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Architettura dello spazio collettivo

Rancitelli + Via Nora (attivando un processo transcalare: dalla scala urbana a quella dell’oggetto archi- tettonico e viceversa).

All’interno di questa porzione urba- na sono presenti diversi edifici che costituisco il patrimonio dell’Edilizia Residenziale Pubblica a Pescara. Inoltre sono rintracciabili parti di città differenti quali: il parco fluviale della golena sud del Pescara; il siste- ma frammentato di servizi che da via Aterno si disperdono tra le case; le attività commerciali attestate lungo la Via Tiburtina; le aree produttive (appartenenti al piano ASI) in uso, disuso ed in via di dismissione; le zone industriali attualmente ancora in uso (come il cementificio); delle aree rurali coltivate, altre incolte ed alcune abbandonate; un progetto all’ombra degli ex gasometri; le aree

per l’edilizia residenziale privata, se- mi-pubblica ed abusiva.

Tutte queste parti, apparentemen- te differenti per funzioni, usi e pro- prietà, co-abitano in maniera dia- cronica nel tessuto di Pescara. È proprio all’interno di questa por- zione di città di Pescara che i ragazzi sono stati chiamati ad interpretare i complessi contesti urbani e sociali, le diverse vocazioni negate, i molteplici usi e le differenti modalità abitative che insistono in un tessuto sponta- neo della prima periferia pescarese (al di là dell’impalcato ferroviario) diversamente dal carattere morfolo- gico-insediativo tipico dello sviluppo lineare della città di costa.

Le finalità dell’atelier sono ascrivibili a tre differenti obiettivi. Il primo ri- guarda una serie di obiettivi forma- tivi che gli studenti hanno raggiunto attraverso un lavoro costante con- diviso, nei diversi mesi, all’interno dell’atelier di progettazione. Sono stati sperimentati:

- innesti urbani capaci di ri-attivare, attraverso strategie di mutazioni ur-

bana, porzioni di città/territorio che,

attualmente, vivono in uno stato di degrado sociale, urbano ed ambien- tale;

- principi, azioni, parti ed architetture capaci di essere reiterabili (in manie- ra similare o differente) all’interno delle micro-centralità della città di Pescara;

- idee per gli spazi pubblici e i servizi come occasione per definire progetti

tran-scalari, progettando nuove cen- tralità aperte sia verso al città (al di là dell’impalcato ferroviario) che verso il parco fluviale;

- visioni e scenari capaci di costruire consenso sociale con le diverse com- mittenze, avvalendosi dei progetti come occasioni di dialogo sulle pro- blematiche urbane.

Il secondo elemento ha riguardato la messa in discussione di quell’o- pinione/posizione preconcetta (… purtroppo abbastanza condivisa) che si ha di questi quartieri di edilizia economica e popolare, nei quali tut- ti vorrebbero mandare gli altri, ma nessuno vorrebbe mai abitarci. Mi riferisco in particolar modo all’area di Rancitelli che è stata sempre vista come un’enclave urbana impenetra- bile, socialmente difficile, a volte pe- ricolosa, un luogo dall’aspro sapore urbano all’interno del quale la città non vuol entrare.

Per noi sarebbe stato limitativo (ol- tre che fallimentare) immaginare di proporre dei servizi “a servizio” dei soli quartieri Ater; così facendo non si sarebbe fornita una risposta com- pleta al principale problema del de- grado sociale in queste parti di città. Infatti, contrariamente a quanto un processo lineare avrebbe potuto addurre, proponendo una mera so- luzione funzionale ad un problema così delicato e complesso, nelle spe- rimentazioni di progetto si è appor- tato un cambio del punto di vista che potesse ribaltare i problemi ed invertire le scale. Partendo dalla riconfigurazione degli spazi collettivi e dei servizi come occasioni di riscat- to urbano e sociale sono stati imma-

ginati meccanismi di riscrittura delle relazioni urbane capaci di poter por- tare la città nella città, stimolando, così, a vivere questi quartieri dall’e- sterno, rompendone quel carattere di chiusura (sia urbana che sociale).

Fare città nella città, attraverso la ri-

attivazione dei dispositivi degli spazi pubblici, e portare la città nella città (portare i cittadini “non residenti” in queste aree) sono state alcune delle principali azioni di progetto che han- no accumunato scelte e diversificato progetti all’interno dell’atelier. Possiamo affermare con certezza che strategie di inclusione urbana ed elementi di rottura degli elemen- ti autoreferenziali nella città sono i maccanismi necessari per un riscatto contemporaneo partendo dal dise- gno della forma, quale matrice per la configurazione dello spazio collet- tivo. Precedentemente occasioni del genere (ma con sistemi differenti) sono stati già inconsapevolmente tracciati e quindi possiamo vederne oggi gli esiti. Mi riferisco all’incon- sapevole azione qualificante per il quartiere di Rancitelli avuta attraver- so il sistema delle reti infrastrutturali, ed in particolare nella realizzazio- ne dell’Asse Pendolo. Infatti questo progetto aveva l’ambizione (riuscita per il solo tratto ad oggi realizzato) di connettere in maniera trasversa- le la zona nord-ovest con la zona sud-est di Pescara. Inconsciamente questa infrastruttura ha prodotto sui quartieri che attraversava un duplice aspetto. Se da un lato agevola il pas- saggio di auto e persone (ma solo il loro passaggio) divenendo deterren- te positivo per attività illecite, dall’al-

tra genera un effetto barriera data la sua sezione e il suo carattere “a scorrimento veloce”.

Quindi se da un lato l’Asse Pendolo (che nel tratto che ci interessa prende il nome di Via Lago di Capestrano)

connette, dall’altro separa. Attorno

ad esso si sviluppano diversi spazi

inespressi dai quali è facile ripercor-

rere (comprese Via Nora e Via Sac- co) i diversi luoghi e riattivarli attra- verso una sinergia “tra l’urbano” che è tipica degli spazi collettivi.

Il terzo obiettivo ha riguardato la riscoperta di un aspetto della re- sidenza pubblica: cioè la sua ne- cessaria iscrizione ad un “elenco differenziato” (se non fosse solo per la loro gestione e proprietà) di- versamente dagli altri tessuti urbani che costituiscono il sistema-città. Si è cercato di lavorare con/tra/fra gli edifici Ater ma cercando di riscattare il loro senso di “architettura differen- te”; non sono architetture di “serie B”, se non perché, spesso, riversano in una condizione di degrado edili- zio e in un’inadeguatezza dei livelli di confort abitativo e di inefficienza tecnologica oltre che energetica. Per ri-progettare l’edilizia residenziale pubblica ed adeguarla alle mutate esigenze abitative, occorre ricomin- ciare a considerarli semplice Edilizia di Base, una infrastruttura del risie- dere da adeguare alla continua mu- tevolezza del vivere (F. Bilò). Perseguire un principio di integra-

zione urbana significa anche saper

immaginare ed interpretare tutte le dicotomie urbane, sociali e culturali, recuperando attraverso l’architettura dello spazio collettivo un’eticità del

progetto contemporaneo.

Si pensa sempre che persone poco raccomandabili abitano nei quartieri popolari, invece i ragazzi dell’atelier (attraverso soprattutto l’esperienza dell’INSTALLAZIONE URBANA, del- le interviste, dei sopralluoghi, delle indagini sul campo) si sono accorti che la città qui non finisce, ma inco- mincia una realtà dove il sapore dei

conflitti si fa più aspro e le contrad- dizioni urbane vengono quotidiana-

mente abitate.

Attraversando le scale del progetto sono stati individuati (nell’area og- getto di indagine) diversi punti stra- tegici per la città; partendo da una reinterpretazione dei loro caratteri identitari sono state registrate dif- ferenze e corrispondenze, al fine di costruire occasioni per gli spazi di aggregazione pubblica.

Attraverso il dialogo/ascolto con gli stessi residenti (nelle indagini sul campo condotte) sono state regi- strate le principali problematiche sociali, cogliendo aspetti di coeren- za e debolezza, di usi e modificate esigenze, dilatando così i materiali per il progetto all’interno della città contemporanea.

Verso una sostenibilità urbana,