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Metodologia della collettività

pubblico, nei termini in cui ogni sin- golo gesto, ogni azione progettuale, deve avere la piena consapevolezza del ruolo che svolge nel definire l’am- bito dell’abitare collettivo, promuo- vendo il confronto fra gli individui. Lavorare sullo spazio di margine, di soglia che appartiene all’abitare pri- vato tanto quanto al pubblico se inte- so come prolungamento della strada; riconoscere i vuoti tra gli edifici come spazi urbani a misura d’uomo; tutto questo attraverso pochi elementi geo- metrici e semplici quasi casualmente disposti: un gioco. Il gioco che se- condo l’architetto olandese è l’emble- ma dell’informalità e al tempo stesso della forte coesione che caratterizza la realtà sociale della periferia, che fa della strada un meeting place mul- tifunzionale, spazio di frontiera tra pubblico e privato, adibito allo svol- gimento della vita collettiva. L’esperienza di Amsterdam, se rivi- sta oggi, alla luce delle domande sulle metodologie di rigenerazione delle aree periferiche e sul significa- to della qualità dei suoi spazi dell’a- bitare, rivela che gli spazi tra sono un grande potenziale capace di stimolare le relazioni tra gli indivi- dui e l’abitabilità dello spazio. A di- stanza di tanti anni ci si rende conto di come lo sguardo di Van Eyck sia ora più che mai attuale e di come fu capace di cogliere il grande valore degli spazi urbani: là dove altri per- cepivano degrado e spazi residuali, lui ne coglieva il valore inespresso e le grandi potenzialità.

Lavorare nelle periferie significa in primo luogo porsi in ascolto della collettività e degli spazi che questa abita; comprendere bisogni e abitu- dini con l’intento di indagare le dina-

miche dello spazio pubblico, inteso come strumento posto a servizio del- la collettività e capace di potenziare il capitale sociale che agisce da ba- luardo contro la marginalità. Scongiurare il pericolo di una sterile progettazione e prendere consapevo- lezza che il primo passo verso forme di rigenerazione di quelle parti di città spesso riconosciute come degradate e insicure comprende anche una pro- gettazione consapevole dei suoi spazi pubblici, laddove la dimensione dello spazio pubblico corrisponde alla di- mensione del bene comune.

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L

a crisi economica e lo sviluppo tecnologico delle reti nel ventu- nesimo secolo hanno prodotto cambiamenti radicali nella società e nell’organizzazione del lavoro. Le pe- riferie sono state incapaci di adattarsi ai fenomeni che ci hanno investito nell’ultimo decennio e sono diventa- te i luoghi fragili del tessuto urbano. In questo ambito, il ruolo dell’archi- tettura è quello di ripensare gli spazi delle periferie mettendo in atto stra- tegie mirate a riqualificarne i luoghi di lavoro.

La maggior parte del tempo tra- scorso da ciascun individuo si svol- ge all’interno di uno spazio lavora- tivo, ne consegue che gran parte della sua esistenza è assorbita com- pletamente dalla funzione del lavo- ro. A tal proposito esistono diverse utopie che al contrario espongono

l’idea che l’uomo possa farne a meno. Un caso riguarda le visioni di Constant Nieuwenhuys che attraverso il distac- co dal suolo ricerca la sua idea di libertà. Nel 1956 visita ad Alba un accampamento di sinti piemontesi, ed è proprio in questa periferia che nasce il progetto New Babylon. Con- stant immaginava una società libera dal lavoro, dove gli uomini non ab- biano bisogno di una fissa dimora e possano vagare come nomadi libe- ramente su tutto il pianeta: un “cam- po nomade su scala planetaria” una città disegnata per l’homo ludens che sostituirà all’attività lavorativa l’atti- vità creativa. New Babylon è un’in- frastruttura planetaria pensata come un reticolo flessibile ed intangibile, libero dallo spazio e dal tempo. La visione di Constant ha influenza- to diverse generazioni di progetti at- VALORIZZARE LE PERIFERIE

ATTRAVERSO:

GLI SPAZI DEL LAVORO

traverso le architetture radicali degli anni Sessanta come ad esempio Su- perstudio, uno dei gruppi più influenti dell’architettura radicale italiana. Nel 1972 presenta infatti Supersuperficie (un modello alternativo di vita sulla terra) in occasione della mostra al MoMa di New York dal titolo Italy: the new domestic landscape. Superstudio immagina un reticolo infinito, steso nello spazio in grado di avvolgere tutto il mondo, dove il genere umano non avrà più bisogno dell’architettu- ra. Vivibile e abitabile, la rete della Supersuperfice trasporta soltanto di- verse fonti di energia e l’individuo, libero di muoversi, conduce una vita non più basata sul lavoro ma su rela- zioni umane non alienate.

In questi progetti utopistici si trova un’anticipazione del mondo reale dove nell’era del digitale i flussi di dati ci circondano. La vita delle per- sone è strettamente legata alla tec- nologia e, la dissoluzione di luoghi fisici in favore di reti informatiche estremamente accessibili, svincola l’uomo dallo spazio fisico e, di con- seguenza, svincola il dipendente dal luogo di lavoro. Il risultato è la man- cata necessità di una sede stabile e in questo contesto si inserisce il mo- dello del coworking, un modello di lavoro che a fronte dei problemi del- le periferie tenta di offrire una possi- bile soluzione attraverso una diversa strategia d’impiego. Il coworking è un’attività di lavoro caratterizzata dalla compresenza in uno spazio fisico di più figure professionali che possono condurre un’attività lavo- rativa autonoma o collaborativa. Le strutture che meglio si adattano al coworking sono edifici abbandonati o in dismissione come ex-fabbriche

o capannoni che vengono recuperati mediante operazioni di ristruttura- zione per adattare gli spazi al nuovo programma.

Ne sono esempi e possono essere messi a confronto, due progetti che sono riusciti ad indicare una pos- sibile via per ripensare i luoghi del lavoro nelle periferie ed applicare la strategia del riuso, questi sono La Cartoucherie di h2o architectes e Spazio Zephiro di MTMA.

Il primo progetto riguarda la ristrut- turazione di un edificio industriale francese risalente al 1915 e con- vertito in uno spazio di coworking. Situata nel sud della Francia, questa struttura recuperata ospita al suo in- terno diverse aziende creative e spe- cializzate nel digitale che mirano a diventare un centro d’eccellenza nel campo della produzione del Cine- ma d’animazione. La Cartoucherie è un complesso composto da edi- fici paralleli adagiati su un declivio e costruiti in diverse fasi nel tempo. Dopo i primi interventi di ristruttu- razione dell’area lo studio h2o ha progettato i nuovi spazi di lavoro all’interno del fabbricato “R”. Diviso in tre grandi sale, il vecchio edificio industriale presenta dei caratteri che si adattano perfettamente alle nuo- ve esigenze, come la luce naturale proveniente dalla copertura e grandi spazi liberi da ingombri. Nella suc- cessione delle sale, quella centrale rappresenta a pieno lo spirito del modello coworking e del progetto degli architetti: è qui che viene favo- rita l’interazione tra le persone delle diverse aziende attraverso l’area re- lax e la cucina. Le altre sale ospitano le postazioni per i lavoratori e, quella posta a nord est, è caratterizzata da Gilda Tormenti