschile nel 1912 l’incontro tra forze liberali e cattoliche portò quest’ultime ad abbandonare la prospettiva del non expedit. Questo venne superato formalmente nel 1913 con la stipulazione del “patto Gentiloni” con cui numerosi candidati liberali s’impegnarono in cambio dei voti dei cattolici a rispettare i setti impegni formulati dall’Unione elettorale cattolica italiana.

2. Il primo dopo guerra: necessità di riformare la legge delle Guarentigie

La Prima guerra mondiale inaugura un nuovo tipo di rapporto tra cattolicesimo e società, soprattutto grazie al fatto che i cattolici, in questo periodo di grande difficoltà, mostrano una forte lealtà alle

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istituzioni dello Stato. La guerra pur avendo evidenziato la stabilità della tenuta della legge delle Guarentigie ne aveva messo in luce alcuni punti deboli, specie in relazione al diritto di legazione passiva riconosciuto al pontefice. Tale diritto mai effettivamente sospeso in Italia era apparso di difficile attuazione in assenza di un’effettiva sovranità territoriale della Santa Sede. È evidente la necessità di porre mano alla questione. La guerra, vinta a caro prezzo, aveva evidenziato la debolezza del Governo liberale e l’avanzata dei partiti di massa. Nel 1919 al Partito socialista si aggiungono il Partito fascista e il Partito popolare guidato da don Luigi Sturzo, alle elezioni del 1919 i socialisti ottengono 156 seggi e il Partito popolare 100. Comincia un periodo di grande instabilità governativa. Lo scenario politico muta ulteriormente con la comparsa del Partito fascista, con le cui idee Mussolini riesce ad intercettare il desiderio di ordine e stabilità degli italiani. La Santa Sede intravede la possibilità di perseguire una libertà cattolica esclusiva attraverso una Conciliazione che diventa così un’arma importante nelle mani sia del Partito fascista sia della Santa Sede. Al tempo stesso il fascismo vede nella Conciliazione la possibilità di servirsi della tradizione religiosa cattolica quale strumento di consenso e potere.

3. I “Patti Lateranensi” del 1929: la conciliazione con la Chiesa

Con i “Patti Lateranensi” dell’11 febbraio 1929, firmati da Benito Mussolini e dal Cardinale Gasparri, viene raggiunta la tanto attesa Conciliazione. I Patti Lateranensi comprendono un Trattato con quattro allegati: territorio dello Stato della Città del Vaticano, immobili con privilegio di extraterritorialità e con esenzione da espropriazioni e da tributi, immobili esenti da espropriazioni e da tributi e convenzione finanziaria. È poi previsto un Concordato: questi hanno la natura di un trattato internazionale e riconoscono lo Stato della Città del Vaticano, riconoscono alla Santa Sede una sovranità statale esercitata sul territorio, sulla religione, sul popolo e nel territorio dell’Italia.

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I Patti Lateranensi consacrano una libertà religiosa non più personale, per tutti, ma una libertà ecclesiastica, una libertà per la sola istituzione il cui ordinamento si poneva sullo stesso piano dello Stato. Molte materie fino a quel momento regolate in modo unilaterale dalle leggi nazionali diventano di competenza concorrente.

Il Trattato riconosce alla Santa Sede la sovranità nel campo internazionale come attributo inerente alla sua natura, in conformità alla sua tradizione e alle esigenze della sua missione nel mondo, riconosce alla Santa Sede la piena proprietà, esclusiva potestà e giurisdizione sul Vaticano, viene così costituito lo stato Città del Vaticano: si tratta di una monarchia assoluta ed elettiva. La Santa Sede gode infine della proprietà delle basiliche patriarcali, a tali immobili sono riconosciute le immunità previste dal diritto internazionale per le sedi degli agenti diplomatici.

La Convenzione finanziaria comprende un risarcimento di 750 milioni di lire a beneficio della Chiesa; regola le questioni sorte dopo le spoliazioni degli enti ecclesiastici a causa delle leggi eversive. È prevista per il nuovo Stato l'esenzione dalle tasse e dai dazi sulle merci importate e il risarcimento di "1 miliardo e 750 milioni di lire e di ulteriori titoli

di Stato consolidati al 5 per cento al portatore, per un valore nominale di un miliardo di lire" per i danni finanziari subiti dallo Stato pontificio in seguito alla fine del potere temporale.

Il Concordato definiva le relazioni civili e religiose in Italia tra la Chiesa e il Governo; nel rapporto precedente (regolato dalla Legge delle Guarentigie) vigeva la norma del giuramento dei nuovi vescovi al Governo italiano, l'unico vescovo che non era obbligato a giurare fedeltà all'Italia era colui che fa le veci del Pontefice nella sua qualità di vescovo di Roma, cioè il cardinale vicario. Questa eccezione alla regola è prevista in segno di rispetto dell'indipendenza del Papa da parte dell'Italia. Il suo vicario non deve essere sottoposto al giuramento,

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perché rappresenta il vescovo effettivo della città di Roma cioè il Papa. Il Governo italiano acconsente di rendere le sue leggi sul matrimonio e il divorzio conformi a quelle della Chiesa cattolica di Roma e di rendere il clero esente dal servizio militare. I Patti garantiscono alla Chiesa il riconoscimento del cattolicesimo quale religione di Stato in Italia, con importanti conseguenze sul sistema scolastico pubblico, come l'istituzione dell'insegnamento della religione cattolica. Il capoverso dell'articolo 1 del Concordato riconosce il carattere sacro della città di Roma.

All’indomani della ratifica dei Patti Lateranensi viene emanata la legge n. 1159 che regolava in modo generale “l’esercizio dei culti ammessi

dallo stato e sul matrimonio celebrato davanti ai ministri di culto medesimi”. La legge prevede, per gli enti dei “culti ammessi”, un regime di riconoscimento della personalità giuridica civile del tutto discrezionale, dipendente da una concessione statale da attuarsi con regio decreto, previa proposta del ministro della Giustizia di concerto con il ministro dell’interno sentiti il Consiglio di Stato e il Consiglio dei ministri.

Nel 1930 entra in vigore il Codice penale Rocco, questo introduce una nuova gerarchia che individua nella religione dello Stato il bene giuridico da proteggere, il risultato era che anche quando le varie tutele sono estese agli altri culti, la tutela risulta comunque inferiore rispetto a quella assicurata alla religione di Stato. Nel complesso traspare una mentalità poliziesca con cui si comincia a guardare alla legislazione sui culti ammessi, ben pochi enti di culti diversi dal cattolico ottengono il riconoscimento sulla base della nuova normativa: tre circolari del 1935, 1939 e 1940 arrivano a vietare il culto a pentecostali, testimoni di Geova e studenti della Bibbia, ma la restrizione più evidente è quella subita dagli ebrei con la legislazione antiebraica del 1938.

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La concordia tra Chiesa cattolica e regime ha vita breve. Ognuna delle due parti pretende di rendere l’altra un proprio braccio. La rotta viene invertita definitivamente quando l’Italia si allea con la Germania nazista, non vista di buon occhio dalla Santa Sede che temeva gli effetti del nazismo sull’Italia. Le leggi raziali del 1938 e l’entrata in guerra dell’Italia rendono sgradito il regime alla maggior parte del clero. La caduta di Mussolini, l’armistizio del ’43 e l’abbandono di Roma in mano tedesca da parte del sovrano indirizzano lo sguardo degli italiani verso il pontefice, sono i vescovi a riappropriarsi del ruolo di defensores

urbium3.

Il 2 giugno 1946 con il referendum nasce la Repubblica. L’assetto dei rapporti tra Stato e confessioni religiose era molto diverso da quello dell’epoca liberale, dov’era la Chiesa ad avere l’assoluto primato. I diritti personali non sono visti, o meglio non solo, come beni da proteggere perché componenti di patrimoni giuridici privati, sono veri e propri beni pubblici che rendono necessario ed obbligatorio un intervento promozionale dello Stato.

4. La Costituzione Repubblicana: il diritto alla libertà religiosa come diritto fondamentale

Il 1° gennaio 1948 entra in vigore la Costituzione redatta dall’Assemblea Costituente il cui nucleo duro è costituito dal riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo e delle formazioni sociali. La Costituzione italiana ha un carattere rigido funzionale al suo carattere di Costituzione- garanzia, ma anche di Costituzione- indirizzo, contiene una vera e propria gerarchia delle fonti. L’operatività della nuova Carta è tutelata dall’istituzione di una Corte costituzionale incaricata di vigilare sul rispetto della Carta stessa.

3 A. FERRARI, La libertà religiosa in Italia. Un percorso incompiuto, p. 40, Carocci

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Per quanto ci interessa il problema centrale riguardava la posizione che dovevano occupare i Patti Lateranensi all’interno del nuovo assetto legislativo. Le alternative possibili erano quattro: abrogazione della legge di attuazione e riapertura della questione romana, integrale conservazione dei Patti, conservazione del Trattato ed abrogazione del Concordato oppure riconduzione dei Patti tra le materie costituzionali, soluzione che tuttavia, data la rigidità della Carta, avrebbe fatto sorgere dei problemi circa la gerarchia delle fonti.

Il dibattito sui Patti coinvolge tutte le personalità della Costituente: in particolare, Dossetti della Democrazia cristiana la cui relazione sui rapporti tra Chiesa e Stato avrebbe costituito la base dell’articolato finale, Togliatti del Partito comunista, Nenni e Basso per i socialisti, Calamandrei per il Partito d’Azione, Della Seta per il Partito repubblicano e Bruni per i cristiano- sociali. Tutto però dipendeva dal compromesso che avrebbero raggiunto i due maggiori partiti dell’Assemblea, il democristiano e il comunista.

La Democrazia cristiana era disposta a rinunciare all’invocazione a Dio nel preambolo, o alla religione cattolica come religione di Stato o della maggior parte della popolazione, pretendeva però un’esplicita garanzia dei Patti del 1929. Il Partito comunista, non ancora scomunicato dal Vaticano, concepiva il mantenimento dei Patti come parte dell’azione volta ad evitare pretesti per l’esclusione dal Governo del democristiano De Gasperi. I Patti Lateranensi sono collocati tra i Principi

Fondamentali, esclusi da ogni tentativo di revisione costituzionale; vengono a costituire il perno e il paradigma di un sistema di diritto costituzionale di libertà religiosa.

La Costituzione riconosce nella libertà religiosa la “first freedom” 4

rendendola il diritto e il fenomeno più evocati nel testo, base e misura essenziale dei diritti inviolabili dell’uomo e del diritto di uguaglianza.

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I fenomeni religiosi sono oggetto di quattro articoli della Costituzione. Nella parte iniziale dei Principi Fondamentali troviamo gli artt. 7-8 che regolano i rapporti tra le confessioni religiose e lo Stato, nella parte relativa ai Diritti e doveri dei cittadini, gli artt. 19-20 tutelano la libertà religiosa individuale e collettiva come diritto inviolabile dell’uomo. Ad essi vanno affiancati gli artt. 2-3 della Carta che, consacrando il principio personalista e il divieto di discriminazione per motivi religiosi, completano il quadro delle tutele previste dal Costituente a protezione della libertà di religione e di coscienza5.

Possiamo affermare che la libertà religiosa viene prevista e regolata in quattro articoli: gli artt. 7, 8 e 20 concernenti la dimensione istituzionale e collettiva e l’art. 19 riguardante la dimensione individuale. Ad essi vanno affiancati gli artt. 2 e 3 che consacrano il principio personalista e il divieto di discriminazione per motivi religiosi completando il quadro delle garanzie previste dal Costituente a protezione della libertà religiosa.

Passiamo adesso ad analizzare i singoli articoli, gli artt. 7 e 8 sono collocati nella parte dei Principi Fondamentali; partendo dall’articolo 7 questo afferma quanto segue: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono,

ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.” Per quanto riguarda il primo comma non c’è stata una grossa discussione, questo riconosce la sovranità e l’indipendenza della Chiesa e dello Stato, un dato che all’epoca pareva ovvio e che con il tempo è servito a fondare il riconoscimento della laicità come principio supremo dell’ordinamento costituzionale. Sul secondo comma si concentra l’attenzione dell’Assemblea. Molti temevano che il richiamo

5 B. MARCHETTI, Libertà religiosa e CEDU. Report annuale – 2011 – Italia, in Ius publicum network review, www.iuspublicum.com, settembre 2011

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ai Patti avrebbe portato alla costituzionalizzazione dei loro contenuti rendendo la Carta fondamentale portatrice di principi contradditori. In un primo momento i comunisti sostengono di dover richiamare i Patti Lateranensi come un generico principio concordatario; quest’ultimo avrebbe permesso di conservare la forza di legge ordinaria alla legge di esecuzione così da non precludere né un eventuale sindacato di costituzionalità né la possibilità di superare la legge con l’intervento del legislatore. Per Dossetti il secondo comma dell’art. 7 deve essere considerata una norma meramente strumentale, sulla produzione giuridica; tale norma doveva dettare il procedimento da seguire per potere immettere nell’ordinamento le norme regolatrici di quel fatto o rapporto. L’Assemblea alla fine vota in maggioranza l’idea di Dossetti, ciò fa sì che l’art. 7 secondo comma sia interpretato come un impedimento procedurale all’abrogazione della legge di esecuzione dei Patti con una mera legge unilaterale ordinaria, i Patti possono essere modificati soltanto seguendo il procedimento previsto dall’ art. 138 Cost. valido per la modifica di norme costituzionali.

Il richiamo esplicito ai Patti è destinato a modificare anche la considerazione delle altre confessioni religiose. Il riconoscimento particolare offerto alla Chiesa cattolica obbliga i costituenti ad offrire alle altre realtà religiose un’analoga tutela costituzionale che supera per la prima volta la dicotomia tra Chiesa cattolica e culti ammessi. È questo il compito dell’art. 8 che recita: “Tutte le confessioni religiose sono

egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.” Tale articolo crea la nuova categoria giuridica di soggetti religiosi riconosciuti o riconoscibili dallo Stato: le confessioni religiose.

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I costituenti considerano i culti non cattolici su un piano distinto rispetto a quello della Chiesa cattolica, questa loro convinzione ben si riflette nella lettera dell’art. 8, in particolare i costituenti si rifiutano di considerate le confessioni tutte uguali, ciò si traduce nella legittimazione di un trattamento diversificato favorevole alla Chiesa cattolica. Tuttavia, con il passare del tempo la norma fa emergere delle potenzialità ignote anche ai costituenti, oggi la formula dell’uguale libertà risulta più ampia e comprensiva di quella mera uguaglianza.

Gli artt. 19 e 20 si trovano nella parte sui Diritti e doveri dei cittadini. L’art. 19 afferma che: “Tutti hanno diritto di professare liberamente la

propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.” Tale articolo tutela la libertà religiosa in una dimensione individuale, si ritiene che essa comprenda anche la libertà di coscienza e dunque include anche l’ateismo, la libertà di credere comprende anche la libertà di non credere. La norma concretizza, cento anni dopo lo Statuto Albertino, il disegno di Cavour che avrebbe voluto una libertà religiosa di ampio respiro. L’art. 20 stabilisce che: “Il carattere ecclesiastico e il fine di religione

o di culto d'una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività.” L’articolo, voluto per impedire il ripetersi della legislazione avversa agli enti cattolici, ha subito una rilettura che ha portato ad ampliarne il significato, contribuendo a potenziare il principio di uguaglianza nei confronti di tutti gli enti con finalità religiosa, senza distinzioni, offrendo una prima forma di difesa non solo agli enti religiosi dissidenti, ma anche a quelli che, pur potendo rivendicare il perseguimento di un fine religioso, non sono riusciti ad ottenere il riconoscimento di ente di culto.

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Dalla lettura combinata degli artt. 7, 8, 19 e 20 Cost con gli artt. 2 e 3 Cost è possibile vedere la possibilità di un progetto di politica ecclesiastica; il compito dell’attuazione di tale progetto passa nelle mani del legislatore.

La via dell’attuazione di un progetto di politica ecclesiastica non è stata, tuttavia, priva di ostacoli. Dopo la promulgazione della Costituzione finisce il tempo dell’unità e comincia il periodo della quotidianità politica, il Governo è chiamato ad attuare i valori che l’Assemblea costituente aveva proclamato. Comincia il cammino della Prima Repubblica caratterizzata da grandi trasformazioni economiche e sociali, dal “dominio” della Democrazia cristiana progressivamente aperta ad accordi con tutti i partiti di centro e di sinistra con l’esclusione dei comunisti e degli appartenenti al Movimento sociale.

5. La Prima Repubblica: prime difficoltà di attuazione del disegno costituzionale

Gli anni della Prima Repubblica (1948- 1994) possono essere divisi in due periodi. Il primo periodo va dal 1948 al 1967 cioè dalla promulgazione della Costituzione al primo atto di pulizia della libertà religiosa ad opera della Corte Costituzionale e all’inizio del percorso di revisione dei Patti Lateranensi; il secondo periodo invece va dal 1967 al 1993 e fu segnato dall’emergere di una legislazione statuale che avrebbe modificato il quadro dei rapporti tra Stato e Chiesa culminato con la firma, nel 1984 del nuovo Concordato con la Chiesa e la prima intesa con la Tavola Valdese6.

Analizziamo il primo periodo.

Gli anni tra il ’48 e il ’57 sono gli anni definiti del “confessionismo di costume”7, come temuto dai costituenti dottrina e giurisprudenza

6 A. FERRARI, Op cit., p. 53 7 Ivi, p. 54

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erigono un muro attorno alle norme pattizie richiamate dall’art. 7 Cost impedendo l’operatività degli altri principi costituzionali. Gli effetti di questo fenomeno si riflettono su vari livelli dell’ordinamento, ne costituisce un esempio la preferenza del genitore cattolico in caso di affidamento dei figli. L’art. 8 Cost è tralasciato, le richieste di apertura di trattative per giungere all’intesa rimangono inascoltate e quindi manca una concreta attuazione dell’impianto previsto dalla Costituzione. Questo clima concordatario incontra le prime resistenze con la presentazione, nel luglio 1956, di una proposta di legge

“sull’esercizio dei diritti di libertà religiosa e sulla regolamentazione dei rapporti correnti tra lo Stato e le confessioni religiose diverse dalla cattolica” che propone l’abrogazione di tutte le disposizioni anteriori alla Costituzione che contrastano con la libertà religiosa così come delineata nella Carta.

Prima che in Parlamento il cambiamento è recepito nella giurisprudenza, la Corte Costituzionale, già con la sua prima sentenza del 1956, dichiara l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni dell’art. 113 del TULPS che subordinavano la distribuzione di avvisi, l’affissione di manifesti, e l’utilizzo di altoparlanti alla previa autorizzazione dell’autorità di pubblica sicurezza, la Corte in particolare rileva la stretta relazione tra le libertà costituzionali e “libera” la propaganda e il proselitismo delle religioni diverse dalla cattolica dalle restrizioni di quegli anni. Nel 1958 la Corte, con la sentenza n. 59, interviene per la prima volta sulle norme speciali della legislazione dei culti ammessi dichiarando l’illegittimità di due disposizioni che subordinavano le riunioni non autorizzate in via preventiva alla presenza di un ministro di culto approvato; in questo caso la Corte fissa due principi di ampio respiro che sarebbero poi tornati al centro dell’attenzione. I giudici distinguono per la prima volta l’art 19, in cui individuano una dichiarazione della libertà di esercizio del culto in quanto tale, e l’art. 8 che ritengono riferirsi alle confessioni religiose dal punto di vista della

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loro organizzazione secondo propri statuti e dei loro rapporti giuridici con lo Stato8. Ribadisce, infine, l’efficacia immediatamente precettiva

delle norme costituzionali, ricordando che il libero esercizio del culto trova riconoscimento e limite nella Costituzione, in particolare all’art. 19, con precetti contenenti una ben chiara e concreta disciplina9.

Il 17 marzo 1965 il deputato socialista Lelio Basso presenta una mozione con cui si chiede formalmente la revisione del Concordato, nel ’67 il ministro di Grazia e Giustizia, Guido Gonnella, istituisce una commissione incaricata di questo scopo. Prima di arrivare alla revisione del Concordato si hanno diversi interventi unilaterali dello Stato che meritano di essere ricordati. In particolare, la legge n. 300 del 1970, lo “statuto dei lavoratori” con cui si garantisce l’esercizio della libertà religiosa nei luoghi di lavoro, la legge n. 772 del 1972 che offre un primo riconoscimento all’obiezione di coscienza al servizio militare basata, tra le altre cose, su convincimenti religiosi. Importanti leve di cambiamento risultano le leggi n. 898 del 1970 e n. 194 del 1978 che introducono, rispettivamente, il divorzio e la legalizzazione, a determinate condizioni, dell’interruzione volontaria di gravidanza associata ad un ampio diritto di obiezione di coscienza riconosciuto a medici e personale sanitario.

6. L’Accordo di Villa Madama: un nuovo assetto dei rapporti tra Stato e Chiesa conforme a Costituzione

Il 18 febbraio 1984 il presidente del Consiglio Craxi e il segretario di Stato vaticano Casaroli a Villa Madama pongono la propria firma sul nuovo Concordato passato alla storia come l’Accordo di Villa Madama. L’Accordo conclude una lunga e laboriosa trattativa iniziata nel 1976 e conclusa nel 1984, fa proprie le principali modificazioni introdotte nella legislazione ecclesiastica dal Parlamento e dalla Corte Costituzionale,

8 A. FERRARI, Op. cit., p. 56 9 Sentenza n.59/1958

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detta le linee per la riforma di vasti settori e modifica le parti del Trattato che stridevano ab initio con la lettera della Costituzione.

L’Accordo consta di un preambolo, quattordici articoli ed un protocollo addizionale di sette punti.

Nel preambolo si fa riferimento alla trasformazione della società italiana a partire dalla Costituzione repubblicana e all’importanza del Concilio Vaticano II nella vita della Chiesa cattolica.

I sette articoli del protocollo addizionale hanno lo scopo di assicurare con opportune chiarificazioni la migliore applicazione dei Patti lateranensi e delle convenute modificazioni e di evitare ogni difficoltà di interpretazione.

Per quanto riguarda il trattato le modifiche sono limitate e puntuali: la Santa Sede riconosce che la religione cattolica non costituisce più la religione di Stato, si tratta di una dichiarazione puramente formale, in quanto si ritiene che tale principio fosse stato superato con l’entrata in vigore della Carta. Il vecchio Concordato è interamente sostituito ed abrogato dal nuovo accordo.

La novità del nuovo accordo consiste nel coinvolgimento di tutte le autorità centrali e periferiche dei due ordinamenti giuridici, statale e canonico, nell’attuazione del nuovo Concordato che dà vita ad una “negoziazione aperta, libera nella forma e tendenzialmente permanente”10.

Il raggiungimento dell’Accordo dà l’impressione che più di proporre nuove soluzioni per il futuro questo abbia recepito le modifiche già intervenute. La più grande novità dell’Accordo è il contesto sociale e giuridico in cui è maturato: sta “esplodendo” il pluralismo sociale che sta trasformando l’Italia in un paese sempre più multiculturale e multi

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religioso; cresce la visibilità e l’organizzazione di nuovi gruppi religiosi così come la visibilità di nuovi poteri pubblici sia locali, Regioni e Comuni, sia internazionali, Unione Europea e spazio OSCE11.

7. La libertà religiosa nell’ordinamento europeo, la CEDU, la CSCE e la Carta di Nizza

L’Italia è stata fra i Paesi promotori della Comunità Europea nata il 25 marzo del 1957 con il Trattato di Roma e diventata poi Unione Europea il primo dicembre 2009 con il Trattato di Lisbona. L’ordinamento comunitario non mira alla costituzione di un super stato, ma a realizzare una comunità sovranazionale che condivida valori ed interessi fra tutti i popoli degli Stati che compongono l’Unione. Con il passare del tempo si è assistito ad un processo di costituzionalizzazione del sistema che ha spinto verso un’omologazione di alcune discipline fondamentali in tutti gli Stai; tale sistema si è sviluppato anche in via giurisprudenziale, attraverso il lavoro della Corte di Giustizia del Lussemburgo e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo a Strasburgo.

Questa evoluzione ha avuto delle conseguenze anche nella materia dei diritti dell’uomo, compresa la libertà religiosa; questi inizialmente non erano di competenza degli organismi comunitari tuttavia a partire dal secondo dopo guerra numerose nazioni sottoscrissero atti che le impegnavano a considerare le problematiche dei diritti e con i quali si impegnavano a livello sovranazionale per la loro tutela.

La tutela della libertà religiosa individuale e collettiva come diritto umano, ha acquisito rilievo e tutela in sede europea grazie alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo: l’organo deputato alla difesa dei precetti della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti

dell’Uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) entrata in vigore il 3

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settembre 1953. La Corte ha riconosciuto il diritto per la prima volta con la sentenza Prais del 1976.

La Convenzione è suddivisa in tre titoli, il primo va dall’articolo 2 al 18 è in questa parte che possiamo trovare i riferimenti alla libertà religiosa tutelata espressamente all’art. 9 della CEDU che recita: “Ogni persona

ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti.

La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e della libertà altrui.” Il primo comma fa riferimento alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Dalla norma si fanno discendere due dimensioni una interna e una esterna12. La prima attiene al diritto di credere e di non credere ed

ha una valenza ideale, non può essere sottoposta a limitazioni e si traduce in un obbligo di neutralità per lo Stato che deve quindi astenersi da qualsiasi interferenza nella sfera della coscienza individuale. La dimensione esterna, contemplata al secondo comma, riguarda invece la professione concreta del culto, il diritto di insegnamento e di pratica della religione ed è soggetta alle limitazioni disposte dal legislatore. Solo la legge, e non il potere esecutivo, può prevedere limitazioni ai diritti richiamati al secondo comma, sarà poi la Convenzione a stabilire i fini per cui tali limitazioni sono ammesse. Ogni restrizione, secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di Strasburgo, deve risultare

12 B. MARCHETTI, Libertà religiosa e CEDU. Report annuale – 2011 – Italia, in Ius publicum network review, www.iuspublicum.com, settembre 2011

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necessaria e proporzionata. La protezione della libertà religiosa non è riconosciuta solo al singolo, ma anche ai gruppi ai quali la Corte riconosce il ruolo di promotori per la realizzazione della libertà religiosa. Lo Stato, in particolare, deve assicurare, in virtù del principio di neutralità e del pluralismo religioso, lo stesso trattamento a tutte le confessioni di minoranza, astenendosi dall’intromettersi nella vita delle confessioni religiose e nella relativa organizzazione interna, con il divieto di non interferire sulle scelte operate circa la scelta dei ministri del culto (caso Serif C. Grecia del 1999). Ciò non significa che gli Stati siano privi di margine di apprezzamento relativo alla disciplina dei rapporti con le confessioni religiose, ma tale regolamentazione deve risultare compatibile con il principio di neutralità e di pluralismo religioso e culturale.

La protezione che gli Stati riservano alla libertà religiosa potrà essere superiore a quella riconosciuta dall’art. 9 della CEDU, ma non sarà mai possibile ridurre il livello della tutela attraverso limitazioni irrispettose dei principi di laicità o pluralismo che devono guidare le scelte.

L’art. 13 asserisce che: “Ogni persona i cui diritti e le cui libertà

riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto ad un ricorso effettivo davanti ad un'istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell'esercizio delle loro funzioni ufficiali”. Riconoscendo il diritto ad un ricorso effettivo, consente così al Consiglio di prendere provvedimenti contro la discriminazione religiosa nel caso in cui si abbia un atto discriminatorio.

A rafforzare la posizione di tutela della libertà religiosa nella CEDU troviamo l’art. 14 che afferma quanto segue: “Il godimento dei diritti e

delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche

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o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione”. Tale norma stabilisce il divieto di discriminazione e richiama tra i motivi di potenziale discriminazione anche la religione. Le autorità nazionali ben potranno facilmente differenziare le soluzioni giuridiche con cui attuano la protezione dei diritti, per esempio al fine di correggere le differenze di fatto tra le persone. Si potrà quindi parlare di discriminazione quando l’eventuale differenziazione non ha una giustificazione obiettiva e ragionevole, deve essere presente quindi un fine legittimo. Avremo inoltre un’infrazione dell’art. 14 quando manchi proporzionalità tra i mezzi impiegati e il fine perseguito.

Continuando nello studio delle fonti europee che trattano di libertà religiosa dobbiamo richiamare la Conferenza sulla Sicurezza e la

Cooperazione in Europa (CSCE) ora Organizzazione per la Sicurezza e

la Cooperazione in Europa (OSCE). La Conferenza viene inaugurata nel 1973 ad Helsinki, prosegue nel 1975 a Ginevra e si conclude il primo agosto 1975 sempre ad Helsinki dove viene firmato l’Atto Finale di Helsinki. Tale documento contiene una serie di impegni su questioni non solo politico-militari ed economici-ambientali, ma anche sui diritti umani e stabilisce i principi fondamentali che regolano la condotta degli Stati riguardo ai cittadini nonché tra di loro. Tale documento, che impone ai Governi di trovarsi con una cadenza precisa, riveste una particolare importanza, perché rappresenta il primo momento di distensione tra Est ed Ovest.

Veniamo all’aspetto che più ci interessa: sono stabilite quattro condizioni per poter aderire, una di queste è costituita dal rispetto della libertà religiosa, ciò sottolinea la natura di diritto umano della libertà religiosa sia nella sua accezione individuale sia in quella collettiva. Il documento conclusivo stabilisce che gli stati partecipanti dovranno riconoscere alle comunità religiose, che praticano la loro fede nel

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quadro costituzionale dello Stato, lo status previsto per esse nei rispettivi paesi. Il documento specifica alcuni elementi identificativi come il diritto di libera organizzazione, libero esercizio del culto e libero autofinanziamento13. Ciò conferma il ruolo primario che svolge

il riconoscimento della libertà religiosa a livello europeo.

Sempre a livello di fonti dell’ordinamento europeo la libertà religiosa è richiamata all’art. 10 della Carta dei Diritti Fondamentali

dell’Unione Europea anche detta Carta di Nizza: “Ogni persona ha

diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tale diritto include la libertà di cambiare religione o convinzione, così come la libertà di manifestare la propria religione o la propria convinzione individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti.

Il diritto all’obiezione di coscienza è riconosciuto secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”.

Il diritto garantito al primo comma corrisponde a quello garantito dall'articolo 9 della CEDU e, ai sensi dell'articolo 52, comma terzo della Carta, ha significato e portata identici a detto articolo. Le limitazioni devono pertanto rispettare l'articolo 9, secondo comma. Il diritto garantito al secondo comma rispecchia le tradizioni costituzionali nazionali e all’evoluzione delle legislazioni nazionali a questo proposito.

Se guardiamo all’impostazione dei diversi trattati e della Carta emerge un’impostazione laica, sia pure laicità per astensione, in quanto essa punta ad assicurare la neutralità dell’autorità, allo stesso tempo però si preoccupa di riconoscere le chiese, i diritti religiosi delle famiglie e della libertà religiosa di ogni individuo. Estende la protezione delle autorità

13O. FUMAGALLI CARULLI, A Cesare ciò che è di Cesare, a Dio ciò che è di Dio,

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al fattore religioso, ma non richiede loro di avere comportamenti tali da giungere alla neutralizzazione del fattore stesso14.

8. La libertà religiosa nei trattati internazionali, in particolare, lo Statuto delle Nazioni Unite, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, il Patto Internazionale sui diritti civili e politici e

Dichiarazione sull’eliminazione di tutte le forme d’intolleranza e di discriminazione fondate sulla religione e sul credo

L’Italia oltre a fare parte dell’Unione Europea dal 1955 fa parte

dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), tale organo viene istituito nel 1945 a San Francisco dopo la firma della Carta o Statuto

delle Nazioni Unite; il primo articolo di tale atto è dedicato agli scopi dell’Organizzazione: “I fini delle Nazioni Unite sono:

Mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ed a questo fine: prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace, e conseguire con mezzi pacifici, ed in conformità ai princìpi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle controversie o delle situazioni internazionali che potrebbero portare ad una violazione della pace.

Sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’auto-decisione dei popoli, e prendere altre misure atte a rafforzare la pace universale.

Conseguire la cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi internazionali di carattere economico, sociale culturale od umanitario, e nel promuovere ed incoraggiare il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti senza distinzioni di razza, di sesso, di lingua o di religione.

14 S. MANGIAMELI, L’identità dell’Europa: laicità e libertà religiosa, in Forum di

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Costituire un centro per il coordinamento dell’attività delle nazioni volta al conseguimento di questi fini comuni”. Il problema della non discriminazione in materia religiosa viene considerato come uno dei momenti fondamentali della tutela dei diritti umani, ciò è confermato anche dal preambolo nel quale si accenna all’impegno degli Stati a praticare la tolleranza, nella quale rientra anche quella in materia religiosa. Tali disposizioni stabiliscono un filo diretto tra la libertà religiosa, la non discriminazione in campo religioso e il complesso dei diritti umani e delle libertà fondamentali e di conseguenza con fine primo delle Nazioni Unite: il mantenimento della pace tra i popoli. Dopo l’affermazione del principio di libertà religiosa la Carta contiene disposizioni espresse circa la tutela del diritto in esame, la formulazione dell’articolo 1 è ripresa dall’art. 55 con il quale le Nazioni Unite s’impegnano a promuovere il rispetto e l’osservanza universale dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti, senza distinzioni di sesso, razza, lingua o religione. L’art. 56 dispone che i membri delle Nazioni Unite s’impegnino collettivamente o singolarmente in cooperazione con gli altri membri per raggiungere i fini dettati dall’art. 55; si tratta di un vero e proprio obbligo degli Stati membri di promuovere il rispetto dei diritti fondamentali.

Altro atto fondamentale, ma privo di carattere vincolante, è la

Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, approvata dall’Assemblea Generale il 10 dicembre 1948 trova il suo precedente nella cosiddetta Carta Atlantica proclamata il 14 agosto 1941 dal Presidente Roosevelt e dal Primo Ministro inglese Churchill. La Dichiarazione è frutto degli stessi fermenti che hanno portato alla creazione delle Nazioni Unite, è il primo atto del genere nelle relazioni internazionali in quanto tratta una materia ritenuta fino a quel momento di esclusiva competenza del diritto costituzionale interno. La natura di tale atto è di carattere programmatico, nonostante la forma giuridica con

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cui sono redatte le disposizioni queste non possono essere assimilate a norme giuridicamente obbligatorie.

I diritti sanciti dalla Dichiarazione ruotano intorno all’individuo in quanto tale, cittadino, straniero, apolide, si apre così la strada ad una protezione di tipo “globale” per l’essere umano.

La libertà religiosa è richiamata in diversi articoli: l’art. 2 stabilisce il divieto di discriminazione richiamando al primo comma le distinzioni per motivi religiosi, l’art. 16 riconosce il diritto di formare una famiglia senza limitazioni di religione, l’art. 26 afferma il diritto ad un’istruzione volta a favorire la tolleranza. Il diritto è esplicitamente contemplato e tutelato all’art. 18: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di

coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti”. Tale libertà si sviluppa in due direzioni, da una parte costituisce un diritto dell’uomo considerato sia come individuo sia come membro di una comunità, dall’altra costituisce un diritto da esercitare nei confronti della società che non deve solo astenersi dal limitare la libertà religiosa, ma deve agire in modo concreto per favorirla e tutelarla. L’articolo in esame va collocato nel quadro delle disposizioni della Carta, in particolare se letto con l’art. 29: “Ogni individuo ha dei doveri

verso la comunità, nella quale soltanto è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità.

Nell'esercizio dei suoi diritti e delle sue libertà, ognuno deve essere sottoposto soltanto a quelle limitazioni che sono stabilite dalla legge per assicurare il riconoscimento e il rispetto dei diritti e delle libertà degli altri e per soddisfare le giuste esigenze della morale, dell'ordine pubblico e del benessere generale in una società democratica.

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Questi diritti e queste libertà non possono in nessun caso essere esercitati in contrasto con i fini e principi delle Nazioni Unite”, garantisce una tutela esterna molto ampia soggetta solo ai limiti previsti dalla legge ordinaria per garantire “la morale, l’ordine pubblico e il benessere generale”. Dalla correlazione tra l’art. 18 e 19 emerge invece la libertà interiore che risulta integralmente protetta, l’art. 19 afferma infatti che: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di

espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”.

Altro documento che riveste una grande importanza è il Patto sui diritti

civili e politici del 1966, è un trattato internazionale le cui norme giuridiche sono vincolanti per gli Stati che vi hanno aderito. Il Patto è suddiviso in sei parti: la prima riconosce ai popoli il diritto all’autodeterminazione e alla libera disposizione delle loro ricchezze e risorse naturali, la seconda definisce l’ambito di applicazione del Patto e specifica gli obblighi di carattere generale assunti dagli Stati per assicurare il rispetto dei diritti garantiti dal Patto stesso, la terza contiene l’enunciazione dei diritti civili e politici, la quarta disciplina i sistemi di controllo sul rispetto dei diritti, la quinta contiene due clausole di compatibilità concernenti rispettivamente le disposizioni della Carta delle Nazioni Unite e l’altra il diritto inalienabile dei popoli godere delle loro ricchezze e risorse naturali, la sesta, infine, disciplina il regime giuridico del Patto. Per quanto riguarda i sistemi di controllo l’art. 28 istituisce il Comitato dei diritti umani deputato alla vigilanza della corretta applicazione del Patto.

Per ciò che ci riguarda la disposizione fondamentale è l’art. 1815 il cui

primo comma ricalca il testo della Dichiarazione Universale

15 L. BRESSAN, Libertà religiosa nel diritto internazionale. Dichiarazioni e norme internazionali, Cedam, Padova, 1989

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specificando un obbligo più preciso da parte degli Stati di non interferire con la libertà religiosa e di rispettarla. Da un’altra prospettiva la norma non prevede soltanto un obbligo di astensione, ma anche un obbligo dello Stato di permettere e garantire il godimento di tale diritto, lo Stato diventa promotore della libertà religiosa creando le condizioni affinché il diritto possa essere effettivamente esercitato dalle persone che si trovano nel suo territorio. L’art. 2 del Patto va nella stessa direzione, dopo aver elencato i diritti afferma che gli Stati contraenti si impegnano a garantire tali diritti senza alcun tipo di distinzione basata sulla razza, il sesso, la lingua, la religione e l’opinione politica. L’articolo 4 consente agli Stati in caso di pericolo eccezionale che minacci la nazione e che sia proclamato in un atto ufficiale di adottare misure in deroga agli obblighi assunti con il Patto sempre che tali misure siano compatibili con gli altri obblighi imposti dal diritto internazionale e che non determinino discriminazioni fondate unicamente sulla razza, colore, sesso, lingua, religione ed origine sociale. Nessuna deroga può essere formulata nei confronti di alcuni diritti tra cui quello alla vita (art.6), alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione (art.18).

Da quanto detto fino ad ora risulta evidente che in ambito internazionale mancasse uno strumento internazionale dedicato alla religione. Dopo un percorso lungo e non privo di ostacoli l’Assemblea Generale della Nazioni Unite il 25 novembre 1981 ha approvato la risoluzione 36/55 nota con il titolo ufficiale di Dichiarazione sull’eliminazione di tutte le

forme di intolleranza e di discriminazione basate sulla religione o la convinzione. La Dichiarazione approfondisce gli obblighi degli Stati derivanti dalle disposizioni previste dalla Carta delle Nazioni Unite e dal Patto sui diritti civili e politici, sono precisati i comportamenti che gli Stati devono tenere per rendere effettivo il rispetto della libertà religiosa. La Dichiarazione è formata da un preambolo, contenente dieci considerazioni, e otto articoli. Dal complesso delle considerazioni risulta un concetto di libertà religiosa quale strumento per evitare

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conflitti. La libertà religiosa o convinzione costituisce un aspetto fondamentale della concezione della vita dell’individuo e per questo dev’essere rispettata e garantita.

In particolare, l’art. 2 prevede: “Nessun individuo può essere soggetto a

discriminazioni di sorta da parte di uno Stato, un’istituzione, di un gruppo o di un qualsiasi individuo sulla base della propria religione o del proprio credo. Ai fini della presente Dichiarazione, l'espressione “intolleranza e discriminazione fondate sulla religione o il credo” sta a significare ogni forma di distinzione, di esclusione, di restrizione o di preferenza basate sulla religione o il credo, avente per scopo o per effetto la soppressione la limitazione del riconoscimento, del godimento o dell'esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali su una base di eguaglianza.” Mediante tale disposizione lo Stato s’impegna ad intervenire nel comportamento di soggetti anche diversi dalle autorità pubbliche. Tale orientamento trova conferma nell’art. 4 che prevede l’obbligo per gli Stati di adottare misure tali da prevenire ed eliminare ogni discriminazione in ambito religioso.

Le violazioni delle dichiarazioni della disposizione sono equiparate ad una violazione della Carta delle Nazioni Unite, in particolare l’articolo 3 afferma che ogni discriminazione basata su motivi religiosi o di opinione costituisce un’offesa alla dignità umana e mancato rispetto dei principi della Carta.

CAPITOLO 2: IL TERRORISMO, UN PERICOLO PER LA DEMOCRAZIA: I DIVERSI APPROCCI

1. La definizione di terrorismo

La parola “terrorismo” è tra le più usate ed abusate nel linguaggio politico degli ultimi decenni; nonostante ciò risulta difficile darne una definizione fissa.

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A livello internazionale il terrorismo è stato oggetto di dibattito e regolazione sin dalla prima metà del Novecento. Tuttavia, solamente dal secondo dopoguerra sono state adottate dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) varie convenzioni volte a criminalizzarne specifiche manifestazioni, come la presa di ostaggi e i reati contro le persone internazionalmente protette.

Secondo l’Oxford Dictionary il terrorismo è “l’arte di chi procura terrore per ragioni politiche”, mentre il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha aderito, con la risoluzione n. 1624/2005, alla definizione data negli ambienti accademici in base alla quale il terrorismo consiste in atti internazionali di violenza contro civili al fine di diffondere la paura tra la popolazione per scopi politici, ideologici, religiosi.

Dal punto di vista etimologico la parola terrorismo deriva dal latino

terror, lo spavento che deriva da una catastrofe naturale16: la peculiarità

delle catastrofi naturali è l’impossibilità di sapere chi saranno le vittime, è possibile prendere precauzioni e successivamente prendere decisioni che riducano l’impatto degli effetti sulle vittime, ma non è possibile conoscere previamente chi saranno gli obiettivi.

In origine il termine stava a designare l’atto del tremare. In seguito, la parola assume il significato di “stato emotivo di estrema paura”. Ma è solo nel corso della rivoluzione francese che essa va assumendo significato per la storia in generale e per la politica. Secondo alcuni storici l'espressione viene introdotta nel lessico politico da Jean-Lambert Tallien e "Gracco" Babeuf, entrambi protagonisti della Rivoluzione, che per primi parlano di terrorisme e terroristes indicando esplicitamente "la volontà di ispirare il terrore". In un arco di più di duemila anni di storia si possono annoverare centinaia di formazioni o gruppi terroristici di vario genere e che, con varie modalità e motivazioni,

16 G.L. CONTI, Lotta al terrorismo e patrimonio costituzionale comune, p.13,

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hanno caratterizzato questo fenomeno in quasi tutti gli angoli del mondo.

Il terrorismo caratterizzato dagli attentati fa la sua “comparsa” nella seconda metà del diciannovesimo secolo con le attività dei gruppi nazionalisti radicali irlandesi per assistere poi ai primi attentati anarchici in Francia, Italia, Spagna e Stati Uniti17. Per tutti questi fenomeni si

credeva che l’azione fosse limitata ai confini di uno Stato, in quanto chi agiva era solitamente spinto da motivazioni collegate alla volontà di affermare un nuovo ordine sovvertendo quello esistente, con il passare del tempo il fenomeno è mutato e si parla sempre più di terrorismo internazionale; questa nuova dimensione si fa partire dal 1972 quando il gruppo terroristico palestinese “Settembre nero” attaccò la delegazione israeliana alle Olimpiadi di Monaco. Negli anni settanta si afferma quindi il terrorismo di matrice mediorientale, ma rimane diffuso anche quello nazionalista e separatista di diverse organizzazioni quali l’ETA in Spagna, l’IRA in Irlanda e le Brigate Rosse in Italia.

La costante delle diverse forme di terrorismo è la componente di impossibilità di prevedere le vittime designate, lo Stato soccombe e il cittadino si sente privo di difese di fronte ad un rischio grave ed imminente. La paura di “essere i prossimi” rende tutti uguali, non esistono soggetti privilegiati.

Per comprendere la natura delle sensazioni che evoca il terrorismo possiamo richiamare il cosiddetto terror cimbricus18, ci riferiamo ad un

episodio che risale alla Repubblica romana alla fine del II secolo a.C., i cimbri erano una popolazione di origine germanica che riuscì a penetrare le difese romane e giungere nei pressi dell’urbe. Pareva che i cimbri sacrificassero i prigionieri agli dei con modi cruenti e violenti.

17 P. IACOVELLI, Terrorismo nella storia, origini ed evoluzione, in Cercasi un fine, www.cercasiunfine.it, settembre 2015

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