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Il giardino ed il peristilio colonnato visto dal triclinio estivo.

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verde irrequieto e una montagna totem di se stessa e della severità della natura.

Il rosso é il colore del predominante mattone che c’è ovunque e che costituisce un tono base, un cromatismo onnipresente interrotto dai segni delle colonne che somigliano a dei vuoti ritmici, scavati nel continuum dell’argilla cotta sulla quale é costruita tutta la città.

Ma il rosso é anche il colore della tenace resistenza dei lacerti di affreschi murari che non vogliono andarsene, che non vogliono scomparire. É un rosso dilavato, tenue e persino evanescente, alle volte, e tuttavia presente, imprescindibile nel definire la qualità degli spazi architettonici delle case al loro interno.

La città é drammaticamente integra nel suo susseguirsi di spazi per questo viene voglia di disegnarla non come un sito archeologico, ma come uno spazio urbano reale, da urban

sketcher. Tutti la descrivono come un luogo carico di vitalità,

tutti i viaggiatori non la visitano, la vivono. E questa vitalità, non c’é dubbio, nasce dalla presenza importante, decisiva, delle case che la fanno diversa da qualsiasi altro sito (escluso forse Ercolano e, in parte, Efeso).

Sfogliando il libro forse più famoso su Pompei, quello di Gusman del 1900, si intuisce subito come le abitazioni e la vita che esse esprimono sia al centro della ricostruzione dell’autore, a partire dalle sue magnifiche illustrazioni fatte di ambienti, utensili, costumi, vita quotidiana2. E non é certamente un caso che questo libro sia considerata la guida cui Le Corbusier si riferisce nel fare i suoi disegni, riproponendo in molti casi le stesse inquadrature, visitando Pompei a conclusione del Voyage in Orient del 1911.

Ma anche altri illustri viaggiatori, pur non disegnando, riconoscono la centralità della vita quotidiana come elemento fondativo dell’immagine della città, cogliendo questa percepibile vita nel tessuto urbano di Pompei, cadendo nella fascinazione delle sue case fantastiche.

Lo fa Paul Klee che visita la cittadina il 2 aprile del 1902 e che annota: “alle otto del mattino abbiamo preso il treno per Pompei,

e qui visitato il Museo e le rovine. Calchi di gesso di uomini e cani fanno grande impressione. Belle architetture; alcuni templi e una casa meravigliosa. Dopo aver visto a Napoli singoli oggetti dissepolti, qui tutto dà un senso di vita”3. Lo fa anche, qualche anno prima, Mark Twain, che dedica un intero capitolo del suo diario di viaggio in Italia, da noi pubblicato col titolo emblematico, In

questa Italia che non capisco, e che tuttavia esprime una gioia nel

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Sulla base di queste considerazioni si é mossa la ricognizione grafica all’interno delle case, proprio per andare a sentire l’odore della vita pompeiana e per immergersi in questa chiave di lettura in cui i viaggiatori avevano collocato le vitalità della cittadina.

Ma disegnare le case di Pompei non é esercizio semplice. Schematicamente cercherò quindi di analizzare i punti critici dello sketching nelle case pompeiane, delle problematiche incontrate nel realizzare le immagini presenti in questa edizione.

Il primo elemento che caratterizza la diversità dell’esperienza del disegno delle case di Pompei é nella questione, non di poco conto, che le case vengono viste con un occhio interno, mai esterno. La rappresentazione della casa é sempre da dentro verso fuori, liberata completamente dalla sua entità plastico volumetrica dell’oggetto edificio, ma con una partecipazione emotiva dell’osservare ciò che da dentro si vede, partecipando, appunto ad un chiaro processo di immedesimazione con chi quelle case le ha vissute. Siamo lontani dalla sachlichkeit del volume casa, qui tutto é percezione interna, interiore.

Vi sono poi delle questioni più tecniche.

Anzitutto la luce. Le case pompeiane sono piene di intensità luminose diversissime, dal sole più accecante alla semioscurità da indagare. La retina subisce all’interno della stessa casa dilatazioni e strizioni violente. Aperture sul tetto, grandi varchi parietali, assieme a lacune murarie, determinano una spazialità fortemente vibrante sotto l’effetto della luce e questo é piuttosto complicato da restituire nella sua straordinaria violenza d’impatto.

Altra caratteristica é la frammentazione della successione prospettica. Gli ambienti, in ragione della loro conformazione originale, ma anche in rapporto ai crolli e alle lacerazioni avvenute, stentano a essere definiti con una prospettiva centrale o accidentale unica che ne misuri la consistenza dello spazio interno. Il rapporto interno esterno é al contrario molto complesso e sembra essere più organizzato su sequenze di pareti che si allineano in profondità, costruendo una prospettiva continuamente fatta di quinte. La spazialità che risulta é estremamente moderna, vien voglia di citare l’entusiasmo di Bruno Zevi per l’architettura neoplastica, quando descrive uno spazio che: “elabora la sintassi della quadridimensionalità:

distrugge il volume enucleandone i fattori basici in liberi piani, poi ne attua il rimontaggio in guisa da evitare ogni inerzia prospettica e perciò da assumere il tempo – quarta dimensione – come protagonista della fruizione architettonica”5 evocando la descrizione di

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molte sequenze spaziali pompeiane. Mi rendo conto che può sembrare una forzatura ma disegnare la Casa di Sallustio mi ha posto delle questioni di rappresentazione della spazialità nel foglio non dissimili da quelle incontrate nel disegnare la casa Lange o la Esters di Mies van der Rohe a Krefeld.

Del colore abbiamo già accennato. Va tuttavia evidenziato il fatto che il disegno a colori delle case di Pompei necessita di stabilire delle gerarchie cromatiche. La grande presenza di superfici frazionate, di lacerti colorati più o meno intensamente, e assieme a ciò le grandi superfici delle murature di sfondo, del cielo e del vulcano che incombe, rischiano di produrre un risultato cromaticamente caotico e confuso se non si riesce a definire bene un ordine di lettura delle tonalità. Nelle case, ad esempio, abbiamo spesso dei brani di intonaco rossi, arancio, ocra o gialli, che il tempo ha attenuato moltissimo di intensità e che tuttavia costituiscono un valore non solo cromatico ma spaziale e plastico della casa e che vanno quindi guardati e resi con la dovuta attenzione anche a dispetto del fatto che, probabilmente, i rossi presenti in uno sfondato, come fondali o quelli prodotti dai mattoni della superficie muraria scrostata sono molto più vistosi ma molto meno importanti.

In ultimo la difficoltà della dimensione, lo straniamento prodotto dalla sequenza degli ambienti, del succedersi degli spazi chiusi e di quelli aperti, del piccolo accostato al grande, crea una difficoltà scalare immediata e con questa la frustrazione per l’impossibilità di raccontare con un disegno solo una casa. In esempi come quella del Fauno siamo di fronte a una sequenza di spazi gigantesca e alla totale perdita di una visione univoca della casa, anche se questa non rinuncia affatto alla sua conformazione unitaria, almeno nel suo collocarsi nel tessuto urbano. La sequenza prospettica, prima citata, qui non basta più e la casa va descritta con molti elaborati e con delle immagini iconiche, rappresentative di una porzione significativa e specifica, restituendo poi l’idea complessiva della casa ad un assemblaggio per parti, attuando un processo ejzenštejniano, del totale dato dalla sommatoria di frammenti autonomamente compiuti.

Una esperienza quindi ricca di temi e di confronti con una realtà articolata e complessa, mai banale e sempre in grado di sbalordire e sorprendere in barba agli anni e alla conoscenza acquisita nel tempo, anche da chi scrive, attraverso una frequentazione che prende avvio molti anni fa.

Lo stupore é il sano viatico del viaggiatore che seguendo la curiosità propria e il fascino dei luoghi incappa in osservazioni fatte con gli occhi e con la mente e per questo, in conclusione

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vorrei citare uno dei più celebri viaggiatori in Italia della storia Wolfgang Goethe che ci ha lasciato, descritta con candore, la sua ammirazione: “queste stanze, questi corridoi, questi loggiati

sono dipinti nel modo più gaio; le pareti, a tinta uniforme, con nel centro un quadro in tutto punto, ora quasi sempre deteriorato, hanno ai lati e agli angoli leggeri arabeschi di grande gusto, che qua e là si intrecciano anche con graziose figurine di bambini e di ninfe, mentre più in là, da grandi viluppi di fiori, scappano figure d’animali domestici e feroci. Così lo stato attuale di completa devastazione d’una città, prima sepolta sotto una pioggia di cenere e pietre, poi messa a sacco dagli scavi, testimonia ancora del gusto artistico di tutto un popolo, gusto del quale oggi anche l’amatore più acceso non ha né idea, né sentimento, né bisogno”6.

Note

1. Melvile H., Diario italiano, Roma 2011, pp. 25-26.

2. Gusman P., Pompei. The city, its life & art, W. Heinemann, London 1900. Il punto di vista di Gusman viene chiarito sin dalla prefazione quando egli dichiara: “...I have not attempted an imaginary reconstruction, but I have honestly

tried to make Pompei live again, by the help of authentic documents found in the buried city, and by the light of the many books that deal with the subject. This is a history of the Pompeians, illustrated by themselves. The subject is vast, too vast indeed...”. Il libro è in rete all'indirizzo: https://archive.org/stream/

pompeicityitslif00gusmiala#page/x/mode/2up 3. Klee P., Diari 1898-1918, Milano 1984, pag. 104.

4. Scrive Twain: “...più o meno metà di quella città sepolta é stata riesumata

completamente e presentata liberamente alla luce del giorno. Li si ergono lunghe file di robuste case di mattoni (prive di tetto) proprio come si ergevano milleottocento anni fa, calde sotto il sole torrido; e lì ci sono i relativi pavimenti pulitissimi, senza una sola vivace tessera offuscata o mancante nei mosaici che erano costati tanta fatica e che rappresentavano delle belve, uccelli e fiori che noi copiamo negli ordinari tappeti di oggi; e qui ci sono le Veneri, i Bacco e gli Adoni che fanno l'amore e si sbronzano in affreschi multicolori sulle pareti di saloni e camere da letto...”, Twain M., In questa Italia che non capisco, Mattioli 1885, Fidenza 2011, pag. 164.

5. Zevi B., Architettura e storiografia, Torino 1974, pag. 100.

Una architettura allo stato di rudere resta