IV. ARIMANNI E CONT
4.1. Arimanni e cont
La dipendenza degli arimanni dai conti non è documentata con ampiezza, per quanto essa dovette essere percepita ben presto come una forma di signoria sugli arimanni stessi, tanto che già alla fine del secolo IX un capitolare dell’imperatore Lamberto, mentre sottolineava la dipendenza degli arimanni dai conti, vietava a questi ultimi, appunto, di concedere gli arimanni in beneficio ad altri (1), un beneficio il cui contenuto, come osserva il Tabacco (2), era costituito dalle prestazioni di natura pubblica che gravavano sugli uomini liberi e sugli arimanni, in particolare.
Ancora nella prima metà del secolo XI la dipendenza degli arimanni dai conti era considerata normale: il comes venne sosti- tuito allo iudex (3) nella Expositio al Liber Papiensis (4), a commen- to di un capitolo delle leggi di Rachis, ove si contempla, tra l’altro,
(1) App., n. 6; cfr. sopra, t. c. nota 12 di cap. I. (2) Tabacco, I liberi cit., pp. 51-52.
(3) MGH, Leges, IV, “Expositio”, p. 476: «Petre comes, te appellat Martinus tuus arimannus quod ipse reclamavit ... »; cfr. P. S. Leicht, Il diritto privato preir- neriano, Bologna, 1933, p. 37, nota 2. Significativa, ai fini della percezione che non pone differenze sostanziali tra una dipendenza dal conte e quella da un signo- re, una glossa allo stesso capitolo di Rachis, nella quale l’arimanno viene così definito: «Omnis liber homo dicitur erimannus, qui manui id est potestati domini suppositus est ...»; cfr. Leicht, Il diritto cit., p. 37, nota 3.
(4) Per il periodo di elaborazione della Expositio, assegnata alla prima metà del secolo XI, si vedano F. Calasso, Medioevo del diritto, I, Milano, 1954, pp. 310 e 313, ed ora A. Padoa Schioppa, La cultura giuridica, in Storia di Pavia. II. L’alto medioevo, Milano, 1987, pp. 225-235.
come accenneremo avanti (88); ma è da tenere presente che siamo in una zona poco distante da Remedello, per cui possiamo suppor- re l’influenza di una tradizione locale.
Dal territorio bresciano provengono altre tracce sparse. Oltre agli arimanni di Manerbio, cui abbiamo accennato (89), un teste in un processo tra il monastero di S. Giulia e gli Avvocati dichiara di ‘tenere’ da questi ultimi alcuni arimanni residenti in Lonato (90): probabilmente gli Avvocati ne avevano ricevuto la giurisdizione dal monastero bresciano.
(88) Cfr. sotto, par. 5.4. (89) Cfr. sopra, t. c. nota 43.
rano che solo gli arimanni debbono pagare il fodrum regale ai conti di Seprio (11).
Gruppi di arimanni poterono mantenere, a volte, rapporti diretti con il potere pubblico, nella partecipazione comune a diritti appunto pubblici. Lo apprendiamo indirettamente da un documen- to parmense del primo decennio del secolo XII, con il quale un pri- vato dona al monastero di S. Savino diritti sulle acque del fiume Trebbia presso il castello di Rivalta, acque che attraversano le terre del conte e del marchese e quelle di altri proprietari, che sono «ari- manni et alii homines»: a costoro i diritti provenivano dal vescovo e dal marchese, in analogia a quanto il venditore dichiara, che, cioè, i diritti erano stati concessi al padre suo dal vescovo e dal marchese (12).
I conti e gli altri ufficiali pubblici, tali più per trasmissione ereditaria e ‘onorifica’ del titolo che per esercizio effettivo delle funzioni antiche connesse all’ufficio, sembrano mantenere diritti sugli arimanni, soprattutto se questi diritti si esercitano in quei distretti ove la loro giurisdizione si può esplicare sulla base della detenzione di poteri di signoria territoriale o, almeno, dalla presen- za di ampi possessi (13). Sembra questo il caso dei conti di
(11) Manaresi, Gli atti cit., n. 8, 1142 maggio 20 (= app., 22); cfr. G. L. Barni, Cives e rustici a Milano alla fine del XII secolo e all’inizio del XIII secolo secondo il Liber consuetudinum Mediolani, «Rivista storica italiana», LXIX (1957), p. 12; Brühl, Fodrum cit., I, p. 552; A. Padoa Schioppa, Aspetti della giu- stizia milanese dal X al XII secolo, in Milano ed il suo territorio in età comunale, «Atti dell’11° Congresso internazionale di studi sull’alto medioevo», Spoleto, 1989, pp. 519-520.
(12) G. Drei, Le carte degli archivi parmensi del sec. XII, III, Parma, 1950, n. 22, 1106 febbraio 10.
(13) Arimanni in Cavalgese, ad esempio, sono concessi in feudo dai conti di San Martino: F. A. Zaccaria, Dell’antichissima badia di Leno libri tre, Venezia, 1767, n. 27, 1192 aprile 10, p. 129, passo regestato anche da Odorici, Codice la possibilità che lo iudex neghi la giustizia all’arimannus (5).
Forse perché ancora fra X e XI secolo i diritti dei conti sugli arimanni sono riconosciuti per consuetudine – in questo senso diviene preziosa la testimonianza dei documenti ‘romanici’, che mostrano appunto la volontà dei conti della regione di pretendere gli obblighi pubblici dagli uomini liberi, che essi definiscono ari- manni (6) –, i diritti dei conti sugli arimanni sono poco documen- tati, come sono rare le concessioni imperiali.
Per il secolo X si conosce solo quella indirizzata nell’anno 940 dal re Ugo (7) al conte Aleramo (8), che ottenne per gli ari- manni della villa di Ronco districtio, publica functio e la custodia del placito. Due secoli dopo il conte Guido di Biandrate ricevette da Corrado III i diritti su tutti i residenti, arimanni compresi, nelle sue terre (9), cui seguì la conferma di Federico I (10).
Verso la metà del secolo XII gli abitanti di Mendrisio dichia-
(5) Ratchis leges, in F. Bluhme (ed.), Edictus ceteraeque Langobardorum leges, Hannover, 1869, cap. 10, ma nell’Expositio è il cap. 6.
(6) Cfr. sotto, parr. 8.2.-8.5.
(7) L. Schiaparelli (ed.), I diplomi di Ugo e di Lotario, di Berengario II e di Adalberto, Roma, 1924, n. 53, 940? febbraio 6; cfr. Tabacco, I liberi cit., pp. 142-143.
(8) E. Hlawitschka, Franken, Alemannen, Bayern und Burgunder in Oberitalien [774-962], Freiburg im Breisgau, 1960, pp. 117-119; R. Merlone, Prosopografia aleramica (secolo X e prima metà del XI), «Bollettino storico- bibliografico subalpino», LXXXI (1983), p. 466.
(9) DD Conradi III, n. 51, 1140 giugno. Cfr. F. Panero, Servi e rustici. Ricerche per una storia della servitù, del servaggio e della libera dipendenza rurale nell’Italia medievale, Vercelli, 1990, p. 168.
(10) DD Friderici I, n. 36, 1152 ottobre. Cfr. Tabacco, I liberi cit., pp. 162- 163; ibidem, p. 162, l’autore si sofferma sul privilegio federiciano per i Biffignandi, ma si tratta di falso: DD Friderici I, IV, Anhang II, p. 510, n. 18, 1164 maggio 24.
XI, attraverso falsificazioni di diplomi di Ottone II (20) e di Enrico III (21), ad assicurarsi diritti di giurisdizione sugli arimanni, segno dell’importanza che essa attribuiva a questi diritti e segno anche della presenza relativamente intensa di questi stessi gruppi di uomini, che così venivano definiti per tradizione (22) o che così volevano essere definiti per potere assicurarsi una condizione nobi- litante: si ricordi l’episodio dei ‘nobili arimanni’ di Bellagio (23) e le vicende coeve degli arimanni della Saccisica. La chiesa ve- scovile, il secolo seguente, riuscì a fare confermare da Federico I, con un diploma originale, il falso privilegio ottoniano (24).
Nella prima metà del secolo XI il capitolo dei canonici di S. Vincenzo (25) ebbe confermata, con il castello di Calcinate e la cappella ivi edificata, la districtio sugli arimanni abitanti nelle
1098, tr. it., Bergamo , 1980, pp. 136-142, e J. Jarnut, Lo sviluppo del potere secolare dei vescovi bergamaschi fino alla lotta per le investiture, in Bergamo e il suo territorio nei documenti altomedievali, Bergamo, 1991, pp. 69-79.
(20) DD Ottonis II, n. 319, anno 968. (21) DD Heinrici III, n. 387, 1041 aprile 5.
(22) A nostro giudizio va sfumata l’affermazione del Menant che riconosce nella presenza di arimanni nelle località citate nel testo «un autre indice de l’an- cienneté de ces habitats»: Menant, Campagnes lombardes cit., p. 50, nota 46, e p. 117, nota 315; a p. 421, nota 90, l’autore, ricordando che, secondo gli studi di F. Schneider, Le origini dei comuni rurali in Italia, I ed. 1914, tr. it. Firenze, 1980, pp. 138-146, Lombardia non avrebbe conosciuto un ‘impianto’ arimannico molto denso, sottolinea che la segnalazione della documentazione inedita sugli arimanni accresce in misura sensibile il numero delle “colonies arimanniques connues”, mostrando di condividere sostanzialmente l’impostazione tradizionale del proble- ma degli arimanni, non più sostenibile dopo gli studi di Giovanni Tabacco, in merito alla quale si vedano le osservazioni nella Introduzione.
(23) Cfr. sopra, t. c. nota 30 di cap. II. (24) DD Friderici I, n. 141, 1156 giugno 17.
(25) Sulle prime vicende della canonica si veda G. Picasso, Le canoniche di San Vincenzo e di Sant’Alessandro, in Bergamo e il suo territorio cit., pp. 63-67. Vicenza. Un documento dell’anno 1200 mostra il conte Ugezzone
detenere su un gruppo di arimanni di Schio alcuni diritti, quali il
fodrum e il servicium curie comitis (14). La famiglia comitale, che
aveva assunto l’ufficio nella seconda metà del secolo X, era ancora potente per le numerose signorie, compresa quella sul villaggio di Schio, per tradizione nobiliare, per collegamenti familiari (15) e per il ruolo politico, all’interno e fuori del comune cittadino, svol- to dallo stesso conte Ugezzone (16).