A
ttraverso la costruzione di visioni di progetto sono sta- te messe in campo strategie di riscrittura urbana, in territori cari- chi di conflitti sociali e ricchi di con-traddizioni urbane. Si coglie così una dilatazione dei materiali del progetto
riconoscendo in essi le potenzialità di un paesaggio urbano plurale. I nostri spazi urbani sono assimi- labili ad ecosistemi all’interno dei quali si definisco parti attive e parti deficitarie, dove risultano fondativi i temi che riguardano la qualità de- gli spazi collettivi (pubblici e privati,
residenziali e non), la loro manute-
nibilità e sicurezza sociale, la loro possibile rivitalizzazione energetica. Problematiche di trasversalità ur-
bana negata, di insostenibilità so-
ciale, di riconfigurazione dei servizi,
di riassetto e di messa in sicurezza degli spazi pubblici e semi-pubblici può riguardare un “programma di ridisegno urbano” a partire dai luo- ghi per la collettività: servizi e spazi pubblici.
Ai ragazzi, impegnati nel lavoro di atelier, è stato richiesto di interpre- tare in modo critico il contesto così da riconoscere in esso terre fertili da verificare attraverso il progetto (pro-
getto come sonda). I progetti sono
stati costruiti sia come esperimenti sull’urbano per immaginare centrali- tà capaci di riattivare gli spazi collet- tivi, e sia come scenari capaci di sug- gerire temi e discussioni urbane sulla
natura evolutiva di questi luoghi.
Gli spazi collettivi proposti “a ser- vizio” della città avrebbero dovuto sollevare nuove esigenze (ancora
Sono i conflitti i nuovi materiali che dilatano il lessico per una riscrittura degli spazi di questa città; non si è proceduto ad annullarli ma, al con- trario, sono stati scelti proprio per- ché territori di margine come aree per il progetto,
riconoscendo in esse le debolezze
urbane e i caratteri di transitorietà.
Oggi dobbiamo sempre più saper cogliere quelle tracce latenti di mu-
tazione urbana (in una processualità
in divenire) principalmente in quei luoghi che la città oggi ci consegna ed, attraverso azioni di progetto, adattarli ad un nuovo senso metro-
politano. Essi sono: le aree dismes-
se, i lotti liberi in attesa di essere riconfigurati, gli spazi di residualità urbana, la superficie sotto/accanto/
tra/sopra le case, i porticati dell’ERP
e le corti aperte, i recinti tra le strade e gli edifici, il nuovo parco pubblico da riconsegnare alla città, le piccole attività commerciali adiacenti, il re- cinto del campo sportivo, l’asilo in via Tavo (che ormai versa in condi- zioni di degrado urbano e sociale, infatti è “ricovero per altri mercati”), gli orti e giardini semi-privati per un possibile utilizzo pubblico, gli scheletri imponenti di edifici mai conclusi, i supermercati dismessi ed abbandonati, le loro aree asfaltate recintate (come possibili parcheg- gi)… sono solo alcune delle fertili
occasioni urbane riscontrate dai so-
pralluoghi e messi in evidenza negli allestimenti urbani.
Nelle coesistenze urbane si sono
ricercati i temi/esigenze di lavoro,
ricordando quanto Leibniz (nel XVII sec.) scriveva a proposito delle po- tenzialità che lo spazio esprime, in inespresse o negate) di permeabi-
lità urbana.
In questi luoghi vocati a la “dome-
sticità pubblica” ci si è misurati e
relazionati con parti urbane ancora latenti: luoghi in attesa, aree libere o in preda da arresto evolutivo, che risultano tipiche di queste realtà di frangia urbana, le sperimentazioni progettuali hanno preso in consi- derazione anche proprietà private, ma di interesse pubblico e di facile trasformazione, poste su via Tavo). Gli spazi pubblici non sono solo le piazze: i luoghi, o le stazioni e gli shopping mall: i luoghi dell’atopicità
/ i non luoghi, ma ancora una volta
tornano ad essere tutti quei tessuti urbani residuali che attendono di essere riappropriati d’identità da parte di un vivere collettivo.
Gli spazi della città che quotidiana- mente viviamo ed abitiamo, sono costantemente sottoposti a contrad- dittorie domande e differenti usi.
Sarebbe utopico (ci ricorda Massimo
Cacciari) voler superare questo loro aspetto fondativo, visto che sono il riscontro tangibile di quel carattere
identitario di una stratificazione ur- bana molteplice e spontanea, ma occorre registrarle e darle forma.
Infatti è stato proprio questo l’input che i ragazzi hanno saputo cogliere e registrare attraverso i sopralluoghi e gli allestimenti urbani (effettuati durante le prime settimane di ate- lier), interpretando cosi i caratteri
tipici e i differenti usi ormai sedi-
mentati in essi; pratiche urbane che sfuggono alle strumentazioni classi-
che che da sempre hanno contrad-
distinto processi di analisi urbana.
termini di possibilità; un ordine di cose che esistono in quanto fra loro congiunte, senza entrare nel modo del loro essere; se si osservano più cose insieme, ci si rende conto dell’ordine che le governa.
Durante gli incontri con i residenti (anche nella giornata dell’INSTAL- LAZIONE URBANA) e le discussioni condotte in atelier (durante i Bre- ak_Architettura) i ragazzi hanno avuto modo di sottoporre, verificare e discutere delle proprie idee con
interfereze esterne (ospiti, ed in
particolare con l’Architetto Caizzi) contaminando e facendo crescere
di senso i loro progetti. Differenti
proposte sono state fornite, at- traverso azioni e temi di progetto capaci di mettere in campo nuove
ampiamente sperimentati in altre realtà italiane (in Emilia Romagna, in Trentino, il Piemonte, in Lombar- dia..); anche forme di gestione (o
co-gestione tra privato e pubblico)
godono di un ampia bibliografia in merito. Queste pratiche di riconfi- gurazione urbana, intese come veri strumenti gestione di un territorio/ patrimonio comune, tendono a ri- durre gli sprechi (di denari, di ter- ritorio, di suolo e di tempi), limitano gli atti vandalici al fine di favorire la costruzione di città sempre più vivi- bili e di spazi pubblici effettivamen- te utilizzati (e soprattutto utili). Muovere forme urbane è il requi- sito necessario per trasformare gli
spazi in luoghi, attraverso i quali
immaginare scenari capaci di dive- nire piattaforme condivise in chiave vivibili, proponendo possibili for-
mule di auto-controllo (o di co-ge- stione), eventuali sistemi di auto-co-
struzione (economico/finanziaria)
e di auto-sufficienza (energetica,
ambientale ed alimentare). Uno de-
gli elementi di auto-controllo socia- le all’interno degli spazi pubblici è quello di far appartenere, ricono- scere e responsabilizzare i cittadini alle possibili azioni messe in giuo- co per il cambiamento degli spazi delle proprie città. Attivare forme di laboratori per la trasformazione urbana, possono avere una duplice finalità: da un lato la possibilità di creare un consenso sulle scelte della città e dall’altra, come controparti- ta, un controllo maggiore ed un senso civico di appartenenza, da parte dei cittadini, alla “cosa pub-
blica”. Processi simili sono stati già
urbana, sociale ed energetica. Le diverse esplorazioni progettua- li (seppur con diversi livelli di ap-
profondimento e risultato) hanno,
indistintamente, saputo costruire un vero e proprio programma di conversione urbana, in un territo- rio sensibile della città di Pescara. Tutto questo è stato possibile me-
tabolizzando e dando nuovo senso
a tutti quei conflitti sociali che la contemporaneità ci consegna in questi tessuti difficili, richiedendo non progetti conclusi e chiusi ma, al contrario sperimentando mac- chine urbane capaci di definirsi come meccanismi aperti, poliedrici e dinamici in grado di accogliere, interpretare e risolvere la maggior parte delle contraddizioni urbane. AU