Paolo Tiepolo, ambasciatore veneto a Roma, nel suo dispaccio datato 27 aprile 1566, nel criticare l’uso dei roghi per gli eretici riporta l’esperienza di Venezia «non fuochi e fiamme, ma far morire segretamente chi merita. Queste dimostrationi palesi più terribili che si facevano, portavano maggior danno che utile.»196. Emerge chiaramente un criterio per amministrare la giustizia basato sul sapiente uso del segreto di Stato. Gli
arcana imperi erano parte integrante del potere politico e del pensiero politico che
trovava una nuova forma con la Ragion di Stato teorizzata da Botero. Una parte presa dal Senato nel 1542 ribadiva come «una delle principali cose del governo dei stati è la secretezza senza la quale niuna materia si può condur al fine desiderato»197. Fu una massima alla quale si attennero sia il Consiglio di Dieci sia gli Inquisitori di Stato fino 194 D. Contarino, Memoria dei fatti, e della sventura accaduta a Carlo Contarini nell’anno 1780, scritta dal cittadino Domenico suo figlio e pubblicata dallo stesso in unione al di lui fratello, Venezia, stamperia Sola, 1797.
195 P. Preto, Contarini, Carlo, DBI, 28, 1983.
196 D. Sclopis, Storia della legislazione italiana di Federico Sclopis, vol. 2, Torino, Unione tipografico- editore, 1863, p. 556.
alla caduta della Repubblica. Nel 1761 nell'accesso dibattito contro il potere degli Inquisitori di Stato, il nobile Marco Foscarini ricorderà come i «i mezi» in loro possesso non erano altro che due: «soma reputazion e soma segretezza»198. Tutta la procedura dell’assassinio politico era coperta da un rigido protocollo consuetudinario volto a mantenere la riservatezza e che iniziava fin dagli ordini impartiti. La corrispondenza dagli Inquisitori di Stato verso lo Stato da Mar o verso le cariche della terraferma, avveniva tramite consegna diretta e con la soprascritta legite solus. Non era richiesto ci fosse alcuna risposta. Gli ordini impartiti in città al capitan grande erano verbali e non si trova traccia se non nella contabilizzazione dei costi o nelle lettere che certificavano l'esecuzione degli ordini. Non si può escludere l'ipotesi che alcune comunicazioni siano state distrutte. Ciò nonostante l'importanza del principio sulla segretezza delle procedure si evince chiaramente nel momento in cui gli Inquisitori di Stato o lo stesso Consiglio di Dieci, ordinavano senza particolari formule di tener all’oscuro il Senato o di segnalare che la morte fosse stata naturale. Tra gli esempi il 12 maggio del 1545 il Consiglio di Dieci ordinano «siano communicate al Conseglio de Pregadi taciuta quella parte, che parla del veneno dato a D. Hier. Adorno et taciuto il nome del Medico Giudeo, in loco del qual sia detto: una persona a chi si può prestar fede...»199. Il 30 ottobre del 1562 sempre il Consiglio di Dieci scrive ai Rettori di Zara, dopo aver dato ordine di avvelenare tale Camillo Pecchieri, «rescrivere al sanzacco che questo si è amalato in pregione et doppo esser stato amalato per 8 o 10 giorni, è morto...»200.
Il 4 ottobre 1704 i tre Inquisitori di Stato ordinano al podestà e capitano di Rovigo di usare il veleno sul prigioniero Giovan Battista Donini e aggiungono: «seguita che si dovrà ella scrivere al Senato, che mentre era in attentione di ricevere le commissioni degli Eccellentissimi Capi dell’Eccellentissimo Consiglio di X.ci, come viene incaricata questa scrittura, per puntualmente obedirle, il Donini sopraffatto di mortale accidenti ha convenuto morire.»201. Sono tutti esempi che non devono stupire, il Consiglio di Dieci stesso, prima della correzione del 1582 poteva decide di non discutere certi temi in Senato. Dopo la correzione mantenne questa prerogativa per gli
198 Cozzi, Religione, Moralità e Giustizia a Venezia, cit, pp. 127-128.
199 G. Rizzi, Segreti di medicina fra gli atti del consiglio dei dieci, in «Il Friuli Medico», VI (1951), n.2, pp.7-31: p. 14.
200 Rizzi, Segreti di medicina, cit., p. 15.
affare “secretissimi”202. La pratica rientrava anche nella logica che il minor numero di persone a conoscenza significava la minor possibilità che ci fossero fughe di notizie.
Le uniche registrazioni ufficiali degli assassini di Stato erano quelle contabili. Come è stato recentemente analizzato da Lonardi, gli Inquisitori di Stato pagavano la cassa del Consiglio di Dieci per ottenere porti d’armi da rilasciare ai loro sicari.203 Le armi venivano consegnate tramite corriere nei luoghi delle esecuzioni e successivamente dovevano rientrare a Venezia. A tal proposito risulta interessante porre l’attenzione sulle registrazioni di fine Seicento e prima metà del Settecento. A differenza di quanto era avvenuto qualche decennio prima, ora i sicari e i fabbricatori di veleni vengono identificati con delle sigle. Inoltre, nei registri per i primi quindici anni del Settecento, le relative spese vengono segnate a lato, come un censimento interno. Dalla seconda metà del Settecento non si descrive più esplicitamente a cosa corrispondessero le spese. Tutto ciò può lasciar supporre che vi fosse stata una precisa volontà di evitare che le informazioni scritte potessero essere visionate e divulgate da chi non aveva preso quelle decisioni. Un aumento della segretezza su queste operazioni anche all’interno del ristretto gruppo di famiglie che raggiungevano tale incarico. Inoltre, l’assenza di dettagli lascia pensare che gli Inquisitori di Stato non dovessero più preoccuparsi di rendicontare all’esterno le spese effettuate.
202 Su tale tema si veda F. De Vivo, Patrizi, informatori, barbieri. Politica e comunicazione a Venezia, Milano, Feltrinelli, 2012.
CAPITOLO 5