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37nutrirsi, del dormire, della conversazione e della ricreazione”12 In

tal modo si pone con chiarezza, sul piano della riflessione teo- rica, che il senso dell’abitare, e quindi del costruire l’architet- tura domestica, non è rintracciabile attraverso la mera indagi- ne funzionale, ma che piuttosto sono i valori comportamentali ed esistenziali primari come il nutrirsi, il radunarsi, il conver- sare – con le loro specifiche capacità di generare relazioni tra gli individui – quelli che presiedono alla costruzione del rifu-

gio; valori peraltro presenti ed evidenti nella materialità stessa

dell’opera. Di questo modo di sentire l’architettura domestica Pompei resta una testimonianza decisiva, specie per chi si rico- nosce in quanto ha scritto Michelucci, ossia che “l’architettura

dispone in logica, in armonia, ciò che serve a vivere; amministrare secondo bellezza l’indispensabile, è dell’uomo civile: dell’uomo che giunge a conoscere la morale dei propri atti”13 .

Saranno questi tipi di sensi e valori che la nostra analisi cer- cherà di evidenziare, cercando di mostrare come una cultura di importazione, ad un certo punto, si sia innestata sulla primaria percezione del sé e del mondo in questa cittadina etrusco/san- nita e, attraverso un fattore che definiamo di deformazione, ha avuto la forza di modificare lo spazio del quotidiano ed i suoi miti14. Cercheremo peraltro di non tralasciare le considerazioni sviluppate da Edward T. Hall a riguardo della componente tat- tile nella percezione visiva, e della ricchezza di conoscenza che si può esprimere in spazi anche angusti ponendo in opportuna relazione le parti fisiche (muri, pilastri, colori, luce, giardini) con la percezione in movimento ad opera dell’uomo15.

In conclusione: cercheremo di ripercorrere la formazione di un modo di abitare in relazione al momento storico e cultura- le specifico, per poi analizzare alcune case ad atrio specifiche che useremo come esemplificative di valori formali/esistenziali (e non tipologico/formali) più generali che queste architetture raccontano con la loro materiale configurazione, consci del fat- to che in questa operazione il processo di deformazione sarà inevitabilmente orientato dal filtro della nostra stessa interpre- tazione; la qual cosa consideriamo, peraltro, essere un valore piuttosto che un limite. Infatti, e questo è il bello, “è l’uomo

a dare, inconsciamente (ma talvolta consciamente, progettando,

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Note

1. Cfr. Hoffmann A., L’architettura ... cit., p. 97. 2. Idem, p. 107.

3. Vari studiosi hanno ritenuto di poter indagare la casa pompeiana secon- do un’analisi tipologica. Tra i più recenti contributi vanno segnalati Gazzola L., Architettura e tipologia, Roma 1987, e Cornoldi A., L’architettura della casa, Roma 1988.

Pur nell’indiscutibile contributo conoscitivo che questo tipo di analisi ha dato nel tempo, riteniamo che in particolare per la casa pompeiana non abbia la capacità di evidenziare la ricchezza delle differenze e varianti, quindi dell’o- riginalità di questo tipo di residenze rispetto a valori spaziali più generali e tipizzabili, rendendo i casi concreti non più che particolari declinazioni di un modello astratto. Resta a nostro giudizio più duttile l’impostazione di Cornoldi che interessandosi dello spazio imprime alla sua analisi un carattere di mag- giore duttilità, quindi ad evidenziare i sensi delle case specifiche piuttosto che il modello compositivo da cui esse discenderebbero. Questa posizione trova peraltro conferma in Hoffmann quando lo stesso studioso afferma che “il tipo

della casa ad atrio non [è] stato impiegato rigidamente e dogmaticamente, ma adat- tando[lo] a situazioni ed esigenze particolari, [come] dimostrano recentissime ricerche su case senza ambienti laterali attorno all’atrio, erette già nel III sec. a.C. e anche in epoche successive”, Hoffmann A., cit., p. 107.

4. Su questo argomento rimando al numero monografico della rivista Para- metro, 261/2006, Mangone F., Savorra M. (a cura di), Pompei e l’architettura con-

temporanea, e al recente e divulgativo Cantarella E., Jacobelli L., Pompei è viva,

Feltrinelli, Milano, 2013. Questi lavori indagano ampiamente usi e costumi di quella cultura sfatando miti infondati e restituendo una vivida e chiara sensa- zione di vita di quella antica città.

5. Gravagnuolo B., Il mito dell’architettura contemporanea, Napoli, 1994, p. 11. 6. Su questo argomento si intrattiene con sufficienti approfondimenti Gra- vagnuolo in Il mito mediterraneo... cit. cui si rimanda per un approfondimento sul tema.

7. Gravagnuolo B., Il mito ... cit., p.12; và aggiunte che il desiderio di riappro-

priarsi della propria tradizione culturale, da parte degli architetti razionalisti

italiani, emerge decisamente da un pezzo scritto di Peressutti, presente nel libro di Gravagnuolo, chiaramente polemico: “architetture di pareti bianche, ret-

tangole o quadrate, orizzontali o verticali: architetture di vuoti e di pieni, di colore e di forme, di geometrie e di proporzioni [...] Geometria che parla, architettura che dalle sue pareti lascia trasparire una vita, un canto. Ecco le caratteristiche dell’architettura mediterranea, dello spirito mediterraneo [...] Un patrimonio che scoperto dai Gro- pius, dai Mies van der Rohe è stato camuffato come una novità di sorgente nordica, come un’invenzione del secolo ventesimo”. Peressutti E., Architettura mediterra-

nea, in Quadrante, n. 21, gennaio 1935 (cit. in Gravagnuolo B., Il mito… cit.). 8. Ponti G., La casa all’italiana, Milano 1933, pp. 9-11. Si noti l’affinità di que- sta notazione con le riflessioni sviluppate su questo argomento da C. Nor- berg-Schulz in anni più recenti.

9. “La discussione sulla caduta dell’idea di processo storico unitario, si sa, è iniziata

più di un secolo fa, e ha quindi accompagnato in modo parallelo la formazione stessa della cultura visiva e architettonica moderna, che di tale crisi è per molti aspetti la rappresentazione. Proprio con essa, con la sua prensilità universalistica, con la sua critica ai generi costituiti, è caduta progressivamente la possibilità di leggere in modo lineare ed europocentrico l’intera storia della cultura. Tuttavia, anche se questo pro- cesso critico ha fatto parte da sempre in modo solidale dei principi stessi della moder- nità, esso non ha comunque impedito di seguitare a produrre “storie”, sia pure secon- do diverse ipotesi storiche o secondo metodi che pongono come premessa la propria parzialità interpretativa”, Gregotti V., Dentro l’architettura, Torino 1991, pp. 16-17.

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10. Masullo A., Ambientalità vissuta e pensiero abitante, in de Franciscis G. (a cura di), Uomo e ambiente costruito, Roma 1988, pp. 37-39. È utile confrontare questa pagina di Masullo con una di C. Norberg-Schulz in cui si afferma che “la città è il posto ove ha luogo l’incontro, ove gli uomini si riuniscono e scoprono il

mondo degli altri [...] L’incontro e la scelta sono quindi le dimensioni esistenziali della città. È tramite l’incontro e la scelta che ci si appropria di un mondo e accade quel che Wittgenstein definisce: “ Io sono il mio mondo” ”, Norberg-Schulz C., L’abitare,

Milano, 1984, p. 51.

11. Norberg-Schulz C., L’abitare... cit., p. 89. 12. Ibidem.

13. Michelucci G., Papi R., Lezione di ...cit., p. 26.

14. Su questo aspetto, tra gli altri, ha indagato Edward T. Hall, antropologo acu- to e penetrante che scrive: “il tipo di relazione fra l’uomo e la dimensione culturale

è tale che sia l’uomo sia l’ambiente sono attivi modificandosi reciprocamente. L’uomo è ora in condizione di creare quasi la totalità del mondo in cui vive: ciò che gli etologi chiamano biotopo. Creando questo mondo, egli determinerà veramente che genere di organismo sarà”, Hall E. T., La dimensione nascosta, Milano 1968, p. 11.

15. Si fa qui riferimento in particolare alle considerazioni sviluppate da Hall sull’opera di F.Ll.Wright e sull’analisi della percezione dei piccoli giardini giapponesi dilatati percettivamente da una serie di accorgimenti progettati; cfr. Hall E.T., La dimensione... cit., pp. 69-70.

16. Idem, p. 105.

Vista d'insieme del profilo del Foro.

Nel suo breve istante di pieno possesso delle forme,