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IV. ARIMANNI E CONT

5.3. Tardi arimanni a Monselice

Gli arimanni di Monselice sono menzionati in due documenti dei primi decenni del secolo XIII, in modi certo occasionali, ma diversi dai soliti, non nelle deposizioni rese da testi in atti di natura contenziosa, ma in funzione della designazione di un luogo pubbli- co: la domus arimannorum (50).

La giurisdizione su Monselice era stata probabilmente esercita- ta fra IX e X secolo dai marchesi Almerico I e Almerico II (51), poi dai duchi di Toscana (52) e dai marchesi obertenghi, come è atte- stato da un placito dell’anno 1013 (53). Anche la giurisdizione esercitata in periodi saltuari sul distretto dagli Estensi, mantenne i caratteri di una giurisdizione pubblica (54), come mostra un placi-

(50) Documenti inediti degli anni 1222 e 1239, citati da S. Bortolami, Monselice, ‘oppidum opulentissimum’: formazione e primi sviluppi di una comu- nità semiurbana del Veneto medioevale, in A. Rigon (a cura di), Monselice. Storia, cultura e arte di un centro ‘minore’ del Veneto, Monselice, 1994, p. 163, nota 44: nel primo compare l’espressione sub porticu arimannorum, nel secondo in domo arimannorum.

(51) L’ipotesi che fra IX e X secolo il comitato di Monselice, insieme con i territori ‘romanici’ di Gavello e Adria, sia stato posto sotto il comando del conte e marchese Almerico I e poi del marchese e duca Almerico II, è di A. Castagnetti, Tra ‘Romania’ e ‘Langobardia’. Il Veneto meridionale nell’alto medioevo e i domini del marchese Almerico II, Verona, 1991, pp. 48-51, ipotesi accettata da A. A. Settia, Monselice nell’alto medioevo, in Monselice cit., pp. 88-89.

(52) Castagnetti, Tra ‘Romania’ cit., pp. 64-65.

(53) Manaresi, I placiti cit., II/2, n. 278, 1013 maggio 10: il marchese Alberto Azzo e il fratello Ugo, assistiti dal conte padovano Todello, presiedono un placito in Monselice.

(54) Sull’ipotesi di giurisdizione dei marchesi d’Este sulla iudiciaria di Monselice si veda Castagnetti, La Marca Veronese-Trevigiana (secoli XI-XIV), Torino, 1986, pp. 21-23, che considera, in modi assai succinti, i placiti dall’anno 1013 (Manaresi, I placiti cit., II/2, n. 277, 1013 maggio 5, Verona, presieduto dal duca di Carinzia, cui si affiancano come copresidenti i due fratelli Adalberto Azzo e Ugo marchesi, obertenghi, e il conte padovano Todello, e concernente una con-

monastero, la redazione della notitia da parte del notaio «iussione marchionis et admonitione iudicum» (57).

All’atto finale della controversia dell’anno 1157 fra Monselice e Pernumia, sulla quale ci siamo soffermati (58), assistette il mar- chese Bonifacio, apparentemente con un ruolo passivo, ma il cui intervento dovette essere essenziale e legittimo, se nell’atto viene ricordata la volontà di Dio e del marchese Bonifacio affinché la pace fosse conclusa: «Deo volenti et marchione Bonifacio» (59). D’altronde il carattere accentuatamente pubblico di Monselice escludeva che su di essa potesse essere instaurata una signoria ‘locale’, sia pure detenuta da una stirpe anch’essa legata alla tradi- zione pubblica di esercizio del potere. In questa prospettiva posso- no essere, al momento, comprese le oscillazioni e le incertezze sugli effettivi detentori della giurisdizione: Impero, marchesi, Papato (60).

La società, come si addice ad un centro di rilevante importan- za, in rapporti diretti con l’Impero, era strutturata in modi relativa- mente complessi, accostabili a quelli di una società urbana: dall’i- nizio del secolo XII, ad esempio, sono attestati i maiores del

(57) L. F. Bruyning, Il processo longobardo prima e dopo l’invasione franca, «Rivista di storia del diritto italiano», LVII (1984), pp. 121-158.

(58) Doc. citato sopra, nota 4.

(59) Segnaliamo almeno, a correzione dell’affermazione di Bortolami, Monselice cit., p. 105, che in Monselice «non c’è ombra di proprietà» degli Estensi, che il marchese Bonifacio nell’anno 1140 risiede in Monselice: «... Bonifacius marchio habitator in Monteselice» (CDP, II, n. 378, 1140 aprile 12), documento del resto segnalato anche da Bortolami, Monselice cit., p. 104.

(60) Cfr. sopra, nota 54, cenni e bibliografia in merito alla questione della giuri- sdizione dei marchesi su Monselice, che deve essere collocata anche nel quadro più ampio delle relazioni fra Impero, duca e marchese della Marca Veronese e, infine, il Papato, che rivendica la sovranità su Monselice per donazioni di età carolingia: un cenno in Castagnetti, La Marca cit., p. 22; ora in Bortolami, Monselice cit., pp. 103-106.

l’amministrazione della giustizia. Nel giugno di quell’anno (55) il marchese Folco, risiedendo «in casa domnicata prope ecclesia Sancti Pauli» – la sede consueta della potestà pubblica (56) –, «consilio atque laudatione bonorum hominum de Montesilicis», fra i quali sono menzionati anzitutto tre iurisperiti, due notai e altri, presiedette un placito «ad iustitiam faciendam», una seduta processuale che era stata stabilita nel corso di un placitum genera-

le svoltosi a maggio: «pro constituto termino qui constitutus fuerat

in generali placito mense madii». Il rinvio della seduta, stabilito secondo la prassi tradizionale dell’amministrazione pubblica della giustizia, risalente all’età carolingia, della quale prassi viene ripre- so puntualmente anche il formulario, era stato deciso probabilmen- te per permettere al convenuto di conoscere meglio l’accusa, rinve- nire e presentare le prove. Alla medesima tradizione si riallacciano il ruolo dei giudici, ‘trovatori di sentenza’, la presentazione delle prove scritte, il ricorso ai testimoni, la sentenza espressa dai giudi- ci, la sua emanazione da parte del marchese con l’imposizione del

bannum di duemila mancosi d’oro, metà alla pars publica, metà al

od anche inattivo in alcuni periodi, ma non scomparso, sostenuto anche dalla con- dizione della società locale, che manifestava caratteri complessi, avvicinabili a quelli di una città. I marchesi, pertanto, nel secondo decennio del secolo XI come nel secolo seguente, esercitarono, all’occasione, la giurisdizione, non in quanto signori, ma in quanto essa era a loro pervenuta per via ereditaria dai titolari della stessa nel secolo X (cfr. sopra, nota 51). Osserviamo, infine, che Monselice non è compresa nell’elenco delle curtes soggette ai marchesi, confermate nel privilegio di Enrico IV dell’anno 1077, citato sopra, nota 2, a riprova che essa non era sog- getta alla signoria estense.

(55) CDP, II, n. 70, 1115 giugno 30; regesto in R. Hübner, Gerichtsurkunden der Fränkischen Zeit. II. Die Gerichtsurkunden aus Italien bis zum Jahre 1150, «Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte, Germanistische Abteilung», 14 (1893), n. 1158: la lite era mossa dal monastero di S. Giustina di Padova, che ottenne sentenza favorevole contro il monastero veneziano di S. Zaccaria per una cappella e beni terrieri in Monselice.

niche: la comparsa e la fortuna locali della qualifica dipendono da fattori legati più al periodo coevo, fattori di carattere generale e altri scaturiti da situazioni specifiche, in particolare dalle contro- versie giudiziarie sulla condizione delle persone, sulle forme di esercizio del potere signorile e sullo sfruttamento dei beni comuni, più che alle vicende ‘etniche’ delle singole comunità.

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