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D, Fr, S e Va siano approdati indipendentemente l'uno dall'altro alla lezione «lucius», ma pure che Guarino abbia deciso di utilizzare

ORDINAMENTO DELLA TRADIZIONE

A, D, Fr, S e Va siano approdati indipendentemente l'uno dall'altro alla lezione «lucius», ma pure che Guarino abbia deciso di utilizzare

in questa circostanza un nome di fantasia.

Va segnalato inoltre uno stesso errore che è presente in due passi distinti del commento guariniano. Il primo è il seguente:

[I, 2, 3, p. 21,17-20] Quemadmodum facit Ilioneus ad Didonem apud Virgilium, nam primo ponit exordium, deinde confirmationem et confutationem, quia non erat Dido persuasa, deinde ponit narrationem.

Questo il secondo:

[I, 6, 9, p. 55,8-11] Illioneus dicit Didoni: «parce pio generi». Nam posuit hic personam pro persona, scilicet Troianos pro ipso Ęnea, quia Ęneas erat turpis, quia Dido <non> erat persuasa.

Nel primo brano «non» è omesso da Fr, mentre A, D, S, Va leggono al suo posto «iam»; nel secondo, nessuno dei codici trasmette il «non» integrato nell'edizione. Il passo dell'Eneide cui si fa riferimento è I, 522-558, ovvero la richiesta di pietà per sé e per i suoi compagni che Ilioneo rivolge a Didone. In entrambi i casi la presenza di «non» è motivata da quanto si legge a p. 72,19-24. Nel primo passo citato, la sua necessità è suggerita dal fatto che si afferma che Ilioneo, a difesa delle proprie ragioni, prima della 'narratio' deve esporre 'confirmatio' e 'confutatio', proprio perché la regina cartaginese non è certa, prima che termini l'orazione, di soddisfare le richieste del suo interlocutore. Se, al contrario, a Ilioneo fosse stato noto che Didone avrebbe accettato la sua richiesta, non sarebbe stato necessario il ricorso all''ordo artificialis'. Il secondo brano, invece, sembra da interpretare in questo modo: Ilioneo, nella sua supplica, non avrebbe menzionato il nome di Enea per il timore che fosse sgradito («Ęneas erat turpis») a Didone, non ancora convinta di accogliere l'istanza di Ilioneo. L'orazione di quest'ultimo è infatti ancora alle prime battute e proprio tale dato suggerisce la necessità di integrare «non» nel testo. Se Ilioneo avesse saputo che Didone già aveva maturato una decisione, non avrebbe avuto bisogno di un artificio retorico per evitare di nominare Enea. Il motivo per cui il figlio di Anchise sarebbe stato considerato 'turpis' da Didone non è chiaro: il passo dell'Eneide citato da Guarino precede infatti la vicenda amorosa fra l'eroe troiano e Didone, e quindi anche la maledizione lanciata dalla regina su Enea. Inoltre, rispondendo a Ilioneo, Didone esclama «Atque utinam rex ipse Noto compulsus eodem / adforet Aeneas!» (I, 575-576) Una spiegazione potrebbe essere rintracciata nell'ostilità di Giunone, protettrice di Cartagine, nei confronti di Enea, in considerazione della quale Ilioneo non avrebbe pronunciato il nome del suo comandante, bensì utilizzato una formula generica come

CXLV

«parce pio generi». Rimangono però ancora dubbi: Giunone era infatti avversa non solo a Enea, ma ai Troiani in generale, e al v. 524 dell'Eneide viene espressamente fatto il nome di tale popolo. Ecco i versi virgiliani in questione (I, 524-526): «Troes te miseri, ventis maria omnia vecti, / oramus: prohibe infandos a navibus ignis, / parce pio generi et propius res aspice nostras».

Ai casi appena elencati, bisogna aggiungerne altri due, i quali dimostrano in modo sicuro l'esistenza di un subarchetipo :

[I, 2, 2, p. 18,14-16] Tamen est interdum in iudiciali incidens demostrativum sive deliberativum, nam sepe confunduntur ut dicit Aristoteles in 'Rhetorica' sua. Deliberativi materia est dannum vel utilitas. Tempore: demostrativum in presenti proprie, deliberativum in futuro proprie, iudiciale de preterito proprie. Tamen interdum laudamus de futuro, sicut Virgilius: 'Tu Marcellus eris'.

Fra «demonstrativum in presenti proprie» e «deliberativum in futuro proprie» A, Fr e Va presentano l'inciso «sed interdum confunduntur (confunditur Fr)». D e S, invece, in luogo di «demonstrativum in presenti proprie» leggono «demostrativum (demonstrativum S) in presenti tempore tamen laudamus interdum de futuro sed interdum confunduntur». L'impressione è che ci si trovi di fronte a un'interpolazione penetrata poi in tutti i manoscritti pervenutici: «sed interdum confunduntur» risulta privo di soggetto (Fr sembra voler porre rimedio volgendo tale forma verbale al singolare, facendola dipendere probabilmente da «demonstrativum») e, inoltre, spezza il 'tricolon' «demostrativum in presenti proprie, deliberativum in futuro proprie, iudiciale de preterito proprie». «sed interdum confunduntur» non si configura come lezione genuina, ma piuttosto come nota interlineare posta fra «demostrativum in presenti proprie» e «deliberativum in futuro proprie» che anticipa quel che si legge nel commento poco dopo, ovvero che la lode è propria anche del tempo futuro («Tamen laudamus interdum de futuro») e riprende quanto detto poche righe sopra («nam sepe confunduntur ut dicit Aristoteles»). Tale annotazione è stata poi inglobata nel testo dal copista di .

D e S, come si è visto, trasmettono anch'essi questa interpolazione, ma la fanno precedere da un ulteriore errore (congiuntivo): al posto di «demostrativum in presenti proprie» leggono infatti «demostrativum (demonstrativum S) in presenti tempore tamen laudamus interdum de futuro sed interdum confunduntur». A generare il guasto "aggiuntivo" prima dell'interpolazione è la triplice, ravvicinata, occorrenza della parola «proprie»: nella prima circostanza, l'abbreviazione di «proprie» è stata interpretata come quella, simile, di «tempore» — che ben si lega al vocabolo che la precede, «presenti» — e ad essa è stata fatta

CXLVI

seguire l'espressione «tamen laudamus interdum de futuro», la stessa che, nel passo citato, segue la terza occorrenza di «proprie».

[I, 12, 22, p. 109,14 — p. 110,3] Actione: actio est † et facultas accusandi. Exceptiones pretorie: ut cum unus promisisset alicui metu, dicat pretor quod accusare non possit, quia est actio privata, non publica. Exceptio: 'exceptio' est actionis exclusio (quia excludit quod tu non potes facere, id quod velis) et temporis differendi, accusatoris mutandi et iudicum mutandorum. Et etiam 'exceptio pretoria' est exclusio rei vel actionis.

Al posto della 'crux', A, Fr e Va leggono «exclusio actionis», D invece «actionis exclusio»: una spiegazione del significato di «actio» evidentemente inaccettabile. L'errore è probabilmente dovuto alla vicinanza, poche righe più sotto, proprio dell'espressione «actionis exclusio», dove è utilizzata, però, al fine di illustrare il vocabolo «exceptio». Il copista di S, accorgendosi dell'incongruenza, sostituisce «actio» con «exceptio», senza però riuscire a sanare la situazione. Si fa inoltre presente che il passo figura anche nel commento alla Rhet. Her. del codice Sforza (cfr. pp. CXXIX-CXXXII), nel quale si registra la medesima lezione dei codici A, Fr e Va: «Actio est actionis exclusio et accusandi facultas; exceptio, actionis exclusio».19 Non è stata reperita in altri testi una definizione di

'actio' che possa avere costituito la fonte di Guarino.

I due casi appena descritti consentono di inserire nello 'stemma' un subarchetipo, , in quanto presuppongono l'esistenza di una forma scritta del commento, che ha funzionato da antigrafo. Per quel che riguarda l'interpolazione ci si trova di fronte ad aggiunte interlineari o marginali (quindi qualcosa di scritto su supporto fisico, non semplicemente pronunciato a lezione) che sono state inglobate nel testo delle Recollectę da parte di chi ha utilizzato l'archetipo come modello. Nella seconda occasione, invece, sembra avere influito sul luogo contrassegnato con la 'crux' quanto si legge poche righe più sotto: quindi il copista di doveva disporre davanti ai propri occhi di tutto il testo, già messo per iscritto.

***

Alcuni punti del testo, infine, lasciano percepire l'opera correttiva dei singoli amanuensi, i quali, di fronte a errori d'archetipo facilmente emendabili hanno posto rimedio in modo autonomo. È il caso di «embleta» (I, 12, 20, p. 104,8), parola inesistente trasmessa da A, D, Fr, S; il solo Va legge correttamente «emblemata», lezione frutto di correzione alquanto agevole.

CXLVII Altri esempi:

[I, 5, 8, p. 47,14-17] Perfidiose: perfidus dicitur quia perdat fidem, scilicet qui frangat pactum, ut Virgilius Turnum 'perfidum' appellat quia fregit pacta pacis inter Latinum et Eneam, et ut sunt proditores alii.

Al posto di «et Eneam», A, D e Fr leggono «et Turnum»; S invece «et se», riferendosi al soggetto della frase, che è sempre «Turnum». Il senso e la conoscenza della vicenda narrata nell'Eneide consentono a Va di emendare «et Turnum» con «et Eneam».

[I, 8, 12, p. 74, 13-15] Hanc cum dii in laurum convertissent, dii omnes venerunt ad consolationem eius. Post quam: Inachus fluvius cuius etiam filia Io conversa est in vacham.

In luogo di «Post quam», Fr e Va, che occupano la parte alta dello stemma, leggono «preterquam»; gli altri tre codici trasmettono invece la lezione esatta, possibile esito di correzione da parte di .

Per ulteriori possibili errori d'archetipo (o subarchetipo) si rinvia ai casi proposti alle pp. CL-CLV e CLVII-CLVIII.

= , Fr

La tradizione delle Recollectę è di tipo bipartito: da un lato si pongono i codici A, D, S, Va, mentre sull'altro ramo si colloca Fr. Vengono qui esposti prima i luoghi e gli errori significativi che congiungono A, D, S, Va e li separano da Fr:

A D S Va edizione (= Fr)

I, 2, 320 27,6 manca inventionem et cętera

Oratoris officia: id est

I, 3, 4 28,4-6 nam in principio

solent fieri triclinia

(trichlinia A)

egregia et

quamquam plurima cubicula

Nam in principum edibus fieri solent triclinia egregia et quamplura

cubicularia

20 Qui e in tutte le tabelle successive, nella prima colonna si riporta il numero di

libro, capitolo e paragrafo della Rhet. Her., mentre nella seconda il numero di pagina e riga della presente edizione del commento di Guarino.

CXLVIII

I, 4, 7 40,12-14 manca sed docilis potest esse,

id est, 'velle doceri', sed non attentus

I, 10, 16 91,11 occulte A Va

oculte D S

acute

I, 11, 18 97,15 manca immo castigavi

I, 11, 18 99,2 manca sed est rubeus

[I, 9, 14, p. 80,12-15] Nam in hoc exemplo quod sequitur esset transitio: «Cum exisset Milo Romam, occurrit Clodio apud agrum Mecenatis. Erat autem Mecenas civis Romanus cui per hereditatem relictus erat ager».

Che «Mecenatis. Erat autem Mecenas civis Romanus», trasmessa dal solo Fr, sia da ritenere non aggiunta del copista del codice Riccardiano, ma lezione genuina, è testimoniato dal fatto che più avanti nel commento (p. 88,13-14) viene proposto da tutti i manoscritti un esempio affine a quello appena considerato: «Invasit Milonem apud agrum Mecenatis, locum insidiis aptum». Inoltre, se venisse meno il riferimento a Mecenate, mancherebbe la digressione che Guarino annuncia di voler illustrare proprio tramite questo esempio («Nam in hoc exemplo quod sequitur esset transitio»).

Altri tre errori significativi comuni ai codici A D S Va sono rappresentati da interpolazioni. I casi sono i seguenti:

[I, 3, 4, p. 31,14-16] Tria prestare debet orator: ut doceat, delectet et moveat. Doceat: manifestet. Moveat: ad amorem vel ad iram. Delectet: suavitate verborum.

Tra la prima occorrenza di «delectet» e «et moveat», in A e Va si legge «suavitate (suuavitate A) verborum», in D e S «suavitate verborum sic». — il comune ascendente di A, D, S, Va — ha inserito nel testo quella che doveva essere una nota interlineare del suo antigrafo, la quale anticipava la specificazione di «Delectet» che si legge anche poco più sotto, ovvero «suavitate verborum».

[I, 5, 8, p. 46,5-14] «Merito deplorandus est Roscius qui, cum soleret esse in amplissimis copiis, eo pervenit, ut non solum privatus sit divitiis, sed etiam amicis et patrono». Et si orabimus, ut nobis sint auxilio: «Ceterum, suam consolatur mestitiam Roscius cum videat iusticiam vestram esse promptissimam, unde orat ut vobis sit commissus». Et si ostendemus non in aliis spem: «Cum multi sępenumero se paratos ad meam defensionem se offerent, ego vos iudices elegi in quibus vitę meę status conquiesceret.

In A, D, S e Va, tra «spem» e «cum», si legge «idem ferre cum superiori», che sembra non avere alcun legame con il resto della

CXLIX

frase. In Fr ciò non si verifica, ma, in corrispondenza di «mestitiam Roscius», a margine, è annotato «idem fere cum superiora»: si rimanda cioè allo stesso Roscio che è già stato citato poche righe più sopra. Fr ha mantenuto a parte quella che doveva essere una nota già presente in margine in e che invece ha inglobato erroneamente nel testo, condizionando la successiva tradizione.

[I, 6, 10, p. 63,18 — p. 64,2] Expectatio ergo interpositio adversarii et nostrę orationis prius quam incipiamus dicere, sicut Ulixes expectavit, post dicta Aiacis, ut auditores paulum, nullum audiendo, recrearentur.

A, D, S e Va, a differenza di Fr (la cui lezione è quella adottata nell'edizione), tra «Aiacis» e «ut» aggiungono «telamonii (th<e>lamonii D thelamonii S thalamonii Va) dum ipsi contenderent de armis achilis (achillis S Va) patroclis (patruclis Va) aiacis». Tale porzione di testo ribadisce quello che, oltre a rappresentare un episodio molto noto, è già stato ampiamente spiegato nel commento guariniano, ovvero la ragione del contendere fra Aiace e Ulisse. La stringa di testo presente in A, D, S, Va, contiene inoltre in tutti e quattro i codici l'errore «dum» — refuso per 'cum' causale — e manca di una congiunzione tipo 'ac' o 'et' fra i nomi di Achille e Patroclo. Anche in questa circostanza si ha l'impressione di avere a che fare con quella che originariamente doveva essere un'annotazione marginale o interlineare, erroneamente inserita nel corpo del testo dal copista di . Appare meno probabile che l'interpolazione fosse presente già a livello di subarchetipo e che il copista di Fr abbia provveduto a cassarla per intero, quando avrebbe potuto semplicemente correggere «dum» con «cum» e aggiungere una congiunzione fra i nomi di Achille e di Patroclo.

Si aggiungono inoltre alcune omissioni comuni ad A, D, S, Va: sono lacune dovute al fenomeno del salto da uguale a uguale, ma poiché si tratta di sei casi, relativi a stringhe di testo quasi tutte piuttosto lunghe, condivise da ben quattro codici, ci sono buone probabilità che tali manoscritti non abbiano commesso le omissioni in modo indipendente l'uno dall'altro. Queste lacune, inoltre, contribuiscono a dimostrare che Fr non può avere avuto A, D, S o Va come antigrafo:

A D S Va edizione (= Fr)

I, 3, 4 31,12 manca quia in exordium

I, 6, 9 58,12-13 manca et avaritiam esse

CL

eorum potentia

I, 15, 25 122,3-4 manca et statum rei publice.

Respondet quod istud

non est ledere

maiestatem

I, 15, 25 122,5-6 manca per diffinitionem. Unde

in hac oriuntur duę constitutiones

I, 16, 26 124,4-5 manca hoc firmamentum est, id

est ratio contra rationem Horestis. Oportuit

I, 16, 26 124,16-17 manca est activum. Recte ne

fuerit: id est utrum et hic est iudicatio

***

I casi appena visti sono quelli significativi, che cioè congiungono in modo evidente A, D, S, Va, separandoli al contempo da Fr. Qui di seguito, invece, viene proposta una scelta di errori comuni ad A, D, S, Va, che non devono essere considerati significativi in quanto il copista di Fr potrebbe averli corretti in modo indipendente: se davvero fosse stato lo scriba del Riccardiano ad intervenire per sanare il testo, ci si troverebbe di fronte ad errori di archetipo (o subarchetipo). Si includono inoltre nell'elenco brevi porzioni di testo che mancano in A, D, S, Va e che figurano in Fr, le quali potrebbero essere state effettivamente presenti in per venire poi omesse dai codici del ramo che discende da , oppure essere autonome aggiunte dello scriba del Riccardiano.

Tali numerosi casi (qui ne viene presentata solo una parte a titolo esemplificativo), per quanto non significativi se valutati singolarmente, considerati nel loro complesso risultano invece utili, in aggiunta a quelli già esposti, a completare un quadro che delinea un atteggiamento compatto da parte di A, D, S e Va:

A D S Va (= ) Fr (= edizione)21

accessus 3,10 cum plurimis A D Va

complurimis S compluribus

accessus 3,11 diviguit diu viguit

accessus 6,2 manca De textus expositione

infra latius patebit

21 Eventuali discrepanze, non puramente grafiche, tra lezione critica e Fr sono

CLI

I, 1, 1 10,16 socrate Ysocrate

I, 1, 1 12,18-19 manca qui sic mediocriter dicit

I, 2, 2 14,8 oratione ratione I, 2, 2 15,15 manca causa I, 2, 2 19,5 manca rhetorica I, 2, 3 20,1 necessitatis A S Va necitatis D22 necessitas I, 2, 3 24,14-15 alicui propositum discipline alicui disciplinę proprium I, 2, 3 25,13 sed scilicet

I, 2, 3 26,7 eius rei (rey A) eius

I, 3, 4 27,10 cause esse

I, 3, 4 28,11,12 occultum est

conversio ut A

ocultum (occultum

Va) est e converso D S Va

occultum vero est (est est Fr) quando consequi non possunt nisi cum obliquitate, ut

I, 3, 4 29,18 nec me

I, 3, 4 30,6 manca tangit

I, 3, 4 32,4-5 eo ordine procedit

quo procedit

eo ordine procedit quo proposuit

I, 3, 5 33,14 occidit filium occidit filios

I, 4, 6 37,21 dabatur A Va dabat ut D S23 damnabatur I, 4, 7 40,2 res ars I, 4, 7 42,6 conflectitur reflectitur I, 5, 8 45,19 ingenuorum ingeniorum I, 5, 8 48,16 contradicio A contradictio D S Va conditio

I, 6, 9 53,18 manca et sic persona turpis

I, 6, 9 53,20 manca persuasus

I, 6, 9 55,15 inter eum inter eos

I, 6, 10 61,6 quoniam quem

I, 6, 10 61,16 sobrie sorbie

I, 6, 10 61,17 manca Inversione

I, 6, 10 62,11 optime opime

22 Come è frequente in D, anche in questo caso non è più leggibile il segno

abbreviativo.

23 La lezione di D e S è una deformazione di quella di A e Va, dovuta a facile

CLII I, 6, 10 64,3 similius simius I, 6, 10 64,15 orationum A orationum D S Va Horatianum I, 7, 11 67,5 manca Proprie I, 9, 16 88,17 quando ut D S Va qn ut A24 ut I, 9, 16 89,4 parte paratu I, 9, 16 91,4 ex pugno ex ore A S Va ex pugno et ex ore D 'expugno', 'exoro'

I, 10, 17 92,14 sumus acturi dicturi sumus

I, 10, 17 94,17 manca Abrogat: removet

I, 12, 22 108,6 diminute manca

I, 12, 22 109,6-7 manca quia in diffinitione

I, 13, 23 113,5 tamquam A tanquam

D S tamquam Va tangit

I, 14, 24 117,18 patere A D S pati Va Facere

I, 16, 26 124,6 non inde

I, 17, 27 128,5 manca si

[I, 2, 2, p. 12,19-21] Rhetor est ille qui tradit artis precepta, ut hic Cicero. Et etiam differt orator a rhetore quia orator dicit ex arte, rhetor de arte.

A, D, S, Va leggono «differt aliter ab oratore et rhetore (rethore A, D)» e obbligano a considerare come soggetto «Rhetor», il che non ha senso; «differt orator a rhetore» è invece la variante esatta trasmessa da Fr.

[I, 2, 3, p. 21,6-11] Dispositio: id est debito modo positio, scilicet quod primum primo, secundum secundo et primo ponere argumentum fortius, in medio mediocre, in fine etiam validum argumentum. Est ordo: hoc dicit quantum ad naturalem qui est duplex, scilicet ponere primo propositionem deinde rationem propositionis et sic cętera.

Al posto di «ponere primo propositionem deinde» D e S leggono in modo errato «ponere et primo proponere deinde», mentre la lezione di A coincide con quella di Fr, scelta per l'edizione; quasi identica a quella di D e S è la lezione di Va, che legge «ponere primo proponere deinde». L'errore presente in questi ultimi tre manoscritti è di tipo poligenetico, frutto della vicinanza

24 In A manca il segno abbreviativo su 'qn' per completare il compendio di

CLIII

dei vocaboli fortemente allitteranti «ponere primo propositionem», posizionati, per di più, poco dopo l'espressione composta da parole in parte uguali «scilicet quod primum primo, secundum secundo et primo ponere». La confusione in cui poteva facilmente incorrere il copista è testimoniata da quanto compare in S, dove dopo «duplex scilicet» viene espunta quella che sembra l'abbreviazione di «primo» e, tra «ponere» e «proponere», viene prima depennato qualcosa di ormai illeggibile e poi aggiunto «et primo». Si potrebbe dunque trattare di errore presente in , emendato da parte del copista di A.

[I, 2, 3, p. 26,2-6] Quos imiteris: scilicet probatos in eo genere dicendi, ut si scribere volumus metrice et in materia gravi imitari Virgilium in 'Ęneide' vel Statium sive Lucanum, si historice Livium sive Salustium vel alios ydoneos, si prosayce Ciceronem.

Fr (la cui lezione è quella adottata nell'edizione) è il solo codice a includere nell'elenco di storici il nome di Livio, la cui presenza appare del tutto pertinente, considerando pure che Guarino, nel corso delle Recollectę, cita più volte tale autore, esplicitamente o implicitamente. A e Va presentano lezioni non scorrette, che divergono lievemente fra loro: al posto di «si historice Livium sive Salustium» nell'Ambrosiano si legge «si istorice salustium», in Va invece «sive salustium si historice». D e S omettono «si historice Livium» compromettendo il senso. Le differenze tra A, D, S, Va sono probabilmente dovute pure alla presenza nell'elenco di Lucano, la cui classificazione nella teoria medioevale oscillava tra quella di 'historicus' e quella di 'poeta', anche se nella maggior parte dei casi veniva considerato 'magis historicus quam poeta'.25 La

lezione di Va non mette in luce in modo chiaro sotto quale categoria sia collocato Lucano: i due «sive», posti uno prima l'altro dopo «Lucanum», rendono associabile infatti il nome di questo autore sia a quello dei due poeti che lo precedono (Virgilio e Stazio), sia a quello dello storico che segue (Sallustio). Le lezioni di A e Fr, invece, pongono in modo evidente Lucano sotto la categoria 'poeta'.

25 «Tra i 'magni auctores' accolti nel canone della prassi scolastica medievale come

esempi di un preciso modello stilistico Lucano compare stabilmente, ma spesso accompagnato dall'appellativo 'historicus' o 'historiographus', esito di una lunga catena di giudizi, i cui principali anelli furono Quintiliano (Inst. 10, 1, 90), Servio (In Aen. 1, 382), Isidoro di Siviglia (Etym. 8, 7, 10), riflessa anche nella Commedia dove Lucano occupa l'ultimo posto nella 'bella scola' di Omero (Inf. IV, 86-90): segno palese dell'imbarazzo classificatorio davanti a un tragico anomalo che aveva cantato in stile alto vicende storiche a lui quasi contemporanee» (Rossi 1991, pp. 166-167).

CLIV

[I, 8, 13, p. 76,17 — p. 77,1] annales autem hystorię quas ipsa vidit ętas nostra, ut in Livio sunt enim historię et annales; historię quas ipse vidit tempore bellorum civilium, licet illa decade nos careamus.

«Livio» viene omesso da A, D e Va, mentre figura in Fr e S. Ancora una volta si verifica solidarietà fra A, D e Va: S (al pari di Fr) potrebbe aver aggiunto autonomamente il nome dello storico latino.

[I, 9, 14, p. 79,13-15] cum propter invidiam et malignitatem suam Clodius semper habuerit Milonem odio, nunquam desistit donec aggressus est eum exeuntem civitatem.

In luogo di «desistit» D legge «destitet», Va «destitit», parole