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Nel “Dizionario del diritto comune e veneto” opera di Ferro pubblicato nel 1778 a Venezia, alla voce - Governo - si specificava che il dovere di chi fosse incaricato di regolarlo corrispondesse a quello di rendere felici i sudditi procurandogli la comodità della vita, la sicurezza e la tranquillità204. Ribadiva pienamente ciò che si trovava nelle leggi criminali del Serenissimo Dominio Veneto del 1751 in cui si enunciava che «convenendo alla dignità dell’Eccelso Consiglio, cui è specialmente raccomandato il pacifico, e quieto vivere in questa Città, non che la sicurezza de Sudditi»205. In questi termini risultava necessario che il “buon ordine” della cosa pubblica fosse regolato dal controllo del territorio. Un controllo che dalle magistrature si diramava attraverso una bassa polizia, comunemente denominata esecutori, satelliti o sbirri. Il capo del “satellizio” del Consiglio di Dieci era nominato capitan grande e fu il punto di riferimento per qualsiasi azione di polizia. La figura del “missier grande”, ovvero il capitan grande, rientrava perfettamente all’interno dell’apparato di sicurezza dello Stato dell’età moderna206. I salari erano relativamente bassi se una parte del Consiglio di Dieci del 28 gennaio 1585 registrava «per la tenue paga che hanno … non possono attendere continuamente a questo solo servitio»207. Potevano pertanto arrotondare gli stipendi con i premi per la cattura dei banditi inquadrandosi all’interno di una vera e propria “economia dell’assassinio legale”.

Era naturale che per gli ordini degli omicidi politici in città e sul territorio ci si riferisse proprio a questa figura. Una carriera esemplare quale sicario degli Inquisitori di Stato è sicuramente quella del capitan grande Nicolò da Ponte, il quale svolse servizio dal 1683 al 1699 e successivamente nel 1716208.

204 M. Ferro, Dizionario del diritto comune e veneto, tomo VI, voce «Governo», Venezia, 1778, p. 78. Si veda P. Tessitori, Basta che finissa ‘sti cani. Democrazia e polizia nella Venezia del 1797, Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 1997.

205 Leggi criminali del serenissimo Dominio veneto in un solo volume raccolte, Venezia, Pinelli, 1751, p. 229.

206 Si veda il contributo G. Trebbi, La società veneziana, in Storia di Venezia, VI, Il Rinascimento, a cura di G. Cozzi e P. Prodi, Roma 1994, pp. 62-63; L. Pezzolo, Fra potere politico e controllo dell’ordine: il Capitan grande del Consiglio dei Dieci, in L. Antonielli (a cura di), Le polizie informali, Catanzaro 2010, pp. 91-100; C. Povolo, La stanza di Andrea Trevisan. Amore, furore e inimicizie nella Venezia di fine Cinquecento, Quaderni di Valdilonte (Isola vicentina), 2018.

207 ASV, CX, deliberazioni comuni, reg. 1586-1587, alla data 28 gennaio 1585; E. Basaglia, Il controllo della criminalità, in Atti del Convegno Venezia e la terraferma. Attraverso le relazioni dei rettori, Trieste 23-24 ottobre 1980, Milano 1980, pp. 65-79.

Nella documentazione lo troviamo a procurarsi veleni il 15 gennaio 1683 e, il 3 dicembre del 1683, in contatto con Chiappini di Parma, esperto nella materia e per il quale raccoglie sette ricette consegnate al Tribunale.

La sua abilità di muoversi in diversi contesti lo porta ad arrestare il 22 gennaio 1687, sotto le Procuratie nuove, il bravo Francesco Giacomo Raspi, inviando successivamente ad omaggio agli stessi Inquisitori la spada e il pendone dell'arrestato209. Il 10 novembre del 1684 gli Inquisitori gli ordinano di eliminare il turco Salì di Fochies della Bossina, sospettato di essere una spia. Il 27 novembre l’ordine è eseguito e il capitan grande con i suoi quattro complici ricevono cento ducati a testa210. L’anno seguente è la volta dell’esecuzione capitale di Francesco Astali detto Pitoretto, bandito al Servizio del duca di Mantova. Formalmente accusato di «dilation d'armi da fuoco». I Capi del Consiglio di Dieci, su proposta dello stesso tribunale degli Inquisitori di Stato, accettano «anco segretamente l'ultimo supplitio» concedendo al capitan grande la facoltà di liberar un bandito211. Pur essendo il Pitoretto un protetto dal duca di Mantova venne arrestato dagli Inquisitori e strozzato sotto i piombi del palazzo Ducale per essere gettato in Canal Orfano.212

Si legge nella polizza di spese del capitan grande Da Ponte che lo immersero con due catene di ferro e con due pezzi di marmo attaccati alle catene con anelli di ferro impiombati213. Uno degli incarichi che maggiormente lo misero alla prova fu quello di

eliminare il conte Galeazzo Bosello214. Questi era stato bandito per alcuni reati da

Bergamo e il 13 agosto del 1691 lo si trova a collaborare con gli stessi Inquisitori di Stato215. Nel 1696 cade in disgrazia e viene ammonito dal Tribunale, ammonimento che cade nel vuoto e il 28 maggio dello stesso anno sarà bandito216. Essendo al corrente di segreti di Stato si ritiene necessario eliminarlo. Il 9 agosto 1696 si trova a Venezia e viene comandata la morte. Il capitan Grande Nicolò da Ponte sceglie come sicario tale Francesco detto Manzino «huomo di risolutione e da intraprendere ogni gran atentato,

209 A. Da Mosto, I bravi di Venezia, Milano, Ciarrocca, 1950, pp.135-136.

210 ASV, IS, b. 528, c.35v. Alla data 27 novembre 1684, ASV, IS, b. 1016, quaderno di cassa 1681- 1685, c. sn. Alla data 18 dicembre 1684. Lonardi, L'anima dei governi, cit. p. 341.

211 ASV, CX, deliberazioni, segrete, b. 52, c. 11 settembre 1697.

212 Da Mosto, I bravi di Venezia, cit., p.52. Lonardi, L'anima dei governi, cit. p. 286.

213 ASV, IS, b. 1016, reg. quaderno di cassa 1685-1689, c. alla data 28 marzo 1685; ASV, IS, b. 663, c. alla data 27 marzo 1685.

214 Da Mosto, I bravi di Venezia, cit., pp.49-50. 215 Preto, I servizi segreti cit., p. 478.

216 ASV, IS, b. 528, cc. 21v., 30r-32r, 13 agosto 1691, 3 febbraio, 28 maggio 1696. Preto, I servizi segreti, cit., p. 478.

oltre fedeltà incorota.»217In città il conte girava con una scorta di sei uomini armati, muovendosi quasi esclusivamente per far visita al nobile Girolamo Canal che viveva a San Barnaba. Complicando l’operazione il capitan grande richiede agli Inquisitori di poter concedere d’accompagnare con un segno il sicario, al fine che non fosse fermato dalle guardie che giravano in città. Gli fu concesso il porto d'armi e l'uso di un mezzanino vicino al palazzo del Canal. Alcuni giorni dopo la gondola dell'ambasciatore di Francia, seguita da altre quattro da traghetto, imbarcò i bravi e le loro rispettive famiglie portandoli a Fusina, da dove fuggirono fuori dei confini. Un confidente accusò lo stesso capitan grande di essere stato pagato per far fallire tutta l'operazione. Successivamente il conte Bosello tornò a fare l'informatore da Bergamo per gli Inquisitori di Stato.218