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La strada della periferia è lastricata di buone intenzion

periferia è l’abitazione collettiva, si può agire direttamente sull’immagine e sullo spazio dell’abitare? Può l’archi- tettura creare plusvalore? Tra processi spontanei di ri-attribuzione di valore – il Barbican Center di Londra o l’Unité d’Habitation di Le Corbusier a Marsi- glia – e delle vere e proprie strategie di rebranding come per Park Hill a Sheffield, tra le incursioni artistiche in nome dell’identità e gli interventi pura- mente tecnologici di retrofit e migliora- mento energetico, esistono operazioni interessanti che si focalizzano sulla so- vrascrittura dell’esistente. Rappresen- tano una forma nuova di rivoluzione silenziosa ed educata che non uccide il proprio padre per ripartire da zero, ma ne sfrutta le potenzialità.

In questo ambito si situa il lavoro di Lacaton & Vassal e di tre proget- ti seminali: la trasformazione della Tour Bois le Prêtre a Parigi, 2011, dei bâtiments G, H, I, nel quartiere du Grand Parc a Bordeaux, 2016, e di un condominio del complesso La Chesnaie a Saint-Nazaire, 2016. Se quest’ultimo parte dalla preesistenza – una torre costruita negli anni ’70 – per generare nuove protuberanze che rovesciano completamente il tradizio- nale rapporto di forza tra organismo ospitante e parassita ospitato, i due interventi a Parigi e Bordeaux condi- vidono una filosofia progettuale più netta. La mossa è semplice, imme- diata, didattica. Il patrimonio esisten- te è valorizzato grazie all’aggiunta di un sottile volume in facciata. Quello che prima era mera superficie, in- carnazione bidimensionale di fanta- smi sociali, degrado ed esclusione, si deforma in tridimensionale spazio di qualità e confort. Le nuove serre e verande offerte agli abitanti rappre-

-Lacaton&Vassal 1993-2015, El Croquis n°177-178, 2015.

-OMA, Koolhaas R., Mau B. 2002. S, M, L, XL. New York: Monacelli Press (ed. or. 1995).

-Rossi, A. 2006. L’architettura della cit- tà. Milano: CittàStudi (ed. or. 1966). -Rowe, C. 1983. Collage City. Cambri- dge (MA): MIT Press.

-Rowe, C. 1994. The architecture of good intentions. Londra: Academy, 1994. -Viganò, P. 2015. Periferia. In Ferlenga, A. e Biraghi, M. (a cura di) Comunità Ita-

lia. Cinisello Balsamo: Silvana editoriale. Disegno a cura di Luca Di Lorenzo Latini. sentano sia un’opportunità di riscatto,

sia la soluzione economicamente più vantaggiosa per la comunità. Come in un racconto circolare, un colpo di scena conclusivo unisce Bordeaux ad Amsterdam e all’ulti- mo blocco originale del Bijlmer, tra- sformato in punta di fioretto da NL e XVW. Gli ultimi due EU Mies Award, 2017 e 2019, sono stati sintomatica- mente assegnati proprio a questi due progetti che affrontano similmente il tema della metamorfosi del patrimo- nio edilizio residenziale modernista. Sicuramente è troppo presto per pro- porre questi interventi come unico modello perseguibile. Si può solo constatare che rendere appetibili e confortevoli contenitori residenziali degradati scatena un circolo virtuoso che finisce con l’attirare investimen- ti in servizi, strutture e infrastrutture. Come sempre, le buone intenzioni potranno essere valutate e verificate solo nel lungo periodo.

I

l caso delle periferie è il quadro di riferimento problematico all’in- terno del quale si percepisce il bi- sogno di cambiare l’immagine di una parte di città anche attraverso spazi pubblici resistenti là dove l’isolamento è maggiore, nel tentativo di creare ne- gli abitanti un senso di appartenenza, di unità e coesione; la stessa coesione che caratterizza fortemente la realtà sociale delle aree periferiche. Non si tratta di progettare utilizzando modelli ma di studiare metodi, strumenti di pro- getto flessibili che consentono un adat- tamento continuo; riconoscendo che il problema è da ricercare non tanto in definizioni collettive di azioni e strategie quanto di visioni etiche condivise. Bernardo Secchi ci ricorda di come oggi, più che in passato, nelle grandi aree metropolitane, emergano disu- guaglianze e forme di esclusione fa-

vorite dagli stessi progetti urbanistici. Ed è all’interno di processi di rigene- razione urbana che diventa essenzia- le considerare la componente relazio- nale dello spazio pubblico e di come questa stessa possieda potenzialità in termini di interazione e connessione; di restituzione di una dignità urbana. L’intenzione è quella di raccontare pratiche di progettazione dello spazio pubblico, offrendo rappresentazioni concrete e radicate alla realtà. Una lettura di quelli che sono stati progetti, proposte e idee formulate nel corso della storia e che sono state capaci di introdurre approcci innovativi e sensi- bili alle questioni della progettazione dello spazio della comunità.

Nella convinzione che i territori periferici abbiano bisogno di non esaurirsi in questioni morfologiche, né tantomeno in questioni di prati- VALORIZZARE LE PERIFERIE

ATTRAVERSO: LO SPAZIO PUBBLICO

che di rigenerazioni puramente di carattere urbanistico-architettonico e di dialettiche di forma-funzione, bisogna riconoscere la necessità di formulare pratiche capaci di leg- gere le micro realtà, considerando il grande potenziale degli spazi in- termedi; guardare con estremo in- teresse alle modalità con le quali si utilizzano gli spazi esterni, oltre i comportamenti convenzionali, alla ricerca della vitalità urbana dalla quale partire per innescare mecca- nismi di rigenerazione.

Lo spazio pubblico è da sempre stato una componente fondamentale per il funzionamento della civiltà, sia esso inteso come luogo privilegiato per lo svolgimento della vita collettiva che come pretesto di identificazione sim- bolica-culturale. Elemento chiave del benessere individuale e sociale, luo-

go della vita collettiva delle comu- nità, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità. Palestra di democrazia, oc- casione per creare e mantenere nel tempo il sentimento di cittadinanza e di consapevolezza del ruolo che cia- scuno di noi ha e può avere, con il proprio stile di vita quotidiano e per l’ambiente in cui vive. (Carta dello Spazio Pubblico, 2013)

Precursore di questi concetti Aldo Van Eyck che, come membro del Team X, poneva l’attenzione sullo spazio tra le cose, sui residui urbani e sugli scarti dei processi di produzione di massa della città, definendo le aree di risul- ta anche se in stato di abbandono, ambiti potenzialmente molto vitali. Secondo la sua visione, vivere nello spazio urbano significava dovere in- terpretare spazi, forme e luoghi, e fare l’esperienza dell’ambiguità della città senza protezioni; a testimonianza di questo furono i suoi progetti chiamati Playgrounds, spazi di gioco e di vita collettiva disseminati per tutta la cit- tà di Amsterdam a partire dal 1947. Esempi come Zeedijk Playground del 1956, Nieuwmarkt Playground del 1968, restituiscono l’idea dell’archi- tetto olandese e della sua rappresen- tazione dei vuoti urbani, a favore di un approccio che riconosce lo spazio pubblico come un dispositivo capace di innescare meccanismi, processi creativi dal basso; aperto all’imprevi- sto, interposto nella dialettica tra pro- getto di architettura e comunità. I suoi progetti avevano l’intento di svilup- pare un nuovo linguaggio attraverso la comprensione delle caratteristiche degli individui, riuscire a restituire valore etico al progetto dello spazio Gloria Bazzoni