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VIII. ARIMANNI IN ROMANIA FRA CONTI E SIGNORIE ECCLESIASTICHE (SECOLI X-XI)

8.1. Langobardia e Romania

8.1.3. Gli uomini liber

Come abbiamo avuto occasione di osservare nel nostro studio citato sull’organizzazione del territorio rurale e ribadito in quello sugli ‘arimanni nella Romania’, da uno spoglio sommario delle carte ravennati altomedioevali si riceve l’impressione, certamente

(28) Cfr. sotto, par. 8.3. (29) Cfr. sotto, par. 8.6.

in molti casi delle strutture curtensi, sollecita in tempi più o meno lunghi un ritorno o una ripresa di organizzazione e di iniziative, coinvolgendo uomini liberi e no, nelle loro varie gradazioni di condizione giuridica, la grande proprietà di tradizione tardoroma- na, che saremmo portati a definire quale latifondo, costituito tutta- via in prevalenza non da terre a conduzione diretta o dominiche, per le quali mancava la mano d’opera necessaria, essendosi drasti- camente ridotto, rispetto all’età classica, il numero degli schiavi, non sostituito, come invece avviene nel ‘sistema curtense’, dal ricorso alle prestazioni d’opera dei coltivatori delle terre massari- cie, ma frazionato e affidato a coloni, e che è rappresentata nella

Romania e particolarmente nel Ferrarese, dalle numerose massae,

che ripetono nella struttura fondiaria, oltre che nel nome, le pos-

sessiones del tardo impero, non attua un processo di riorganizza-

zione interna di tipo curtense, ma non per questo lascia spazio, anzi ne lascia meno della curtis, ai liberi proprietari, soprattutto a quelli con proprietà modeste e piccole, se non per zone limitate ed anche eccentriche, come vedremo essere il caso di una di queste in territorio ferrarese, che più ha subito l’influenza della Langobardia e che ha potuto godere della possibilità di sfruttamento degli spazi incolti (37): come abbiamo notato, le motivazioni vanno cercate nel carattere stesso di continuità, essendo mancato principalmente il momento della crisi della grande proprietà costituito dall’inse- diamento dei Longobardi.

Nell’ambito della problematica relativa alla presenza degli uomini liberi, viventi su terra propria e pertanto indipendenti eco- nomicamente, nelle campagne della Romania, presenza che non abbiamo preteso certo di negare in assoluto, ma solo di limitare, soprattutto negli aspetti di una ‘vitalità’ politica e sociale delle comunità rurali, e, per converso, alla presenza generalizzata di

(37) Cfr. sotto, parr. 8.6., 9.4. e cap. X, passim. iniziativa superiore a quello dei coltivatori dipendenti della

Langobardia. Per converso, non sono giunte spinte aggregative

dalla pressione della grande proprietà: mancano le lunghe e fre- quenti controversie che hanno opposto, nella Langobardia, comu- nità rurali e potenti monasteri per lo sfruttamento degli spazi incol- ti, uno dei fattori principali di coesione nel mondo rurale, o per l’assolvimento delle prestazioni personali, anche da parte di colti- vatori non liberi (34). La scarsa presa sui coltivatori non è supplita, infine, dallo sviluppo della signoria nel senso proprio della

Langobardia, pur verificandosi sviluppi signorili anche nella Romania (35), come potremo constatare: viene così a mancare,

anche per i secoli XI-XII, un altro fattore decisivo per il costituirsi di un’organizzazione comunitaria, rappresentato dalla necessità per gli uomini liberi ed economicamente indipendenti, per i liberi e i servi coltivatori di terre altrui, avvicinati nella soggezione comu- ne al potere signorile, di resistere alle pressioni esercitate da que- sto potere, un processo che con frequenza, dopo lunghe e trava- gliate controversie, si concretizza in una complessa casistica di pattuizioni, fissate dapprima verbalmente, attraverso le deposizioni di iurati, poi in convenzioni scritte, che iniziano nella seconda metà del secolo XI, per giungere, fra XII e XIII secolo, alla libera- zione dalla soggezione signorile con il passaggio alla giurisdizione diretta del comune cittadino (36).

Mentre la curtis è il risultato di un processo di ristrutturazio- ne, attuato soprattutto per impulso esterno dei Franchi, che riduce sì la presenza e le capacità di iniziativa degli uomini liberi, ma, attraverso il processo di formazione delle signorie castrensi, eredi

ta il capitolo “L’Italia senza corti” in Andreolli, Montanari, L’azienda curtense cit., pp. 161-175; per la scarsa presenza di servi che lavorassero su terre domini- che si veda Pasquali, Agricoltura cit., pp. 270-276.

(34) Cfr. sopra, par. 1.2.

(35) Paquali, Contadini e signori cit., pp. 139-142.

Celincordia sulle terre di proprietà del monastero, sono tenuti a corrispondere ai conti stessi in nome dell’ufficio comitale, «prop- ter ipsum comitatum»: accanto all’espressione functio publica appare più volte, con varianti, il termine armania, in un significato che sembra sostanzialmente equivalente o al più integrativo. L’esito della contesa è sfavorevole per i conti.

Una situazione analoga, concernente probabilmente ancora i conti di Cesena, dovette verificarsi poco tempo dopo per la località di Turri, posta anch’essa nel comitato cesenate. Lo deduciamo da un privilegio indirizzato nel 981 dall’imperatore Ottone II al monastero ravennate di S. Maria in Cereseo (41), con il quale, fra altri beni e diritti, egli conferma appunto l’armannia de Turri. Che si tratti di un reddito fiscale è chiarito nell’ambito dello stesso pri- vilegio: concedendo al monastero la tuitio e la defensio imperiali, Ottone II conferma l’esenzione dall’intervento degli ufficiali pub- blici, che non possono richiedere ai residenti, liberi o no, sulle terre monastiche la presenza al placito né esigere la harimannia ovvero la riscossione del tributo pubblico conosciuto sotto tale nome (42). Un riferimento così specifico in un privilegio imperiale suggerisce già di per sé la volontà dell’ente di ottenere la protezio- ne imperiale per un possesso o un diritto effettivamente contestato. Orbene, l’imperatore stesso dichiara di confermare con il suo pri- vilegio quanto egli stesso e i conti Arardo e Lamberto avevano conferito all’ente «in placito nostro», cioè in occasione di una pre- cedente contesa giudiziaria, con tutta probabilità promossa dai conti contro il monastero in modi analoghi a quella descritta dal placito della metà del secolo: anche in questa seconda occasione i conti erano stati sconfitti nelle loro pretese.

Possiamo supporre che l’impiego del termine arimannia nel

(41) DD Ottonis II, n. 242, 981 gennaio 15. (42) DD Conradi II, n. 250, 1037 settembre 1.

coloni liberi, in stretta relazione entrambe con la volontà di affer-

mazione di famiglie comitali sugli uomini liberi, che vivono, inve- ce, volenti o nolenti, sotto la protezione di chiese e monasteri, di cui subito trattiamo, va considerata la comparsa nella documenta- zione, a partire dalla metà del secolo X fino ai primi decenni del successivo, di arimanni e arimannia, una comparsa sporadica, invero, ma non per questo meno importante.

Dal precedente nostro contributo trarremo solo una parte delle esemplificazioni, concernenti anzitutto la comparsa, anteriore di un secolo a quelle dei territori della Langobardia (38), del termine

armania o arimannia, poi quella degli arimanni nel Ferrarese, per

concludere questa prima parte con un documento canossiano del secondo decennio del secolo XI. Per la poca altra documentazione rimanente rinviamo al contributo stesso (39).

8.2. Prestazioni pubbliche (armania) di coloni contese dai conti

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