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Il percorso che abbiamo cercato di tracciare nel pre- cedente capitolo è un tentativo di mettere un rela- tivo “ordine interpretativo” a fenomeni, come sono appunto quelli inerenti la dinamica dello spazio e della costruzione di ampie parti urbane, difficilmen- te riconducibili a processi. È quindi evidente. che

ogni qual volta abbiamo, per semplicità, delineato dei percorsi lineari questi, nella realtà storica, si svilupparono in maniera più complessa ed articolata. A Pompei, a puro titolo di esem- pio, sappiamo che le decorazioni di I Stile resteranno in voga fino alla fine della vita della città quale segno di continuità con le lontane, ed oramai mitizzate, origini, specie nelle case delle famiglie di lunga tradizione (vedi: Casa del Fauno, Casa del Chirurgo, Casa del Poeta Tragico, Casa di Sallustio).

Questo implica una evidente persistenza peraltro evidenziata di alcuni valori di fondo, riscontrabili sul piano dell’organizza- zione dello spazio come delle decorazioni musive o pittorico\ decorativo. Saremmo perciò orientati a parlare di progressiva sovrapposizione ed accavallamento di esperienze espressivo\ spaziali piuttosto che di sostituzione di antichi modelli con i nuovi. Di conseguenza si propone di adottare come schema in- terpretativo di fondo il fatto che il successivo moltiplicarsi dei valori dell’esternità negli interni domestici che giunge fino ad ottenere architetture totalmente aperte sul paesaggio (apertu- re effettivamente costruite o ottenute grazie allo “sfondamen- to virtuale” dei diaframmi murari)rappresenta uno sviluppo di valori insiti già nel primo impianto arcaico della casa ad atrio. Proprio in questo progressivo incremento di complessità spaziale e formale sono da rintracciarsi a mio avviso i risultati compositivamente più interessanti e forieri di spunti per la ri- flessione sul moderno progetto di spazio domestico in sé, oltre che sul piano del rapporto artificio\natura. Non di certo sul piano della soluzione formale, ovviamente, quanto piuttosto su quello della ricerca di sensi e relazioni tra i diversi luoghi dell’abitare, e più specificamente nei diversi gradi di internità ed esternità e quindi nel nuovo rapporto artificio\natura prima richiamato. Dichiarata così la consapevole, parziale, e orientata ottica della presente analisi – finalizzata a riflessioni sulle si- gnificazioni dello spazio interno – intendo ora esprimere con una figura\simbolo l’intero processo proposto, se non altro per trattenere nella memoria un’immagine chiara e sintetica capa- ce di raccontarlo nel suo insieme. L’immagine di questo pro- cesso che propongo è quello del “rovesciamento del guanto”. Questa immagine\guida mi sembra raccontare con evidenza il progressivo ribaltamento del senso spaziale della casa da una

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originariamente incentrata su un guscio contenente all’interno i suoi significati primari che, sempre interagendo con l’uomo che modificava progressivamente la propria visione del mon- do “sovrapponendola” alla precedente, si è trasformata in uno spazio dilatato che aspira ad includere l’esternità, controllan- dola, fino a ribaltarsi concettualmente in architetture che usa- no quei portici e quei percorsi (prima caratterizzanti i lussuosi atri e giardini interni) per aprirsi verso l’esterno, disegnando così l’involucro esteriore con quegli elementi che fino a quel momento erano stati caratteristici del solo interno.

La notazione di molti storici dell’architettura secondo la qua- le l’architettura romana sarebbe caratterizzata da una sorta di tendenziale mancanza di attenzione per l’esterno inteso come fronti e prospetti dell’architettura, può essere intesa anche grazie alla lettura proposta: assistiamo infatti ad una sorta di progressivo allargamento esistenziale del proprio mondo da uno spazio circoscritto ed intercluso ad un altro di ben più ampie dimensioni anche fisiche, un processo che porta tendenzial- mente a spostare i margini della prima casa circoscritta teorica-

mente all’infinito. La cultura, intesa quindi come conoscenza e

consapevolezza dei propri mezzi e forze, porta l’antico pastore romano a conquistare il mondo e a sentirlo sempre più come casa propria, una sorta di interno continuo, psicologicamente controllato.

Una interessante riflessione disciplinare può essere fatta a questo punto: il caso di Pompei ci sembra dimostri come la continuità tra casa e città nella cultura italica sia profondo e ra- dicato sin dalle origini della nostra cultura abitativa. In questo

Quadriportico dei teatri con sul fondo la mole del Teatro Grande.

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rapporto, tuttora riscontrabile nel modo di vivere ed usare le città nel meridione d’Italia, città intese come spazi interni di un “gruppo familiare allargato”, la presa di coscienza dell’uo- mo nei confronti dello spazio e dei rapporti tra sé, il mondo e gli altri nasce dall’interno della propria dimora, e da qui, per allargamento e moltiplicazione degli elementi e dei fattori in gioco, si espande verso l’esterno in una dinamica ad “allargare” che comunque rimarca sempre il fatto che al centro, all’origine di questo processo, c’è l’uomo stesso. L’artificio\artefatto è lo strumento con cui non solo si rapporta, ma con cui inventa il mondo1.

L’esterno naturale viene inteso quindi, in particolare nel perio- do imperiale, come un unico grande spazio interno racchiuso tra il piano orizzontale della terra e la cupola celeste del cielo2, ed il Pantheon ne rappresenterà, in architettura3, il modello interpretativo4 più chiaro e riuscito.

Sembra a questo punto interessante notare come un momento di riflessione molto delicato sull’architettura, quale fu la nasci- ta del cosiddetto Movimento Moderno, si incentrò su un corpo di riflessioni, critiche ma soprattutto progettuali, inerenti la costruzione di una nuova e più equilibrata spazialità interna (della città, ma soprattutto della casa). Da Morris, a Mackin- tosch, a Loos ed Hoffmann, fino ad Aalto e particolarmente a Wright e Le Corbusier, l’analisi e gli studi partono dall’uomo, con il suo bagaglio di emozioni e necessità fisiche e psicologi- che; poi, come irradiandosi da questo “centro di senso”, si fi- nisce per informare alla sua visione culturale gli oggetti al suo proprio intorno e gli spazi che li contengono: “e noi uomini e

donne posti nella vita e reagendo con le nostre sensibilità agguerrite, affilate, appuntite, creando nel nostro spirito cose del nostro spiri- to, essendo attivi e non passivi o distratti: agendo e di conseguenza: partecipando. Partecipando, misurando, apprezzando. Felici in tale corsa “in presa diretta” con la Natura che ci parla di forza, purez- za, unità e diversità”5; un uomo così sensibile ed attivo con lo spazio e le cose che lo circondano6 realizza necessariamente un’architettura nuova e significativa.

Quanto detto per i moderni è riproponibile anche per gli arte-

fici che immaginarono e costruirono la Casa del Fauno o quella

dei Dioscuri, come tutte le altre che analizzeremo. In questo continuo rimando tra ieri e oggi si evidenzia, una volta di più, come “l’anacronismo, qui, non si misura con la scala del tempo; non

sorge che nello iato di cose dotate di anime disparate. Il contempo- raneo su tale piano della sensibilità, è l’incontro di anime gemelle”7. La variabile ulteriore che si sovrappone al nostro primario modello interpretativo del “guanto rovesciato” è data dalla

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progressiva stratificazione di valori culturali e figurativi in va- ste parti della popolazione pompeiana, fatto che rappresenta,

ante litteram, una sorta di cultura di massa condivisa che, agli

aspetti di inevitabile caduta dei picchi espressivi, contrappone con la variabile della modificazione e deformazione del modello culturale di riferimento, una ricchezza espressiva di straordi- naria vivezza e modernità che alla fine sembra essere interes- sante in valore assoluto.

All’interno del processo dinamico che abbiamo de- finito a “guanto rovesciato” si individuano quattro fasi principali che proveremo a descrivere tramite la costruzione di altrettanti schematici modelli inter- pretativi di una dinamica che si sviluppa principalmente nelle due dimensioni della pianta8. I significati primari, organizzati fondamentalmente sul piano orizzontale, trovano poi nella let- tura spazio\temporale dell’architettura una conoscenza fisica diretta e tattile, che inevitabilmente coinvolge e rivaluta la ter- za dimensione e quindi i cinque sensi del visitatore.

L’evidente semplificazione della ben più complessa realtà og- gettuale delle varie architetture che analizzeremo non vuole essere una classificazione tipologica, tendendo piuttosto ad individuare quei valori organizzativi primari comuni alle di- verse configurazioni spaziali della case padronali riscontrabili a Pompei.

In conseguenza delle considerazioni sviluppate nel capitolo precedente i valori fondamentali emergenti fanno riferimento in ogni fase a luoghi (o centri) e ad assi compositivi, elementi che nelle varie configurazioni contribuiscono a determinare diversi gradi di inclusione ed espansione dello spazio naturale\ esterno nell’organizzazione stessa della casa.

Si propongono a questo punto quattro modelli qualitativi che sembrano capaci di raccontare le diverse fasi di molte case e ville pompeiane: del “luogo concluso”, del “luogo a più centri o

dell’esterno dentro”, del “luogo a più direzioni o della casa verso la natura”, del “luogo dello spazio stratificato e deformato”.

L’aggettivo concluso, che vuole sottolineare l’aspetto di perimetrazione di un luogo, ha in sé, per la lingua italiana, anche il senso di “definito in ogni particola-

re, completo, esauriente”9, valore determinante per la comprensione di quella serie di esperienze spaziali che con questo modello indagheremo. Questo modello in fondo de- scrive un sistema spaziale di cui praticamente non restano più, a Pompei, esempi completi ed integri, in quanto si tratta di un

Modelli

interpretativi

Modello del