Il sistema costituzionale italiano delle situazioni emergenziali appartiene al tipo di sistemi che non ammette deroghe, eccezioni o sospensioni alle norme costituzionali se non durante lo stato di guerra, ma prevede un ampio ricorso alla decretazione legislativa del Governo in casi straordinari di necessità ed urgenza oltre che numerose riserve di legge rinforzate che consentono al legislatore di adattare alle esigenze di tutela della sicurezza, derivanti da eventuali situazioni emergenziali
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o da fenomeni terroristici, la disciplina dell’esercizio di molti diritti costituzionalmente garantiti.
La Costituzione da una parte consente al Governo di adottare, in casi straordinari di urgenza e necessità decreti legge che entrano in vigore al momento della pubblicazione, hanno validità di 60 giorni e devono essere convertiti in legge dalle Camere, pena la loro caducazione ex tunc (art. 77 Cost.), dall’altra parte consente alle Camere la deliberazione dello stato di guerra e il conferimento dei poteri necessari al Governo (art. 78 Cost.). Durante lo stato di guerra, che deve essere proclamato dal Presidente della Repubblica (art. 87 Cost.), previa delibera delle Camere ex art. 78 Cost., si prevede la facoltà per la legge di prorogare la durata di ogni Camera, la facoltà per la legge militare di guerra di prevedere casi in cui è ammessa la pena di morte che altrimenti sarebbe vietata.
Questo il quadro delle norme previste dalla nostra carta costituzionale, tuttavia fin dall’entrata in vigore questo è stato sottoposto a diverse interpretazioni: alcuni, basandosi sull’analisi dei lavoratori preparatori, sostengono che, dato l’assenso di alcuni costituenti e il silenzio di altri, può ritenersi corretta la sospensione temporanea, in caso di guerra, dell’esercizio dei diritti di libertà, anche se ciò non è previsto dalla Costituzione. In dottrina troviamo diversi orientamenti circa la facoltà di introdurre sospensioni e deroghe delle norme costituzionali. La dottrina più risalente ritiene che al di fuori dello stato di guerra, in situazioni di emergenza non altrimenti fronteggiabili, il Governo con decreto legge possa introdurre sospensioni e deroghe alle norme costituzionali. Tra questi c’è chi divide i decreti legge in due categorie, esisterebbero dei decreti legge per i quali la necessità sarebbe un mero presupposto e dei decreti leggi “capaci” di violare i limiti costituzionali ricavando ciò dal comma 4 dell’art. 77 che consente alle Camere di
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regolare con legge gli effetti dei decreti non convertiti47. Anche chi
sostiene che la necessità e l’urgenza siano soltanto il presupposto del decreto legge e non la fonte del potere afferma che proprio nell’art. 77 si rinviene la disciplina di un’eventuale sospensione dei diritti costituzionali in quei medesimi casi straordinari, il Governo rimarrebbe comunque vincolato a limiti di contenuto, di forma e a controlli, perciò potrebbe trattare solo provvedimenti provvisori della durata di 60 giorni e proporzionati all’esigenza cui devono far fronte. In relazione a questo primo orientamento sono diverse le critiche che possono farsi, in primo luogo si ritiene che non sia possibile considerare la necessità come fonte
extra ordinem abilitata addirittura a derogare a norme costituzionali o a sospenderne temporaneamente l’operatività in quanto in una Costituzione rigida le fonti del diritto consistono in fatti e atti espressamente qualificati come tali dalle fonti sulla produzione dell’ordinamento stesso. Altrettanto condivisibile appare l’opinione di chi afferma che l’unico modo di derogare o sospendere norme costituzionali è il procedimento previsto dall’art. 138 Cost. per le leggi di revisione costituzionale, tale scopo non può essere perseguito attraverso i decreti legge che anche se convertiti assumono il rango di mera legge ordinaria e in quanto tale non idonea a modificare la carta costituzionale. A quest’ultima posizione si può obiettare che il procedimento delineato dall’art. 138 Cost. è caratterizzato da tempi molto lunghi rispetto alle eccezionali ed urgenti necessità di intervento tipiche delle situazioni emergenziali.
Nessuno degli orientamenti fin qui descritti convince fino in fondo, sembra preferibile adottarne un altro. Vi è chi ritiene che da un esame dei lavori preparatori emerga la volontà dei costituenti di ampliare le libertà e le garanzie senza lasciare spiragli alla sospensione di quei diritti fondamentali di libertà proclamati come inviolabili. Da ciò si deduce
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che sia indispensabile un’interpretazione letterale della Costituzione con riguardo ad eventuali deroghe della stessa. Si deve ritenere che la sospensione di alcuni diritti costituzionalmente garantiti e delle norme in materia di organizzazione costituzionale sia consentita solo in caso di stato di guerra, escludendo ogni altro tipo di sospensione durante situazioni emergenziali meno rilevanti.
Possiamo quindi delineare il sistema di gestione delle emergenze nei termini seguenti: in presenza di situazioni emergenziali straordinarie e impreviste o imprevedibili che esigano interventi legislativi e non siano comprese nella categoria dell’emergenza bellica il decreto legge è la fonte costituzionalmente idonea a rimediare con immediatezza alle necessità del momento, tuttavia esso non è abilitato a prevedere norme derogatorie o sospensive di norme costituzionali. Se l’emergenza, terroristica o meno, ha caratteristiche di pericolosità generalizzata o di grave violazione diffusa dei diritti e dei beni costituzionalmente protetti al punto che legge ordinaria e decretazione d’urgenza appaiono insufficienti per tutelare e difendere la patria le Camere possono decidere di avvalersi della facoltà di deliberare lo stato di guerra ai sensi dell’art. 78 Cost. la cui formulazione non impedisce il riferimento anche alla “guerra interna”48.
Veniamo ora ad analizzare quali sono, nei casi concreti, le misure adottate all’interno del sistema italiano per la lotta al terrorismo. In prima battuta dobbiamo sottolineare che l’Italia fino ad ora non è stata “palcoscenico” di atti terroristici di matrice internazionale; il nostro paese ha avuto a che fare con un altro tipo di terrorismo, quello interno di matrice politica durante i c.d. “anni di piombo” (fine anni ’60- inizio anni ’80). In quegli anni le nostre istituzioni sono state capaci di affrontare in modo razionale e corretto il terrorismo, fino a sconfiggerlo. In quell’occasione le istituzioni furono in grado di debellare il fenomeno
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rispettando le regole e i diritti degli individui, compresi quelli dei soggetti responsabili di gravissimi reati; come disse l’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini: “Abbiamo sconfitto il terrorismo nelle
aule di giustizia e non negli stadi”.
Negli anni ’90 l’Italia, pur non essendo un bersaglio diretto del terrorismo internazionale, ma piuttosto una base di supporto logistico per gruppi che si preparavano ad operare in paesi stranieri non ha esitato a seguire i propri alleati nella lotta contro il terrorismo. Tuttavia, dopo l’escalation del terrorismo internazionale, non si è lasciata “affascinare” dalla politica statunitense della Global War on Terrorism che come abbiamo visto comporta non solo la pratica delle extraordinary
renditions, del sistema “Guantanamo”, ma che determina deviazioni dallo Stato di diritto inaccettabili e condannate dallo stesso Senato americano nel 2014 con il “rapporto Feinstein” con il quale sono state rese note le torture e la prassi delle extraordinary renditions49.
La normativa italiana in materia di terrorismo è caratterizzata dall’adattamento e innovamento degli strumenti di contrasto utilizzati negli “anni di piombo” attraverso integrazioni normative e ratificazione delle convenzioni internazionali in materia di lotta al terrorismo. Dopo l’11 settembre 2001 vengono emanati tre decreti legge poi convertiti in legge: il d.l. 374/2001, il d.l. 144/2005 e il d.l. 7/2015.
Il d.l. 374/2001 convertito nella legge n. 438/2001 modifica l’art. 270-
bis c.p. per il quale è prevista la nuova rubrica di “associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dall’ordinamento democratico”, in particolare è ampliata la fattispecie inserendo tra le condotte rilevanti il finanziamento dell’associazione ed estendendo il concetto di eversione terroristica anche a Stati esteri ed organizzazioni internazionali, così facendo l’ordinamento italiano può
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colpire anche coloro che si rendono responsabili di fatti penalmente irrilevanti con riferimento alla repubblica italiana, ma che possono essere collegati ad un’azione terroristica rivolta contro uno Stato estero o un’organizzazione internazionale. È prevista la possibilità, in analogia con quanto previsto nel settore dell’“antimafia”, di effettuare intercettazioni telefoniche, ambientali e di flussi informatici in presenza di sufficienti indizi di reato e di necessità delle intercettazioni. Le indagini, come per il contrasto alla mafia, diventano di competenza delle ventisei Procure della Repubblica presso le sedi di distretto così da garantire maggiore specializzazione e concentrazione del sapere investigativo.
Con lo stesso provvedimento è introdotto anche l’art. 270- ter c.p. che punisce chi dà assistenza agli associati ad organizzazioni terroristiche. La scia dei fatti londinesi del 7 e 21 luglio 2005 spinge il legislatore ad intervenire nuovamente sul tema del terrorismo con il d.l. n.144/2005 poi convertito nella legge n. 155/2005 che introduce l’art. 270- quater c.p. sull’arruolamento per finalità di terrorismo, l’art. 270- quinquies sull’addestramento e l’art. 270- sexies che qualifica in modo più puntuale le “condotte con finalità di terrorismo” sono tali quelle che
“possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un'organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un'organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un'organizzazione internazionale, nonché le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l'Italia”. La riforma del 2005 ha come scopo quello di considerare punibili gli atti che possono essere considerati come terrorismo perché connessi alla strategia della Global War on Terrorism, ma che di per sé non sarebbe semplice considerare come tali alla luce
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dell’impostazione seguita negli anni di piombo durante i quali uno dei temi principali era la necessità di distinguere tra le manifestazioni del pensiero, talvolta violente ed insurrezionali e l’attuazione per mezzo di questo pensiero di un concreto programma criminoso. È proprio per questo che nonostante la formulazione potesse essere soggetta ad una lettura ampia comprensiva anche delle semplici manifestazioni del pensiero la giurisprudenza ha sottolineato che è necessaria la presenza di un effettivo progetto criminoso.
Un altro passaggio che merita di essere sottolineato è quello dell’art. 3 comma 2 del d.l. recante “misure urgenti per il contrasto al terrorismo internazionale” poi modificato dalla legge di conversione prevede che in caso di individui sospettati di terrorismo sia possibile l’esecuzione immediata dell’ordine di espulsione. Si ha qui una discrepanza con la disciplina comune in materia di immigrazione che pur prevedendo espulsioni motivate dal mantenimento della sicurezza pubblica, non consente dei tempi di esecuzione delle stesse incompatibili con le esigenze di tutela del soggetto che ne è destinatario. Il destinatario di tale atto può solo impugnarlo di fronte al giudice amministrativo cui è vietata la sospensione del provvedimento ed al quale è imposta la sospensione del procedimento se la decisione necessita di elementi coperti dal segreto di Stato. L’esecuzione immediata dell’espulsione e la limitazione alla cognizione del giudice amministrativo hanno avuto un’efficacia limitata nel tempo, cui è sopravvissuta “solo” la previsione di una causa di espulsione dedicata al terrorismo, ciò può apparire ridondante considerando che l’art. 13, 1 comma del dlgs 286/1998 prevede già l’espulsione per motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato. La materia è stata poi riformata dal d.l. 144/2007 che sembra aver introdotto una legislazione speciale delle espulsioni per terrorismo, il sospetto terrorista entra in un canale speciale che lo vede più o meno restituito automaticamente al paese d’origine. Il destinatario del provvedimento non è quindi titolare degli stessi diritti di difesa di ogni
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altro straniero, si trova quindi impossibilitato a difendere la propria permanenza nello Stato. A mitigare la portata di tali affermazioni ci pensa la giurisprudenza che muove dal divieto di refoulement: il principio tratto dalla Corte EDU che vieta di respingere una persona nel paese d’origine se esistono rischi concreti di tortura, farlo equivarrebbe a sottoporlo direttamente a tortura. La Cassazione (Sez. VI, sent. n. 20514/2010) ha affermato che quando c’è il rischio che lo straniero espulso possa essere sottoposto a tortura, l’ordine di espulsione deve essere sospeso e sostituito da altre misure di sicurezza, fin quando non ci sono, secondo il magistrato di sorveglianza, fondate ragioni per non ritenere che questo rischio esista ancora50. Gli stranieri sospettati di
terrorismo non possono essere rimpatriati a causa del pericolo di tortura, possono restare nel territorio dello Stato, che diventa l’ambito di applicazione di misure di sicurezza finalizzate alla prevenzione della pericolosità sociale. Ciò significa che i soggetti in questione diventano destinatari di una sorveglianza assai rigida, perché sostanzialmente lasciata in bianca. Si determina così un’ulteriore caratteristica dello
status di terrorista: se non può essere espulso diventa un sorvegliato speciale, può rimanere in Italia ma con tutte le limitazioni del caso. Da quanto fin qui esposto possiamo affermare che la risposta italiana opera attraverso il codice penale e non per mezzo di una legislazione speciale, il che appare come il risultato di un modello storico in cui i reati terroristici hanno sempre trovato la propria collocazione all’interno dei reati contro la personalità dello Stato. Soprattutto opera con un modello in cui la costruzione della fattispecie è collegata alla risposta sanzionatoria, la struttura della fattispecie sembra elaborato per consentire alla risposta sanzionatoria di operare. La pena detentiva ha una chiara finalità rieducativa, lo Stato non vuole imporre la prigione
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come dolore, ma vuole che attraverso questa il soggetto che ha commesso il reato venga rieducato.
Nella disciplina relativa al riciclaggio connesso con la lotta al terrorismo e al sequestro di beni di organizzazioni terroristiche questa finalità manca, l’obiettivo non è la rieducazione del condannato, ma la sua punizione attraverso la sottrazione di qualsiasi vantaggio connesso alla commissione del crimine. La criminalizzazione del terrorismo non mira alla rieducazione del condannato, ma mira a sottrarre al terrorismo le risorse di cui lo stesso si nutre, in quest’ottica si spiega la criminalizzazione delle condotte perseguita con gli artt. 270-bis e 270-
ter c.p. l’obiettivo è sottrarre all’organizzazione terroristica le risorse tramite il sequestro dei beni impiegati nell’attività dell’organizzazione stessa.
Veniamo adesso all’ultimo provvedimento adottato in materia di terrorismo, ci riferiamo al d.l. 7/2015, successivo alla strage parigina del 7 gennaio 2015 nella sede del periodico Charlie Hebdo, convertito con la l. n. 43/2015. Il decreto tiene insieme tre aspetti: a) la lotta interna al terrorismo; b) le missioni internazionali; c) la lotta all’immigrazione clandestina.
In relazione al fenomeno dei foreign fighters la legge in questione ha aggiunto un comma all’art. 270- quater c.p. (arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale) prevedendo la pena della reclusione da cinque a otto anni per la persona arruolata con finalità di terrorismo internazionale; lo stesso articolo già prevedeva al primo comma la pena della reclusione da sette a quindici anni per la figura dell’arruolatore. Con la previsione di una pena anche per l’arruolato si è provveduto ad eliminare una evidente asimmetria perché sino a quel momento era prevista la punizione del solo arruolatore, mentre non era contemplata una sanzione per il soggetto arruolato. Da segnalare è la mancanza della descrizione della condotta punibile, si genera indeterminatezza, con il
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rischio che possa ritenersi sufficiente ai fini dell’arruolamento anche il mero impegno verbale ad unirsi ai terroristi51. La Relazione al d.d.l.
chiarisce meglio, perché il comportamento si sostanzi in arruolamento e non in un mero accordo criminoso è richiesto il “mettersi seriamente e
concretamente a disposizione come milite (…) pur al di fuori e a prescindere dalla messa a disposizione con assunzione di un ruolo funzionale all’interno di una compagine associativa. In questo senso il mettersi in viaggio, o l’apprestarsi a un viaggio, per raggiungere i luoghi ove si consumano azioni terroristiche (…) non sono che l’esplicazione di un precedente reclutamento”52.
Al comma 2 l’articolo 1 introduce l’art. 270- quater, comma 1 c.p. che prevede un nuovo delitto: organizzazione di trasferimenti per finalità di terrorismo. La nuova fattispecie penale anticipa la soglia della rilevanza penale della condotta richiesta perché sanziona anche il semplice comportamento di organizzare, finanziare o propagandare il viaggio all’estero senza che sia poi necessario che lo spostamento abbia effettivamente luogo. È prevista la pena della reclusione da cinque a otto anni per chi organizza, finanzia o propaganda viaggi in territorio estero finalizzati al compimento di condotte aventi scopo di terrorismo. Sono state fatte delle integrazioni anche al reato di cui all’art. 270-
quinquies c.p. (addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale) che già puniva con la pena della reclusione da cinque a dieci anni sia la figura dell’addestratore che quella del soggetto addestrato. In particolare, viene punito con la medesima sanzione il soggetto che, avendo anche autonomamente acquisito istruzioni ( quindi senza entrare in contatto con alcun addestratore), si auto addestra ponendo in essere comportamenti finalizzati al compimento di condotte
51 M. C. AMOROSI, Terrorismo, diritto alla sicurezza e diritti di libertà: una riflessione intorno al decreto legge n. 7 del 2015, pp. 6-7, in Fascicolo 2/2015,
www.costituzionalismo.it
52 Come si può leggere nella Documentazione per l’esame dei progetti di legge, scheda di lettura n. 278 pag. 5
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di terrorismo così come indicate nell’art. 270- sexies c.p.; l’inciso “univocamente” è stato inserito con la legge di conversione per limitare l’estensione della condotta richiesta e non rendere punibili condotte poco significative o comunque connotate da incertezza. L’introduzione di tale norma è finalizzata a contrastare il fenomeno dei “lupi solitari”, cioè di quei soggetti che senza entrare in contatto con i membri dell’organizzazione terroristica decidono in modo autonomo, a seguito della loro radicalizzazione ideologica, di auto addestrarsi per compiere attentati.
All’art. 270- quinquies c.p. è stato aggiunto il comma 2 che prevede una circostanza aggravante se l’addestratore/istruttore si avvale di strumenti informatici o telematici. In tema di contrasto al fenomeno dei foreign
fighters è da segnalare l’inasprimento della pena prevista dall’art. 497-
bis comma 1 c.p. (Possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi): l’ iniziale reclusione da uno a quattro anni è stata elevata da due a cinque anni; inasprimento opportuno in quanto le recenti esperienze investigative hanno consentito di accertare che spesso dietro al possesso di un documento falso valido per l’espatrio si può celare un soggetto coinvolto in fatti di terrorismo internazionale. Anche in tema di misure di prevenzione sono state introdotte rilevanti modifiche sia per l’aspetto personale che per quello patrimoniale. Le misure di prevenzione personali possono essere applicate anche ai
foreign fighters; il legislatore li ha definiti come coloro che prendono parte “ad un conflitto in territorio estero a sostegno di
un’organizzazione terroristica che persegue le finalità terroristiche di cui all’articolo 270 sexies del codice penale” (art. 4 comma 1 lettera d) del decreto legislativo n. 159/2011 - Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione)53.
53 F. POLINO, Il contrasto alle nuove forme di terrorismo internazionale, 16 marzo
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Con tale decreto, infine, è stata istituita la Direzione nazionale antiterrorismo all’interno della struttura della Direzione nazionale antimafia.
Un ultimo provvedimento da segnalare è la legge n. 185 del 2016 questa contiene alcune nuove fattispecie penali che rafforzano il contrasto al terrorismo internazionale. È stato introdotto l’art. 270- quinquies, comma 1 c.p. ( Finanziamento di condotte con finalità di terrorismo) che punisce con la reclusione da sette a quindici anni chiunque, al di fuori dei casi di cui agli artt. 270- bis e 270- quater, comma 1, raccoglie, eroga o mette a disposizione beni o denaro, in qualunque modo realizzati, destinati a essere in tutto o in parte utilizzati per il compimento delle condotte con finalità di terrorismo indicate nell’art. 270- sexies c.p.; la norma precisa che ai fini della consumazione del reato non è necessario l’effettivo utilizzo dei fondi raccolti, erogati o messi a disposizione. Il comma 2 dell’art. 270- quinquies prevede la punibilità di chiunque deposita o custodisce i beni o il denaro di cui sopra (reclusione da cinque a dieci anni). L’art. 270- quinquies, comma 2, c.p. (sottrazione di beni sottoposti a sequestro) punisce chiunque sottrae, distrugge, disperde, sopprime o deteriora beni o denaro sottoposti a sequestro per prevenire il finanziamento delle condotte con finalità di terrorismo previste