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L’analisi condotta su un gruppo di case realizzate e variamente trasformate tra il V sec. a.C. e l’eru- zione del Vesuvio del 79 d.C. mi ha spinto a do- ver chiarire preventivamente il tipo di approccio che ho ritenuto opportuno adottare per indagare su questa particolare testimonianza dell’abitare dell’uomo. In particolare ho ritenuto necessario dichiarare che questo studio si inserisce nell’am-

bito del generale interesse – per specificità interpretative e dell’analisi – per le discipline della progettazione architetto- nica, e più specificamente dell’arredamento e architettura degli

interni, ossia di quella parte della ricerca nell’area del progetto

legata alla piccola scala. Se, come abbiamo detto prima, que- sto enorme patrimonio archeologico ha dato sollecitazioni agli architetti occidentali operanti dalla metà del ‘700 in poi, è pur vero che queste si sono concretizzate prevalentemente nella direzione dell’uso diretto (cioè immediatamente riversate nella pratica del progetto) di questo materiale, piuttosto che non sul versante della riflessione teorica disciplinare.

Il presente studio parte quindi dalla consapevolezza da tut- ti condivisa che questo piccolo centro della costa campana, che vede la sua strutturazione più chiara e organica in epoca Sannita (V-I sec. a.C.), ha visto sviluppare una originale cul- tura dello spazio abitativo in particolar modo per quello che riguarda la residenza privata, a differenza di quanto accadeva nelle città greche e romane coeve dove il cuore dell’interesse espressivo si concentrava sui luoghi ed edifici del vivere civile e collettivo come il foro, il teatro, il tempio. Qui solo nelle fasi successive alla istituzione della colonia romana (dedicata a Ve- nere) si avvia un deciso programma di ristrutturazione delle aree pubbliche (teatri, terme) e perfino del foro che era in fase di riorganizzazione formale e spaziale quando l’eruzione del 79 ne interrompe la vita.

Questa provincia dell’Italia, oramai praticamente tutta pacifi- cata e sotto il controllo di Roma già dal I sec. a.C., vivendo i benefici di un diretto rapporto con il cuore politico e militare della capitale che si definiva non casualmente caput mundi, ha potuto elaborare una particolare vita culturale ed artistica che, sempre volgendo idealmente lo sguardo verso la Grecia, rea- lizzò una visione dello spazio interno privato tale da informare, successivamente, anche il modo di intendere e realizzare lo spazio stesso della città. Durante l’arco della sua vita Pompei ha teso sempre più ad organizzarsi – sul piano concettuale – come la casa di uno dei ricchi commercianti della città san- nita. In altri termini lo spazio della casa e lo spazio della città

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nel procedere della sua storia tendono ad essere coerenti sul piano della concezione: successione di luoghi interni artificiali ma all’aria aperta, decisa discontinuità dalla natura circostan- te, realizzazione di una città di pietra che beneficia del florido commercio generato dalla ricca campagna circostante e che sempre più ambisce a vedere riconosciuta da Roma una pro- pria dignità culturale, quindi politica. Gli spazi pubblici, della casa patrizia (più che della città), divengono i luoghi dove si è amministra per secoli la Cosa Pubblica, e la grecità – intesa qua- le meta “alta” cui tendere – che le dimore sempre più esprimo- no assume caratteri diversi rispetto a quelli pur presenti nella capitale, rendendo di fatto queste architetture, e la città tutta, opere del tutto originali per organizzazione e senso dello spazio. Già Adolf Hoffmann evidenziava questa caratteristica di

Arco onorario di accesso al Foro da nord con sul fondo il Vesuvio.

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Pompei affermando che “gli edifici della collettività [...] si diffe-

renziano appena dalle architetture private”1; e se questa caratte- ristica è riferita particolarmente all’aspetto esteriore di que- ste opere ed al carattere che definirei domestico per contro alla loro supposta monumentalità, più avanti lo stesso autore sottolinea come l’angustia di certe strade e la semplicità com- positiva degli spazi pubblici della città (sannita in particolare) “contrastano [con] la varietà e la ricchezza delle case e dei loro giar-

dini, aprentesi verso l’interno. Anche se il potere economico e il rango sociale dei proprietari possono intuirsi già dalle facciate delle case, è soprattutto negli interni che si estrinseca il ricco spettro dell’archi- tettura privata pompeiana”2.

A questo punto, non senza una certa forzatura, possiamo dire che studiare Pompei voglia dire prevalentemente studiare le case pompeiane; e, fatto ancora più denso di conseguenze, ri- badire che la particolare tipologia della casa ad atrio3 scatu- risca dall’esigenza di realizzare un’abitazione sviluppata tut- ta verso il proprio interno, rendendo privilegiato l’approccio a queste opere da parte degli studiosi delle discipline della piccola scala dell’architettura, dell’architettura degli interni in particolare. Analizzeremo quindi una serie di architetture che nascono programmaticamente con un interno ricco di sen- so e tendenzialmente “senza” un esterno caratterizzato (cosa in realtà non totalmente esatta, specie se lette con gli occhi del progettista contemporaneo). Analizzare le case ad atrio pompeiane significa anche entrare in contatto profondo con il cuore del mondo interiore di quella civiltà che le realizzò4. Vedremo anche che quando queste si trasformeranno in ar- chitetture dotate di esterno esse cercheranno ancora un loro significato specifico attraverso un processo di modificazione e/o deformazione delle strutture d’impianto precedenti, prin- cipalmente nell’evoluzione dei valori spaziali dell’interno da cui direttamente derivano.

Altro fattore che ci spinge ad interessarci di queste architetture vive e niente affatto morte, è l’indub- bio carattere mitico che il mondo dell’architettura antica – e questa pompeiana in particolare – ha avu- to per i maestri del Movimento Moderno e per gli quelli italiani in particolare. È superfluo ricordare

come Pompei fosse divenuta tappa fondamentale per tutti gli architetti europei ed americani dal ‘700 in avanti; ma la cosa che queste esperienze conservano di attuale è la ricchezza di spunti che hanno saputo dare alle diverse epoche ed ai diver- si autori a seconda della cultura del momento o dei diversi

“Mito” e

“viaggio” nel