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Nel gennaio more veneto del 1779 (gennaio 1780) è registrato nei libri di cassa degli Inquisitori di Stato una serie di spese per la «giustizia seguita di Marco Rossetto da Murano». Sono pagati il custode del carcere Marscialli, Dettoni e il fante Cristofoli. Infine, vengono erogati diciotto ducati al capitan grande per aver condotto sulla pubblica fusta tre muranesi e il resto della spesa per l’esecuzione dello stesso Rossetto. A dicembre dell’anno seguente il tribunale paga alla vedova del muranese quattro ducati al mese386.

Nelle memorie del segretario degli Inquisitori387 e nelle annotazioni388 vi è il resoconto dettagliato di quanto era accaduto. Il 2 settembre del 1779 una lettera anonima giungeva nella mani di Bianca moglie di Pietro Bertolini, proprietario di una fornace a Murano. La missiva avvisava che una “fazione” di maestranze locali aveva «macchinato di eseguire in quella notte un assassinio nella casa di esso Bertolini»389. La famiglia si era rivolta ai Capi del Consiglio di Dieci i quali inviarono una compagnia di uomini coordinati dal capitan grande Giacomo Dalla Vita. L’attentato venne sospeso. Fu inviato un notaio per raccogliere le deposizioni di alcuni testimoni e furono arrestati Nicolò Ferro, Francesco Zuffo, Gaspare Fonbara. I capi dell’operazione, identificati in Marco Rossetto, Francesco Berettin detto Ferro e Zuanne Ravanello, si erano allontanati. Il Consiglio di Dieci rimise la questione direttamente agli Inquisitori di Stato: Francesco Sagredo, Antonio Da Mula, Girolamo Bianco Molin. Questi incaricò il capitan grande di provvedere ad arrestare i fuggitivi. Marco Rossetto fu fermato a Malamocco mentre vestito con gli abiti del fratello don Andrea, stava cercando di

386 ASV, IS, b. 1013, reg. libro di cassa degli Inquisitori di Stato 1779 a 1787, c. alla data gennaio 1779, dicembre 1780.

387 ASV, IS, b. 204, minute e memorie del Segretario 1781-1795, b. 204, cc. 1032r.-1033r.. 388 ASV, IS, b. 540, annotazioni reg. 10 1777-1785, cc. 61v-63r..

fuggire in uno Stato estero. Nel frattempo il Gastaldo di Murano consegnava agli Inquisitori l’informazione che Francesco Berettin detto Ferro e suo fratello Antonio si trovavano già a Ferrara.

Marco Rossetto, detto Marchetto detto Pape, posto nei piombi, rilasciò la sua testimonianza, come sottolinea il segretario «furono anche gli esami ben avanzati, e costituiti pure de plano», che costituiva la parte del processo offensivo. Il processo istruito dagli Inquisitori di Stato dimostra che il principale artefice del piano criminale era stato Marco Rossetto. L’intento era di rapinare Bertolini e fuggire alla Mesola. Aggravante viene riconosciuta «la reità loro di aver sedotto molti altri a farsi compagni, e complici del divisato tradimento». Il termine tradimento poneva gli accusati nel più grave reato di “fellonia”, confermato dalla sentenza di morte che sottolinea l’enorme colpa di aver minato la sicurezza e il quieto vivere dei sudditi, nonché gli importanti riguardi di Stato. Non si era di fronte al comune crimine di rapina e questo è un elemento da prendere in considerazione. Marco Rossetto di notte sarebbe stato strozzato in prigione e il giorno successivo esposto il suo cadavere tra le due colonne di San Marco con ai piedi il cartello dove si sarebbe segnato il nome e la dicitura «Per gravi colpe di Stato». Il 5 gennaio 1779 more veneto il capitan Grande Giovanni Giacomo dalla Vita inviò agli Inquisitori la lettera con la quale confermava l’esecuzione avvenuta con le solite formalità e «il solito giro per la corte del Ducal Palazzo fecci condur nella pubblica fusta Nicolò Ferro, Francesco Zuffo, e Gasparo Fontana»390. Allega la lista puntuale degli esami e dei costituto dell’intero processo. Per comprendere appieno quali grave colpe aveva commesso, vi è la necessità di analizzare gli elementi caratterizzanti nel suddetto caso. Questi si ritrovano nella sentenza e nel procedimento che riteneva il Rossetto reo di un crimine di particolare rilevanza politica. Quando i capi del Consiglio di Dieci presero in mano la documentazione, passarono la pratica al Tribunale che istruì il processo. Nella relazione del segretario degli Inquisitori di Stato, questi scrive «trattandosi d’un fatto cosi grave offendente li più gelosi riguardi, la sicurezza, ed il quieto vivere de sudditi»391. Le motivazioni sono da ricercare non tanto nel reato di furto, fine a se stesso, crimine che si era progettato, ma non eseguito, bensì sull’oggetto finale dello stesso: la comunità dei vetrai. Come ha ben descritto Paolo Preto durante il Sei-Settecento vi è una «lunga

390 ASV, IS, b. 675, riferte del capitan grande Dalla Vita G. Giacomo 1779-1784, c. alla data 5 gennaio 1779.

guerra contro i vetrai di Murano»392. Rispetto alla diaspora dei maestri vetrai la Repubblica mette in campo qualsiasi stratagemma per impedire che vi fosse una fuga dei segreti dell’arte. Il comparto economico del vetro è percepito come strategico. La legge votata in Maggior Consiglio il 13 aprile del 1762 dava facoltà ai Capi del Consiglio di Dieci «valendosi anco de vie più secrete e sicure quali pareranno alla loro prudenza, nell’invigilare attentamente e provvedere che niuna persona impiegata in tutte le arti sopracitatte, ed in qualunque genere di lavoro nella materia vetraria, si parta dallo Stato nostro e vada a portar l’arte in alcuni paesi. »393.

Quando suppliche, dilazioni crediti o sospensioni delle azioni di pignoramento non servono, la Repubblica non denigra l’uso dei sicari. Uso che viene avvalorato dal reato di «felonia». Ciò che Marco Rossetto aveva prodotto, non fu altro che la rottura del fragile equilibro all’interno della comunità dei vetrai. Una rottura che avrebbe avuto come esito finale la fuga di una parte di maestranze. Uno scenario che doveva aver allertato i massimi organi di giustizia e che li condusse ad applicare la pena massima per il reato di sedizione.

Allo stesso tempo viene deliberato di pagare quattro ducati al mese alla moglie del condannato, «sino a che il di lei figlio maggiore sarà descritto per capo maestro nell’arte Vetraria»394. Anche in questo caso si nota la volontà di mantenere quell’equilibrio all’interno della comunità.

Un ulteriore elemento degno di nota emerge nel luglio del 1781, due anni dopo gli eventi trattati. Gli Inquisitori di Stato si occupano degli unici due fuggiti, i fratelli Ferro e decretano che Francesco Ferro non avrebbe dovuto più essere perseguito in quanto «non ha mai dato prove che lo distingua nel vantato secreto di render lucido il cristallo, già comune ad altri maestri dell’arte vetraria.»395. Del suo reato commesso precedentemente non vi è più traccia e l’interesse da parte del Tribunale scema quando si percepisce che non vi è più un pericolo per la trasmissione dei segreti dell’arte vetraria.

392 Preto, I servizi segreti di Venezia, cit., pp. 403-421.

393 ASV, Miscellanea Codici, Serie I, Storia Veneta, b. 87-88, codice 87 già miscellanea codd. 206, c.sn. Alla data 13 aprile 1762.

394 ASV, IS, b. 208, Relazioni del Segretario 1715-1782, c. nr. 54 alla data primo ottobre 1781. 395 Preto, I servizi segreti di Venezia, cit., p. 411.