• Non ci sono risultati.

dello spazio

stratificato e

deformato”

90

liberamente, compresa la natura esterna, assumendo tutti, co- munque, un valore di artificialità e di deformazione.

La “stratificazione” ha qui un valore che definiremmo quasi post-moderno, nel senso di libero e decontestualizzato uso di elementi o sistemi spaziali e di significato del passato mon- do culturale19; libertà sulla quale si inserisce una caratteristica componente di “deformazione” delle misure, dei rapporti, o del senso originario degli apparati decorativi usati nel tempo nelle case ad atrio e nelle ville20. Questo modello, quindi, descri- ve principalmente quelle piccole o talvolta anche grandi tra- sformazioni operate sulle dimore, particolarmente negli ultimi anni di vita pompeiana; trasformazioni spesso caratterizzate da una relativa qualità di esecuzione e probabilmente opera di una classe sociale dalla non eccelsa consapevolezza culturale, secondo quanto notato a più riprese da studiosi come Zan- ker. Ciononostante dal nostro punto di osservazione i risultati architettonici ottenuti secondo questo modello concettuale assumono grande interesse in quanto sembrano essere delle “scenografie” capaci di descrivere il mondo esistenziale, vario e personale, di nuovi ceti sociali che nella libertà da costrizioni ed osservanze di canoni e modelli producono spazi vitali ed originali, la cui modernità è anche legata al forte carattere di soggettività ed autoespressione21 che l’architettura della casa – tradizionalmente considerato il più canonico dei sistemi spa- ziali della romanità – ancora ci restituisce.

In queste case più che la sapiente mano di un architetto, emer- ge una sorta di “fai da te” da alcuni considerato al limite del

kitsch, ma chesembrainveceavere la ricchezza che possiede il moderno jazz nel panorama musicale del ‘900, musica rinno- vata dal basso in cui si innestano molti filoni espressivi con una libertà ed una componente di deformazione, legata alla in- terpretazione del singolo musicista, che è e resta un contributo non aulico, ma non per questo meno significativo, alla crescita culturale di un popolo. Esattamente come accadde nella pro- duzione domestica a Pompei negli ultimi anni della sua vita, dal cui panorama ci sembra possibile evincere un modernis- simo senso di velocità (di pensiero come di azione costruttiva) che rende appunto la casa un luogo sempre meno monumen- tale e di più veloce auto\rappresentazione, espressione diretta e concreta di quella caducità e transitorietà della vita e dei suoi valori che tanto vicini ci fanno sentire gli uomini e donne pompeiane a cavallo dell’anno zero.

91

Note

1. Cfr. Brockman J., Einstein, Gertrude ...cit., Milano, 1988.

2. Norberg-Schulz C., Architettura romana, in C.N.S., Architettura occidentale... cit., p. 42 e sgg.

3. Il Pantheon fu costruito dall’imperatore Adriano tra il 118 ed il 128 d. C. in onore di tutti gli dei. Ci sembra utile rimarcare come lo stesso Adriano fu l’artefice e (come molti ritengono con sempre maggiore convinzione) l’ide- atore del complesso di Villa Adriana che rappresenta l’episodio conclusivo, chiaramente aulico, del processo che stiamo analizzando della casa, la quale, nel caso citato, finisce talmente per aprirsi verso la natura da confondersi con essa, divenendo una sorta di Città dell’Imperatore.

4. Norberg-Schulz C., Architettura romana, in C.N.S., Architettura occidentale... cit., p. 52.

5. Le Corbusier, Entretien avec les etudiants des ecoles d’architecture, in Casabella

531-532, Gennaio-Febbraio 1987, p. 89.

6. La relazione tra l’uomo ed il mondo si manifesta nell’esperienza del Moder- no fino alla piccola scala dell’oggetto, atteggiamento profondamente pompeia-

no, come abbiamo visto, di relazione e continuità tra le parti ed il tutto. Questo

atteggiamento è poeticamente descritto sempre da Le Corbusier che scrive: “voglio parlare degli oggetti di cui amiamo circondarci nella nostra vita quotidia-

na, intrattenendo con essi una conversazione costante. Oggetti compagni che possono essere oggetti poetici [...] in breve l’infinità dei testimoni che parlano la lingua della natura, accarezzati dalle vostre mani, scrutati dal vostro occhio, compagni evocativi ... E’ grazie ad essi che un contatto amicale si mantiene tra la natura e noi”, Ibidem.

7. Ibidem.

8. Questa puntualizzazione è figlia dichiarata della nota considerazione corbu- siana per la quale la pianta è generatrice dello spazio.

9. Cfr. G. Devoto, G. C. Oli, Dizionario della lingua italiana, Firenze, 1971, p. 545. 10. Vitruvio scrive i dieci libri del De architettura sotto Augusto (la datazione non è certa ma la maggior parte degli studiosi concordano per questa ipotesi); questo ci fa intendere come nella sua descrizione della casa ad atrio sia già presente una sorta di volontà di storicizzare un’esperienza architettonica (pe- raltro caduta sostanzialmente in disuso nel periodo in cui scriveva) dal forte valore mitico e simbolico relativamente a quelle origini, dure e tenaci, che come sappiamo il primo Impero tendeva a glorificare per fini di propaganda politica.

11. Norberg-Schulz C., L’ab itare... cit., p.31.

12. La decorazione in I Stile consiste in una sovrapposizione di bugne forte- mente tridimensionali, colorate con vivaci colori come rosso, giallo sole, nero. 13. A tal riguardo ci sembra interessante riportare alcune notazioni di Vittorio Gregotti a proposito della specificità del progetto di architettura come mezzo per organizzare il nuovo che si ottiene nella narrazione in relazione ad un con- testo, e quindi ad altri fattori e valori presenti: “tale processo di modificazione è in

primo luogo per noi processo di narrazione [...] Accettare il principio della modifica- zione narrativa significa accettare una condizione interpretativa per rapporto a un con-testo, cioè a un testo preesistente. “D’altra parte – scriveva Focault nell’“Ordine del discorso” – il commento ha come unico ruolo, quali che siano le tecniche messe in opera, di dire infine ciò che era silenziosamente articolato laggiù. Deve, secondo un paradosso che sposta sempre ma cui non sfugge mai, dire per la prima volta quel che tuttavia era stato già detto e ripetere instancabilmente ciò che, nondimeno, non era mai stato detto”, in Gregotti V., Le scarpe di Van Gogh, Torino, 1994, p. 76.

14. Sul problema del progetto di architettura come modificazione e conoscenza del reale, implicito in questo processo che stiamo analizzando, ci sembra utile riportare alcune significative riflessioni di Gregotti: “nel progetto di architettura

92

al reale, ma di considerare il reciproco coinvolgimento, la reciproca attrazione tra realtà e progetto, anche quando ci opponiamo o cerchiamo di evocare con il proget- to ciò che non ci pare di riconoscere in alcun modo nel quotidiano empirico”. Più

avanti, nel rimarcare il valore di interpretazione del progetto, riprendendo la metafora dell’«io scrivo» di Italo Calvino, Gregotti aggiunge che “...a partire da

quell’«io scrivo», luogo non dell’osservazione, ma terreno della trasformazione della realtà in sostanza letteraria [...] la mia scrittura è una catena di trasformazioni inter- pretative della stessa storia della scrittura, della costituzione e trasmissione, per suo mezzo, dei caratteri di un intero popolo e dei suoi miti ...”, idem, pp. 38-39 .

15. Sul fondamentale concetto di "dipositivo" indagato da Michel Foucault si rimanda all'intenso libro Agamben G., Che cos'è un dispositivo?, Roma, 2006. 16. Con il termine concluso si intende riprendere le considerazioni fatte per il primo modello; il mondo, prima circoscritto ed evocato per astrazione alla scala “sensibile” dell’uomo, diviene ora proprio il mondo reale, anch’esso cir- coscritto e limitato secondo le conoscenze astronomiche di allora, di cui la casa è una parte “interna”.

17. Non sfugga la descrizione dell’arrivo alla villa su cui Plinio indugia, nell’e- vidente intento di accompagnare lentamente il lettore attraverso una natura tutta “domestica e familiare”, evidente preludio e completamento della casa: “dista diciassette sole miglia dall’Urbe, sì che puoi esserci dopo aver sbrigato ogni

faccenda, e utilmente e interamente compiuta la giornata. Si può giungervi per due vie, ché vi conduce tanto l’Ostiense quanto la Laurentina [...] Sia dall’un punto come dall’altro si stacca una strada in parte arenosa, alquanto difficile e lunga in vettura, breve e agevole a cavallo. Vario da entrambi i lati è il paesaggio, ché la strada ora è fiancheggiata e stretta da boschi, ora si apre e si stende attraverso vastissime praterie. Molti vi sono i greggi di pecore, molti gli armenti di cavalli e di buoi, che, dall’inverno spinti giù dai monti, vi si ingrassano tra le erbe in un tepore primaverile”; più avanti,

descrivendo la villa, scrive: “su tutti i lati [il triclinio] ha porte, e finestre grandi

come le porte; e così, di fianco e di fronte, dà su tre quasi diversi aspetti del mare [. ..] A questo angolo è annessa una stanza di forma ellittica, che con le sue finestre segue il corso del sole [...] Nell’altro lato vi è una camera molto adorna; poi un’altra che può servire come grande stanza da letto o come piccola sala da pranzo, tutta splen- dore di sole e di mare [...] Di là si sviluppa una galleria a volta, quasi degna d’un edificio pubblico. Sui due lati si aprono finestre, più numerose quelle verso il mare, in minor numero quelle verso il giardino [...] All’estremità della terrazza, del portico e del giardino sorge un padiglione che è la delizia, veramente la delizia mia: io stesso lo feci costruire. Vi è una sala per bagni di sole, che da un lato guarda la terrazza, dall’altro il mare, e da entrambi i lati riceve il sole; e poi una camera che per la porta dà su una galleria, per un finestrone sul mare”, in Vitali G. (a cura di), Plinio il Giovane- Lettere... cit., pp. 109-115.

18. Gregotti V., Le scarpe... cit., p. 72. 19. Cfr. Gregotti V., Le scarpe... cit., p. 72

20. Questo valore positivo assunto nella modernità della fine del XX secolo dalla ibridazione delle forme e dei sensi trova il suo più autorevole esponente in Robert Venturi che con il suo fare e riflettere sui valori della contraddizione in architettura ha portato alla definitiva consapevolezza critica valori rintrac- ciabili nella storia di ogni fare umano, quindi anche a Pompei: “io amo gli ele-

menti che sono ibridi, piuttosto che “puri”, quelli di compromesso piuttosto che quelli “puliti” [...] Io sono per il disordine pieno di vitalità più che per l’unità ovvia; accetto il “non sequitur” e proclamo la dualità”, in Venturi R., Complessità e contraddizione nell’architettura, Bari, 1980, p. 16.

21. Quanto da noi definito auto-espressione può essere anche inteso come com- mento, sottolineatura ed interpretazione delle preesistenze, disposizione cul- turale che obbliga a non avere “nessuna speranza, quindi, di gesti definitivamente

liberatori, di riconciliazioni globali, di perfette coerenze”, in Gregotti V., Le scarpe...

È l’uomo a dare, inconsciamente ma attivamente,